Mütiilation
1992-2002 Ten Years of Depressive Destruction
2003 - End All Life Productions
GIOVANNI AUSONI
29/05/2021
Introduzione
Dopo l'uscita, nel 2001, di "Black Millenium (Grimly Reborn)", album che segnava il ritorno sulle scene dei Mütiilation, oltre che una loro parziale virata stilistica, per il solo project francese inizia un periodo fecondo dal punto di vista discografico. Prima lo split con i connazionali Deathspell Omega, gruppo che molto deve all'immaginario e al minimalismo sonoro delle Légions Noires, poi una compilation che rappresenta allo stesso tempo un genetliaco decennale e la chiusura di un'epoca compositiva ben precisa. Con il doppio LP "1992 - 2002 Ten Years Of Depressive Destruction" ("1992 - 2002 Dieci Anni Di Distruzione Depressiva"), Meyhna'ch traccia, dunque, un eterogeneo bilancio del percorso esistenziale della propria creatura: da un lato, la consapevolezza di aver contribuito alla codificazione del depressive black metal, dall'altro, la volontà non tanto di rompere definitivamente con il passato, quanto il desiderio di incanalarlo in nuove configurazioni. Non dimentichiamo, poi, e non è un aspetto secondario, le vicissitudini personali di Roussel, le sue tentazioni suicide, la sua progressiva e dolorosa uscita dal tunnel della tossicodipendenza, la sua resurrezione sui generis: elementi, questi, confluiti in due lustri di attività artistica e che trovano, nei venti brani selezionati all'interno della presente raccolta, uno specimen significativo capace di congelare su vinile e supporto magnetico un'esperienza totalizzante, e a dir poco intensa e tormentata. L'occitanico, però, as usual, sorprende tutti, non confezionando il classico greatest hits da fine corsa prono a glorificare una lunga carriera, ma delizia i tanti patiti delle rarità con l'inclusione di brani tratti dalle vecchie demo di inizio anni '90, da un paio di reinterpretazioni dal repertorio di Bathory e Venom, e da un quintetto di performance dal vivo che costituiscono un appetitoso bocconcino discografico, considerata la ritrosia elitaria del Nostro a prodursi in esibizioni live con tenace costanza. E, a tal proposito, la copertina del platter, come di consueto vergata di bianco e nero, appare molto indicativa: il francese, infatti, si mostra in primo piano e a torso nudo con l'asta del microfono tra le mani, intento ad arringare una folla che, però, possiamo soltanto immaginare giubilante e nutrita. Testimonianza di un'apertura al mondo (beninteso, sempre relativa) già sperimentata nel precedente full-length e, ora, ribadita ancora più chiaramente nell'artwork presente. Da sottolineare, poi, il definitivo divorzio dalla Drakkar Productions e il secondo approdo, dopo l'EP "New False Prophet", alla corte della End All Life, label a cui, in verità, non verrà demandato mai il compito di pubblicare un long playing inedito; il numero delle copie della raccolta, comunque, resta ancora una volta limitato, malgrado in questa occasione la quantità di esemplari stampati raggiunga la simbolica cifra di 666, ennesimo sberleffo maligno di monsieur Roussel all'universo intero, musicale e non. Certo, pensare che nel medesimo anno vede la luce "Majestas Leprosus", quarto lavoro sulla lunga distanza della one man band di Grabels, la dice lunga riguardo al cambio di ritmo del songwriter transalpino che, messi alle spalle, almeno in parte, problemi personali di varia natura, per un breve lasso di tempo diventerà una macchina prolifica ed estremamente professionale. Un mutamento che, insieme ai continui e persistenti riferimenti satanici a livello testuale, ne canonizzerà la figura, conducendola all'interno dell'alveo del blackster da salotto decadente, una sorta di Jean Floressas Des Esseintes votato al nichilismo e al vuoto cosmico. "1992 - 2002 Ten Years Of Depressive Destruction" rappresenta, dunque, quella boa circumnavigata la quale si riesce a dare uno sguardo indietro e uno avanti alla carriera dei Mütiilation: il vetusto millennio, malato, oscuro, purulento, fortemente misantropico, lascerà spazio a un secolo diverso, ove i medesimi elementi respireranno un'aria meno putrida e malsana. Eppure, non ci si faccia ingannare del tutto: nascosto in un angolo, un viso distorto e ghignante continua a perlustrare il mondo intorno a sé, e i giudizi su di esso non rinunceranno a una sgradevole rendicontazione da menestrello maledetto. Touchez!
Black Wind Of War
La compilation segue un ordine cronologico, aspetto evidente dai primi due pezzi esibiti: entrambi, infatti, appartengono alla demo d'esordio "Rites Through The Twilight Of Hell", quella che, nel 1992, segnò l'inizio della carriera dei Mütiilation. La line-up, allora, contava tre elementi: oltre a Roussel, che all'epoca si faceva chiamare soltanto Willy, la formazione comprendeva David al basso e Dark Wizard Of Silence dietro le pelli. Ri-registrata in maniera relativamente ripulita per l'EP "Hail Satanas We Are The Black Legions", l'incisione originale di questa "Black Wind Of War" ("Nero Vento Di Guerra") mostra tutta la propria impetuosa selvatichezza, lasciando già a bocca aperta per delle linee melodiche che, benché acerbe, riescono comunque a non passare inosservate. Nella redazione definitiva il brano diventerà un guazzabuglio thrasheggiante piuttosto gradevole all'orecchio; qui, invece, il ritmo sembra procedere come un encefalogramma piatto, complice una produzione estremamente casalinga, anche se non del tutto amatoriale. Gli strumenti affogano in un abisso ovattato, il cambio di passo centrale procede con la velocità di un ponte levatoio, il plettro affonda nelle corde gravato dal suo stesso peso, il finale, invece delle tastiere ambient della seconda versione, presenta un sustain unto quanto le propaggini di una brocca colmo d'olio rancido; la voce di Meyhna'ch, poi, sembra provenire direttamente dalle segrete dei Piombi, gracchiando arcigna tra il fetore e il sudiciume. Si avverte tanto l'influenza di Bathory, Darkthrone e Mayhem, quanto l'imprimatur di un lavoro collegiale; d'altronde, ci troviamo agli albori delle Légions Noires, in un momento nel quale conta più la condivisione aristocratica e il songwriting incestuoso che il predominio artistico di una singola personalità. Il testo, d'altronde, si incentra sulla lotta simbolica che l'enclave bretone intraprende (o vorrebbe intraprendere) contro il mondo, un conflitto destinato inevitabilmente alla sconfitta; scelta tematica standard, a ben vedere, ma che testimonia, attraverso il suo dipanarsi morboso, la peculiarità di scrittura dell'occitanico, capace, di lì a breve, di superare le ristrettezze e i limiti di un cenacolo con i giorni contati sin dalla nascita.
Blasphemous Suicide
Seconda traccia estrapolata da "Rites Through The Twilight Of Hell", "Blasphemous Suicide" ("Suicidio Blasfemo") si inebria, come la precedente "Black Wind Of War", di una produzione fai da te non così sgraziata e che, nelle sue inevitabili carenze, regala al brano un sapore d'antan caratteristico dei primissimi Mütiilation. Sin dalla partenza, è evidente uno schiacciamento degli strumenti da cui affiora la sola chitarra, in grado, comunque, di ottemperare alla propria funzione: una cavalcata punk estremamente acuminata, sulla quale Meyhna'ch sovrappone un cantato da enfisema polmonare, mentre la sezione ritmica sbuffa, senza successo, per emergere. Ci troviamo dalle parti di un black metal ancestrale, figlio del disordine e della furia repressa che, dopo novanta secondi di placida cancrena melodica, cambia relativamente ritmo, ruzzolando attraverso un frastuono ventricolare da Cocito in fiamme. Il pezzo procede alternando una cadenza regolare a brevi esplosioni nelle quali i blast beat marcano presenza, con Roussel che, dopo una serie di geremiadi stigie, esplode in un urlo oscillante tra la bestemmia, il catartico e l'inquisitorio. Il testo, considerata l'inesperienza dell'occitanico, risulta abbastanza originale poiché presenta l'atto dell'auto-eliminazione terrena non tanto come una liberazione definitiva dagli affanni e dai tormenti personali, quanto piuttosto alla stregua di una sorta di sfida titanica nei confronti di Dio, il regicida sadiano che innalza il sé stesso cadavere a titano della propria putrida coscienza. Se per Catone e Seneca togliersi la vita rappresentava l'ultima via di salvezza per la libertà, se Dante collocava i suicidi, trasformati in arbusti spinosi, al di sotto degli eretici, se le loro spoglie venivano portate in giro per la città con uno spiedo confitto nel cuore e una pietra sul capo, se i Romantici li chiamavano, celebrandoli, "dannati dell'immortalità", ebbene, il songwriter transalpino supera, coagula e sublima le varie tradizioni. L'esistenza appare un processo di demolizione, un dono non gradito, da cui fuggire attraverso una forma di attivismo blasfemo mediante il quale il soggetto aspira nascere, o, nel caso di Willy, rinascere: una concezione che segnerà l'intera carriera concettuale della one man band d'Oltralpe.
Desecrate Jesus' Name
Con "Desecrate Jesus' Name" ("Dissacrare Il Nome Di Gesù"), inizia la serie di brani tratti dalla demo del 1993 "Ceremony Of Black Cult", feticcio sonoro che appare inciso in un loculo traboccante ratti intenti a mangiucchiare i suoi nastri di impressione. Una produzione, dunque, nettamente peggiore rispetto a quella osservata in "Rites Through The Twilight Of Hell", e che conferisce ai pezzi l'aspetto di un mosaico incrinato, prossimo allo sgretolamento, e con le varie tessere messe insieme quasi a casaccio. Il brano in questione verrà inserito, ripulito e dal tiro decisamente accattivante, nel programmatico EP d'esordio "Hail Satanas We Are The Black Legions", ma intanto, nonostante la pessima registrazione, possiamo intravederne i prodromi e apprezzarli sulla scorta della resa successiva. L'elemento che subito balza all'orecchio riguarda la voce di Willy, che davvero sembra provenire dalle falde acquifere del Flegetonte, affumicata, sommersa dai vapori infernali, disperata negli acuti per il continuo sforzo di imporsi sulla musica; una fatica che, paradossalmente, si rivela l'asso nella manica di questa versione primitiva della canzone, regalando a essa una patina di disperazione più sotterranea di quella presente nell'edizione definitiva. Gli altri elementi cardine del pezzo, invece, patiscono non poco il semidilettantismo dell'operazione: dall'introduttivo fraseggio iniziale al climax melodico dello stesso, dalla riverberata doppia cassa in 4/4, alla breve cesura centrale carca di feedback e distorsioni, dall'offensiva furibonda e depressive della chitarra al ritorno finale del main riff, tutto viene subissato da una marmellata ritmica che non rende giustizia all'insieme. Eppure, come detto supra, la possibilità di ascoltare una versione perfezionata, permette di ammirare un songwriting comunque evoluto rispetto ai mesi precedenti, che cita la darkwave e si aggrappa filologicamente alla "Kathaarian Life Code" dei Darktrhone imbrattandola, però, di una tossicità velenosa, sanguinolenta e proto-black. Standard, invece, il testo, che elegge Satana vincitore dell'eterna lotta tra il Bene e il Male, con relativa dissacrazione dei simboli del Cristianesimo; in filigrana, nondimeno, si percepisce l'inefficacia del trionfo demoniaco, destinato tosto a soccombere per il limite intrinseco di un dominio fondato sul vuoto e la distruzione. Nota malinconica che in futuro si trasformerà nell'apoteosi cosmica del dolore.
As The Night Falls
Prima delle tre tracce che potremmo classificare come tra le più magiche scritte da Meyhna'ch per i Mutiilation, "As The Night Falls" ("Quando Calano Le Tenebre") amplia lo spettro compositivo della band transalpina grazie a un'attenzione particolare per l'elemento atmosferico, forse mai così curato prima di allora e nonostante i pochi mezzi a disposizione in studio. Travolgente l'abbrivio, con i piatti in funzione di campana liturgica, una doppia cassa tutto sommato percepibile e il carattere melanconico dei giri di chitarra, su cui Roussel innesta un cantato stridulo, decisamente burzumiano, eppure fortemente evocativo nelle linee espressive. Il brano segue una direzione ben precisa, con strategiche accelerazioni thrashy opportunamente inserite al fine di variare un ritmo che, nel complesso, preferisce una media velocità di crociera alla furia cieca e inopinata. La cadenza uniforme permette ai francesi, dunque, di esplorare un proprio lato all'epoca poco esperito in profondità: si precipita, infatti, in un clima di reiterazione ipnotica che, senza toccare la dark ambient et similia, riesce comunque a creare nella mente dell'ascoltatore uno stato di torpida assuefazione, sensazione accresciuta dai fruscii, dai rumori, dall'equalizzazione amatoriale della registrazione. Anche in questo caso, e ancora una volta paradossalmente, i limiti della produzione diventano forza, consentendo al gruppo di pervenire a esiti finali che, forse, neanche volevano consapevolmente ottenere; la lirica, poi, aggiunge ulteriore fascino narrativo alla musica. Un testo che potremmo sintetizzare utilizzando le parole di Gustav Meyrink tratte dal suo romanzo "La notte di Valpurga" (1917), precisamente dal capitolo intitolato "Lo Specchio", e una delle innumerevoli riduzioni artistiche di una celebrazione di ambiguo significato: "Ogni anno, il trenta aprile, ricorre la notte di Valpurga. Il popolo crede che in quella notte il mondo degli spettri si liberi e si scateni. Ma vi sono anche delle notti di Valpurga cosmiche, Eccellenza! Il periodo di tempo che le separa è così grande, che l'umanità non se ne ricorda, sì che essa le vive, ogni volta, come un avvenimento nuovo, mai prima verificatosi". Al di là delle diverse tradizioni intorno alla Walpurgisnacht, letterarie e non, ciò che si vuole sottolineare è la scelta, da parte dell'occitanico, di scegliere una ricorrenza oscillante tra il sacro e il profano, con i demoni e le streghe che danzano liberamente alla luce sinistra della notte. Willy, novello Faust si unisce all'orgia, mentre Mefistofele, dalla cima del monte Brocken, assiste beffardo alla scena.
Sorcerer's Land
Contenuta già all'interno di "Rites Through The Twilight Of Hell" in una parafrasi forse migliore dal punto di vista produttivo, questa versione di "Sorcerer's Land", inclusa nell'attuale compilation, è quella presente nella demo "Ceremony Of Black Cult", e bisogna, oggettivamente, togliersi tanto di cappello per un brano costruito davvero con un intelligente senso ritmico. S'intende, l'arrangiamento dei pezzi, come un po' durante l'intera carriera dei francesi, non rappresenta un loro punto di forza, men che meno in un periodo di arcaico apprendistato; ma la mancanza di punti di riferimento, e una certa freedom form compositiva, permette alla band, ancora nella formazione a tre, di improvvisare sul momento e sorprendere, in tal modo, l'ascoltatore. D'altronde, ne è testimonianza la tendenza di Meyhna'ch a rielaborare continuamente i pezzi composti, e basta spulciare tra le varie pubblicazioni, ufficiali e ufficiose, avvenute soprattutto nei primi anni di percorso, per comprendere l'inquietudine artistica e lo spirito sperimentale di un songwriter forse uguale a nessun altro in ambito black metal. Ciò che colpisce, dunque, del pezzo in questione, è la grande varietà della sua struttura mobile e cangiante, da un esordio tutto basso e batteria che sembra prendere a prestito i dettami più dark del post punk, a una parte centrale che con il suo andamento estremamente pigro non può non ricordare la trimurti Black Sabbath, Candlemass e Trouble. A intervallare i momenti doom, e qualche schitarrata di heavy classico, le tipiche accelerazioni raw/malinconiche à la Mütiilation, su cui la voce di Roussel si inserisce con un timbro sì acido e gracchiante, ma maggiormente rotondo, evidente nei passaggi musicali cadenzati; a corroborare la particolare atmosfera dell'insieme, un testo altrettanto significativo. Ci troviamo in una città medievale, probabilmente tedesca. Qui un vecchio vive isolato all'interno di una casa misteriosa, in fondo a un vicolo cieco, col catenaccio della porta ineluttabilmente sprangato; un po' orefice, un po' antiquario, veniva ritenuto estremamente ricco e si pensava leggesse negli astri, trasformasse i metalli e creasse degli automi. Ma, in realtà, il segreto delle sue pratiche era sconosciuto, tanto che per darne una spiegazione accettabile si finiva per concludere che aveva venduto l'anima al diavolo e lo si chiamava, di conseguenza, stregone. Stregone lo era effettivamente, e chi si fosse arrischiato a entrare nella sua proprietà, finiva bollito in qualche calderone, insieme a spezie e ingredienti di natura sconosciuta. E Satana esulta.
Under The Full Moon
Ultimo brano del trittico "magico", "Under The Full Moon", anch'esso presente nella demo precedente in versione più lunga per quanto riguarda il minutaggio, perde forse qualcosa dell'aspetto lunare, guadagnandone, però, in asciuttezza ed efficacia. Un pezzo che tratta della licantropia, della trasformazione di un individuo, in questo caso Meyhna'ch, nel lupo mannaro dei film horror Universal, nuovo mito figlio della fantasia dei registi e slegato tanto dalla cultura greca quanto dal folklore medievale; ma a Roussel interessava proprio mettere in luce l'origine cinematografica del soggetto lirico, collegandolo, al pari degli horror movie, con il fenomeno del vampirismo, tematica principe negli interessi dell'occitanico. E così seguiamo passo passo la mutazione del protagonista nella bestia immonda, partendo da un sinistro e turgido arpeggio chitarristico che accompagna il diradarsi delle velature nuvolose e la successiva comparsa della famigerata luna piena. La plettrata si fa zigrinata, il ritmo procede lento, anfibio, partecipe del cambiamento ferino: il corpo si ricopre di pelo sino al palmo delle mani, gli occhi diventano rossi e ardenti, la voce risuona come un ringhio gutturale, la postura bipede eretta inizia avacillare. L'udito, la vista e l'olfatto si fanno più acuti, e l'uomo lupo acquisisce tutti i sensi e le abilità del predatore: a modifica fisica avvenuta, il brano risponde con una sezione centrale ricca di feedback, primitivi effetti larsen, rumori in sottofondo di catene spezzate e ossa schiacciate, di una ridda di voci catacombali. La sofferenza e la sete di sangue del mostro si mescolano, poi, un breve assolo di doppio cassa e la cadenza ritorna di una lentezza uniforme, mentre Willy quasi strascica le parole, attestandosi su un registro tra il lamentoso e l'omicida. Tornato in sé nella sua forma diurna, egli non serberà memoria delle proprie azioni omicide, ritrovando però sulla propria pelle ogni residuo delle gravi ferite subite nel corso del suo stato mannaro; la canzone sfuma così, in un delirio che sa di pianto e coazione a ripetere.
Dawn Of The Fallen Angel (non-metal version)
Versione con sole tastiere di "Dawn Of The Fallen Angel", Dawn Of The Fallen Angel (non-metal version) ("L'Alba Dell'Angelo Caduto") è, a tutti gli effetti, l'unica traccia inedita della compilation assieme alla sua gemella eterozigote. Un'aggiunta sicuramente degna al contesto, un pezzo d'organo campionato cupo e accompagnato da una pluralità di voci che vomitano odio e perversione, il benvenuto perfetto per un Lucifero pronto a conquistare il mondo e le anime. Ambient oscuro, dunque, figlio degli Abruptum e di Burzum, e passione mai esperita da Roussel in maniera del tutto convincente, come dimostra l'effimero side project Satanicum Tenebrae; ma qui la funzione di riempitivo acquista un senso di coerenza all'interno della raccolta.
Forests Of An Evil Dream
Con "Forests Of An Evil Dream" ("Foreste Di Un Sogno Maligno"), principia un trittico di tracce estrapolato dalla demo pubblicata agli inizi del 1994 "Satan Styrken", forse il miglior parto discografico, sino ad allora, per l'act di Grabels; una band in realtà ridottasi a duo, con Roussel che modifica il proprio nom de plume trasformandolo nell'altisonante pseudonimo Will Lord Meyhna'ch e il solo Krissagrazabeth a fargli compagnia dietro le pelli. Il titolo del brano qui presente era originariamente "Skoger Av Onde Drom", poi tradotto in inglese a beneficio dell'omogeneità concettuale della compilation: chiaro sintomo della forte influenza, linguistica e soprattutto musicale, che all'epoca la scena norvegese aveva sui Mütiilation. Il pezzo parte con un riff catatonico, dal putrescente olezzo doom, capace di trasmettere una sensazione miserabile, di un uomo cupamente abietto e isolato dal mondo; segue un fraseggio più veloce, più cattivo, ma altresì più suggestivo, che evoca stati di trance maledetta, di sospensione dimensionale, di tragedia imminente, e al quale non sembra estraneo, nella sua costruzione, l'influenza dei Darkthrone di "A Blaze In The Northern Sky". Il sound complessivo, considerata la consueta produzione casalinga dei transalpini, risulta confusionario, molti degli elementi finiscono per fondersi insieme durante le sezioni maggiormente frenetiche, eppure il lato tetramente (e teatralmente) melodico dei francesi comincia a emergere con potenza inusitata, speziando il songwriting di momenti di pura poesia. Si avverte che ci approssimiamo all'uscita di "Vampires Of Black Imperial Blood", nella cui edizione rimasterizzata, per la precisione quella a cura di End All Life Productions, ritroveremo il brano affinato ad hoc; ciononostante, questa versione resta il non plus ultra del marciume lirico, con una batteria umana e dal piglio dannatamente raw, con una ripetitiva alternanza strofica che sfiora l'ipnosi, con un singer che strepita quasi ne si stia bruciando a fuoco lento l'epidermide, con quella melanconia che cresce per poi richiudersi su sé stessa. Un'atmosfera che evoca il clima gelido e silvano della Scandinavia, la presenza di creature misteriose, l'auto-isolamento, il misticismo allucinatorio provocato dalla neve, il pericolo della depressione, la misantropia, il tutto corroborato da uno sciovinismo tipicamente francese che come obiettivo ha il mondo intero e non soltanto lo straniero. Tranchant!
My Last Night Among Those Times
Secondo brano tratto da "Satan Styrken", demo dall'inequivocabile titolo in norvegese, "My Last Night Among Those Times" ("La Mia Ultima Notte Tra Quei Tempi") appare, a un ascolto attento, una prosecuzione musicale di "Forests Of An Evil Dream", prosecuzione così fedele da spingere a considerarle quasi come un'unica traccia. La qualità del suono resta basso, certo, però mai di livello tanto scarso da non poter percepire un drumming che, pur fagocitando il basso in un sol boccone, timbra presenza col suo ritmo grave, inarrestabile, di marca dannatamente thrashy. La voce di Meyha'ch, infernale, urlata, tormentosa, i riff fangosi che intasano la batteria come sangue coagulato, la tristezza melodica che fa capolino negli anfratti più selvaggi e bathoryani, una dolorosa sezione acustica finale capace di aggiungere profondità alla traccia, concorrano a strutturare un pezzo che di certo non avrebbe sfigurato nella scaletta di "Vampires Of Black Imperial Blood". Ciò che colpisce maggiormente è la reiterazione ipnotica delle strofe, all'interno delle quali la struttura musicale rimane inalterata; la sensazione che la canzone possa durare all'infinito resta palpabile, la tocchiamo con mano, sentiamo di cadere progressivamente preda di un mostro grifagno pronto a trascinarci in basso, senza la possibilità di coltivare sogni e speranze. Miraggi onirici di un vampiro prossimo all'agognata morte che, tristo e in agonia, vaga nelle ere e nei luoghi al fine di trovare requie e una pace finalmente prossima; una lirica che anticipa uno degli argomenti spina dorsale dell'esordio sulla lunga distanza dei Mütiilation. Il guaito meditabondo e uggioso di un'anima in pena condannata all'eternità.
Holocaust In Mourning Dawn (drummer on vocals)
Risalente al 1994 e precedentemente inclusa nella demo "Satan Styrken" con un titolo leggermente diverso ("Infernal Holocaust In The Mourning Dawn"), questa versione di "Holocaust In Mourning Dawn" ("Olocausto Nell'Alba Piangente"), la terza se consideriamo l'edizione in lingua francese della stessa inclusa in "Remained Of A Ruined, Dead, Coursed Soul", vede al microfono l'allora batterista Krissagrazabeth. Un drummer che non sfigura assolutamente nel paragone ingombrante con Meyhna'ch: voce diversa, meno gracchiante, più baritonale e sfumata, benché non dotata del taglio espressionistico di Willy. Eppure, trattasi di un timbro che ben si adatta all'atmosfera del pezzo, a una cavalcata trasheggiante e dall'aura depressive che appare intarsiata da un riffing al solito lugubremente malinconico, almeno fino a un paio di minuti dalla fine; poi, un ruvido e spigoloso misto di dark ambient, Abruptum e primi Darkthrone segna, tragicamente, il lento spegnersi del brano. Depravazione e genocidi ingrossano di cattiveria una traccia che Roussel scrive con intento profetico e livore misantropico; un odio verso il genere umano che rimarrà sempre uno dei propri punti fermi, saldezza testimoniata dalla scelta di non inserire il nome del drummer dei Mütiilation di allora nel titolo del pezzo. Chapeau!
The Rite Of Darkness (Bathory cover)
Il secondo disco della compilation parte alla grande con la reinterpretazione di "The Rite Of Darkness" ("Il Rito Delle Tenebre"), uno dei pezzi più belli del repertorio Bathory, contenuto in "The Return ?" (1985), successore dell'omonimo esordio di dodici mesi prima. Ancora oggi l'album trasuda malvagità e satanismo da ogni poro, ma, all'epoca, fu davvero uno shock udire Quorthon smantellare i fondamenti della morale cristiana attraverso immagini cariche di orrore e supplizi vari in onore del Demonio. La nascita della second wave molto dovrà alla band svedese sotto parecchi punti di vista e Meyhna'ch stesso non rimase certo insensibile agli insegnamenti blasfemi del maestro oscuro scandinavo. E così, nella demo "Promo '95", i Mutiilation, nella formazione a tre con Mordred al basso e Krissagrazabeth alla batteria, registrano una cover magnifica, rispettosa dell'originale, eppure declinata seguendo i propri canoni stilistici. Un mid-tempo perfetto per il minimalismo stilistico della band transalpina, giocato su una sezione ritmica continua e mai troppo convulsa nel pulsare indefesso, e una chitarra satura e ribassata che cuce un unico riff, spettrale e mefistofelico il giusto, almeno sino a venti secondi dalla fine della canzone. Poi, improvvisamente, compare un assolo di una cupezza esasperante, che, oltre a frantumare l'uniformità del pezzo, permette a Roussel di lanciare un urlo da sevizia medievale dopo un minuto abbondante di semi-growl da grattugia arrugginita. La scena descritta è quella di un sabba lussurioso e carnale, durante il quale sangue e corpi nudi si uniscono in un amplesso destinato ad aprire le porte all'ingresso di Satana nel mondo terreno; immagini forti, divenute ormai patrimonio storico del black metal, tuttavia a metà anni '80 meno ovvie (e meno abusate) rispetto al periodo odierno. Insomma, materiale stimolante per Willy e soci, ansiosi di mettere a ferro e fuoco la Francia e l'universo tutto.
Dawn Of The Fallen Angel
Traccia che compare esclusivamente in questa compilation e incisa nel 1996, "Dawn Of The Fallen Angel" ("L'Alba Dell'Angelo Caduto"), assieme alla sua versione strumentale per tastiere, rappresenta la sola traccia inedita della raccolta. D'altronde, andando a esaminare nella discografia, ufficiale e non, del solo project transalpino, non si rinvengono demo nelle quali compare il pezzo in questione. Una canzone che parte velocissima, scudisciata da un tremolo picking affilatissimo, con una drum machine che, sotterranea, fa da base al tutto marcando a tratti la propria presenza attraverso il fragore ferrigno dei crash. Dopo un minuto così martellante, il fraseggio diviene meno atonale e maggiormente sinuoso ed eufonico, benché la violenza della musica e del cantato resti arcigna e perforante. Un Meyhna'ch storyteller biblico che racconta le motivazioni, le fasi, la conclusione della caduta di Lucifero, il portatore di luce, il più splendente degli Angeli che sedeva accanto al Signore in coppia con L'Arcangelo Michele. Abbeverandosi all'auctoritas di Isaia, Willy dipinge, attraverso pochi tocchi, la trasformazione del protagonista in una creatura estremamente superba: cresce a dismisura la sua cupidigia di possedere un proprio trono nel Regno dei Cieli e, quindi, essere pari a Dio, il redentore degli uomini. La transizione centrale, in semi-spoken word e mixata con i volumi della plettrata sparati al massimo, prepara il campo il campo di battaglia: i ribelli si radunano con l'obiettivo di rovesciare Dio dal bramato scranno, ma la disfatta giunge inevitabile, con conseguente caduta negli inferi degli sconfitti. L'esplosione successiva, che riprende la violenza barbarica della prima parte, segna, però, una sorta di vittoria: il protagonista, divenuto Principe delle Tenebre e a capo di una moltitudine di demoni, potrà pianificare la vendetta, riprendendosi sulla Terra quel potere che gli era sfuggito nell'impresa precedente. La voce di Willy rimbomba dalle profondità abissali, mentre gli intarsi melodici di fondo che accompagnano il pezzo sino alla conclusione chiamano in causa gli ariosi ricami dei Dissection, seppelliti, però, in una registrazione dal taglio così raw da sussultare ansimanti sotto una coltre di pece nera. Il Diavolo fa la voce grossa.
Glorious Evil Time
Contenuta in forma definitiva nell'EP "New False Prophet", la scelta di proporre la versione più ruvida di "Glorious Evil Time" ("Glorioso Tempo Del Male") si sposa allo spirito vintage e ruspante della compilation. Siamo nel 1999, l'anno in cui viene pubblicato "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul", una raccolta di vecchi brani inediti caratterizzati da un piglio decisamente raw e da un'incisione lo-fi; elementi che ritroviamo pari pari nel pezzo in questione, uno vero e proprio sferragliare metallico dai leggeri tratti industrial capace, e con forza, di sforacchiare i canali uditivi del malcapitato ascoltatore. Una partenza che vede il tremolo picking stridere sull'acciaio metrico di una drum machine che simula il frastuono dei piatti con inquietante precisione; la cesura centrale, piena di fruscii e stridori vari, accompagna Meyhna'ch nel suo latrare tagliente, mentre un arpeggiato di chitarra sconclusionato e fuori giro copre di consapevoli stonature una sezione ritmica sino ad allora protagonista roboante. Poi, ecco una strapazzata di feedback volta a confondere e angariare l'ascoltatore, alla quale segue un'orgia furiosa di blast beat e pennate norvegesi che terminano la propria corsa cacofonica senza preavviso né consolazione. Un galoppo sfrenato che prelude e osanna sia l'avvento del regno del Male, ascesa condita da immagini sacrileghe e raccapriccianti, sia il nuovo e poderoso re-ingresso di Roussel nel cosmo di un black metal modaiolo e standardizzato. La rinascita del metallo nero comincia da qui: il Vangelo secondo i Mütiilation.
Black Millenium
Title track dell'album omonimo uscito qualche anno prima, la resa leggermente più grezza di "Black Millenium" la reperiamo all'interno della demo "Destroy Your Life For Satan", registrata nel 2001 e sempre in modalità one man band. Dicevamo leggermente, perché c'è davvero bisogno di un orecchio finissimo e allenato al sound dei Mütiilation per distinguere il mix granuloso di questa versione rispetto a quella maggiormente equilibrata presente nel full-length di riferimento; di fatto, dunque, si tratta di una traccia non re-incisa, ma soltanto appena appena migliorata. La scelta di includere la canzone in una compilation dal valore così simbolico, che chiude una determinata era per aprirne un'altra in parte diversa, appare, comunque, decisamente coerente. Dal punto di vista lirico, viene mostrato il crollo della civiltà cristiana e dal mondo da essa plasmato in favore di un evo caratterizzata da oscurità e barbarie; metaforicamente, si tratta del percorso intrapreso da Meyhna'ch all'indomani della sua morte artistica, della sua rinascita e del messaggio apocalittico di cui si farà portavoce da lì in poi. Un nuovo e nero millennio, dunque, che vede l'occitanico come artefice e protagonista assoluto. Il dipanarsi ossessivo e malinconico del brano, beneficiato da una drum machine incredibilmente magnetica e da un main riff incisivo per carica melodica e sferruzzante destrezza, trova in tale missaggio così ruvido la chiave della propria morbosa disperazione; dopo una transizione ricca di vuoti e sospensioni, il pezzo torna alla circolarità maniacale dell'inizio, con i piatti che scavano nella solennità escatologica e un introverso feedback conclusivo a sigillare il tutto in una catarsi cinerea e tremebonda. Uno degli apici della carriera del solo project transalpino.
Possessed (Venom cover)
Quando i Venom pubblicarono nel 1985 "Possessed", piovvero critiche a destra e a manca, non tanto per la qualità dei brani in sé, quanto per una produzione crudamente amatoriale che, rispetto al sound più nitido e pulito del precedente "At War With Satan" (1984), sembrava retrocedere la band britannica in una dimensione dilettantesca e pressappochista. Non è un caso, dunque, che Meyhna'ch decida di coverizzarne la title track, inserendola nella demo del 2001 "Destroy Your Life For Satan"; un pezzo che appare costruito su misura per i Mutiilation, sia dal punto di visto lirico che da quello strettamente musicale. D'altronde, i primi album dell'iconico trio anglosassone hanno sempre rappresentato, per il songwriter occitanico, uno dei riferimenti maggiori ai fini della costruzione del sound della propria creatura: lavori del calibro storico di "Black Metal" (1981) e "Welcome To Hell" (1982), grezzi, violenti, sporchi, sguaiatamente satanici, colpirono l'immaginario di Roussel, e, soprattutto, quello di un'intera generazione. Tornando alla canzone in questione, notiamo come sin dalla partenza si tasti con mano il rispetto filologico dell'originale, pur entro un'interpretazione generale abbastanza personale. Nell'intro, affidata a un inquietante arpeggiato di tastiera, Willy sussurra parole che annunciano l'arrivo dell'Anticristo, nato dai lombi del demonio e cresciuto all'Inferno per vivere sulla Terra; poi chitarra distorta e sezione ritmica intervengono improvvise, sommergendo le keys e trasportando il pezzo in una dimensione da mid-tempo, doomy/stoner nell'incedere e catchy nell'afflato melodico. L'Oppositore invita l'umanità a guardarlo e ad ascoltarlo, a bere il vomito dei preti, a darsi alla lussuria sfrenata e sacrilega, a succhiare il sangue della Bestia: ciò che desidera, ciò che esige è la morte di Dio, sputare in volto alla Vergine e, finalmente, sedere trionfante alla destra del Maligno. A questo punto la cadenza si arresta, spazzata via da un assolo marcio e deviato che prelude al cambio di passo successivo, nel quale emerge una mitragliata collosa di marca speed capace di traghettare il pezzo alle battigie di una chiusa che riprende le modalità atmosferiche di principio running time. Al mefistofelico protagonista non importa nulla dei sacerdoti che piangono né delle grida degli agonizzanti, ma soltanto rispondere alla chiamata di Baphomet e distruggere il mondo: e l'imperativo "Look In My Eyes!" ("Guarda I Miei Occhi") finale, salmodiato da un singer acidamente mellifluo e in completa possessione diabolica, non fa che suggellare una traccia sprizzante malvagità e folklore da ogni maledetto poro.
To The Memory Of The Dark Countess
"To The Memory Of The Dark Countess" ("Alla Memoria Della Contessa Oscura"), tratta dall'album "Remains Of A Ruined, Dead, Coursed Soul", inaugura il pugno di tracce live presente nella compilation, registrate durante l'Under The Black Sun Festival del luglio 2001. Evento raro quello di un concerto dei Mütiilation, sia per la natura elitaria della band, sia per la musica stessa elaborata da Meyhna'ch; resta difficile immaginare, infatti, una folla che scapocci scatenata di fronte a un moniker che ha sempre puntato sulla creazione di un'atmosfera malata e pregna di amara solitudine. On stage Roussel, sin dalla prima nota del pezzo, si mostra un ottimo performer, senza, però, assurgere al ruolo di vero animale da palcoscenico; insomma grande competenza, grande piglio, ma nulla di trascendentale, e d'altronde non potrebbe essere altrimenti considerato tutto ciò che sappiamo sulla sua personalità, intima e artistica. In ogni caso, il brano, nella resa dal vivo, risulta decisamente più veloce e più fragoroso rispetto alla versione in studio. La storia sanguinaria della contessa Erzsébet Bathory, che, oltre a torturare per sadico piacere giovani donne, soleva farsi il bagno nel sangue di ragazze vergini nell'intento di preservare la propria pelle dalle ingiurie del tempo; imprese cantate già da band storiche come Venom e Tormentor, ma che Roussel porta a un livello decisamente superiore, grazie a una scrittura sopraffina capace di delinearsi poeticamente concreta e musicalmente parossistica. Da una parte il mix, che dà largo spazio a batteria e voce, penalizza purtroppo l'emergere di quelle melodie sotterranee che, uggiose e percepibili nella reharsal room edition, accompagnano il tragico destino dell'aristocratica ungherese; dall'altra, affiora a galla un'aggressività lacerante, giocata su una sezione ritmica tambureggiante e su una serie di latrati disumani, che conferisce alla canzone una brutalità che non fa prigionieri. Se non la contessa stessa, murata viva per le infamie e gli atroci omicidi commessi.
Born Under The Master's Spell
Uno dei brani migliori del lotto del fantastico "Vampires Of Black Imperial Blood", "Born Under The Master's Spell" ("Nato Sotto L'Incantesimo Del Maestro") viene riproposto dal vivo attraverso un approccio crust a tutto gas che, però, ha il demerito di attutire l'atmosfera di superstizione vampirica dell'originale registrato in studio. Il set, infatti, è scarno sino all'osso e, per quanto il minimalismo appaia la cifra stilistica principale dei Mütiilation, manca il turgore melodico che gonfia di romanzo gotico il testo del pezzo. La fisionomia del pezzo, dunque, pur restando riconoscibile, soffre di una trasposizione sonora un po' piatta, riscattata, comunque, da linee vocali maneggiate da Meyhna'ch con fare da maestro e che trafiggono, in virtù di un pitch altissimo e alienato, casse e pubblico pagante. Nonostante si perda l'allure cinematografico alla base della narrazione, la prestazione del singer, a tratti consapevolmente sguaiata, permette di evocare sul palco i fantasmi dei personaggi e dei luoghi della lirica. Gli abitanti impauriti di un immaginario villaggio dell'Europa orientale piagato da una strana pestilenza e il tributo di sangue virginale che il vampiro del luogo richiede ogni notte di luna piena, vengono propinati al pubblico attraverso una resa sonora atonale e decisamente raw. L'assenza delle tastiere rispetto all'originale, e del conseguente afflato orchestrale del refrain, contribuiscono alla secchezza selvaggia dell'insieme, e persino la conclusione malinconica dell'autografo si confonde nel tessuto primitivo della performance. E i colpi di rullante conclusivi, novelli timpani da galea romana, traghettano gli spettatori verso un ulteriore orrore.
No Mercy For Humans
Estrapolata dall'album del 2001 "Black Millenium (Grimly Reborn)", "No Mercy For Humans" (Nessuna Pietà Per Gli Umani") rappresenta non soltanto un violento atto di odio misantropico nei confronti del genere umano, ma anche verso la scena black metal contemporanea, ormai lontana dai fasti elitari delle origini e vendutasi al miglior offerente. E forse, e non a caso insieme a "Black As Lead And Death", la versione on stage di questa traccia vive di vita propria rispetto a quella incisa in studio; in effetti, la resa sul palco non presenta, obtorto collo, gli effetti elettronici della cugina primeva che, se da un lato contribuiscono a creare un'atmosfera grottescamente funebre all'interno del brano, dall'altro ne smorzano l'approccio raw da sempre marchio di fabbrica dei Mütiilation. Sappiamo del cambio di passo stilistico voluto da Meyhna'ch nel full-length di ritorno, come anche degli esiti positivi che tali mutamenti portarono, eppure provoca cenni di assenso convinti la reinterpretazione senza filtri del pezzo in questione. Batteria e voce la fanno da padrone, sovrastanti e dirette, la velocità è al cardiopalma, le cesure e i rallentamenti assumono i contorni di una marcia mortuaria priva del contorno beffardo dell'autografo e irrigati da un turbolento fiume sludgy, la chitarra, in costante overdrive, incide come bisturi nella pelle morta; Roussel, poi, sembra sprizzare sangue dalla gola, annaffiando di plasma maledetto gli spettatori in basso. E si percepisce l'onta del fallimento, dell'inutilità di ogni azione destinata ad avariare all'ombra della vera esistenza.
Desecrate Jesus' Name
La scelta di inserire di nuovo nella compilation "Desecrate Jesus' Name" ("Dissacrare Il Nome Di Gesù") lascia un po' perplessi, dal momento che il pezzo presente, già proposto abbondantemente e in tutte le salse possibili, non aveva bisogno di un'ennesima versione. Un brano che conserva anche dal vivo il suo taglio raw, e non potrebbe essere altrimenti; ascoltare Meyhna'ch che, nel pronunciare il titolo, aggiunge un velenoso "fucking", vale certo il prezzo del biglietto, ma ciò appare una consolazione relativa, vista anche una perfomance globale non particolarmente ispirata. Quel clima da raduno bellico della versione in studio, il suo afflato thrashy, la sua carica melodica, si perdono in un marasma di una sezione ritmica a singhiozzi e di un Roussel sottotono, che ringhia e sbuffa senza, in verità, bulinare troppo a fondo. Le orde infernali protagoniste del pezzo sembrano un'accozzaglia di predoni lanciati alla rinfusa e in difficoltà di fronte alle armate cristiane; il pubblico se ne accorge, sostenendo poco o nulla lo sviluppo del pezzo. Peccato per l'occasione mancata.
Black As Lead And Death
Come detto in precedenza, "Black As Lead And Death" ("Nero Come Il Piombo E La Morte") costituisce il pezzo live migliore assieme a "No Mercy For Humans"; entrambe le trace appartengono, infatti, a quel "Black Millenium (Grimly Reborn)" che sparigliò le carte in tavola nella carriera dei Mütiilation. La circostanza, obbligata del resto, di avere a fianco una band in carne e ossa, oltre alla rinuncia, anch'essa inevitabile, ai vari effetti da studio, spinge Meyhna'ch a direzionare il brano in una strada ben precisa. Via la drum machine e i suoi ride sinfonici, via gli scalari della chitarra, via ogni ovattamento da sintetizzatore; la traccia si veste di aggressività malsana, sporcata da un'attitudine punk e dalla voce di Roussel che richiama alla memoria la disperazione anarchica di un Johnny Rotten alla francese, tanto bizzarro quanto nocivo. D'altronde, il momento del suicidio deve, per forza di cose, evocare il colore di un corpo debole, del mondo in rovina, del tunnel della depressione, delle droghe e dell'alcol, del passato e del futuro, del piombo che schizza sul volto: il nero, luttuoso, funebre, privo di sfumature e tonalità altre. Un unico, lungo riff che agghiaccia e chiude in angoscia compilation e concerto.
Conclusioni
Con la pubblicazione di "1992 - 2002 Ten Years Of Depressive Destruction", viene messa la parola fine sull'infanzia della carriera dei Mütiilation; una chiusura che rappresenta anche un nuovo inizio, simbolico ed effettivo, per un'entità aristocratica e sempre a latere del panorama black metal transalpino e mondiale. La compilation risulta abbastanza esaustiva sia per chi si addentri vergine nell'universo musicale del progetto francese e voglia conoscerne i vagiti iniziali, sia per coloro che già ne maneggino vita, morte e miracoli; scorrendo la tracklist, possiamo notare il fatto che Meyhna'ch abbia cercato di toccare i momenti essenziali del percorso artistico della propria creatura, mettendo l'accento su quelli maggiormente significativi. In particolare, occorre sottolineare l'inclusione nella raccolta delle ancestrali demo "Rites Through The Twilight Of Hell", "Ceremony Of Black Cult" e "Satan Styrken", un trio che, oltre a mostrare la chiara influenza stilistica del metallo nero scandinavo, ci permette di capire l'evoluzione su vari livelli della fisionomia della band, pure in riferimento alle modalità d'incisione, a dir poco avventurose se non completamente amatoriali. Peccato per l'estromissione di piste delle atavica forza di "Millenium Of The New Kingdom", "Born In Malediction" e "Cursed Be The Inquisition", le uniche di quel periodo a non comparire nella selezione, e il cui innesto sarebbe stato gradito a priori rispetto all'ennesima riproposizione di un cavallo di battaglia ("Desecrate Jesus' Name") o di brani come "Glorious Evil Time" e "Black Millenium", quasi del tutto identici alla versione in studio e di fattura sin troppo "recente" a confronto della cronologia del lotto. Di ottima qualità, poi, la facies interpretativa della coppia di cover formata da "The Rite Of Darkness" e "Possessed", tratte dal catalogo di Bathory e Venom, due gruppi che, insieme a Burzum, Darkthrone e Mayhem, costituirono la stella polare seguita dalle Les Légions Noires e da Roussel stesso. A perfezionare l'impresa, un paio di chicche inedite (la doppia versione di "Dawn Of The Fallen Angel"), un pezzo cantato dal batterista Krissagrazabeth ("Holocaust In Mournig Dawn") e, soprattutto, il pokerissimo live tratto dall'Under The Black Sun Festival del 2001, una rarità eccezionale all'interno della discografia dell'act di Grabels. Dispiace constatare, al di là del loro pregiato valore collezionistico, quanto, a conti fatti, la performance dal vivo non generi un grande entusiasmo; ma, a parte le deficienze tecniche (un set ridotto all'osso, un mix esiziale per le chitarre, una certa impressione di pressapochismo), questa mancanza di trasporto, percepibile anche nei tiepidi mormorii del pubblico presente al concerto, non stupisce granché, considerata la natura strutturale e lirica delle canzoni, più adatte a un assorbimento solitario nel buio di una segreta che a uno show all'aperto e in piena luce. Pollice verso, invece, per le difficoltà di rinvenire online "1992 - 2002 Ten Years Of Depressive Destruction": laddove le copie fisiche, numerate ad hoc, risultano giustamente introvabili, poco giustificabile appare l'invisibilità dell'album nel web, a meno che non si desideri correre il rischio, coronato invero dal successo, di navigare in improbabili siti caucasici ricchi di pubblicità equivoche e insidiose. Una situazione dettata da uno stretto controllo sui diritti d'autore o da un elitarismo spinto al massimo? Certo, dare credito a quest'ultima motivazione equivarrebbe a ingigantire forse troppo le intenzioni snobistiche di Willy, intenzioni non corroborate dalla reperibilità free dell'intera produzione dei Mütiilation. In ogni caso, senza indagare a fondo nella questione e accontentandoci di fantasticare intorno alle ragioni di tale stravaganza editoriale, il giudizio conclusivo sull'opus si situa a livelli soddisfacenti, pur ritenendo che alcune scelte non appaiano indovinate al massimo grado. Nel 2003, anno di stampa della presente antologia, uscirà altresì lo squisito "Majestas Leprosus", degno erede di "Black Millenium (Grimly Reborn)" e testimone dell'inesauribile vena compositiva di un Meyhna'ch che, sino al 2007, continuerà a pulsare fervida e bollente. Nel frattempo, che l'incarnazione del Male, del dolore e del sudiciume si palesino distruttivi e abominevoli: la decisione tra l'atto del fuggire a gambe levate o assaporare voluttuosamente il calice della pestilenza non ammette tentennamenti.
2) Black Wind Of War
3) Blasphemous Suicide
4) Desecrate Jesus' Name
5) As The Night Falls
6) Sorcerer's Land
7) Under The Full Moon
8) Dawn Of The Fallen Angel (non-metal version)
9) Forests Of An Evil Dream
10) My Last Night Among Those Times
11) Holocaust In Mourning Dawn (drummer on vocals)
12) The Rite Of Darkness (Bathory cover)
13) Dawn Of The Fallen Angel
14) Glorious Evil Time
15) Black Millenium
16) Possessed (Venom cover)
17) To The Memory Of The Dark Countess
18) Born Under The Master's Spell
19) No Mercy For Humans
20) Desecrate Jesus' Name
21) Black As Lead And Death