MISTEYES
Creeping Time
2016 - Maple Metal Records
FABRIZIO IORIO
15/10/2016
Introduzione Recensione
In questa nostra nuova recensione andiamo a parlare di una band proveniente dal nostro beneamato paese, e più precisamente dal capoluogo del Piemonte. Infatti, i Misteyes arrivano da Torino e giungono al traguardo del primo album, pubblicato l'otto di aprile, dal titolo "Creeping Time". Andiamo dunque a conoscere questa giovane band, la quale si forma ufficialmente nel 2012, comprendendo nella sua prima incarnazione cinque elementi che ne delineano la line-up. A distanza di un solo anno (esattamente il 31 di Dicembre), i Nostri fanno uscire (in formato digitale) il loro primo singolo ,dal titolo "Brain in a Vat", comprendente appunto la sola title track senza ulteriori aggiunte. La song in questione si rifà molto al black metal sinfonico, decisamente vicino per stile a band come Cradle of Filth, caratterizzata da uno screaming incisivo ma leggermente vampiresco, con una ritmica mai troppo veloce. Una canzone che predilige molto l'aspetto atmosferico, pur riuscendo a non sacrificare l'impatto vero e proprio dell'estremo apportato dalle fondamenta Black. Un brano molto interessante, che faceva intravedere già due aspetti fondamentali per la crescita del gruppo stesso: il primo è sicuramente la preparazione tecnica del nostro quintetto, che si esprime molto bene e viaggia spedito proponendo una buona prova collettiva/individuale; il secondo aspetto è la direzione stilistica che i Nostri vogliono intraprendere. Si capisce che qualcosa è da affinare e limare, e soprattutto da perfezionare ed arricchire, ma nel complesso è un buon episodio d'esordio, che vanta anche una buona produzione. Come detto in precedenza, la proposta è da perfezionare, magari con un arricchimento proprio del sound. Proprio per questo, la band passa dai cinque membri iniziali a ben sette, con due nuovi ed importantissimi innesti: innanzitutto viene inserito un tastierista in pianta stabile, ma cosa probabilmente più importante, viene arruolata Denise Manzi come voce femminile. Decisamente una scelta che va un pochino a stravolgere (ma nemmeno troppo per la verità) il sound iniziale, con importanti incursioni della stessa vocalist, la quale ha un'impostazione quasi lirica, di sicuro alto livello. La formazione è dunque così composta: Edoardo "Irmin" Iacono alla voce, Denise "Ainwen" Manzi alla seconda voce, Daniele "Insanus" Poveromo alla chitarra, Riccardo "Decadence" Tremaioni alla seconda chitarra, Gabriele "Hyde" Gilodi alle tastiere, Andrea "Hephaestus" Gammeri al basso, ed infine Federico "Krieger" Tremaioni alla batteria. Così composti, nel 2014 licenziano la demo "Lady Loneliness", dove si può ascoltare l'inizio di questa nuova evoluzione sonora, la quale piano piano si consoliderà nel tempo. Grazie a questo assaggio, i Misteryes riescono a condividere il palco con molte band di un certo spessore nazionale, come per esempio la death/thrash band bergamasca Ulvedharr, la melodic death metal band romana Lunarsea, la gothic metal band tarantina Elegy of Madness ed i veneti Vallorch, con il loro folk metal. L'anno successivo, i nostri sette ragazzi, siglano una collaborazione con la "Ronin Agency", etichetta che li porta sul palco insieme a nomi illustri della scena black e horror metal quali Arcturus, Cadaveria e Opera IX. Dopo questa esperienza, si decide che è il momento propizio per racchiudere tutta l'esperienza fin qui accumulata, e dare sostanza alla propria evoluzione artistica, lavorando duramente per pubblicare il loro primo full length; anticipato dal brano "The Prey", nel quale viene espresso molto bene il loro concetto di Symphonic Gothic Death metal. Sette minuti di brano decisamente riusciti, dove elementi delicati e ruvidi si incastrano alla perfezione, ricreando un'atmosfera quasi surreale, che lascia sicuramente qualcosa all'ascoltatore. Il disco esce quindi per "Maple Metal Records", etichetta canadese che annovera tra le proprie fila band quali Thalion (power metal), Primalfrost (melodic death), e gli italiani Tothem (gotich metal). In questo "Creeping Time" troviamo dunque ben dodici canzoni, tra cui il primo singolo "Brains in a Vat" del 2013 ed ovviamente il brano "The Prey". Da segnalare poi numerose ed illustri collaborazioni, le quali vedono partecipare nientemeno che personalità del calibro di Bjorn "Speed" Strid (singer dei famosissimi melodic death metallers Soilwork), Nicole Asperger (violinista della band Eluveitie), Roberto Pasolini (singer degli italianissimi Embryo), e Mattia Casabona (cantante della band Aspasia); il tutto per oltre un ora di sensazioni ed emozioni che ora giungiamo ad esplicarvi nella nostra consueta analisi track by track.
The Last Knell
Il primo brano che andiamo ad analizzare è "The Last Knell (L'ultimo rintocco)"; una song totalmente strumentale dalla durata di un minuto e quaranta, che ha la funzione di intro atta ad immetterci nell'ascolto di quest'opera. Il brano in questione si apre con un pianto, un pianto ininterrotto e disperato di un neonato. Successivamente, ad accompagnare questo pianto, ci pensano dei suoni cupi, quasi macabri. Sembra di ascoltare un carillon assai particolare, il quale dovrebbe avere il compito di riuscire a rilassare l'infante. Infatti, il pianto viene interrotto da suoni che si fanno più pomposi, orchestrali e maestosi, con tanto di voci maschili da sala ed un aumento graduale di volume; si sfocia quindi in un organo che sa tanto di "sentenza". Particolare, sicuramente, questo inizio di album, il quale nella seppur brevissima durata, riesce ad incutere una inquietudine di un certo livello. Il pianto di questo essere così piccolo ed indifeso è la chiave di tutto; risulta essere dannatamente coinvolgente e suscita quella compassione che ogni essere umano, per natura, ha nei confronti di queste creature. I successivi passaggi orchestrali sembrano voler farci assistere ad una cerimonia nella quale viene proprio sacrificato questo innocente pargolo; un sacrificio atto ad esaltarne la purezza e la totale innocenza.
Creeping Time
"Creeping Time (Tempo Strisciante)" è la prima vera propria song di questo lavoro. Il suo inizio è affidato ad una doppia cassa insistente con tanto di tastiere, basso e chitarra molto atmosferici. Il ritmo viene spezzato letteralmente a favore di una ritmica piacevolmente lenta e soffocante, per poi venire legata da un riffing work molto interessante che apre al growl del singer, il quale lascia subito spazio alla voce femminile; una voce che si muove suadente su di un tappeto di doppia cassa decisamente tecnico e ben eseguito, con chitarre e basso imponenti per esecuzione e precisione. Le voci di Irmin ed Ainwen a questo punto si fondono per creare un qualcosa di sicuramente particolare, con questo growl che quasi va proprio a stonare con l'impostazione delicata di Denise. Un tutt'uno che, in verità, risulta essere anche piacevole all'ascolto. Il basso ricopre un ruolo molto importante, ed a tratti si riesce ad udirne indistintamente il lavoro di accompagnamento. Il brano rallenta notevolmente per poi esplodere con una buona dose di cattiveria, caratterizzata proprio dalla voce del singer che si scopre essere molto profonda e molto ben assestata. Il volto del brano viene cambiato proprio con l'ingresso della singer che riesce a dare molta più atmosfera, a discapito della potenza vera e propria. Infatti assistiamo ad un momento in cui si ascoltano dei tocchi ripetuti di ride da parte del drummer Krieger che accompagna, insieme al basso di Hephaestus, le suggestive gesta vocali della nostra ragazza, raggiunte da tocchi repentini di rullante sempre delicati e mai utilizzati per coprire la voce. La calma sospetta di questa parte di song viene interrotta bruscamente da un brevissimo momento di tastiere, che fanno esplodere il sound con un attacco sonoro deciso ed una voce dirompente e violenta. Il duo riprende a duettare, mentre il sound è molto calibrato ed a tratti veramente incisivo. Quando il tutto rallenta, si perde un pochino quella violenza che sembra voler sfociare in un qualcosa di più maestoso, ma comunque in alcuni passaggi estremamente gotici, si avverte quell'atmosfera tanto ricercata nella proposta dei Misteyes che effettivamente, in questo primo episodio, funziona piuttosto bene. Un brano assolutamente interessante che si chiude con dei flebili rintocchi di tastiera che vanno a collegarsi con il brano introduttivo, per via appunto di questi suoni che richiamano una campana e che concludono di fatto la song. Apprezzabile sicuramente a livello vocale, ottimo accompagnamento della sezione ritmica, e chitarre mai troppo elaborate che svolgono sicuramente un buon lavoro sotto il profilo ritmico. Anche il testo, in qualche modo, va a fare da tramite tra le due song, proponendoci il tema dell'inesorabile passaggio del tempo. Lento ed inflessibile, continuo e costante, segna il trascorrere della nostra vita, e non esiste verso di poterlo fermare. Uno dei versi iniziali è l'emblema di questa situazione: "C'è una legge che non posso rompere (la legge del tempo)", ed indica appunto il fatto che nonostante tutti gli sforzi per poter vivere nella maniera migliore possibile, siamo comunque destinati a perire per volontà del tempo. Non si può tornare indietro, si può solamente andare avanti; le sabbie di questa clessidra scorrono maledettamente verso il basso; e la cover del disco illustra molto bene questo concetto, dove nella parte superiore viene rappresentata la vita, la beatitudine, mentre nella parte inferiore troviamo dei teschi che si fanno sempre più frequenti e che prendono il posto di ogni singolo granello di sabbia che in teoria dovrebbe esserci. Ogni granello una morte, ogni secondo una vita spezzata. Tutto si fa più oscuro, "Quello che è bianco diventa nero", quello che prima sembrava roseo e perfetto ora diventa tenebra e buio. Eppure cerchiamo di lottare per rimandare la nostra ora, cerchiamo in qualche modo di prolungare la nostra esistenza, ma non esiste modo di fermare lo scorrere degli eventi. "Il tempo porta via ciò che la vita dà", ci toglie tutto, tutto ciò che abbiamo conquistato con sudore e fatica. Tutto quello che di bello la vita ha da offrirci e siamo capaci di cogliere, in un attimo viene spazzato via come se niente fosse, come se tutto quello che avessimo fatto fino ad ora non fosse servito proprio a niente. Pensandoci bene, ogni secondo che passa veniamo consumati dal procedere strisciante e silenzioso delle lancette che girano; dal momento in cui veniamo al mondo, è un susseguirsi di cambiamenti che porteranno solamente alla nostra fine. La domanda che viene da porsi è la seguente: vale la pena lottare per un qualcosa che alla fine non potremmo combattere? E' una domanda che non trova una risposta vera e propria.. però è giusto provarci, è giusto cercare di fare qualcosa che ci possa far star bene durante la nostra permanenza in questo mondo, anche se torneremo ad essere polvere e rispediti nella terra da cui siamo venuti. "Avvisami quando morirò", è una frase invece che sembra voler essere anche un po' sarcastica, dato che la morte non avvisa mai quando arriva. E quando il momento arriverà.. beh, come direbbe Epicuro, lei sarà presente ma noi no.
Brains in a Vat
"Brains in a Vat (Cervelli in una vasca)" è il primo singolo della band, datato 2013, e qui inserito perfettamente nel loro nuovo disco. Un episodio il quale vede anche la partecipazione di Mattia Casabona, singer della band Aspasia, che da un buon supporto vocale a questo brano. L'inizio è affidato ad un riffing veloce e violento, e le sonorità generali richiamano molto il black metal; il tutto però viene smorzato dalla dolce voce di Denise, la quale viene poi raggiunta anche ad una batteria non esasperata ma di sicuro effetto. Arriva anche il momento dello screaming di Irmin, che aggiunge un tocco "malato" a questa prima parte di brano, con un cantato ruvido e malvagio. Ancora una volta ritroviamo le vocals femminili accompagnate da un tappeto tastieristico molto atmosferico, che ricorda moltissimo le tipiche atmosfere della band di Dani Filth, dove la voce narrante dell'ospite Casabona si interseca molto bene nel tutto per creare un alone di mistero. Le chitarre, dal canto loro, non fanno altro che confermare quella somiglianza pocanzi annunciata, proponendoci dei passaggi atmosferici di grande levatura, facendo sì che si crei quell'aura maligna che i Nostri vogliono e riescono a ricreare, con grande cura. In questo frangente le ritmiche sono molto lente e claustrofobiche, ma quando la voce arriva a propinarci un growl molto cupo, il tutto aumenta di intensità, ed anche seppur per un breve momento, veniamo travolti da una furia non certo indifferente, pur non accelerando mai sino all'esasperazione. Ad un certo punto tutto si ferma, e possiamo sentire una interferenza che vuole essere una sorta di rottura verso quello proposto fino ad ora, sparandoci ancora una volta uno screaming esaltante che successivamente lascia spazio ad una bellissima parte cantata da parte della stessa Denise , la quale lascia per un attimo da parte le velleità liriche per offrirci un bella linea melodica pulita estremamente funzionante. Torniamo al growl, pesante, oscuro e malvagio, per poi riprendere con discreta foga a darci in pasto una sezione molto potente, ricca di atmosfere e pesantezza esecutiva. Le due asce viaggiano perfettamente all'unisono per ridarci ancora una volta quella sensazione di malvagia melodia, mentre la batteria sfoggia la sua doppia cassa in maniera perfetta e precisa. Il sound si fa un pochino caotico, ma viene ben presto sistemato con un ottima parte strumentale che accompagna le gesta dei due vocalist e ne alza la qualità in maniera considerevole. Il pezzo si conclude con dei battiti cardiaci che donano comunque un buon effetto finale. Ancora una volta un brano molto interessante e ben riuscito. L'alternanza da parte di Irmin nel proporci growl e scream, e le continue accelerazioni con conseguenti rallentamenti, fanno in modo da far risultare questo terzo episodio un ottimo incentivo per proseguire l'ascolto di questo lavoro, rendendo il tutto molto coinvolgente. In questo testo, cerchiamo di capire se la nostra vita sia veramente reale o solo un'illusione. Una delle prime frasi che ci vengono dette nella prima strofa è proprio "Non hai il dubbio che sia solo un trucco, un'illusione?"; la band inizia dunque a metterci la cosiddetta pulce nell'orecchio, cercando di farci riflettere su di una questione: che tutto quello che viviamo, tutto quello che proviamo, non sia veramente reale ma frutto di un qualcosa atto a controllarci? Altra ipotesi è quella di essere vittima di un sogno, o meglio, di un incubo da cui non riusciamo a svegliarci. "Come sai la differenza tra il mondo dei sogni e quello reale?"; in effetti non è una cosa semplice da intendere, ma se in realtà fosse davvero così allora staremmo vivendo un qualcosa che non possiamo nemmeno controllare. Sentiamo la nostra vita come un qualcosa di nostro, ma in realtà non è così; probabilmente siamo stati ingannati ed il nostro destino è già stato deciso da tempo. Ma da chi? Chi ha il nostro controllo? "Questo è un film, ma chi è il regista?", una metafora che si sposa alla perfezione con il concetto che vuole esprimere il testo, e questi cosiddetti "cervelli in una vasca" non sono altro che le nostre vite e le nostre menti messe tutte insieme in attesa che qualcuno inizi a giocare con esse. Proprio come campioni di reperti umani sulle mensole di qualche laboratorio di anatomia. Magari è proprio Dio che ci manovra come burattini per passare il tempo e divertirsi un po'. Nelle liriche viene ripetuta più volte la frase "Cogito Ergo Sum", cioè "Penso e dunque sono" (frase pronunciata da Cartesio in quanto l'essere umano ha la certezza di essere se stesso in quanto essere pensante). Ed è proprio il pensare a quanto tutto questo possa essere vero, che può portare alla pazzia.
Inside the Golden Cage
"Inside the Golden Cage (Dentro la gabbia dorata)" viene introdotta da una bella sezione di tastiere, recanti un sottofondo molto gotico e delicato, con la voce della brava Denise a dare man forte, mentre pizzichi di charleston arricchiscono il tutto in attesa di un qualcosa di più duro e pesante. Arriva lo screaming, puntuale ed aspettato, ma in realtà rimane quella splendida melodia creata da Hyde, la quale viene perfettamente interpretata ancora una volta dalle vocals femminili. Un inizio veramente bello, toccante e delicato: si viene trasportati musicalmente in una dimensione di spensieratezza quasi inaspettata. Al minuto 1:08 la musica si ferma, e quando compare un primo riff di chitarra capiamo immediatamente che il brano è in pieno mutamento. Le sonorità diventano più cattive, senza però perdere quell'atmosfera sensoriale che caratterizzava l'inizio brano. La batteria si fa più consistente, con una doppia cassa abbastanza sostenuta, e le chitarre svolgono un ottimo lavoro ritmico, così come basso e screaming. La vera "ciliegina sulla torta", però, è la prestazione disumana di Denise, la quale fa letteralmente sognare con la sua ugola sopraffina ed estremamente pulita. Una seconda parte sempre cantata dalla nostra singer la vede cimentarsi con una canonica voce pulita, la quale si accompagna benissimo con le ritmiche poste su di un mid tempo costante. Altro cambio dietro al microfono e si dà sfogo alla ferocia, per poi riprendere con il bellissimo ritornello che non si vorrebbe finisse mai, con una sezione ritmica bella pesante e quel growl che fa da contraltare perfetto, bilanciando una parte bellissima per intensità ed emotività. Le tastiere sono assolute protagoniste nella strofa successiva, che calma un po' le acque prima di una seconda pausa che vede un momento tastieristico "preoccupante" tanta è la leggerezza del suono. Infatti lo screaming si avvicina pericolosamente all'ascoltatore, per poi lasciare spazio un momento strumentale fatto da chitarre stoppate e da una batteria tecnicamente molto interessante, che segue con assoluta precisione i movimenti delle due asce. Ultima strofa abbastanza tirata con tanto di breve blast beat e vocals malvagie che di fatto concludono un brano veramente riuscito. Un pezzo incentrato sulla voce di Ainwen che vede un ottimo comparto ritmico e soprattutto gode di una atmosfera ottimamente ben realizzata. Questa gabbia dorata a cui fa riferimento il titolo del brano, non è altro che la prigione in cui risiede la nostra mente. Il nostro pensiero è rinchiuso perché qualcuno vuole che sia così, e quindi viviamo mezzi "morti", perché abbiamo appunto ucciso il nostro lato vivo, mentre il lato morto di noi stessi viene mostrato con orgoglio. Eppure abbiamo una libertà di scelta, ma questa libertà non viene presa in considerazione dal protagonista di questo brano. Dichiarando appunto che "Libertà significa responsabilità, ma ho scelto la via più facile", capiamo bene cosa il Nostro voglia dirci. Non viene infatti contemplato il tentativo di ribellione, perché "Pensare è così doloroso". Quindi cerchiamo sempre la via più facile per ottenere qualsiasi cosa, solo perché non abbiamo voglia di fare fatica o semplicemente perché non siamo in grado; o meglio, non vogliamo pensare con la nostra testa. Quindi, anche la nostra mente viene imprigionata in questo labirinto che in realtà non ha una via di uscita vera e propria, ed una volta trovata ci si rende conto di essere chiusi in una gabbia. Una gabbia nella quale siamo carcerati e carcerieri. Si sa, più si conosce e più si soffre.. dunque, vogliamo assolutamente cercare di limitare i danni. Particolarmente riflessiva è l'ultima frase del testo: "Quando perdiamo il diritto di essere diversi, perdiamo il privilegio di essere liberi" dove l'essere diversi significa non seguire tutto quello che ci viene proposto dall'esterno, ma semplicemente significa agire e pensare con la nostra testa in modo da avere quella libertà di azione e pensiero di cui abbiamo di diritto. Un brano insomma praticamente perfetto sia a livello musicale che testuale, in grado di far riflettere e pensare con un accompagnamento assolutamente adeguato.
Lady Loneliness
"Lady Loneliness (Signora Solitudine)" gode di una splendida introduzione sinfonica, con un piano molto affascinante raggiunto dalla bellissima voce pulita della solita Ainwen, che sfodera una prestazione veramente toccante. Queste prime battute sono leggere, delicate e quasi struggenti; viene esaltata la voce femminile in maniera incredibile grazie alla grazia ed alla leggerezza generali, senza dimenticare l'espressività, che ci viene proposta con assoluta semplicità, senza strafare. Colpi tom in sincrono con rullante ci introducono il growl di Irmin, anch'esso morbido nella sua ruvidezza. Sembra un paragone strano, ma i Nostri riescono nell'intento di far apparire anche la voce profonda come un qualcosa di estremamente rilassante ed appagante. Denise rientra in scena, questa volta con acuti decisamente più poderosi, accompagnati da chitarre semplici che vogliono solo essere un arricchimento del suono generale, senza mai voler risultare invasive o fuori luogo, anzi. Il tutto viene proposto in maniera assolutamente vincente, mantenendo sempre un bell'equilibrio. Questo pezzo è sì piuttosto lineare, ma posto in questo punto della scaletta, è un ottimo diversivo che rilassa e sgombra momentaneamente le nostre menti. La solitudine viene esposta come un qualcosa di tangibile e reale, e viene raccontata una storia che ha del malinconico, dove appunto questa solitudine diventa l'interlocutrice principale. Non si riesce a vederla, non si può toccarla, non può parlare con noi semplicemente perché non ha un corpo vero e proprio. Si cerca di parlare con un amico, un amico caro che probabilmente non c'è più, il quale diventa il fantasma della nostra anima e ci permette di non essere raggiunti in alcun modo dalle paure, perché in qualche modo è qui con noi a proteggerci. Il dolore però è atroce, quello non passa, e capiamo che l'unico modo per poterlo alleviare è quello di lasciarsi andare attraverso l'oscurità, nella quale ci rincontreremo e questa volta sarà per sempre. Dicevamo che la solitudine non è un'entità fisica, non si può toccare con mano od udire.. però nella nostra mente riusciamo a sentirla, quando piano piano si impadronisce di noi stessi fino a portarci alla malinconia più totale. Non è detto però che sia per forza una cosa negativa, potrebbe anche essere un modo per ritrovare la pace e quell'intimità con il proprio io, che sembrava perduta definitivamente. E' un sentimento contrastante che di fatto isola la persona ma la mette in condizione di vivere se stesso come probabilmente mai ha fatto prima.
The Prey
E' il turno di "The Prey (La Preda)", brano che ha avuto il compito di fare da antipasto a questo lavoro uscendo come singolo un mese e mezzo prima della pubblicazione di "Creeping Time". Inizialmente si riesce a sentire un soggetto intento a correre, come a voler scappare da qualcuno. Successivamente parte una batteria a raffica che non esita a martellare sul rullante, per poi dare il via a delle chitarre pesantissime e ad un cantato estremamente violento, il quale è perfetto per questa prima parte, con una strofa bella carica ed adrenalinica. Arriva ovviamente anche il momento delle vocals femminili, che spezzano forse un po' troppo la carica ricevuta inizialmente, ma fortunatamente a "recuperare" il tutto ci pensa una parentesi strumentale molto bella, nella quale spicca sicuramente la sezione ritmica, con il basso di Hephaestus sugli scudi. Senza dimenticarci del grande lavoro di doppia cassa da parte di Krieger; un duo che dimostra una padronanza strumentale non indifferente. Torna lo screaming violento, così come l'ugola di Denise questa volta è ottimamente inserita nel contesto. Il continuo alternarsi vocalmente, con alcune sovrapposizioni che non escludono l'una o l'altro, sono qui ben amalgamate e si continua praticamente nella stessa maniera fino a che, al minuto 3:37, un riff molto potente subentra a presentarci uno scream veramente allucinante, con tanto di martellamento sonoro sul finale di strofa che lascia sbalorditi. I cambiamenti di volto di questa song non finiscono certo qui, ed infatti possiamo udire un solo di basso piuttosto breve che introduce questa volta le clean di Ainwen, supportata ancora una volta da chitarre belle corpose e dalla solita sezione ritmica che svolge un lavoro impeccabile. Terminata questa ennesima parte, sentiamo solamente delle tastiere che ricamano suoni dolci e melodiosi, dove la nostra singer ci sfodera un'altra prestazione sopra le righe prima di assistere ad una seconda parte strumentale arricchita da delle tastiere molto atmosferiche e da un comparto ritmico di valore, con tanto di assolo breve ma cristallino. Il ritmo rallenta vistosamente, quasi a voler esasperare il suono, dove i due cantanti si intersecano ancora una volta per concludere un brano che anche questa volta risulta essere riuscito. I suoi sette minuti di durata non pesano affatto, e se nella prima metà sembra essere un pochino ripetitivo, i continui cambi di atmosfera, di velocità e di interpretazione del proseguo fanno si che il pezzo qui presente si configuri come un altro importante tassello atto a far sì che questo "Creeping Time" risulti un lavoro raffinato e pieno di sorprese. Il personaggio che si sente ad inizio della song correre disperatamente nell'intento di sfuggire a qualcuno o a qualcosa, è la preda a cui fa riferimento il titolo. Ma da cosa sta scappando? Semplicemente sta cercando di fuggire dal proprio destino, ed anche se sa benissimo di essere condannato ad essere vittima di quest'ultimo, cerca comunque una via di uscita che gli possa far per lo meno guadagnare del tempo prezioso. Sembra voler giocare a nascondino con la morte, ma non esiste un posto sicuro nel quale rifugiarsi, perché in un modo o nell'altro Lei lo troverà e lo porterà con sé. Inizialmente, il protagonista non capisce cosa lo spinga ad andare avanti a correre, ma poi si rende conto che il suo unico scopo è quello di sopravvivere a tutti i costi. Con sé ha anche un'arma, un'arma caricata con un solo colpo nel caso dovesse capire che non ha nessuna via di scampo. Quindi continua la propria corsa cercando di sfuggire al proprio destino, e seppur non riuscendo a vederlo, riesce a sentire che piano piano esso si sta avvicinando sempre di più. Il suo istinto gli suggerisce di non fermarsi e di proseguire con la sua fuga. Arriva il momento in cui è allo stremo delle forze, non ce la fa più.. e, sfiancato dalla fatica e dalla paura, si convince di essere pronto e smette di scappare. La paura non esiste più nei suoi pensieri, il tempo a sua disposizione è finito e capisce che deve abbandonarsi e lasciarsi portare via. "Ti abbraccio mio destino, sono pronto"; è la frase conclusiva del brano, che segna la resa definitiva del nostro protagonista, il quale si tramuta così la preda perfetta.
Destroy your Past
Brano numero sette, ovvero "Destroy your Past (Distruggi il tuo Passato)". Bell'inizio poderoso con chitarre potenti e basso/batteria in grande spolvero. L'incursione di Denise smorza un pochino la tensione generata dagli strumenti, ma quando inizia propriamente a cantare, il tutto si appesantisce ulteriormente pur rallentando vistosamente il ritmo. E' il turno di Irmin e dunque si scatena una furia "controllata" che dura giusto quell'istante che precede nuovamente la ricomparsa della compagna dietro il microfono; senza che si perda però in potenza, nel proporsi feroci ed al contempo atmosferici. Ottimo lavoro di doppia cassa da parte di Krieger, preciso, annichilente e tecnico al punto giusto. Una seconda parte viene proposta con un bel rallentamento generale con tastiere molto efficaci le quali fungono da perfetto sottofondo a chitarre compatte intente a massacrare l'ascoltatore nel loro essere lente ed oscure. Altra prestazione sublime da parte della bravissima Denise, la quale sembra volerci accompagnare dolcemente nel proseguo dell'ascolto, fino a quando non sentiamo uno strattone deciso con lo screaming feroce ed una sezione ritmica che velocizza questa parte di song, in maniera repentina e violenta. Un giro di tom, e si riparte molto più cauti; le voci strazianti di Edoardo assumono una connotazione quasi piacevole, ed assecondano per un momento le delicate corde vocali della compagna, mentre si conclude questa altra parte di brano. Minuto 3:06, una bella sorpresa ci attende, ovvero un bel arpeggio soffuso con tanto di morbide note di tastiera che addolciscono e spaccano in due questa "Destroy your Past", dove la singer presenta una brevissima strofa che viene spazzata via dalla furia di Irmin. Una furia che dà il via ad una parte strumentale molto suggestiva, dove le tastiere diventano assolute protagoniste. Il brano sembra essersi concluso dato che al termine di questa parte non si ode più alcun suono.. ma invece si riprende con il ritornello che fa da chiusura ottimale alla ennesima song più che riuscita. Man mano che andiamo avanti con questa analisi, mi convinco sempre più di trovarmi al cospetto di un piccolo gioiellino di arte messa in musica. Qui è tutto bilanciato a meraviglia: riff belli carichi, voci che si completano, e quel gusto nel mettere la melodia al punto giusto; magari azzardando una frattura nel brano, per poi rientrare su coordinate che sembravano perse. Il testo vuole essere uno strumento per stimolare in noi una riflessione, con conseguente reazione: ragionare sulla nostra vita per cercare di lasciarci alle spalle i brutti ricordi del passato, scegliendo di abbracciare una "nuova nascita" di noi stessi. Per fare ciò, bisogna scavare a fondo nel proprio cuore ed evitare di scappare da qualsiasi tipo di difficoltà, cercando invece di affrontare i propri demoni per poterli annientare definitivamente. Il fatto di non essere schiavi del proprio passato significa non essere schiavi dei nostri sentimenti: non verremo dunque strangolati dalla nostre debolezze, riusciremo a riscattarci. Debolezze che ogni essere umano, come tale, deve per forza avere, ma deve anche avere la forza per superarle e ricominciare a vivere. La chiave di tutto ciò è quella di buttarsi dietro ogni tipo di odio non voltandosi indietro mai, in modo da rinascere come persone e come esseri degni di vivere. Questo è un insegnamento, anzi, è un consiglio che la band vuole darci; il problema è che non tutte le persone hanno la forza di "iniziare a vivere" dopo le difficoltà che ci pone ogni giorno la vita: e questo, per mille motivi che possono andare dalla paura, dal timore di fallire nuovamente, giungendo alla perdita di autostima.. insomma, esistono mille variabili che possono bloccare una persona. Se però si riesce a vedere oltre, si può in qualche modo migliorare la prospettiva di esistenza. Basta solo volerlo fare.
The Demon of Fear
Passiamo a "The Demon of Fear (Il demone della paura)". L'inizio è dettato da un'atmosfera surreale creata dalle due chitarre di Insanus e Decadence, che con l'aiuto di pedale e crash del drummer, introducono la song che non tarda a svelarci un primo urlo malefico da parte del proprio singer. La prima strofa gode di un growl molto funereo e profondo, ed in questo caso l'apporto vocale di Roberto Pasolini degli Embryo è più che vincente. La ritmica si muove lentamente con chitarre piuttosto elaborate, che accompagnano anche l'ingresso vocale di Denise, la quale si alterna molto bene al growl per poi dare sfoggio attraverso un ottima parte a lei consona con una interpretazione veramente spettacolare. I due growler si muovono in sincrono per creare una cattiveria fuori dal comune, ed anche se le sonorità non spingono mai, rimanendo ancorante su quella lentezza di base, trasmettono una bella sensazione grazie anche al supporto delle tastiere, immancabili in ogni loro song. Il ritornello viene affidato nuovamente a Denise, sempre splendida interprete, per poi lasciare ancora una volta spazio al compagno di microfono, con l'ospite d'eccezione. Bisogna segnalare il muro sonoro costruito dagli strumenti a corda e dalla batteria, che con estrema semplicità riescono nell'intento di appesantire il suono pur rimanendo costantemente "dietro le quinte". Ogni tanto una doppia cassa affiora dal nulla per dare quel pizzico di brio al tutto, ma è proprio la calma oscura ad essere l'arma vincente. Arriva il momento in cui la brava Ainwen ci propone una strofa, aiutata solamente dalle tastiere di Hyde; ed è meravigliosamente bello sentire cosa i Nostri riescono a tirar fuori con così tanta naturalezza. La voce scompare per dare spazio agli strumenti che richiamano in qualche modo i primi Dimmu Borgir, lenti e rilassati ma in grado di emanare epicità da tutti i pori. Tornano i growl, ed è un'altra bella mazzata alle orecchie, prima di lasciarsi andare ad un riffing work imperioso che spinge il singer ad un'ultima battuta prima di terminare questo brano. Pur sembrando semplice, non è facile inquadrare questo episodio. Le varie sfumature di cui gode sono tutte da scoprire e da assaporare; ovviamente non basta un solo ascolto per capirne tutte le sfaccettature, bisogna assimilarlo volta per volta per poterne godere appieno l'essenza. Il tema portante dei versi esposti, comunque, è quello della paura. Si muove attraverso la fragilità umana trovando terreno fertile nelle debolezze e nelle incertezze. La paura si manifesta in molte forme e spesso purtroppo riesce a prendere il sopravvento su noi stessi. Il terrore di qualcosa, di amare, di fidarsi, di essere troppo permissivi, sono emozioni che ci bloccano e rischiano di compromettere il nostro futuro. Questo sentimento viene visto come un tiranno che si insidia nella nostra mente, ed è un demone che rimane sempre sveglio, pronto a colpirci appena noi mostriamo il fianco. Una sorta di creatura che continua a cercare finché non trova le nostre debolezze, per usarle poi contro di noi. E' come un predatore che attende silenzioso la prima mossa falsa del suo bersaglio, per poi azzannarlo alla gola per lasciarlo agonizzante a morire, senza nessuna via di scampo. La frase finale, nella sua semplicità, è quella che mi ha fatto più riflettere: "L'unica paura che avrai è la paura stessa", quindi avere paura proprio dall'origine, dal terrore stesso. E' interessante come riflessione, proprio perché ha un fondamento che sta proprio alla base di tutto il discorso. Potrebbe tranquillamente essere motivo di discussione per psicologi, e fondamentalmente lo è, ma si sa che dentro ad ognuno di noi si annida questo tipo di angoscia, e seppur in maniera diversa emergerà fino a non darci più alcun scampo; ed allora saremo veramente in balia di questo demone che avrà il pieno controllo sull'intera umanità.
A Fragile Balance (Awake the Beast, Pt. 1)
Andiamo ora a parlare di un brano, anzi, di due brani che sono legati tra di loro dal titolo ma che mostrano due lati opposti di una stessa medaglia. Iniziamo con "A Fragile Balance (Awake the Beast, Pt. 1) - Un Fragile Equilibrio (Sveglia la Bestia Pt. 1)", che gode nuovamente dell'apporto fondamentale alla voce di Mattia Casabona. Inizio molto gotico e "sulfureo" con una tastiera molto ben definita e delicata, che introduce la voce di Denise la quale si muove sinuosa in questo tappeto tastieristico molto d'effetto. Casabona duetta con la stessa singer, e quello che ne viene fuori sono delle atmosfere sognanti e disturbanti al tempo stesso. Questo continuo incedere di tastiere risulta molto rilassante, ma sono le due voci, che sembrano muoversi in perfetta simbiosi, a creare quel qualcosa di mistico che ci fa stare sempre sul "chi va là" in attesa che prima o poi qualcosa accada. Le note composte da Hyde si fanno leggermente più "prepotenti", nel senso che assumono dei connotati da film horror tenendoci perennemente in suspance. Il brano volge al termine con un suono vocale gutturale, come una "bestia" appunto che si ritrova nell'intento di svegliarsi. Un brano di breve durata, il più breve dell'intero lavoro, che vuole essere una sorta di preludio per una seconda parte che tra poco andremo ad analizzare, non prima di avervi raccontato il suo testo. "La maschera che indosso copre un mostro, si divora la mia anima. Chi è il vero me adesso?": queste sono le primissime frasi che ci vengono proposte da Ainwen, che ci mostrano come ognuno di noi indossi una maschera che sostanzialmente non vediamo, ma che è sempre presente nella nostra anima. Quando riusciamo a trovarla, la domanda che ci viene spontanea e proprio questa: Chi è il vero me? Siamo sempre noi stessi oppure siamo guidati da un qualcosa che inconsciamente ci indirizza alla scoperta del nostro vero lato, nascosto per farlo emergere una volta per tutte? Inizialmente può spaventare questa situazione, questa bestia che cerca di uscire fuori può veramente far paura, e se iniziamo ad urlare sappiamo che nessuno potrà sentirci al di fuori di noi stessi. Eppure una volta realizzato quello che sta succedendo siamo quasi tentati di scoprire cosa si cela dentro le nostre profondità.. anche se il rischio di cadere nell'oblio è alto e ne pagheremmo sicuramente le conseguenze.
Chaos (Awake the Beast Pt. 2)
La seconda parte di questa track è "Chaos (Awake the Beast Pt. 2) - Caos (Sveglia la Bestia, Pt. 2)", ed anche in questo caso troviamo il bravo Mattia non più in veste di "narratore" ma a fare da supporto con il suo scream/growl. Si parte subito in quarta con sonorità decisamente tirate ed un growl bello profondo. Lo screaming giunge nel momento in cui il suono rallenta per un breve momento, per poi riprendere in pompa magna con una bella batteria che si destreggia in un mid tempo d'effetto, con una doppia cassa ben assestata e dei riff veramente interessanti. Si rallenta nuovamente, e veniamo raggiunti da una buona atmosfera di base, che si smorza ancora una volta a favore tempi sostenuti, dove all'ennesimo rallentamento, il duo composto da Casabona e Irmin si cimenta in un duetto bellissimo dal sapore tanto malvagio quanto magnifico, sotto il profilo dell'esibizione. A questo punto le tastiere di Hyde e le chitarre di Insanus e Decadence diventano le protagoniste assolute, richiamando in una certa maniera (nuovamente) i già citati Dimmu Borgir, per quanto riguarda l'atmosfera vera e propria e l'accelerazione distorta. Il duo dietro al microfono continua imperterrito a travolgere l'ascoltatore con una dose di violenza che nessun altro brano presente in questo disco aveva ancora proposto. Non che in altri episodi non sia presente, sia chiaro, ma qui viene proprio sputata in volto senza nessun compromesso, pur mantenendo quella melodia che caratterizza tutto questo disco. Arriviamo anche a sentire un assolo di basso offertoci da Hephaestus, per poi dare il via ad una sessione piuttosto pesante, resa ancora più potente dal trio chitarra / basso / batteria nonché da una voce che richiama fortemente il death metal più marcio ed impuro. Terminata questa fase a dir poco annichilente, andiamo ad ascoltare un suono dal sapore orientale, per poi ripartire alla grande con doppia cassa a martello e sonorità devastanti che generano il caos totale e chiudono un brano spettacolare, per violenza ed aggressività. Qui, con grande sorpresa, non troviamo traccia delle vocals femminili, il tutto è dovuto sicuramente al fatto che in questo brano la band abbia voluto puntare sulla potenza, lasciando quel poco di melodia solamente nelle mani del tastierista. Operazione riuscitissima che spacca letteralmente in due quest'altro volto della medaglia, lasciando una prima parte lenta ed evocativa per poi esplodere con rabbia furiosa spazzando via ogni cosa. Se precedentemente ci si trovava a lottare con questa entità insita dentro di noi, cercando di capire quale sia il vero lato di noi stessi, in questo caso specifico la bestia esce allo scoperto, alimentata dal nostro odio più profondo. E' giunto il momento che questa creatura da noi generata si riveli per quello che è, e non esiste maniera di trattenerla, una volta presa la decisione di uscire. "Il mostro ora deve uscire dalla sua caverna e rivelare la sua identità", dove questa caverna così oscura e remota, non è altro che il nostro subconscio che per troppo tempo ha cercato di tenere a bada il nostro lato più malvagio. Una volta emersa questa belva, bisogna mettere in conto però che non ci si potrà più sbarazzarsi di lei, ed ognuno di noi dovrà affrontare un caos interiore che sicuramente porterà alla follia. Si rivolge a noi dicendo: "Tu mi hai dato da mangiare con il tuo odio", incolpandoci direttamente per le future azioni riprovevoli che andremo a compiere. La colpa è sola nostra, non siamo in grado di far uscire tutto il male che ogni giorno ci tocca subire, ed immagazzinando continuamente questo malessere, arriviamo al punto di esplodere, liberando di fatto la bestia che è dentro ognuno di noi. Ovviamente il nostro corpo è una sorta di gabbia che cerca di trattenerla, questa carne così inconsistente che verrà lacerata alla prima occasione utile, è solamente un inutile involucro che non è minimamente in grado di controllare l'istinto primordiale che genererà il caos e la fine di ogni cosa.
Decapitated Rose
"Decapitated Rose (Rosa Decapitata)" è il penultimo brano presente in "Creeping Time", e vede l'illustre partecipazione di Bjorn "Speed" Strid, frontman degli svedesi Soilwork, il quale ha prestato i suoi servizi a diverse realtà, dando luogo collaborazioni piuttosto interessanti con band quali Terror 2000, Coldseed e gli italianissimi Disarmonia Mundi. Un intro di basso annuncia sonorità orrorifiche, con il sottofondo vocale di Denise ed una sezione ritmica lenta e soffocante. Il brano vero e proprio parte con un affondo da parte di Irmin, che con il suo growl fa partire una doppia cassa molto veloce e delle tastiere molto presenti e molto ben bilanciate, prodighe nel dare al tutto il giusto tocco di epicità. La singer ed il suo compagno duettano perfettamente su di un tappeto oscuro, per poi sentire una prima comparsata di Speed che alterna una bella voce pulita al suo tipico cantato ruvido, in un chorus di tutto rispetto che si fa ascoltare piacevolmente. Brevissima pausa e si riprende con questa atmosfera magniloquente e questi riff molto ben assestati, con tanto di doppia cassa a martello, espedienti che non fanno altro che aumentare la tensione nell'ascoltatore; tensione che viene in parte soffocata (in maniera positiva) dal cantato di Ainwen per poi lasciarci nuovamente al ritornello sempre cantato dal bravo Strid. Il sound si fa più pesante, e ci deve pensare Hyde con i suoi tasti ad alleggerire il tutto, avvolgendolo però con un alone oscuro ripreso dai migliori Cradle of Filth. Il batterista è li pronto per attaccare con un paio di incursioni di rullante, e per un breve momento possiamo ascoltare un doppio pedale lanciato a velocità disumana. Ad un certo punto il tempo sembra fermarsi, il basso e le tastiere ricamano un suono dolce e spensierato dove Denise trova campo libero per esprimersi liberamente, in attesa di un growl profondo ed un ultimo ritornello che chiude un altro, l'ennesimo, brano emozionante. La rosa menzionata nel titolo e nel testo di questo brano, vuole essere una bella e triste metafora sulla vita. "Una pietra preziosa in gioventù, destinata a diventare il fiore più bello": una frase che mostra il bello della giovinezza, dove tutto è meraviglioso e le persone risplendono di luce propria. "Una rosa.. ma con radici distrutte": quindi è sì tutto bello e roseo, ma solo se visto superficialmente. Se difatti andiamo a scavare dove solo inizialmente non possiamo vedere, ci accorgiamo che le fondamenta sono corrotte e di conseguenza il risultato finale sarà una catastrofe. Il giardino di follia che viene citato nel testo è un contesto dove ognuno di noi si può trovare; immaginiamo di essere appunto una rosa, bella e splendente, a cui però non arrivi acqua a sufficienza per mantenersi tale. I petali iniziano a cadere inesorabilmente, la bellezza lascia il posto all'abbandono, rivelandone solamente le spine. Ecco, noi siamo proprio così; apparentemente belli, felici e senza problemi, ma sappiamo che in fondo c'è sempre qualcosa che ci turba e che non va. Ogni petalo che cade corrisponde ad un momento della nostra vita che ci abbandona, che ci abbandona, fino a quando non rimarrà solamente il nostro corpo nudo ed inerme. Viene anche citata la clessidra posta in copertina, come simbolo del tempo che passa e lascia indelebili cicatrici sulla pelle, rivelandoci di essere un fiore nel deserto destinato a perire.
Winter's Judgement
Ultima song del lotto, parliamo quindi di "Winter's Judgement (Giudizio d'Inverno)", la quale vede la partecipazione della violinista Nicole Ansperger, membro degli svizzeri Eluveitie. Il brano si apre con un suono che richiama un vento gelido e si dipana attraverso una melodia molto evocativa, dettata dalle solite magnifiche tastiere. Il violino entra subito in scena, accompagnato da un pianoforte molto etereo e delicato, diventando la colonna portante di questa splendida introduzione. La voce di Denise non viene messa in primo piano, ma funge da arricchimento per un sottofondo interessantissimo che dà di fatto il via ad atmosfere di filthiana memoria e prepara il terreno per il growl di Irmin, che risulta essere più profondo che mai. Il tutto è proposto in maniera molto lenta, ma le sonorità iniziano ad essere più sostenute, con una batteria molto incisiva e le due chitarre che macinano distorsione a profusione. Una porzione di brano molto particolare, che cattura e che riesce a farci intendere che si tratti in fin dei conti di un breve espediente atto a farci assaporare il prossimo passaggio melodioso. Infatti, gli strumenti , per un breve momento si scansano, e solamente Hyde continua imperterrito a tessere note sognanti, per introdurre nuovamente la voce splendida di Ainwen accompagnata dal violino della brava Nicole. Una parte bellissima che mostra il lato più melodico del gruppo, con soluzioni quasi cinematografiche che rasentano la bellezza nel suo senso più puro. Anche la voce ruvida del singer si integra molto bene in questo tipo di contesto, dando quella venatura oscura la quale può far solo che bene in questo brano. Anche il ritornello è molto dolce, quasi triste oserei dire; una sensazione che i Nostri riescono a trasmettere perfettamente. La song prende una piega più pesante, con chitarre molto più profonde ed una sezione ritmica imponente: ma si tratta solamente di una piccola parentesi, per poi ritornare ad ascoltare e ad assaporare le corde di violino le quali cesellano il tutto mediante l'emissione di note bellissime. Con a supporto una doppia cassa in grado di assolvere splendidamente il compito di portare a braccetto l'artista. Anche le chitarre sembrano essere studiate perfettamente per fare da contorno al tutto, pur non potendo in fin dei conti parlare di "contorno" vero e proprio, dato che risultano essere fondamentali per la riuscita dell'intera struttura. Ed anche l'ultimo episodio si conclude, chiudendo questa avventura. E lo fa con stile, con quel suono di pianoforte che ci fa chinare il capo come se fossimo pervasi da un qualcosa che ci porta solamente alla rassegnazione. Un brano di otto minuti non è mai facile da assimilare se non è realizzato più che bene.. ma in questo caso, i Misteyes riescono nell'intento di tenere sempre altissima l'attenzione, senza mai un momento di stanca, in modo che questo tempo scivoli via come se niente fosse. Il testo racconta del freddo inverno come se fosse un'entità a sé stante, in grado pensare ed agire, con quella sua barba bianca e la sua forte voce. Viene definito "Il signore del letargo"; dove, una volta addormentati tra le sue braccia, non abbiamo alcuna possibilità di risvegliarci. E' crudele, è il giudizio d'inverno e dobbiamo stare alle sue regole, pena la morte. Se queste regole vengono in qualche modo violate, si scatena la sua rabbia; precipitazioni nevose di immensa potenza formano quella che poi diventerà inesorabilmente la nostra tomba di ghiaccio. Dorme, si riposa e si rinforza durante le stagioni, ma quando arriva il suo momento tutto rimane immobile e gli esseri umani non possono far altro che cadere ai suoi piedi. Quello che però sembra essere il signore del male e della morte, in realtà bisogna vederlo come un qualcosa che vuole porre le basi per una nuova rinascita: perché in fondo lui vuole solamente spazzare via tutto quello che è debole e malato. Quello che ci vuole insegnare, in fin dei conti, è solamente questo: essere forti e resistenti alle difficoltà. E difatti, nell'ultima frase, ci chiede: "Ricordate questa lezione.. ma la prossima volta, sopravviverai?". Una lezione forse dura che la band vuole darci, con una metafora, quella dell'inverno gelido, che non lascia scampo a chi non è pronto ad affrontare la vita per quello che è, con tutte le difficoltà annesse.
Conclusioni
Concludendo, non posso nascondere l'entusiasmo che ho accumulato durante l'ascolto di questo disco. Detto senza mezzi termini, risulta essere davvero un bellissimo lavoro; pieno di sfumature, ottimamente suonato e pieno di idee / spunti interessanti. La band mostra sin da questo primo album di che pasta è fatta, ed anche se ogni tanto si sentono quelle influenze derivanti a gruppi ovviamente più blasonati, bisogna dire che i Nostri hanno comunque personalità da vendere. Sarebbe riduttivo parlare in generale delle qualità (sempre, mi si passi la ripetizione) generali del gruppo, ed è giusto omaggiare singolarmente ogni componente che ha preso parte a questo progetto. Diciamo subito che gli ospiti hanno fatto un ottimo lavoro di arricchimento, conferendo quel tocco di classe che alcuni brani giustamente richiedevano. Partiamo quindi delle voci di Denise e Irmin; la prima è assolutamente una favolosa interprete, con quel suo timbro leggero e spettacolare. Il singer, dal canto suo, è feroce quando serve e si destreggia benissimo tra growl e scream, con grande professionalità. Le due chitarre di Insanus e Decadence ricamano distorsioni bellissime, dolci e potenti al momento giusto senza una minima sbavatura, mentre la sezione ritmica composta da Krieger ed Hephaestus è a dir poco spettacolare, in grado di essere chirurgicamente precisa e soprattutto dedita ad un'esecuzione pressappoco perfetta. Per le tastiere di Hyde è giusto fare una menzione particolare; eccezionale sotto tutti punti di vista, è riuscito quasi a farmi commuovere in alcuni passaggi, nei quali (complice la voce di Ainwen) il Nostro riesce letteralmente a trasportarti in una dimensione onirica dalla quale non vorresti più risvegliarti. Da non sottovalutare anche il lavoro di Alessio Sogno, che nei suoi Alarm studio di Torino ha dato risalto al lavoro della band, grazie ad un ottimo lavoro in fase di mixaggio. Tutto è perfetto, dalla cover ai brani, e non è facile ascoltare tutto di un fiato oltre un ora di musica. Chiaro come in questa occasione il discorso sia ben diverso: essendo il contesto oltre che piacevole, il tutto invoglia a sentire questo disco dall'inizio alla fine. Non è nemmeno facile etichettare il genere proposto, e secondo me sarebbe molto riduttivo fermarsi al semplice "death gotico". Semplicemente perché questa è musica con la m maiuscola. Se proprio dobbiamo trovare il pelo nell'uovo, come detto in precedenza, in alcuni momenti sembra di sentire in maniera "troppo lampante" i Cradle of Filth et simila, ma è un dettaglio trascurabilissimo. Personalmente, poi, avrei dato un po' più di risalto al basso, ma queste sono opinioni personali ed assolutamente soggettive. Anche il songwriting sembra già essere ad un livello di maturazione non indifferente, con testi che scuotono il profondo e fanno effettivamente riflettere, e soprattutto non cadono mai in alcuna banalità. Credo ci siano molte realtà nel nostro paese dotate di grandissimo potenziale, ma i Misteyes (come anche altre band si intende), mostrano questo potenziale con un primo lavoro magnifico. Ovviamente, si spera che in futuro i ragazzi mantengano questa qualità. I Nostri hanno anche il merito di aver capito quasi immediatamente la direzione da intraprendere, ed hanno capito probabilmente che il death/black degli esordi stava un po' stretto, ingabbiando quella creatività che fortunatamente è emersa successivamente. Il mio consiglio è quello di ascoltarli e scoprirli, perché è giusto che raccolgano i meriti che assolutamente gli spettano. Ultima nota giustamente da segnalare, è che la band vede purtroppo privarsi a distanza di pochi mesi dall'uscita di questo primo album, di due membri molto importanti: stiamo parlando del batterista Federico Tremaioni sostituito da Marco Turco (ex Energy of the Elements) e del chitarrista Riccardo Tremaioni che lascia il posto a Danny Gerosa già all'opera con i Revolving Bullet. Rimanere orfani di due colonne portanti, e soprattutto di due membri fondatori della stessa band non è mai facile. Ma a volte è giusto che ognuno prenda la propria strada, e siamo sicuri che i nuovi entrati sapranno contribuire in maniera positiva, dando il giusto apporto ad un gruppo molto ben avviato.
2) Creeping Time
3) Brains in a Vat
4) Inside the Golden Cage
5) Lady Loneliness
6) The Prey
7) Destroy your Past
8) The Demon of Fear
9) A Fragile Balance (Awake the Beast, Pt. 1)
10) Chaos (Awake the Beast Pt. 2)
11) Decapitated Rose
12) Winter's Judgement