METALLICA

Whiskey In The Jar

1999 - Vertigo

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
25/05/2016
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Quando si pubblica un mega album di sole cover come "Garage Inc.", edito per la Vertigo nel novembre del 1998, bisogna che quel materiale riarrangiato, in qualche caso a tal punto da far sì che la versione dei Four Horsemen superi in fama l'originale, venga spinto come si deve. Il disco di per sé è infatti una specie di opera omnia di omaggi sonori a cui i californiani pensavano da tempo, ma non basta dare il via alla vendita del lavoro, bisogna che esso venga riproposto a profusione sugli scaffali e messo quindi in luce all'attenzione dei fan in maniera sempre più costante. Più volte abbiamo avuto modi di sottolineare come il grande lavoro di rivisitazione compiuto da Hetfield e soci abbia fatto si che questi tributi a quelli che i thrasher di San Francisco reputano i loro idoli si siano distinti da mille altri tentativi di coverizzazione proprio per il grande estro e la personalità che li caratterizza; ma si sa, in studio è senz'altro più facile rendere "diverso" qualcosa di già conosciuto, senza contare che nei punti più critici di un pezzo, lontano dagli sguardi e dagli uditi indiscreti, si possa anche ricorrere a qualche piccolo sotterfugio per superare un eventuale ostacolo troppo grande. Ben diverso è invece il fronte del live; è qui che un artista ha modo di provare il proprio talento senza trucco e senza inganno ed è proprio su questo terreno che i Metallica vogliono giocare, accettando la sfida dei fan più scettici di fronte alla loro "svendita" nel mercato delle cover. "Pensate che quanto abbiamo composto per il doppio album sia tutto finto e costruito in studio? Benissimo, allora ascoltate come ve le suoniamo sul palco", questo è, in pratica, l'intento che si cela dietro la pubblicazione dei diversi singoli promozionali distribuiti in seguito. Primo di questi è "Whiskey In The Jar", uscito nel febbraio del 1999 sempre per la Vertigo, che prende il titolo dalla omonima canzone folk irlandese che i 'Tallica ebbero modo di ascoltare a suo tempo, già reinterpretata dai Thin Lizzy del grandissimo Phil Lynott; la formula è abbastanza semplice ma al tempo stesso efficace: poche canzoni, due delle quali estratti live, in una confezione semplice e diretta, atta a far sì che sia la qualità del contenuto a parlare ancora prima che la forma. Oltre alla traccia che da il titolo infatti, che troviamo registrata in studio, nella tracklist compiaiono anche la cover dal vivo di "Blitzkrieg" del gruppo omonimo e quella di "The Prince" dei Diamond Head, entrambe estrapolate dallo show che la band tenne alla Roseland Ballroom di New York il 24 novembre del 1998, in concomitanza con l'uscita dell'album. Della titletrack, il gruppo girò anche un videoclip promozionale, giusto per rendere chiaro che per i Metallica, quel pezzo come tanti altri di "Garage Inc.", era degno di promozione tanto quanto quelli composti per i grandi album del passato: la scena è quella di un party casalingo, la classica festa di studenti in stile americano dove una massa di teenager alcolizzati si raduna a casa di un amico i cui genitori sono fuori città, la proverbiale occasione d'oro per chiudersi dentro quattro mura a fare un bel pò di casino. I Four Horsemen in questo cortometraggio recitano il ruolo della party band (ed avercene di gruppi così per le feste alla buona); a partire dai primi secondi si vede la casa su due piani inquadrata dall'esterno, da tutte le finestre si può vedere i ragazzi saltare e ballare nel frastuono della musica a tutto volume. Dopo un rapido cambio di scena si passa all'interno, dove il gruppo inizia a suonare in salotto, disposti con gli strumenti sul tappeto per rendere ancora di più l'idea dello show tirato su in poco tempo. Mentre la musica continua a scorrere, lo stesso fa anche l'alchool all'interno di questo faraonico immobile, gli invitati alla festa sono sempre più scatenati e le ragazze, forse per le caldane causate dai cocktails trangugiati, iniziano a correre e ballare sempre meno vestite, una situazione idilliaca se a quella festa si è fra gli invitati e non si è gli organizzatori. La baldoria procede sempre con più enfasi, fino a quando alchool, sigarette e magari qualche stupefacente fanno letteralmente degenerare la situazione: il video infatti si conclude tra scorci di ragazze intente a vomitare sdraiate nel bagno ed i restanti presenti, musicisti compresi, presi a distruggere tutto in preda allapiù estatica euforia. Tutto quanto viene mandato in pezzi e gettato dalla finestra, complementi d'arredo, mobili vari e vetri delle finestre, la casa viene totalmente fatta a pezzi, molte volte con una foga talmente imprecisata che il bersaglio della collera non si rompe immediatamente e ciò accresce ancora di più la voglia di distruzione dei goffi devastatori. Il video si chiude in maniera ciclica, nel finale si rivede nuovamente la villa inquadrata dall'esterno con le sagome dei partecipanti sempre intenti a ballare, questa volta però con in sottofondo il rumore continuo di roba che va in frantumi; chi rimetterà tutto a posto? Poco importa, quel che conta è divertirsi. Quanto alla copertina, è la su citata semplicità ad essere l'ingrediente principale: soggetto dell'immagine sono dei ritagli di giornale nei quali si leggono le recensioni del lavoro della band sulle versioni da loro realizzate di brani scritte da altro pugno e, in primo piano, troviamo poi il logo del gruppo scritto con il classico font simil "fatto a mano" contrapposto allo stampatello maiuscolo del titolo del singolo. L'appariscenza ed i fronzoli eccessivi sono quindi messi da parte, scelta assai ironica, se consideriamo che i quattro musicisti, peraltro, non si sono sottratti pochi anni prima a sfoggiare il loro nuovo look da rockstar. Col senno di poi, grazie agli anni trascorsi, i più maligni potranno pensare che questo bagno di umiltà fosse solo un proverbiale occhio del ciclone prima dell'esplosione di magnificenza che sarebbe di lì a poco giunta con il celeberrimo live "S&M", nel quale la band eseguì alcuni dei propri brani più celebri supportati dalla San Francisco Symphony Orchestra, ma lasciamo da parte ora le congetture del caso per addentrarci in questo nuovo proiettile in forza alla cartucciera discografica di uno dei gruppi metal più amati di sempre. 

Whiskey In The Jar

In prima posizione troviamo appunto la tiltletrack, "Whiskey In The Jar" (trad. "Whiskey Nella Bottiglia"); è luogo comune ritenere che questa composizione sia da attribuire ai Thin Lizzy ma ciò sarebbe errato, o meglio, si tratta di un brano di cui a loro volta i musicisti di Dublino fecero un riarrangiamento. Sull'origine del testo non si è puramente certi, ma le opinioni convergono nel ritrovarne la fonte nella tradizione folkloristica irlandese, che viene qui ripresa e rilanciata in ambito hard n'heavy dagli autori di "Master Of Puppets". L'inizio è semplice e conciso: due accordi discendenti e stoppati che lanciano in pochi istanti la batteria linearissima di Urlirch, il drummer di origine danese infatti mantiene il suo arcinoto incedere in quattro quarti sostenendo le sei corde durante la loro progressione melodica. Mentre la chitarra di Hetfield segue il basso di Newsted nell'eseguire la ritmica del main riff, Hammet si cimenta nel fraseggio melodico che riprende quello della ballata, lasciando correre le proprie dita sullo strumento con un tocco ed un pathos impregnato di blues. Già con questa partenza si crea un groove tutto da ballare scuotendo la testa all'impazzata. Il successivo ingresso della voce ci dà modo di apprezzare tutta la verve stradaiola del biondo frontman, il cui tono biascicato ben si adegua al contesto alcolico del pezzo. Trattandosi della riproposta in chiave rock di una canzone popolare, non viene difficile comprendere la linearità standard della composizione, che vede pochi cambi tonali per mantenersi sempre modellata sulla melodia vocale principale; la traccia infatti procede scorrevole e fluida, sempre condotta dal tiro delle accordature ribassate con il quale i Metallica thrashizzano una composizione proveniente da ben altri orizzonti, eppure, l'efficacia di queste composizioni sta proprio in questo: se non ci si informasse circa le origini di questa ballata, ed ignorando completamente quanto fatto dai Thin Lizzy, verrebbe da pensare che siamo di fronte ad una canzone inedita della band californiana. In realtà, ad un ascolto più approfondito, emerge come Hetfield e soci prendano invece le mosse dalla versione della band di Lynott per farne il proprio punto zero ed avanzare successivamente verso sonorità più pesanti. Per come è suonata dalla band irlandese, come è auspicabile del resto, il sound complessivo è molto più orientato verso lo stile anni settanta, dove abbiamo modo di apprezzare il tocco del musicista intento a prevaricare la "secchezza" della pulizia audio effettiva dello strumento, dato che non erano i sistemi di registrazione a rendere grandi le canzoni ma come esse venivano suonate. Nel caso dei Four Horsemen invece, grazie ai vent'anni intercorsi, assistiamo ad una evoluzione complessiva di entrambi gli aspetti; in un ventennio non solo aumentano i progressi della tecnologia digitale dell'audio recording ma si evolvono anche gli stili ed i metodi adottati dai vari musicisti, possiamo quindi affermare che anche la cover di uno stesso pezzo, grazie alla diversa interpretazione di due gruppi differenti, venga così aggiornata. In più, i californiani aggiungono anche all'esecuzione, specialmente nelle linee vocali dei cori, un tocco cowboy che traspone una composizione nata nella terra d'Irlanda in una atmosfera del tutto yankee. Passate le prime due strofe con successivi ritornelli si giunge alla chicca di originalità aggiunta dai Metallica: prima dell'ultimo ritornello che ci conduce alla conclusione del pezzo, troviamo un interessante intermezzo dove rimangono solo la batteria di Ulrich ed il basso di Newsted a sostenere quella che nel testo è la riflessione del protagonista ormai rinchiuso in cella, pochi istanti di meditazione, prima che, andando di pari passo con il videoclip realizzato dai Four Horsemen, si degeneri totalmente nella distruzione più alcolica che ci si possa immaginare. Come accennato, la lirica risale alla tradizione popolare irlandese; il protagonista è un bandito di cui non viene specificato il nome, che si vanta del suo talento nel fare ciò che gli riesce meglio: derubare il suo prossimo. Il crimine viene perpetrato anche ai danni di un ufficiale giudiziario, non si sa di preciso se sia un giudice oppure un poliziotto, ma di lui si conosce solo il nome, Captain Farrell. Anche l'ambientazione della trama non è sicura, le varie tradizioni infatti ambientano questa storia in diverse località sparse su tutto il territorio irlandese, ciò che è ben raccontato invece è come il nostro presunto gaglioffo venga successivamente tradito dalla sua amante (Jenny, o Ginny a seconda delle versioni, ma in quella dei 'Tallica la donna ha il nome di Molly) che approfittando di un momento di pesante ubriachezza del malcapitato lo deruba e lo consegna alla polizia, che lo mette in prigione. La ballata si chiude con l'immagine del nostro ladro ormai dietro alle sbarre, che con la malinconia devastante di chi ha ricevuto la più pesante delle pugnalate alle spalle rievoca i ricordi felici passati con la sua donna per poi rimpiangere quel fondo di bottiglia, che lo avrebbe massacrato a livello fisico ma sicuramente tenuto fuori dai guai con la legge. Il sentimento d'amore viene così a dissolversi fra i fumi di una vampata di whisky.

Blitzkrieg

Passiamo adesso alle due tracce estrapolate dal concerto newyorkese: la prima è "Blitzkrieg" dell'omonima band britannica (termine tedesco traducibile come "Guerra Lampo", che venne usato per definire la rapida combinazione manovre militari, aeree e telematiche adottate dalla Germania nazista nelle rapide campagne di invasione di Polonia, Francia e Balcani durante la Seconda Guerra Mondiale). La differenza con la versione originale emerge subito lampante: quella contenuta in "A Time Of Changes" del 1985, album di debutto del gruppo inglese, non solo vanta dei suoni complessivamente più ruvidi e scarni, ma lo stesso songwriting si rivela molto più lineare ed oltranzista. A condurre il tutto infatti sono la batteria di Sean Taylor, che fa del charleston, del rullante e della cassa i pezzi principali del set, e le chitarre di Mick Proctor e Jim Sirotto, intente a mitragliarci addosso il main riff utilizzato sia come elemento principale delle strofe che come base per l'assolo, quest'ultimo impregnatissimo di stile e tocco heavy. Ad accostare originale e cover del pezzo è lo stile vocale di Brian Ross, frontman dei Blitzkrieg, che per l'altezza del suo tono ricorda molto quello del giovanissimo James Hetfield alle prese con i primi ruggiti dei Metallica; il cantato diventa quindi il ponte di collegamento tra le due versioni del pezzo, di cui i californiani ci offrono in questo singolo una performance on stage. Come ci si può aspettare, la versione dei Metallica si apre con il proverbiale boato del pubblico che osanna il gruppo, nella cui bolgia si sente distintamente il biondo frontman dare ai presenti un caloroso benvenuto poco prima che parta l'attacco; Ulrich non indugia troppo nel dare il canonico quattro sul charleston ed ecco che immediatamente esplode incisivo il main riff della canzone. Grazie alle accordature ribassate di un tono rispetto al settaggio standard, le note escono più pesanti e cattive, rese ancora più imponenti dal tocco pesantissimo di Hetfield accostato a quello più morbido di Hammet. Lo start è dato da un crash di batteria, che immancabilmente lancia il quattro quarti che funge da impalcatura del brano, non è una novità che in fatto di cover i Metallica siano dei maestri nel conferire un'ulteriore grinta a pezzi storici dell'Hard n'Heavy ma in questo caso specifico, dove già la versione principale non mancava di dare la giusta dose di calci nei denti, si può dire che gli autori di "Ride The Lightning" abbiano superato sé stessi. Il pezzo di per sé è molto lineare, non vi sono infatti cambi ritmici particolarmente complessi, eppure questa stessa semplicità valorizza ulteriormente la verve della band americana. Non è da tutti infatti riuscire a coinvolgere una platea attraverso un pezzo fatto di pochi accordi, eppure, i 'Tallica ci riescono e non è azzardato affermare che proprio questa loro grinta sopraffina in sede live li abbia salvati durante i periodi non proprio felici della loro carriera: se lavori in studio come "Load" e "Reload" o "St. Anger", per citarne uno più recente, siano le proverbiali ciambelle uscite senza il buco, a compensare queste prove sottotono sono senz'altro intervenuti i concerti faraonici tenuti dal gruppo. A forza di headbanging si giunge alla conclusione del pezzo, dove scoppia un'altra ovazione al gruppo americano, quei quattro minuti e sette secondi sono sembrati molto meno grazie all'intensità con cui questa cover è stata proposta e, grazie al carattere con cui è stata rivista, non avrà sicuramente stonato con il resto della setlist. Siamo nel 1985, in Inghilterra si odono ancora gli echi del Punk e nel contempo si va affermando sempre di più l'Hardcore, indi per cui il testo della band metal inglese si presenta immediatamente impregnato di attitudine sangue e sudore in pieno stile "rabbia dei bassifondi": stiamo parlando di una guerra lampo, ergo, le strofe sono poche, dirette e ribelli. Ogni frase infatti è un ordine che intima le autorità di lasciare in pace questi ragazzi già afflitti dal disagio causato dallo stato di spaesamento esistenziale in cui vivono; la politica, l'economia, il sentimento di patria sono tutte parole vuote che cozzano con la dura realtà di chi ogni mattina si alza all'alba per andare a rompersi la schiena in fabbrica, inalando spazzatura e sporcandosi di olio e fango tutto il giorno per uno stipendio da fame. Gli sbirri ed i benpensanti lascino quindi che questi ragazzi senza futuro possano godersi la loro musica, la loro passione, urlando tutto ciò che hanno in corpo illuminati solo dalle luci di un pub dove suonano ad illuminare le tenebre della loro esistenza; molto meglio così che lasciare invece che essi si riversino nelle strade dandosi alla criminalità incontrollata. Qualcosa intanto sta arrivando, una tensione quasi elettrica infiamma l'aria, è la guerra lampo, un qualcosa di così rapido e drastico che distruggerà tutto con un solo rapido colpo, riusciremo a sopravvivere? Chi lo sa, ma soprattutto, chissenefrega! Meglio essere annientati dalla rivoluzione stessa del sistema che restare in uno stato di apatia generazionale. Essendo comunque umani, la richiesta di aiuto in cerca di salvezza i Blitzkrieg la lanciano, urlandola verso un cielo ormai vuoto ed oscurato dalle nubi, ma essa è fatta da chi è consapevole dell'inutilità del proprio gesto e pragmaticamente il pezzo si chiude con una cinica ed ironica risata.

The Prince

A chiudere il singolo troviamo la cover di "The Prince" (trad. "Il Principe") dei Diamond Head, brano anch'esso contenuto nel debut album della band di Brian Tatler e posto in seconda posizione della tracklist. Affermare che i Metallica venerano questa band sarebbe come scoprire l'acqua calda, dato che nella loro illustre carriera i 'Tallica hanno suonato, nelle varie occasioni, praticamente tutto questo disco storico dell'Heavy Metal; stiamo infatti parlando di un vinile senza il quale, probabilmente, non avremmo potuto avere, grazie alla sua enorme influenza, molta della tradizione successiva, ecco quindi spiegato perché estrapolarne una cover non sia mai un gesto fuori luogo. A dominare la versione del 1980 sono le chitarre, lanciate in una parte solista al fulmicotone a partire fin dai primi secondi ed i giri di basso caldi ed intriganti di Colin Kimberly, che assieme alla batteria di Duncan Scott creano una sezione ritmica lineare ed incalzante. Da questo primigenio diamante grezzo si intuisce quell'energia che con il passare degli anni sarebbe divenuta l'archetipo del Thrash Metal, inoltre, sul debutto del gruppo inglese, sono presenti anche le tastiere ad arricchire il tutto nella parte iniziale; i Metallica, invece, si concentrano su chitarre, basso e batteria, per ottenere quella spinta di acceleratore che ha caratterizzato tutte le altre loro rivisitazioni dei Diamond Head. Il pubblico è sempre infuocato ed Hetfield non può fare a meno di annunciare la band che ha composto il brano che andranno a suonare; non appena viene pronunciato il nome è il pandemonio, i presenti non possono fare a meno di dimostrare tutta la loro ammirazione per uno dei nomi storici del genere che adorano, quindi basta con le chiacchiere e lasciamo che sia la musica a parlare: la partenza questa volta è decisamente più graffiante, il batterista di origine danese parte all'impazzata senza quasi nemmeno aspettare i suoi colleghi, eppure, nonostante la velocità sia sostenutissima, le chitarre ed il basso non si fanno cogliere impreparati. Il riff cavalcato viene eseguito dalle mani di Hetfield con una grinta che quasi lascia il sospetto che il musicista americano stia per spezzare le corde del proprio strumento, mentre Hammet, grazie alle sue colate di note sparate a profusione, con il suo assolo introduttivo compensa enormemente la mancanza delle tastiere che, da come suonano i 'Tallica, sembra quasi che non ci siano mai state nemmeno nella versione originale. Al momento del break, il riff costitutivo del pezzo viene eseguito in solitaria con un tocco netto e preciso che ci ricorda quello con cui gli autori del Black Album risuonarono anche "Sabbra Cadabra" dei Black Sabbath e, proprio grazie a questo senso di stacco, la ripartenza è ancora più travolgente. A giocare un ruolo chiave nell'efficacia dal vivo di questa rivisitazione è senz'altro l'alternanza di riff serrato nella strofa, dove il quattro quarti della batteria ricrea l'atmosfera ideale per un pogo all'ultima spallata, con gli accordi aperti del ritornello, che danno modo all'audience di lanciarsi nei cori a squarciagola cessando momentaneamente di darsi degli spintoni nella mischia. È però nel finale che i Metallica si riconfermano maestri indiscussi del far spettacolo: se già nell'originale la conclusione del brano era una vera e propria cavalcata epica, i Four Horsemen in tal senso diventano ancora più maestosi, suonando quella stessa sessione con un fare ancora più imponente ed esaltando i presenti allo show e, conseguentemente, anche noi ascoltatori posteri tramite il singolo, catturandoci letteralmente in trepidante attesa di ogni nota fino alla chiusura definitiva, dove il gruppo viene naturalmente acclamato. Ancora una volta dunque restiamo stregati dalla potenza magica della band americana, e quasi verrebbe voglia di cercare meglio nella tracklist per verificare se ci siano delle tracce nascoste. Il testo racchiude un marcato desiderio di rinascita spirituale del protagonista, che narra la sua vicenda in prima persona. Egli è un povero, uno sciocco nato di umili origini, che vede il volto magnifico e quasi etereo del proprio principe, ne loda la pulizia, la bellezza e la lucentezza, che si manifestano attraverso il suo glorioso e spavaldo sorriso. Immediatamente scaturisce nella voce narrante il desiderio di rinascere sotto altra forma, di abbandonare per sempre i cenci della povertà per poter provare, almeno una volta, il lusso di poter essere un'altra persona, come un alter ego della nostra immagine ambientata però in un mondo parallelo. Gli angeli sono intervenuti più volte nella sua mente ad instillargli questo sogno ed anch'egli si vede ora con il cranio coperto da una corona, si badi bene, non di spine come quella di Cristo, ma di "semplice" oro, a ribadire che il nostro villano si accontenterebbe di un'ascesa di rango confinata alla sfera sociale senza voler osare di più. L'unica soluzione che però consenta di compiere questa metamorfosi è quella di consacrare la propria anima al diavolo, Satana, in cambio di questo pegno, è disposto a donarci tutta la gloria e la ricchezza che si possa immaginare, ma solo dopo essere stati condannati per sempre a bruciare all'Inferno saremo in grado di godere di questa nuova essenza. Il protagonista sembra non essere spaventato da questa prospettiva, anzi, ribadisce di non essere interessato al Paradiso, ma vuole solo, per una volta, essere ricco, e chiede al maligno che la sua anima venga rimpiazzata con dei diamanti; il patto dunque è siglato, ed ecco che il nostro povero ora è ricco come un re, mentre le sue spoglie, bruciando, si fondono con l'oro che ha addosso.

Conclusioni

Con "Whiskey In The Jar", la band di San Francisco compie la prima mossa di quella manovra commerciale che già aveva fatto con i precedenti singoli di supporto ai rispettivi album, ma che questa volta mira a dare al proprio pubblico una visione completa di quello che il gruppo è in grado di realizzare con le cover. I fronti su cui i quattro californiani si muovono in tal senso sono infatti due: la resa delle cover in studio, che lascia quindi pieno risalto all'abilità compositiva dei Metallica, e quella di esse durante i concerti, dove in più viene rimarcato ciò che James Hetfield, Lars Ulrich, Kirk Hammet e Jason Newsted erano in grado di fare con gli omaggi ai loro idoli da loro realizzati durante i loro show. Il colpo di astuzia da parte degli autori di "And Justice For All..." in questo ambito è stato proprio l'aver trattato questi pezzi come se fossero stati loro e non di altri, l'unica differenza sta nell'essere partiti da un'idea preesistente, già abbozzata in questo caso, invece che partendo da zero, la canzone già composta in questo caso ha svolto per i Metallica in sala prove lo stesso ruolo del classico riff già composto in precedenza, accantonato e poi ripreso in seguito; chissà quante volte la band si sia riunita in sala prove e tra un brano e l'altro non abbia ricavato gli scheletri di queste cover direttamente da una jam improvvisata durante il proverbiale "cazzeggio" per staccare momentaneamente dalla concentrazione. Quella di coverizzare è stata una parte ben definita dell'attitudine dei 'Tallica fin dall'87, quando, quasi per scherzo, realizzarono l'EP "Garage Days Re- Revisited": a quel tempo rivedere pezzi di altri gruppi era un passatempo con qualcosa in più, adesso, a dodici anni di distanza, quella specie di hobby è stato recuperato e meglio sviluppato per darne una forma compiuta in "Garage Inc.", vero e proprio punto d'arrivo in tal senso. I successivi singoli, dunque, fanno quasi da appendice al macrolavoro, puntando però sulle tracce live per avere ancora più completezza e confermando così che per i Metallica, i tributi in chiave personale hanno uno scopo ben preciso. Un brano di un altro artista rivisitato assume quindi, nella logica dei Four Horsemen, una posizione ben più preponderante che per altri artisti: non si tratta solo di tributi estemporanei, ma di rielaborazioni sentite quasi necessarie per omaggiare chi, con la loro influenza, li ha fatti diventare ciò che sono e che quasi i quattro non vedono l'ora di portare dal vivo. La personalità inoltre, rende possibile, come abbiamo accennato in apertura della recensione, che queste cover si mischino in maniera del tutto sinergica e naturale con i brani inediti dei Metallica e come, alle volte, esse diventino più conosciute nelle versioni contenute in "Garage Inc." che non nei loro dischi di appartenenza ufficiali. Dal punto di vista del business poi, dato che stiamo parlando di una macchina aziendale a tutti gli effetti, i 'Tallica mirano ad offrire il prodotto "piccolo" ma completo ed eccellente sotto ogni aspetto: il brano scelto di volta in volta, proposto dalla versione in studio curata al dettaglio, viene seguito da due o più estratti dal vivo, anch'essi minuziosamente ritoccati per avere la qualità non di un booklet ma di un live da cofanetto; nel caso di questo singolo, le registrazioni del live a New York vennero quindi remixate e masterizzate appositamente per la pubblicazione, rendendo questi estratti delle vere e proprie chicche assolutamente da non perdere per tutti i fan sfegatati della band, ma al tempo stesso fanno di questi singoli dei prodotti abbastanza esaurienti anche per l'ascoltatore medio. Un lavoro così minuzioso, più che per delle cover, avrebbe più senso se fatto per dei pezzi propri, ma come abbiamo avuto modo di notare, i Metallica si collocano esattamente del mezzo, avendo fatto di "Whiskey In The Jar" un brano loro a tutti gli effetti.

1) Whiskey In The Jar
2) Blitzkrieg
3) The Prince
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