METALLICA
Wherever I May Roam
1992 - Vertigo
LORENZO MORTAI
27/08/2016
Introduzione Recensione
Se la pubblicazione di ?And Justice For All aveva sollevato un vespaio di polemiche, ma ampiamente spostate verso la parte "costruttiva" di queste ultime, con folte schiere di persone che denigravano semplicemente le scelte di mixaggio e produzione, lodando invece la composizione generale, per quel che venne dopo non fu affatto così. Il Black Album, o Metallica se vogliamo usare il nome vero e proprio, venne alla luce nel 1991, e fin dai primi vagiti della sua comparsa nei negozi, sollevò un vero e proprio polverone sia nei fan oltranzisti, che negli ascoltatori occasionali. Principalmente le polemiche vertevano sulla virata definita "ampiamente commerciale" della band, con altrettante dosi di rammollimento secondo il quale i Metallica ormai erano finiti da tempo. Paradossalmente però, ad oggi, l'album risulta il più venduto della loro intera discografia, ed è anche uno degli album Heavy Metal più ascoltati di sempre, al pari di altre leggende come Powerslave dei Maiden o British Steel dei Judas Priest. Nessuno sta ovviamente negando che il sound e la composizione generale di questo album siano ampiamente discostati da ciò che c'è stato prima, perfino da And Justice. Si passò da un Thrash a tratti quasi progressivo, ad un Heavy Metal dalle tinte oscure e classicheggianti, inframezzato da power ballad e liriche malinconiche, nere come la copertina del disco stesso. Non dimentichiamoci poi che in quegli anni il panorama dell'acciaio mondiale stava letteralmente cambiando forma e colore, ed era bastato pochissimo tempo. Il salto stilistico effettuato fra il 1989 ed il 1990 a tratti ha dell'incredibile; le influenze, i modi di comporre, i riff, si discostarono sempre maggiormente dai canoni messi in piedi fino a quel momento, andando piuttosto a foraggiare nuovi tipi di suono e composizione, metriche mai viste e sentite prima. Ne è un esempio il Groove, che nel '90 ha visto la sua effettiva nascita grazie a Pantera ed Exhorder, come il successivo movimento Grunge e Stoner, tutti generi che riprendevano certamente le dinamiche del passato, ma esse venivano rifratte su un cristallo diverso, donandogli una luce che nessuno mai avrebbe immaginato. Per quanto riguarda il Thrash nudo e crudo, agli inizi degli anni '90 stava vivendo la fine della sua seconda era dorata, lasciando spazio ad un Thrash decisamente più modernizzato e meno chitarristico, appannaggio invece di metriche complesse e dure come il cemento, toni che si abbassano sempre di più, senza contare le nascenti correnti estreme figlie del Thrash stesso, ma che in quest'ultimo andavano anche a riversarsi ogni volta che potevano. Se vogliamo fare i pignoli però, non tutto in quel periodo fu veramente più che da buttare da considerare "troppo moderno". Basta pensare che esattamente nel 1990 hanno visto la luce Painkiller e Rust In Peace, mentre in Australia gli AC/DC insegnarono ancora al mondo cosa fosse l'Hard Rock grazie a The Razors Edge. Ed i Metallica invece? Beh, come abbiamo detto, una virata ci fu, ed una virata ampiamente commerciale; la scelta di scostarsi abbastanza pesante dai canoni che li avevano resi celebri, per alcuni fu un vero e proprio insulto, insulto che ancora oggi non è mai stato perdonato del tutto. Polemiche a parte però, se andiamo ad analizzare la parte nuda e cruda della musica, perfino il Black Album è l'ennesimo esercizio di stile. A canzoni melanconiche ed oscure si alternano duri momenti di fuoco con Sad But True, Trough The Never ed Enter Sandman. Niente si butta mai fino in fondo, e questa è una regola principe di ogni ascoltatore che si rispetti. Il progetto del Black Album fu davvero in grande, una manovra di marketing senza precedenti anche per la band stessa, come innumerevoli furono i singoli di accompagnamento al disco stesso. Ben cinque, senza contare il mini Live at Wembley nell'enorme concerto/tributo al compianto Freddie Mercury, in cui la band suonò esclusivamente canzoni dalla loro ultima creazione. Fra tutto questo materiale promozionale da nerd incalliti, oggi andiamo ad analizzare uno dei più interessanti, uscito un anno dopo la effettiva comparsa del disco, parliamo di Wherever I May Roam. Venne pubblicato come singolo dalla Vertigo il 19 Ottobre del 1992, in formato vinile a 7 pollici. Contiene ovviamente la title track ed una traccia live sul lato B come vedremo durante l'analisi musicale. La copertina è nera, come quella dell'album originale e come tutti i singoli usciti di promozione al Black Album. Nel tempo poi il singolo verrà, come tanti altri della storia di questa straordinaria band, riproposto in varie salse; fra queste da segnalare senza dubbio la versione digipack uscita nello stesso anno, e che conteneva sul lato B un medley live fra Am I Evil? Celebre cover dei Diamond Head e Last Carees/Battery, tutte fuse in uno. Come altrettanto è da segnalare la golosa versione in vinile leggermente più pesante, 12 pollici, uscito sempre per la Vertigo, e che fonde assieme il singolo originale con il digipack. Bando ad ulteriori indugi però, è il momento di estrarre il disco dalla sua buia custodia, poggiarlo sul piatto ed ascoltare quel fruscio bianco che ci accompagna all'ingresso della prima traccia.
Wherever I May Roam
Traccia che ovviamente è la title track, Wherever I May Roam (Ovunque Possa Vagare); viene aperta da un arabeggiante intro di chitarra, suoni dismessi e sommessi che si fondono fra loro mentre attendiamo che il crescendo prenda vita. Suoni di campanelli si alternano alla chitarra in solitaria, finché una vaga porzione di silenzio non interrompa questa morbida prima parte, e lascia il posto ad un ritmo nettamente più duro, per quanto sempre improntato sullo stesso riff. La batteria di Lars inizia a pestare duro, tom e crash vengono percossi per i primissimi secondi di brano, e noi attendiamo altro che l'ingresso della voce di James, mentre nel frattempo il caos continua a scatenarsi. La sei corde ricama a più non posso, mentre in sottofondo fa il suo ingresso anche il basso di Jason, il ritmo poi accelera di qualche grado, mantenendosi sempre sul main riff sentito in apertura, ma leggermente più veloce. Il blocco centrale viene aperto da un controtempo delle pelli, mentre l'ascia cambia forma e disegna alcuni orpelli qui e là, il tutto mentre cozza anche con la chitarra solista, che in alcuni momenti la segue, in altri si ritaglia spazi personali non indifferenti. Passato oltre un minuto ed ancora la calda voce di James non si è fatta sentire, ma noi sappiamo che sta per arrivare; il cambio di tempo alza l'asticella dell'epicità di alcune tacche, diventando man mano una cavalcata sempre più accentuata. La voce fa il suo ingresso con un cantato pulito ed incisivo, mentre le due sei corde continuano a produrre scintille. La struttura portante è cadenzata e ritmica, dura come una roccia, Hetfield ricama la propria ugola avvinghiandosi alla musica stessa, mentre al primo ritornello sentiamo nuovamente il main riff, una poderosa accelerata dai toni oscuri ci fa da contralto, i ritmi diventano funerei mentre le parole del titolo vengono scandite assieme ai colpi di batteria. Nuovamente il riff portante e si riparte a spron battuto, mentre alcune pennate riaprono nuovamente ad un tempo dispari della voce stessa, che prima abbassa bruscamente i toni, diventando quasi un fruscio, e poi rialza nuovamente il volume arringando il pubblico e l'ascoltatore. I toni che sentiamo sono quelli di una marcia quasi tombale, mentre le melanconiche liriche vengono legate alla musica in maniera viscerale, sentiamo il canto gregoriano della loro composizione elevare il nostro spirito man mano che andiamo avanti. Nuovamente ritornello e nuova accelerata e conseguente decelerata dei toni, mentre i Metallica continuano la loro lenta corsa al buio, vagando come anime in cerca di salvezza. Uno "Yeah, You Will!", fa tremare le vene dei polsi mentre nuovamente le parole del testo e del titolo vengono scandite con fare epico, cui poi si lega un meraviglioso assolo di Kirk. Si ritorna nella mischia dopo poco, il sound continua ad essere granitico per tutta la durata dell'ascolto, e poi il buon Hammet lega un altro solo, nettamente più elettrico e Metal del primo, scale e saliscendi a non finire che si intersecano con le pelli di Lars, andamenti cacofonici ed oscuri che danno un sentore di morte. Il solo prolunga la sua corsa, distorsione al massimo mentre nuovamente il ritornello fa capolino per l'ultima parte della canzone. Parte che viene introdotta da un'altra bordata di pronuncia da James stesso, il riff portante così arabeggiante ed orientale ci accompagna allo stop finale, ma prima di fermarsi del tutto i Metallica hanno un'altra sorpresa. Un altro elettrico solo di Kirk che man mano si avvicina alla dissolvenza, tapping e power chords che si fondono assieme mentre la canzone va man mano schiudendosi e concentrandosi verso la fine, prima di venire spazzata totalmente via dal silenzio ovattato del solco vuoto. Come quasi tutti i testi del Black Album, anche Ovunque Voglia Vagare risulta essere una chiara e malinconica introspezione dell'animo umano; il protagonista si sente a casa in ogni luogo, purché non gli venga negata la possibilità di camminare per il mondo stesso. Ed è allora che egli vaga, in cerca della libertà più totale, quel senso di appagamento che solo girare il mondo può darti. La terra è divenuta il suo trono, la strada è la sua sposa, nessuna catena, nessun limite, solo il nostro animo ed il percorso davanti ai nostri occhi. Scorgiamo interminati spazi d'infinito mentre andiamo avanti, la mente si perde nel cercare la fine di tutto questo, ma per la prima volta ci sentiamo davvero liberi, nessuno sa che cosa stiamo provando, ma la terra intera batte all'unisono col nostro cuore. In fondo, si tratta solo di vagare, vagare per il mondo alla ricerca del proprio spazio, quel pertugio grande quanto la Terra in cui rifugiarsi e sentirsi veramente uomini. Spezzare le catene sociali, spogliarsi di tutto ma non della propria libertà, questo è il messaggio che i nostri Horsemen vogliono farci passare, e non si può che dargli dannatamente ragione.
Fade To Black
Brano che viene impresso sul lato B invece è una versione live di Fade to Black (Sfumato In Nero) registrata durante un epico concerto di Mosca il 28 Settembre del 1991. Questo probabilmente è uno dei concerti più famosi dei Metallica; un enorme Monsters Of Rock in cui i nostri suonarono accanto a Pantera, AC/DC, Queensryche e Black Crowes. Una folla immensa si era radunata quel giorno, e nei video, divenuti ormai celebri (di tutte le esibizioni), fa quasi impressione vedere un vero e proprio mare di gente accapigliarsi per assistere al concerto, non se ne vede la fine. Ricordiamoci infatti che in quel periodo la Russia era uscita da pochissimo tempo dalla Guerra Fredda, una silente macchina di disordine sociale ed imposizione mediatica che aveva segnato i cuori di tutti. In una occasione come questa migliaia di ragazzi ed appassionati si videro salire sul palco, nella strana cornice dell'aeroporto di Tushino, alcuni fra i loro beniamini. Una folla festante che applaude a scroscio mentre le celebri note della canzone prendono vita; Kirk impreziosisce i primi minuti con la sua sei corde, mentre Jason tira alcune lievi slappate al suo ligneo basso, dando corpo e vibrazione all'intera esecuzione. La folla continua ad applaudire mentre James fa il suo ingresso, capelli lunghi e baffi a manubrio, si posiziona di fronte al microfono ed intona i primi stralci di lirica. Paradossale che, considerata la location, campeggino fra la folla bandiere americane, ma la band non si fa certo distrarre; gli orpelli chitarristici di Hammet proseguono la loro corsa, il lungo intro viene prolungato anche dalle liriche stesse, l'atmosfera si fa elettrica e sommessa. La band continua ad incitare il pubblico, che va in estasi ad ogni nota suonata, e canta ogni singola parola. Si respira quel senso di libertà che alla fine anche gli Scorpions cantavano nel loro Wind Of Change. Nonostante qui siamo su un altro pianeta, semplicemente per quanto riguarda genere, significato della canzone ed esibizione generale, quel senso di rivalsa che i ragazzi moscoviti e non avevano in quel momento, si respira fin dentro la testa, basta guardare le loro facce che progressivamente passano di fronte alla telecamera. Una volta che il brano è partito, niente può più fermarlo, i Metallica incalzano, l'enorme assolo centrale spacca il palco in due, stelle filanti spruzzano scintille da ovunque, le luci si muovono a velocità doppia, mentre anche il pezzo accelera in maniera fulminea. Per poi, come sappiamo dalla versione originale, calmarsi poco dopo, e lasciare spazio ad un corroborante assolo di Kirk, tiratissimo e melanconico, elettrico fin nel midollo, con qualche svolta classic Rock in alcuni frangenti. Le liriche vengono riprese poco dopo, James, nonostante la voce modificata da quel 1984 quando registrò il pezzo originale, incide ogni singola parola nell'acciaio. Il brano monda, gonfia il petto mentre ci avviciniamo al pezzo più bello, Jason alza le mani al cielo mentre il riff muta la sua pelle. Ed è allora che l'accelerazione ed il ritmo si fanno spasmodici, i Metallica incalzano sempre di più, le parole al veleno della canzone vengono sparate in faccia agli astanti mentre l'atmosfera si fa elettrica in ogni sua forma e sfumatura. L'enorme palco cade sotto i colpi del finale assolo di Kirk, ancor più tirato del precedente, la ritmica si fa sempre più in assetto da corsa, ormai abbiamo il fiatone, ma il pubblico ne vuole ancora. Il tutto finisce con una pioggia di applausi e fischi, i nostri Four Horsemen che si guardano divertiti, sapendo che (se avete seguito tutto il concerto lo sapete), non è ancora finita qui, ci sarà ben altro per i nostri russi. La canzone come sappiamo parla di un uomo consapevole che la propria vita se ne sta andando; il mondo lo ha abbandonato, niente ormai conta più. La lucida e nera falce della morte lo sta per venire a prendere, e quando accadrà, egli dirà addio. Sta letteralmente sfumando verso i colori della notte, un corpo che non sarà più corpo, un'anima che ascenderà finalmente dopo lunghe sofferenze. Eppure come accade in questi casi, l'uomo sa che non ha fatto tutto quel che voleva fare; un lungo esame di coscienza introspettivo e malinconico permea tutto il testo, i toni oscuri con cui vengono descritte le sensazioni del protagonista hanno del magico, si ha la netta impressione di essere lì con lui, guardandolo negli occhi. Profetica la frase Nessuno tranne Me può salvarmi, ma ormai è troppo tardi; consapevolezza piena di quanto ormai la fine sia giunta, e di quanto nessuno possa far più niente per tirarlo fuori dal pantano in cui egli stesso si è messo, ma ormai non c'è più niente da fare, le bianche ceneri verranno bruciate, e sarà solo l'oscura presenza della morte a far da tramite.
Conclusioni
Un singolo che, come abbiamo detto per tanti altri, non aggiunge né toglie niente alla discografia intera della band, ma fa da tramite e da surplus grandemente apprezzato. L'idea poi di estrapolare da un immenso concerto come quello di Mosca una delle canzoni più celebri della band, si rivela per essere l'ennesima arma vincente dei Metallica. Per quanto riguarda Wherever I May Roam in sé per sé, si tratta forse di uno dei brani più bui del disco, una epica cavalcata condita da arabeschi nei meandri della sofferenza e della libertà personale. Consiglio come sempre l'acquisto di un singolo del genere principalmente ai fan oltranzisti del gruppo, coloro che veramente vogliono avere tutto quel che gli Horsemen hanno pubblicato negli anni. Perfino il concerto di Mosca è reperibile in forma completa (aggiungendo anche le esibizioni degli altri gruppi, raccolti in uno split video dal titolo di For Those About to Rock - Monsters In Moscow), quindi anche la canzone che apre il secondo lato è ascoltabile senza troppi problemi. Al di là di questi dettagli comunque, si tratta della classica manovra commerciale azzeccata come praticamente tutte quelle che i Metallica hanno fatto dall'inizio della carriera ad ora. Il senso di appartenenza ad un gruppo che si ha ascoltando la loro musica è qualcosa di unico, forse proprio solo degli Iron Maiden (almeno nell'opinione di chi vi scrive). Se ne può parlar bene o male, ma alla fine rimangono sempre i Metallica, e sanno ancora come spaccare le teste in due con la potenza della loro musica. Tornando alla canzone in particolare ed al disco da cui è tratta, ribadisco quanto detto in introduzione. Il Black Album, che piaccia o meno e pur avendo tranquillamente tracce che potevano essere saltate, è un immenso esercizio di stile. È l'album che ha insegnato al mondo intero che si può fare Metal senza scendere nel commerciale, ma mantenendo la vena compositiva intatta. Per molti è il canto del cigno tanto quanto il precedente, per alcuni la discografia si ferma ad And Justice, poi il nulla; per chi vi scrive esiste un lungo periodo in cui la band non ha ben saputo quel che stava facendo, andando a foraggiare generi e stili che li hanno portati ad essere denigrati da tutti. Ma un album come questo non si può non apprezzare; è duro nella sua semplicità, è granitico nei suoi schiaffi e dannatamente alto a livello compositivo, con tutti i limiti che la scelta stilistica effettuata dalla band potesse portare in quegli anni.
2) Fade To Black