METALLICA

Until It Sleeps

1996 - Elektra Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
21/10/2015
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

Parlare dei Metallica durante gli anni novanta significa, fondamentalmente, parlare "di un'altra band": la parabola evolutiva dei Four Horsemen ha infatti condotto i quattro musicisti americani verso una nuova fase della loro carriera, quella che ha visto l'eclissarsi del gruppo composto da quattro ragazzini con i capelli lunghi, i jeans strappati ed il chiodo per lasciar spazio a quattro uomini, ormai cresciuti, che tuttavia non rinunciano alla musica, loro grande passione ed unica ragione di vita. Con il finire degli anni ottanta si è chiusa l'epoca che la stragrande maggioranza dei fan ritiene essere la migliore per la band della Bay Area; sono stati composti e suonati dischi capolavoro quali l'esordio "Kill 'Em All", "Ride The Lightning""Master Of Puppets" e, dopo una momentanea battuta d'arresto dovuta alla scomparsa di Cliff Burton"...And Justice For All", il quale, potrebbe essere benissimo definito il preludio della rinascita del gruppo. In formazione è infatti entrato Jason "the new kid" Newsted, già bassista dei Flotsam & Jetsmen, a cui non sono stati assolutamente riservati trattamenti di favore, poiché fu e sarà sempre trattato, durante la sua permanenza nei 'Tallica, come il novellino, l'ultimo arrivato, che deve subire in silenzio gli atti di nonnismo dei suoi compagni di formazione, ma nonostante la strada sia totalmente in salita sul piano umano, il nuovo addetto al quattro corde non si darà per vinto e ci regalerà alcune delle prove di maggior pregio a livello bassistico per quanto riguarda i pezzi dei Metallica. Chiaramente, è pressoché impossibile paragonare la new entry al mai troppo compianto Cliff Burton; gli stili dei due, per quanto eccelsi, sono totalmente differenti l'uno dall'altro ed il voler forzatamente trovare un piano di paragone risulterebbe inutile, oltre a comparire fin dagli inizi il classico discorso da tuttologi del baretto sotto casa. Lo stile del primo era infatti qualcosa di unico ed inimitabile di per sé, un tocco zeppo del gusto sopraffino e dell'inventiva del rock anni settanta unito all'attitudine ed alla furia graffiante di chi ascoltava i Misfits tutto il santo giorno, portandone addirittura il Crimson Ghost tatuato sul braccio, mentre il secondo proviene da una scuola totalmente diversa, prevalentemente improntata sull'hard rock, i cui ascolti ed influenze regalano alle proprie mani una maggiore ricerca della melodia piuttosto che del tiro tritaossa delle ritmiche marcatamente thrash metal. Va poi considerato il periodo in cui siamo: siamo nell'anno domini 1996, nella seconda metà degli anni novanta, un'epoca durante la quale tutta la musica, perfino il Metal, è diventata un'enorme industria di business, che ha addirittura scalzato la filosofia stessa legata al mondo delle sette note; se infatti precedentemente alla parola "suonare" era legato il concetto di "trasmettere emozioni", adesso ad essa si lega la più fredda "vendere"; sono infatti gli anni delle major, delle grosse etichette, quelle che puntano a fare di una qualunque band che possieda gli standard di commercialità una vera e propria macchina da soldi. Non è un caso infatti se nell'ultima decade del secolo scorso l'Heavy Metal abbia visto la propria luna calante con gli album più "mediocri" di alcuni mostri sacri come gli Iron Maiden, mentre saliva alla ribalta la nuova corrente del Grunge, genere musicale crudo, scarno ed impregnato di rabbia e disagio adolescenziale di cui l'industria musicale non ha esitato a prelevarne i maggiori esponenti dai garage per spararli direttamente sui maggiori palchi mondiali. Nirvana, Alice In Chains, Soundgarden, Sonic Youth e via dicendo, tutte band che dalle loro salette poste nei bassifondi di Seattle sono arrivate a conquistare le vette delle classifiche internazionali, uno sfruttamento dell'arte altrui bello e buono, se si considera che questi ragazzetti suonavano per urlare tutta la propria rabbia e l'odio verso la loro vita da sottoposti e non per alimentare i conti in banca di qualche manager, alcuni musicisti se la sono cavata bene, ma in altri casi ci è letteralmente scappato il morto, vedasi i casi di Kurt Cobain e Layne Stanley, annientati lentamente dal demone esistenziale della loro stessa fama a cui non sono riusciti a far fronte. È in questi anni di compravendita sfrenata che anche i Metallica si devono adeguare; gli ascoltatori adesso sono diventati veri e propri clienti che, come vuole la regola, hanno sempre ragione, ecco che un mezzo promozionale come il singolo passa dall'essere assaggio in anteprima del lavoro che verrà, somministrato al fan trepidante come se fosse la dose per un tossico in crisi d'astinenza, ora diventa l'espediente per sondare il terreno: se quelle poche canzoni ai fan piacciono, allora per l'album siamo sulla strada giusta, ma se non va, ossia le vendite vanno male, urge assolutamente cambiare direzione onde evitare un gigantesco flop a livello artistico ed uno scialacquamento a livello economico. Con il singolo "Until It Sleeps", contenente la traccia omonima, di cui sarà anche realizzato un videoclip, e la cover di "Overkill" dei Motorhead i Metallica mirano proprio a questo: testare la reazione dei fans a quello che di lì a poco sarebbe stato "Load", disco assai controverso nella carriera dei 'Tallica, ma lanciare intanto la hit da passaggio radio unita ad una cover di un classico può comunque suscitare l'attenzione dei seguaci del gruppo.

Until It Sleeps

Ad aprire il singolo troviamo appunto "Until It Sleeps", una canzone che fin dai primi secondi ci fa capire che i Metallica, volente o nolente, si sono dovuti adeguare all'epoca corrente per poter portare a casa la pagnotta. Il brano si apre lentamente, già da questo elemento i thrasher più oltranzisti possono percepire quanto la band abbia modificato il proprio songwriting: gli inizi imponenti, epici e tiratissimi dei vecchi lavori sono qui stati archiviati in favore di un fraseggio di basso in slide di Newsted, accompagnato a sua volta dalla batteria lineare di Ulrich. Per la prima volta, i Four Horsemen sperimentano un'apertura di brano basato sul crescendo votato alla suspence, espediente creativo più consono all'Hard Rock e mai prima d'ora sperimentato dalla band californiana; la base ritmica si pone subito a leggio per la prima porzione di testo cantata da Hetfield, che dopo ogni frase è seguito da un morbido fraseggio di chitarra effettata con un riverbero atto a creare l'atmosfera che lentamente si sviluppa. Due ripetizioni di questa sessione, prima dell'esplosione, o meglio del cambio, perché chi segue la band da sempre si accorge subito che il gruppo ha notevolmente abbassato il tiro; dove sono le ritmiche tirate di "Master of Puppets", le marce epiche di "Ride he Lightning" ed i riff al vetriolo di "Kill'Em All"? Ormai sono un lontano ricordo, i Metallica sono entrati nella fase "rock" della loro carriera, ed alla velocità sostituiscono ora il groove e le melodie catchy. Concluso questo primo timido vagito, la seconda strofa riprende lo sviluppo iniziale, altre due volte, altre due frasi ed ecco nuovamente entrare le chitarre distorte, questo costrutto si alterna per un totale di tre volte, prima che la parte serrata diventi a sua volta punto di partenza per un nuovo crescendo, dove subentrano addirittura delle parti di archi a fornire al tutto un tocco più sontuoso e magniloquente. Sicuramente l'orecchiabilità non manca ed il pezzo scorre via fluido e coinvolgente, reso dinamico dall'alternanza tra la parte arpeggiata e la parte distorta, che ricrea una metaforica alchimia di bene e male, pace e caos, mirata a seguire al meglio il senso di possessione di cui si racconta nel testo. Per la prima volta infatti, Hetfield si cimenta su delle liriche nuove per il suo consueto registro introspettivo: l'analisi dell'io viene questa volta inserita in un contesto sacro, ecco quindi che tutto della canzone, non solo la musica ma anche il videoclip, dovranno quindi avere un'impronta maggiormente "ecclesiastica". Il pezzo infatti descrive minuziosamente il disagio interiore di chi è posseduto da qualcosa, quell'"it" del titolo che non viene propriamente definito e che si lascia quindi libero ad ogni interpretazione, il demonio, la morte, ogni porta è aperta, ma si può essere tutti concordi che sia qualcosa di malvagio; improvvisamente veniamo avvolti da un dolore, ma non si tratta di un dolore medico, tant'è che non riusciamo nemmeno a localizzarlo precisamente, sentiamo solamente qualcosa che ci rode dentro e che ci segue costantemente non appena proviamo ad alleviarlo, ormai è chiaro, è qualcosa di demoniaco che una volta che ci ha colpiti non ci molla più, possiamo ormai solo chiedere un abbraccio a chi ci vuole bene, mettendolo subito in allerta che questo qualcosa non passi a lui come un contagio. È un male che ci affligge nell'anima è tentare di pulirlo è inutile, per quanto tentiamo di lavarci la coscienza confessandoci fino ad averla pulita, il male delle nostre malefatte ci accompagnerà per tutto il resto della vita, sempre pronto ad emergere nei momenti meno opportuni per spegnere ogni nostro spiraglio di felicità. Il terrore ormai si è impossessato di noi, siamo destinati a restare intrappolati nella prigione dei nostri peccati e presa coscienza di ciò ecco che questo dolore provvisoriamente si placa, non è sparito ma si è solo attenuato, si è messo a dormire appunto, allora ecco che possiamo richiedere un abbraccio per confortarci in questo momento più buio, ma bisogna cogliere l'attimo finché esso è assopito, come per un malato terminale che aspetta l'ultimo abbraccio dei propri cari vuole poter essere lucido per potersi godere la bellezza di quel breve istante, così anche noi vogliamo abbracciare il nostro partner nel momento in cui siamo più liberi dal male, non tanto per noi, quanto per preservare chi ci ama dall'essere contagiato dai nostri demoni; è una cosa tra noi e le nostre malfatte, dobbiamo combattere questa battaglia da soli ed i nostri cari devono starne fuori. Veniamo ora a ciò che più di ogni altra cosa di questa canzone spiazzò i fan: il videoclip. Fin dai primi fotogrammi dobbiamo inesorabilmente constatare che i Metallica si sono adeguati ad essere ormai delle rockstar affermate del music business. Le folte chiome sono state rimpiazzate dai tagli di capelli all'ultimo grido ed il look stradaiolo lascia ora il posto a stilosi stivali, jeans firmati e maglie nere se non camicie di seta (oltre che ad un'imbarazzante mattita sotto gli occhi per Hammet ed Ulrich). Chiaramente, per i fan di vecchia data della band questo si rivela un colpo non da poco ed ormai bisogna riconoscere che come lo scopo del singolo anche quello del video stesso è cambiato. I video inerenti ai primi lavori erano infatti costituiti dalle riprese dei vari concerti della band ripresa durante i vari tour promozionali, ma adesso, anche il video è sinonimo di commerciabilità ed urge quindi colpire gli spettatori con qualcosa di più elaborato e, per certi versi, barocco. I Metallica questo passaggio lo hanno compiuto in maniera graduale a partire da"...And Justice For All", iniziando ad inserire, nel video di "One", delle scene tratte dal film "E Johnny prese il fucile" alternate alle scene di loro che suonano; nel black album ai video live come "Sad But True" e "Wherever I May Roam" si affiancano video più elaborati come "Enter Sandman" e "Nothing Else Matters", nei quali prendeva il sopravvento l'effettiva vena cinematografica del prodotto. Con il video di "Until It Sleeps" viene abbandonato il concetto della ripresa live per lasciare il campo libero alla metafora insita nel testo: le immagini inquadrano infatti uno scenario a metà tra il biblico ed il dantesco, alle scene i cui temi sono la crocifissione, la via crucis, la tentazione della mela di Adamo ed Eva da parte del serpente e Cerbero intento a divorare anime si accosta quindi una nuova immagine dei membri stessi della band, che ormai non sono più solo musicisti ma diventano a tutti gli effetti degli attori, che oltre a dare il meglio suonando devono risultare espressivi il più possibile per rendere veritiero il soggetto della narrazione. Il risultato è sicuramente di impatto e non manca di lasciarci a bocca aperta, ma di fronte a quei quattro minuti di video le fauci aperte saranno scisse tra il piacevole stupore e lo sdegno verso l'essersi definitivamente "venduti". La canzone di per sé risulta buona, ma collegare questi Metallica a quelli degli anni ottanta risulta comunque molto difficile.

Overkill

La cover di "Overkill" dei Motorhead ha invece il compito di preparare le orecchie del pubblico al successivo "Garage Inc.", la raccolta di cover con cui i 'Tallica faranno delle riproposte di brani dei loro idoli un nuovo espediente votato all'audience. A ciò comunque siamo preparati fin dal 1987, anno in cui uscì "The 5.98 & EP - Garage Days Re-revisited" ma mentre esso si presentava come un estemporaneo tributo ai maestri dei quattro californiani, preso da loro stessi come un momento di svago della propria carriera, la raccolta del 98' sarà presentata a tutti gli effetti come un prodotto fatto e finito dai Metallica, impresa assai ardua e discussa moltissimo dai fan della vecchia guardia ma che, a conti fatti, stravolse l'indice di vendite della band, portando ad essa dei dati talmente positivi da far gola anche ai colleghi Megadeth, Anthrax e molti altri, i quali anche loro si cimenteranno nell'impresa del coverizzare. Scegliere un brano della band di Lemmy è un'arma a doppio taglio, visto il calibro della leggenda con cui Hetfield e soci vanno ora a misurarsi, ma fin da subito traspare quello che è sempre stato il talento dei Metallica: quello di saper interpretare a loro modo un pezzo non loro. Le differenze risultano lampanti fin dalla celebre intro di batteria: lo sviluppo lineare in ottavi con la cassa in sedicesimi suonato in origine da Philipp "Philty Animal" Taylor è ora consegnato alle bacchette di Lars Ulrich, il quale, pur non avendo la resistenza del drummer inglese e risultando non sempre precisissimo, rivisita il tempo suonandolo con un tocco più deciso, dando alla parte il classico tiro alla Metallica e coprendo un po' le sue pecche di cassa usando abbondantemente i crash. Ben diverso è l'approccio di Jason Newsted di fronte alla parte di basso, il bassista americano si presenta immediatamente come un fedele discepolo di Mr. Kilmister seguendone fedelmente la scia; il suo quattro corde infatti spicca lampante attraverso le zappate grezze e quasi punk che il compositore britannico ha sempre inserito all'interno dei propri pezzi, rendendo la cover dei Four Horsemen una macchina inarrestabile spinta da un motore ritmico granitico e diretto. Molto più studiato appare anche l'approccio delle chitarre; le sei corde hanno dovuto infatti riadattare per le quattro mani una parte che originariamente era suonata da una chitarra sola (quella di Fast Eddie Clark) e qui Hetfield ed Hammet optano per una soluzione intelligente e ben strutturata: mentre il biondo chitarrista si occupa della parte ritmica, sfoderando i suoi celebri powerchords aperti che conferiscono quel contorno essenziale per un pezzo di questo tipo, il moro e riccioluto axeman si occupa dei numerosi fraseggi e parti soliste sparse per tutta la traccia, alternando la fedele riproduzione alla personale reinterpretazione. In questo caso i Metallica non si avventurano troppo in una rivisitazione, come hanno fatto invece in altre sedi, ma si limitano a seguire fedelmente la struttura dei due blocchi costituenti l'originale, anche perché, trattandosi di una canzone dei Motorhead, modificarla sarebbe stata un'eresia: i pezzi di Lemmy sono leggenda e vanno lasciati così come sono, altrimenti si rischia di snaturarne l'essenza. Trovandosi di fronte ad un testo scritto da un guru del metal, per quanto egli stesso non ami definirsi metal, le parole di questa canzone non possono che trasudare attitudine ad ogni sillaba: immaginate di trovarvi ad un concerto di una band che conoscete poco o che addirittura non conoscete affatto; il vostro atteggiamento si bilancia a metà fra lo speranzoso nel sentire qualcosa di buono e lo scettico, poiché se il gruppo in questione fosse davvero così valido ne avreste certamente già sentito parlare. Ecco partire un pezzo ed immediatamente sentite dentro di voi quella sensazione di coinvolgimento che vi avvolge, di buona musica ne avete sentita tanta, quindi sapete bene come ci si sente quando ad un concerto volete dare l'anima ed ecco che non vi limitate a sudare ma restituite subito quella sensazione alla band, aggiungendovi alla folla urlante che incita i musicisti. È una sensazione unica, ogni singolo muscolo del vostro corpo si muove a ritmo e lungo la schiena sentite quel brivido che solo il rock n'roll può darvi. Persino la vostra testa inizia automaticamente a fare headbanging e come dice giustamente Lemmy "bisogna essere morti perché questa energia non ci faccia immediatamente volare" (" You must be dead if it don't make you fly"); ecco che il frontman dei Motorhead descrive in poche righe lo stato d'animo di tutti noi metalhead ogni volta che ci rechiamo ad un concerto, per noi è qualcosa di indescrivibile, ma lui può.

Conclusioni

Con il singolo "Until It Sleeps" dunque, i Metallica si avventurano in un nuovo cammino della loro carriera; sono cambiati, o meglio, sono dovuti cambiare, gli anni ottanta sono ormai un capitolo chiuso e di essi i Four Horsemen possono solo darci un ricordo ad ogni live riproponendo i brani di quel celebre periodo. Ora invece si avvia una nuova fase per la band, una fase più leggera per certi aspetti ma più matura per gli altri ed è con queste due tracce che si vedrà subito chi continuerà a seguire la band e chi ormai conserverà i vinile dei primi quattro album nella propria collezione con il fare nostalgico di chi ogni tanto li metterà nel giradischi, riascoltandoli con una timida lacrimuccia scendere dai loro occhi. Con la titletrack del singolo siamo di fronte all'oggettiva realtà di quelli che sono i Metallica nella seconda metà degli anni novanta e con la cover essi vogliono in qualche modo rassicurarci che, dietro i capelli tagliati e gli abiti alla moda si nascondono ancora quei ragazzini che ascoltavano i Motorhead sognando un giorno di poter diventare come loro; futuro e passato si uniscono quindi in una tracklist di solamente due canzoni che però si rivelano quanto mai eloquenti per darci un istantanea dei Metallica del 96'. Che sono cambiati ce lo dicono soprattutto i loro suoni, ancora prima dell'immagine o dei testi: su "Until It Sleeps" la post produzione offre al gruppo il meglio dell'audio recording dell'epoca, fornendo alla batteria ed al basso quell'equalizzazione grossa e pesante che compensa la perdita delle vecchie sonorità con la classica botta che rende ogni quarto un vero e proprio macigno; essendo poi cambiato il metodo compositivo dei quattro, le chitarre ora devono essere lavorate anche su strutture diversi dalle classiche sferragliate thrash metal anni ottanta: oltre ai distorsori, che devono restare comunque presenti, non sono più solo le parti acustiche a dover essere curate (e qui non si può pensare nostalgicamente all'inizio di "Fade To Black" o all'intro di "Battery") ma i clean devono ora essere resi al meglio con effetti "nuovi", come riverberi, delay e, ultimo ma non meno importante, il wah wah per gli assoli di Kirk Hammet. Quelli degli anni novanta quindi è come se fossero dei nuovi Metallica, quasi una band Hard Rock omonima alla leggenda del Thrash, con la quale però continua, fortunatamente, a mantenere il legame. Non si può certo dire che i successivi "Load" e "Re-load" siano dischi di pessima fattura, anzi, ma chi come il sottoscritto si è innamorato dei Four Horsemen con "Kill 'Em All", pur apprezzandone anche i dischi successivi, farà sempre un po' di fatica a leggere il nome Metallica su quelle copertine di fine anni 90'.

1) Until It Sleeps
2) Overkill
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