METALLICA

Turn The Page

1998 - Vertigo

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
29/11/2015
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

Dopo il primo "timido" ma efficacissimo tentativo di cimentarsi con una raccolta di cover, il convincente "The $5.98 EP - Garage Days Re-revisited" del 1987 e le diverse riproposizioni live delle loro versioni di grandi classici del rock, i Metallica intuiscono che quella del tributo in chiave personale ai loro idoli può essere una strada appetibile a tutti gli effetti: finora ci sono stati solo alcuni estemporanei accenni, ma nel corso degli anni i Four Horsemen hanno anche iniziato a meditare su disco composto solo da rielaborazioni altrui a tutti gli effetti, che diverrà poi "Garage Inc." del 1998. Chiaramente, l'approccio compositivo cambia notevolmente; non si tratta più di elaborare una canzone partendo da zero abbozzando un proprio riff o linea vocale a cui poi aggiungere di volta in volta i vari pezzi, in questo caso l'idea di partenza è già stata composta e registrata e si presenta il maggiore dilemma: come fare per far sì che traspaia la propria visione del pezzo senza rendere il risultato finale una fredda e sterile riproposizione? Fortunatamente in questo senso, la band di Los Angeles ha fatto una discreta gavetta, durante la quale ha sempre colpito nel segno regalandoci delle cover che non solo hanno reso un dovuto omaggio agli artisti che le hanno scritte ma hanno fatto ciò attraverso l'energia ed il tiro che solo gli strumenti di Hetfield e soci sanno regalare. Conclusa la parentesi di "Load" e "Re-load", i 'Tallica danno ora alle stampe il singolo "Turn The Page", con il quale la band volta pagina a tutti gli effetti, gettando le basi per quel collegamento che li avrebbe condotti ai lavori successivi, andando anche incontro ad uno dei periodi più bui della loro carriera, dato che dopo il grande successo con i live di fine anni novanta con gli anni duemila, i Four Horsemen vedranno l'addio definitivo di Jason Newsted e James Hetfield alle prese con i suoi demoni e l'allontaneranno dalla band per poi fare ritorno e sfornare "St. Anger" nel 2003, considerato da molti il chiodo definitivo sulla loro bara. A livello iconografico, è la semplicità a caratterizzare questo singolo: dopo lo sperimentalismo visuale delle copertine precedenti, per quella di "Turn The Page" il gruppo opta per una soluzione più diretta ed istintiva; su di essa compare la fotografia presa dall'alto di un tavolo, sul quale poggiano diversi fogli scritti a mano contenente le varie bozze di titolo per l'album successivo. Possiamo quindi immaginarci i Metallica seduti su un divano durante un break in sala prove, intenti a proporre ognuno le proprie idee che puntualmente vengono appuntate, immaginando di conseguenza anche l'eventuale copertina e concept attinente. A giudicare dalla copiosa quantità di frasi scritte, si può supporre che questo processo balenasse nelle loro teste già da diverso tempo e che puntualmente la questione venisse ripresa per portarla avanti anche solo di qualche piccolo passaggio tra un tour e l'altro. Anche il logo stesso, che compare in alto al centro con un font simil scritto a mano, fa capire che nel 1998 i Four Horsemen volessero in qualche modo tornare alle loro radici; accantonato quindi il logo da "grandi star", essi scelgono una soluzione più terra a terra per ribadire il concetto che è la sostanza ciò che conta, non la forma: si può avere anche il nome scritto con un pennarello nel modo più becero che si possa immaginare, ma se la musica è scritta e suonata con il cuore i fan ci ameranno comunque. Per quanto riguarda la tracklist, troviamo nuovamente quattro tracce atte a pescare nel campionario del gruppo quello che è il passato immediato e la gloria live: in apertura abbiamo la titletrack, una cover di un grande classico del cantautore americano Bob Seger, a cui fanno seguito tre canzoni live. È ancora il fronte on stage quello su cui i 'Tallica puntano per sbalordire i propri fan: il prodotto di lancio c'è e viene proposto con la versione registrata in studio, ma per rendere ancora più succulento questo singolo urge spingere su quanto di meglio i Metallica possano offrire ai loro fan, dato che alcune scelte del passato, come il remix di "For Whom The Bell Tolls", si rivelarono scelte alquanto fallimentari. Va anche considerato che i quattro americani ora sono definitivamente maturati e da grandi uomini di spettacolo quali sono, hanno intuito che la loro musica non era più qualcosa di relegabile esclusivamente nell'ambito del Thrash Metal, ma andava a collocarsi in una visione molto più ampia: chi lo avrebbe mai detto che i quattro capelloni che esordirono nel 1983 con un disco il cui titolo era "Kill'Em All" (trad. "Uccidiamoli tutti"), per i quali i teschi, la morte e le fiamme sembravano essere l'unico catalogo di immagini attraverso cui rappresentare la vita, sarebbero arrivati ad esibirsi in live acustici, per non parlare del successivo album dal vivo con l'orchestra, e a proporre testi di una assolutamente coinvolgente atmosfera introspettiva che all'aspetto infernale dell'esistenza contrapponeva ora le tenebre dei meandri dell'anima? Se si è soliti dire per aspera ad astra (trad. "passando attraverso le avversità si giunge alle stelle") certamente i Metallica hanno compiuto questo passaggio in una maniera tutta loro.

Turn The Page

Le danze si aprono con "Turn The Page" (trad. "Volto pagina"), brano che, come accennato, fu scritto originariamente da Bob Seger ed incluso nel suo album "Back in '72" del 1973. I Metallica si cimentano ora con qualcosa di un po' diverso dal panorama rock all'interno del quale hanno pescato le loro altre celebre rielaborazioni, andando ora a scegliere un brano dalle forti tinte blues. Il talento dei Four Horsemen emerge subito lampante nel seguire fedelmente la linea compositiva originale senza scimmiottare troppo il cantautore di Detroit; elementi come il sassofono vengono sapientemente sostituiti dai musicisti di Los Angeles con dei suggestivi fraseggi di chitarra, i quali regalano la stessa atmosfera introspettiva proponendola in una chiave più decisa. La canzone viene aperta per mezzo di un'avvincente lavoro della sei corde sostenute dal basso di Newsted, il bassista dei 'Tallica regala nuovamente una prova di tutto il suo talento, che non rimane inscatolato solo nel metal ma dimostra, attraverso le sue pennate, di sapersi muovere anche su generi diversi. Chiaramente la versione dei Metallica appare più decisa e graffiante, la batteria di Ulrich entra immediatamente decisa e cadenzata con un quattro quarti atto a sostenere il riffing di Hetfield ed Hammet, notevolmente più marcato di quello di Seger. Dall'apertura malinconica si passa quindi ad uno sviluppo potente e serrato, che grazie ai suoni pesanti dei Four Horsemen ci regala una visione decisamente più arrabbiata verso quel senso di frustrazione che solo una vita difficile ci può far provare. La voce di Hetfield si mostra malleabile in ogni suo aspetto: dalla melodia ricca di pathos essa passa infatti alla grinta rabbiosa con una disinvoltura che il biondo leader della band ha sviluppato dopo anni passati ad infiammare i palchi di tutto il mondo. Sulle strofe è interessante come le chitarre utilizzino sia i power chord in palm muting per le ghost notes nella chiusura del riff, sia gli accordi con gli armonici aperti, che rendono la parte melodica sì aggressiva ma non troppo distante dalla versione di Seger. La struttura del pezzo è abbastanza standard, si alternano infatti strofa e ritornello senza troppe variazioni, ma i Metallica inseriscono però un azzeccatissimo break a metà traccia, dove la voce di Hetfield va lentamente a sfumare sostenuta da un fraseggio di basso, pochi istanti di silenzio e poi l'ultima ripartenza, un'ultima sfuriata verso quel mondo sempre più ostile che non si sottrae a schiacciarci ogni giorno come insignificanti insetti. Il testo è quello di una ballad dal retrogusto quasi country: la metafora del viaggio lungo una strada senza fine nel deserto si presenta come immagine di una fuga dalla monotonia della propria esistenza, un tentativo di correre verso una destinazione ignota che sicuramente offrirà soluzioni migliori rispetto a quelle della vita in cui siamo letteralmente ingabbiati. Lungo questo lunghissimo percorso decidiamo di fermarci in un area di sosta, sentendo i lamenti del motore sempre più straziato del nostro mezzo. Nel parcheggiare lanciamo un fugace pensiero al partner con cui siamo stati la notte prima della nostra partenza, quel balsamico momento di pace immerso in quel mare di tenebre che è l'insieme delle ansie e delle preoccupazioni che ci divorano l'anima un giorno dopo l'altro; ma anche i nostri pensieri presto torneranno nell'oblio della nostra memoria recondita, intraprendendo un cammino arduo e snervante come il nostro che ci siamo fatti sedici ore di viaggio per raggiungere il proverbiale centro del nulla. Ecco che ci siamo, di nuovo sulla strada come sul metaforico palco in cui dobbiamo destreggiarci come saltimbanchi di fronte al pubblico di tutte le nostre preoccupazioni: come dei giocolieri dobbiamo destreggiarci tra un lavoro sempre più degradante, la famiglia e le difficoltà sempre in aumento. Vorremo combattere ma non ne abbiamo la forza e pensiamo che fuggire possa essere la soluzione, ma per quanto lontano si possa andare ecco che i nostri demoni ci seguiranno standoci sempre più addosso; nell'entrare in quell'area di servizio pensiamo di poter finalmente essere al sicuro, ma ecco che ci sentiamo gli occhi degli astanti addosso, quasi fossero la personificazione di quei maledetti problemi che prontamente ci aspettano al varco, non possiamo fare altro che prendere il nostro mezzo e battere nuovamente l'autostrada fino al motel in cui dormiremo per la notte. Un nuovo attimo di pausa, in cui, seduti sul letto, ci fumiamo l'ultima sedativa sigaretta della giornata col frastuono degli altoparlanti della modernità ancora ronzanti nelle orecchie che ci torchieranno fino al momento in cui ci addormenteremo. Questa potentissima metafora viene resa ancora meglio grazie al videoclip promozionale della traccia, che racconta la vicenda di una madre single che alterna la professione di spogliarellista di giorno a quella di prostituta di notte. Su entrambi i "posti di lavoro" raggiunge il proverbiale fondo del barile subendo le più abiette vessazioni, che vanno dalle palpatine di qualche vecchio bavoso fino alle percosse di un cliente iracondo che vuole solo sfogare i suoi istinti più perversi; tutto ciò è degradante ma lei lo fa per i soldi; quel denaro che le consente di dare a sua figlia da mangiare, dei vestiti per un tetto sulla testa, non ha vergogna nel farlo, perché come una guerriera si alza ogni santo giorno per svolgere il suo sporco lavoro e crescere sua figlia con lo stesso affetto che avrebbe avere una qualsiasi altra madre in carriera, una dimostrazione di fierezza e coerenza che non merita altro se non tutto il nostro rispetto. 

Bleeding Me

Passiamo ora alle tracce live: la prima che troviamo nella tracklist è "Bleeding Me" (trad. "Sto sanguinando"), brano contenuto originariamente in "Load". A scaldare l'atmosfera troviamo, come di consueto nelle registrazioni dal vivo, il pubblico in delirio, ancora esaltato per l'esecuzione precedente, quando ecco che senza alcuna presentazione parte il celebre arpeggio della traccia. Il pezzo appare subito come una composizione influenzata dalle sonorità grunge che in quegli anni stavano spopolando negli Stati Uniti, e come abbiamo già sottolineato, sembra che in quel periodo anche i Metallica abbiano cercato di adeguarsi al dictat delle vendite modulando il loro sound verso quelle coordinate. Hammet esegue la sua parte attraverso un pulito riverberato ed effettato anche con il delay, in modo che le note della sua sei corde ricreino un'atmosfera onirica dal gusto seventies; è qui che fa il suo ingresso la voce di Hetfield: non troviamo più il carisma della belva di "Kill'Em All", ma un uomo ormai maturo che come un poeta romantico narra la sua struggente vicenda esistenziale ad un uditorio sempre più attonito. La batteria di Ulrich accompagna lo sviluppo con un quattro quarti lineare che non si sbilancia nell'eseguire passaggi o contrattempi, solo cassa, rullante e charleston a marciare insieme al basso di Newsted in quella che è una camminata verso il destino ignoto. La vera e propria esplosione si ha nel ritornello, dove le chitarre passano alla distorsione ed aprono la composizione con una serie di powerchord maestosi e potenti, il tempo resta lineare, ma il sound si fa decisamente più aggressivo e pesante e finalmente ci fa ricordare chi sono i veri Metallica; conclusa questa parentesi si torna all'arpeggio, creando così quell'effetto di falsa partenza che spiazza ed intriga al tempo stesso l'ascoltatore, quasi a ricreare la quiete dopo un istantaneo scoppio di collera. La seconda strofa procede esattamente come la prima, con la batteria lenta e sinuosa a sostenere la parte arpeggiata per poi riaprirsi nuovamente con gli accordi distorti ed ecco che troviamo il cambio: il gruppo si ferma improvvisamente per poter sentire l'ovazione dei fan, quasi a cercare la carica con cui poter ripartire, l'atmosfera si scalda e finalmente Hammet lancia il riff per il restart; lo sviluppo è decisamente più aggressivo ed i Four Horsemen possono finalmente riprendere quei binari con cui ci avevano esaltato in passato. Sembra quasi un'altra canzone tanto è il tiro acquisito, le chitarre spingono con il palm muting una struttura ormai diventata cadenzata e pesante su cui il moro axemen allievo di Satriani può sfoderare tutta la sua maestria nell'utilizzo del wah wah, ormai divenuto l'effetto principale del suo rack. Raggiunto l'apice, dove il pubblico ha praticamente demolito la struttura del Ministry of Sound di Londra (sede del concerto del 13 novembre 1997, da cui è tratta la registrazione), ecco riprendere l'arpeggio iniziale per arrivare lentamente alla conclusione. Una buona performance live come di consueto per i Metallica, salvo qualche piccola stecca di Hetfield, giustificabile se pensiamo che comunque in un concerto di due ore di durata anche i migliori vocalist possono risentire della stanchezza. Trattandosi di una ballad Seattle oriented, il testo di "Bleeding Me" affonda e si snoda nei meandri dell'anima come un coltello affonda nella carne a seguito di una pugnalata. Il biondo frontman, come una specie di Jacopo Ortis moderno, racconta il suo disagio esistenziale ed il suo senso di straniamento verso quella realtà in cui si sente perennemente escluso grazie ad un'immagine assai suggestiva: quella dello spaesato viaggiatore che deve tracciare il proprio cammino in mezzo ad una selva sempre più oscura. Un messaggio forte, che attesta come nella vita la propria direzione si debba trovare lottando senza sosta e squarciando i rami delle difficoltà a colpi di machete per poter arrivare ad una destinazione che non si conosce, ma che senz'altro sarà migliore del luogo in cui ci troviamo adesso. Ogni giorno stringiamo speranzosi nuove amicizie con altre persone, quasi come se gettassimo fiduciosi dei semi in un terreno che diamo per scontato essere fertile ma che presto ci accorgeremo essere in realtà dannatamente ostile. Sono proprio quelle persone a renderci sempre più inadatti al nostro ambiente, coloro che ci illudono di essere nostri amici per poi voltarci le spalle alla prima occasione utile, lasciandoci abbandonati a noi stessi e tradendo così quella fiducia che ponevamo in loro. Tutte queste delusioni ed il senso di frustrazione ci causano un'immensa tristezza, che oltre a riempire di lacrime i nostri occhi si accumulano dentro di noi fino ad inquinare il nostro sangue; ecco che l'autolesionistico gesto di sanguinare diventa un modo per esorcizzare da noi tutto ciò che di malato e fetido abbiamo dentro. Abbiamo bisogno che la ferita spurghi tutte le scorie; tutto il putridume che ci scorre nelle vene, graffiandone le pareti, deve uscire da noi nel modo più drastico, almeno quanto basta per alleviare il senso di malattia che ci attanaglia dall'interno, il nostro è un male per cui sembra non esistano farmaci se non quello di un lento e costante salasso auto inferto. 

Stone Cold Crazy

La successiva mazzata live arriva con "Stone Cold Crazy" (trad. "Completamente folle"), riproposizione del celebre brano dei Queen tratto dal disco "Sheer Heart Attack" del 1974, eseguita anch'essa in occasione del concerto tenutosi al Ministry of Sound di Londra il 13 novembre del '97. La differenza con la versione originale di Freddy Mercury e soci spicca fin dai primi secondi: i Metallica optano infatti per un approccio più pesante ed energico, che grazie alle loro chitarre grosse e taglienti, ad un basso molto più in prima linea rispetto a quello di John Deacon e ad una versione molto più pestata del drumming di Roger Taylor, sferra ai nostri timpani una martellata gradevolmente molto più dura del previsto. La struttura della canzone di per sé è molto lineare, ed anche i Four Horsemen non se ne distaccano aggiungendo particolari modifiche, la filosofia principale che muove le mani dei californiani è: "Questo pezzo era perfetto già negli anni settanta, vediamo solo di spingere un pochino di più sul pedale dell'acceleratore". In men che non si dica, la traccia assume tutta un'altra essenza, che si esprime all'apoteosi della propria forma venendo sparata on stage dai Metallica. Si tratta per altro di una cover che il gruppo di Los Angeles ha eseguito parecchie volte dal vivo (compare anche, per esempio, nella tracklist del singolo "Live in London-Antipodean Tour Edition" in versione estratta da un'altra esibizione) e per quanto azzeccata sia la reinterpretazione degli autori di "Master Of Puppets", in questa particolare esiecuzione essi appaiono un pochino stanchi; non fraintendete, la riproposta è riuscita benissimo, solo che il gruppo sembra viaggiare più lento di qualche bpm rispetto a come siamo abituati a sentirlo di solito. Una "pecca" tutto sommato accettabile, dato che andando leggermente più lenti restano ancora più fedeli ai Queen ed un po' di stanchezza ci può comunque stare. L'attacco è decisamente di impatto, il classico power chord tenuto insieme al feedback di chitarra su cui viene lanciato l'avvio attraverso i quattro colpi di charleston, i fan hanno immediatamente riconosciuto il brano ed esplode il tripudio, tanto che James Hetfield riesce a cantare solo la prima metà delle frasi contenute nelle strofe, fedelmente completate dai presenti. L'enfasi della partecipazione è tale che lo stesso biondo leader deve canticchiarsi quelle parole nella testa, lasciandone trasparire un lieve accenno nel microfono, per non restare troppo indietro. Per tenere sempre desta la tensione dell'audience, Lars Ulrich si concede di tenere il tempo principale anche in alcuni break, invece dei canonici colpi sul charleston, uniti a degli accenni di palm muting di Hammet sempre per non smorzare troppo il tiro dell'esecuzione, i Metallica vogliono infatti rendere omaggio alla band inglese restando nel "proprio orticello" thrash metal, viene quindi naturale aspettarsi un pizzico di potenza in più che va a concludere il tutto con un finale tanto improvvisato quanto epico sullo stile delle grandi canzoni di "Ride The Lightning": degli stacchi marziali a cui segue un power chord aperto che si chiuderà in una rullata serrata, in pieno stile "Creeping Death". Per le parole di questa traccia, Hetfield deve farsi interprete dell'istrionica "follia" artistica di Freddy Mercury; siamo nella prima fase della carriera della Regina, dove il frontman originario di Zanzibar sfoggiava ancora la folta chioma e le sue calzamaglie aderenti multicolore, quasi ad interpretare il ruolo di giullare dal genio sopraffino di una corte medievale che scriveva testi narranti semplicemente lo scorrere della sua immensa fantasia. La scena è quella di un sabato mattina, durante il quale il protagonista sta ancora dormendo rumorosamente ancora esausto dalle scorribande della notte precedente. Sogna di essere il gangster americano Al Capone e la città quindi è letteralmente sua, completamente dominata dai loschi traffici mafiosi che improvvisamente vengono interrotti dall'arrivo della legge che lo costringe alla fuga. Essendo un boss, non ha bisogno di tanti sotterfugi: la strategia dei suoi scagnozzi per farlo uscire illeso è impeccabile ed all'arrivo dei poliziotti lui è già fuggito da tempo. Si passa al drastico cambio di scena, ora siamo sempre a New York ma durante un pomeriggio piovoso; il gangster è nella sua lussuosa camera d'albergo intento a suonare il trombone quando improvvisamente viene colto dalla pazzia irresistibile che lo rende completamente pazzo. Immediatamente, eccolo precipitarsi giù per le scale fino in strada, dove a colpi di arma ad acqua (un onirico mitra tommy gun riconvertito) si diverte burlescamente a bagnare tutte le persone che incontra; uno scherzo innocente, ma che nella realtà del suo sogno si presenta comunque come atto criminale per il quale viene prontamente inseguito dai tutori della legge, la fuga per le strade newyorkesi è rocambolesca ma alla fine viene catturato, processato e rinchiuso in carcere, dall'immensità del suo attico ad un'angusta cella di prigione, a tenergli compagnia ora sarà quel brio giocoso e scherzoso, troppo a lungo soffocato, che lo ha reso, alla fine, completamente folle. 

The Wait

A chiudere la tracklist di questo singolo troviamo un altro estratto dal concerto londinese del Ministry of Sound, che vede i Metallica intenti a regalarci la loro versione di "The Wait" (trad. "L'attesa"), canzone scritta originariamente dai Killing Joke ed apparsa sul loro album omonimo del 1980, anch'essa tra le "preferite" dei Four Horsemen per l'inserimento delle scalette degli show. Il pubblico è sempre in visibilio, e senza alcuna presentazione ecco apparire l'introduzione funerea del brano, composta di sole due note di chitarra dal gusto tipicamente doom. Sembra quasi che sia calata l'oscurità sul palco, quel semplice semitono di distanza fa sì che tutto lo sviluppo acquisisca un tono tenebroso ed avvolgente, l'atmosfera ideale per l'ingresso del riff serrato in palm muting eseguito da Hetfield; l'tmosfera aumenta di tensione e di lì a poco entra la batteria di Ulrich con il suo consueto quattro quarti lineare che accompagna l'intera struttura del pezzo. Trattandosi di un brano dalle sonorità prettamente punk non ci troviamo di fronte a particolari espedienti ritmici, siamo negli anni in cui il movimento inglese si stava avviando verso la propria stagnazione e la band di Jaz Coleman stava ancora ricercando la propria direzione, in vista di quella sperimentazione che avrebbe fatto dei Killing Joke uno dei nomi più innovativi di fine anni ottanta. Il dinamismo della traccia ci è regalato dall'alternanza delle strofe serrate contrapposte all'apertura del ritornello, dove una serie di accordi sempre più alti di tonalità offre ad Hetfield un'ottima base per tenere lunga la nota della parola "wait" del titolo della canzone; in questa particolare esibizione, il thrasher di Los Angeles si concede un po' meno vocalizzi del solito, indizio forse attribuibile alla già citata stanchezza di un live di due ore in cui questa cover si trovava probabilmente in chiusura, stiamo comunque parlando dei Metallica, una band che ha ormai fatto dei palchi il proprio habitat ed i cui musicisti sono ben consci del fatto che è proprio alla fine dello show che bisogna dare il duecento per cento, per regalare ai fan un'esperienza indimenticabile. Il brano procede infatti cadenzato e potente fino alla fine, dove il gruppo si cimenta in una chiusura netta e marcata a cui fa immediato seguito l'ovazione del pubblico; d'altra parte i pezzi della corrente punk sono stati scritti per questo, iniziare, colpirci direttamente e finire in maniera drastica, come uno squarcio di rabbia collerica in un immenso silenzio, ed anche in tal senso, i Four Horsemen si sono dimostrati degli ottimi interpreti. Le liriche di "The Wait" si tingono immediatamente di un alone dark; centro tematico di questo testo è nuovamente il disagio esistenziale del singolo individuo contrapposto alla massa. L'immaginario è infatti quello di una Londra nel pieno periodo del governo Tatcher, dove il liberismo economico ed il progressismo politico celano sotto una velata felicità ipocrita una decadenza umana che inesorabilmente dovrà compiersi. Per quanto efficace e radicata possa essere la propaganda politica nell'anestetizzarci di fronte alla cruda realtà, vi sarà sempre qualche individuo conscio di quanto sta realmente accadendo, consapevole del fatto che giorno dopo giorno cambieranno gli slogan ma le maschere decadenti sui volti della gente saranno sempre uguali e non si può fare altro che restare in attesa di questo prossimo fallimento umano. Nel suggestivo scorcio del Tamigi, si resta ad osservare il galleggiamento di quelle carcasse avvelenate dalla menzogna che una volta erano individui fiduciosi nel futuro e che, delusi dalla verità, non hanno avuto altra scelta se non quella di gettarsi nelle acque oscure di un destino fluviale; il tempo passa e noi restiamo sempre in attesa, aspettando il definitivo risveglio da questo torpore che non avverrà mai, noi aspettiamo e nel mentre i suoni distorti della modernità deformano i nostri pensieri, facendoli altalenare tra un flebile ottimismo ed un pessimismo tagliente quanto la lama di un coltello; ci promettono che tutto sta cambiando in meglio, ma noi restiamo in attesa, consapevoli che è tutto falso; da persone educate tuttavia acconsentiamo e facciamo anche un plauso all'ottimismo ma restando consapevoli che questa grande svolta non arriverà mai.

Conclusioni

"Turn The Page" è quindi un singolo che vuole dimostrare come i Metallica stessi vogliano tendere verso un qualcosa di nuovo nella loro carriera. "Load" e "Re-load", per quanto amati, odiati, discussi, ridiscussi e forse sommariamente metabolizzati, hanno tuttavia indiscutibilmente tracciato un nuovo prolungamento di una carriera iniziata nel 1983. Se con l'ep del 1987 i 'Tallica volevano fermarsi un secondo a riprendere fiato per guardarsi indietro verso gli anni in cui si cimentavano ad eseguire in saletta le cover dei propri idoli, il progetto di un disco di brani altrui riarrangiati anticipati con questo singolo vuole essere una tappa che mira nuovamente a quell'obiettivo. Gli anni novanta hanno infatti visto James Hetfield e soci calcare i palchi e le arene di tutto il globo tanto quanto fecero nella fine degli anni ottanta, un lavoro che per quanto affascinante e soddisfacente lascia letteralmente spompati, il discorso cover è quindi un voler ricaricare le proprie batterie e tornare in sala prove senza quel gravoso onere di dover immediatamente scrivere altro materiale inedito da mandare in stampa per il nuovo disco, anzi, la successiva uscita di "Garage Inc." (pubblicato a breve distanza da questo singolo) rappresenta forse il coronamento di un qualcosa di cui la band aveva bisogno ormai da dieci anni: la pubblicazione di una raccolta di tutti questi omaggi, magari abbozzati qualche volta e poi meglio strutturati a tavolino visto il loro potenziale, offre al gruppo il giusto compromesso tra regalare ai fan un altro prodotto marchiato Metallica ed un lavoro per i quattro musicisti non troppo faticoso e decisamente più rilassante. Gli artisti a cui rendere tributo sono stati scelti, le coordinate direzionali delle cover sono ormai tracciate e con "Turn The Page", i quattro di Los Angeles vogliono mettere in allerta i loro seguaci che presto arriverà qualcosa di nuovo e sicuramente inaspettato, quasi a rassicurarli che quegli omaggi estemporanei ai grandi della musica eseguiti in varie occasioni non erano schitarrate fatte tanto per allungare le scalette dal vivo, ma rientravano in un piano ben preciso al quale il gruppo stava ponendo gli ultimi ritocchi. Dopo un periodo artistico non proprio in linea con la propria etica, i Metallica sembrano quindi trovarsi più a loro agio a "dire la loro" su canzoni scritte da altro pugno che non a comporre nuovo materiale, ben venga quindi la loro scelta di optare per ciò per cui si sentivano più preparati invece che addentrarsi ulteriormente in un campo minato attraversato con qualche passo falso e dal quale sono usciti con qualche "mutilazione" artistica.

1) Turn The Page
2) Bleeding Me
3) Stone Cold Crazy
4) The Wait
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