METALLICA
Trough The Never (Music From Motion Picture)
2013 - Blackened Recordings
DAVIDE CILLO
26/04/2016
Introduzione Recensione
Protagonista della recensione odierna è il film/concerto 3D Through the Never dei Metallica. Usciremo quindi dai canoni dei consueti lavori, narrandovi di un'esibizione live a cui, parallelamente alla musica della band, si accompagna lo svolgimento di una trama. Il lungometraggio ha, oltre ovviamente alla band, Dane DeHaan come attore protagonista, conosciuto perlopiù per il ruolo di Harry Osborn / Green Goblin nel film "The Amazing Spider-Man 2 - Il potere di Electro". A dirigere il film è stato scelto Nimród Antal, conosciuto principalmente per essere stato il regista di lavori come "Kontroll" e "Predators". Secondariamente, Antal ha girato diversi cortometraggi e videoclip, recitando anche ruoli secondari in qualche film. La trama ci narra dell'avventura vissuta nell'arco di una notte dal protagonista, di nome Trip. I Metallica parallelamente hanno in programma un concerto in una grande arena ed il ragazzo, un roadie, sceglie di unirsi al resto del pubblico per l'inizio dell'esibizione. Sfortunatamente per lui il suo superiore, Mackenzie Gray, lo avvertirà che la band è rimasta senza carburante in un sottopassaggio. Lui dovrà quindi uscire e con il suo furgone, dopo aver preso una tanica di benzina, rifornire il camion della band così da permettere lo svolgimento dello show. Trip prenderà una pillola poco prima di mettersi al volante, e così inizierà un surreale viaggio attraverso le desolate strade della città. Mentre si trova alla guida le sue condizioni divengono sempre più precarie e, dopo aver superato un semaforo con il rosso, viene travolto da un'automobile in piena corsa. Ripresa conoscenza, Trip si accorgerà che l'altro conducente è in piedi ed in evidente stato confusionale: si appresterà quindi a dirigersi verso di lui ma, non appena avvicinatosi, costui scapperà rapidamente. A quel punto, guardandosi intorno, Trip noterà improvvisamente che la città è in preda ad una rivolta, e si accorgerà di trovarsi nel mezzo fra la polizia antisommossa e la folla ribelle. Il capo dei rivoltosi sarà nientemeno che un cavaliere mascherato, armato di un enorme martello. Questo misterioso personaggio si diletta nel catturare la gente mediante un laccio, per poi impiccare a dei lampioni le vittime. Trip, accorgendosi di ciò, lancerà all'antagonista un mattone, per poi darsi alla fuga. Dopo essere riuscito a fuggire, il ragazzo troverà il camion e, dopo aver cercato invano di richiamare il conducente all'attenzione, aprirà il portellone posteriore trovandoci una borsa. Il contenuto di essa non viene mostrato allo spettatore, ma sembra impressionare Trip. E' a questo punto che i rivoltosi ritrovano lo sfortunato protagonista, inseguendolo e mettendolo alle strette. Il ragazzo, sempre più in difficoltà, si lascerà cadere la borsa e verserà il contenuto della tanica su di sé, prendendo fuoco e lanciandosi verso la folla. Dopo essere stato sovrastato, si risveglierà sul tetto di un edificio, venendo improvvisamente attaccato da un misterioso e malvagio cavaliere mascherato. Il protagonista riuscirà abilmente a sottrarre il mantello del nemico e a colpirlo vigorosamente. In un secondo momento Trip, trovandosi faccia a faccia con il suo avversario, deciderà di utilizzare il martello gigante per colpire violentemente il pavimento , con il potente impatto che causerà onde d'urto distruttive in tutta la città. Mentre il cavaliere si avventerà su Trip, costui utilizzerà ancora una volta il martello contro il pavimento, tramutando il cavaliere ed il suo cavallo in cenere. Questa seconda onda d'urto causerà diversi incidenti attorno all'arena, dove parallelamente alle scene del film la band continua ad esibirsi, distruggendo gran parte delle attrezzature e ferendo i membri della crew: i Metallica saranno quindi forzati a sospendere il concerto durante l'esibizione di Enter Sandman. Una volta avvenuta la valutazione del danno, la band sceglierà di proseguire lo show con la canzone Hit the Lights, utilizzando illuminazione e amplificatori ad hoc. Concluso il concerto, Trip farà ritorno all'interno dell'arena, completamente deserta, lascerà la borsa sul palco e si allontanerà dallo stesso. E' a questo punto che, durante la canzone Orion, Trip sarà fisicamente distrutto e siederà sugli spalti. La ripresa finale sarà sul borsone, il cui contenuto comunque non verrà rivelato. La colonna sonora del film, intitolata "Through the Never (Music from the Motion Picture), è composta da sedici tracce estrapolate dagli show tenuti dai Metallica in Canada durante l'estate 2012. La pubblicazione è avvenuta il 24 settembre 2013 nei formati doppio CD e download digitale, mentre il 29 novembre nei formati 33 e 45 giri. Il film è stato proiettato in anteprima mondiale il 9 settembre 2013 al Toronto International Film Festival, per poi essere successivamente distribuito nella sale cinematografiche statunitensi a partire dal 27 settembre con l'ausilio della tecnologia IMAX 3D. La scelta del giorno è ricaduta sul 27 settembre, in quanto 27° anno dalla scomparsa di Cliff Burton. A partire dal 4 ottobre, il film è stato distribuito in tutto il mondo. Di seguito, la band ha il 21 novembre annunciato la pubblicazione del film nei formati DVD, Blu-Ray, 3D Blu-Ray, download digitale e video on demand a partire dal 28 Gennaio 2014. A costituire le versioni fisiche è stato invece un doppio disco: il primo include il film con relativo trailer, il videoclip di Master of Puppets e un EPK con le interviste al cast, alla crew e al team addetto al sound. Il secondo invece include il dietro le quinte del film, il Q&A (Questions and Answers) con i Metallica, il regista Nimrod Antal e Dane DeHaan al Mill Valley Film Festival e i momenti salenti dell'Orion Festival 2013 illustrati da Lars Ulrich. Per promuovere il film, il gruppo ha scelto di esibirsi a sorpresa in occasione della prima giornata dell' "Orion Music + More" tenutosi a Detroit. Durante tale evento, la band ha suonato sotto il nome di DeHaan, cognome del già introdotto attore protagonista. Il film è inoltre stato presentato fuori concorso in anteprima mondiale in occasione del Festival di Cannes 2013. Gran parte del processo di produzione del film è stato pubblicato sul canale YouTube della band e suddiviso in 13 video dietro le quinte. La serie si intitola "Hit the Lights: The Making of Metallica Through the Never". Prima di dedicarci all'ascolto dei brani di questo concerto-live, è importante capire con che spirito goderci e come valutare quest'opera: la band, con quest'uscita, ha voluto lasciare un'ulteriore testimonianza tangibile della sua storia e del suo percorso, volendo proporre un qualcosa di diverso. Se nella parte conclusiva giungeremo alle considerazioni finali, in questa è importante capire lo svolgimento e la composizione della trama: questa si svolge parallelamente fra show e vicende narrative, ma come se le due fossero in qualche modo continuamente collegate fra loro. Infatti, man mano che il protagonista si troverà nei guai nella città di Vancouver, avverrà una progressiva decostruzione dello stage in cui i Metallica si stanno esibendo, al punto che negli ultimi brani la band si ritroverà a suonare con dei mezzi davvero arrangiati. Ovviamente, non ci saranno momenti di pausa musicale, ma l'intero show sarà costantemente accompagnato dalla musica del concerto. A tal proposito è importante capire che la musica non proviene realmente da un'esibizione live come l'avete potuta ascoltare dal vivo con le vostre orecchie, ma è stata estrapolata dai "frangenti" migliori di una serie di show e poi rielaborata e, per dirlo in maniera grezza, migliorata in studio attraverso tutte le fasi di produzione. Ovviamente questo è tanto un particolare da considerare come anche un qualcosa da accettare, dato il contesto e le esigenze. Viene a mancare l'esigenza della spontaneità, che deve lasciar spazio all'effettiva necessità di rilasciare un grande prodotto concepito per un grande pubblico, cosa assolutamente comprensibilissima e per cui sarebbe ingiusto volgere critica alcuna alla band. Prima ancora di cominciare con la fase track by track intendo tuttavia prendere le distanze da quei recensori, anche addetti di riviste celebri, che hanno valutato le canzoni per come le hanno ascoltate, come se queste fossero davvero parte di un unico show suonato dinanzi al proprio pubblico: ritengo sia impossibile infatti giudicare questo film dimenticandosi di un particolare di tale importanza. Credo infatti, per mia personale opinione, che praticamente qualsiasi band al mondo sarebbe in grado di suonare al meglio prendendo la canzone migliore estrapolandola da ogni differente show e poi rielaborandola in studio. Detto e considerato questo, siamo pronti a lanciarci nell'ascolto di questa ambiziosa produzione dei Metallica, quella che certamente è una delle due metal band più celebri e conosciute al mondo (sull'altro posto del trono possiamo metterci gli Iron Maiden volendo), responsabile di aver scritto una parte importante della storia del genere così come oggi lo conosciamo. La nostra avventura musicale durerà sedici tracce e avrà all'incirca la durata di un'ora e 40 minuti: mettetevi dunque comodi e buon ascolto a tutti!
The Ecstasy of Gold
La canzone si apre con l'intro The Ecstasy of Gold, il capolavoro di Ennio Morricone preso in prestito dai Metallica per la maggior parte degli show dal vivo. Il brano fu composto dal genio e maestro italiano di musica come colonna sonora del film di Sergio Leone "Il buono, il brutto, il cattivo", uno dei migliori lungometraggi in assoluto della storia del cinema, e per alcuni a buon ragione ritenuto miglior film mai realizzato. La band proveniente dalla Bay Area californiana sceglie quindi di importare quell'irripetibile atmosfera di epicità per i propri spettacoli, in maniera propizia per incendiare il pubblico già prima dall'inizio del concerto. La suspense tipica dell'epilogo del capolavoro del genere western si mostra perfetta per la band, che scelse tale introduzione sin dalle origini della propria attività musicale, quando correva l'anno 1983. Nei principali live e album dal vivo rilasciati dalla band, inclusi "Live Shit: Binge & Purge" e "S&M" è possibile ascoltare tale intro. La storia fra Metallica e Ennio Morricone non termina però qui: i californiani infatti realizzarono una versione rock per l'album tributo del 2007 "We All Love Ennio Morricone", che venne anche nominata per il Grammy Award nella categoria "Best Rock Instrumental Performance". Tale versione venne poi eseguita dal vivo in una circostanza, uno show dei Metallica a Copenaghen del 2009. Durante questa intro la band cammina ed entra sul palco, nella misteriosa oscurità che precede il vero e proprio inizio dello show. Anche l'attore Dane DeHaan cammina e avanza verso lo stage, attendendo l'inizio dello spettacolo.
Creeping Death
All'improvviso finale di "The Ecstasy of Gold" segue la ruggente Creeping Death (La Morte che Avanza), condita dall'esplosione scenografica dove luci e lampioni battezzano l'inizio vero e proprio dell'esibizione: l'accordatura è ribassata per venire incontro alle esigenze di Hetfield e, fra le urla del pubblico, la canzone si avvia in maniera più ruggente e esplosiva che mai. Di velocità leggermente superiore alla versione studio, la canzone riff dopo riff colora nel migliore dei modi il mito Metallica. Il potente riff iniziale, dotato di un valore unico, si evolve in maniera incisiva fino a battezzare la strofa di canto. Il vocalist, chiaramente e comprensibilmente consumato dagli anni di carriera con la band, ha saputo adattare il proprio stile canoro al naturale cambiamento. Pur mancando qualche input importante dalla batteria, che qui si limita al "minimo indispensabile", la stupenda partecipazione del pubblico e la perfetta esecuzione della band rende merito alla storia. Terminato l'assolo di Hammett, che qui squilla alla perfezione, lo storico rallentamento dove il frontman recita "die by my hand" viene personalizzato. La band sceglie infatti di staccare il pezzo e far divertire i propri sostenitori, che intoneranno in coro la parola "Die" per oltre 40 secondi. I "limiti" vocali di Hetfield passano quasi in secondo piano, per far spazio alla grande partecipazione del pubblico. Per quanto riguarda il sound, questo si mostra perfetto e potente, in particolar modo durante gli assoli di Hammett, che davvero rendono fede alla storia della band e allo stile da sempre ascoltato in studio. Godibilissimi in particolare i bending, molto importanti nel donare quel tocco unico e potente alle parti di assolo, specie nei frangenti conclusivi. Le liriche narrano delle piaghe d'Egitto, ovvero le punizioni che nell'Antico Testamento della Bibbia, ovvero la parte narrata prima dell'arrivo di Gesù, si dice siano state mandate da Dio agli Egizi affinché Mosè potesse liberare gli Israeliti dal paese della schiavitù. Nella prima parte della canzone la band ci racconta dunque come gli Ebrei fossero schiavi, prima dell'abbattimento delle piaghe sul popolo egiziano. Durante questa catastrofe l'acqua del Nilo muta e si trasforma in sangue, oscurità e fuoco portano morte al popolo schiavista e il primogenito del Faraone si ammala andando incontro alla morte. "Così è scritto e così sia fatto", affermano le liriche, "sono inviato dall'eletto", riferendosi alla liberazione ottenuta dal popolo schiavo grazie alla guida di Mosé. Sebbene delle dieci piaghe la band ne citi tre o quattro, la sensazione di violenza che la band ha voluto trasmettere non risulta minimamente compromessa.
For Whom the Bell Tolls
Seconda traccia del concerto è For Whom the Bell Tolls (Per Chi Suona la Campana), altro storico capolavoro proveniente dal secondo album della band "Ride The Lightning". In una scenografia accesa ma relativamente sobria, che vede il pavimento del palco mostrare immagini di alcuni soldati, la band è inoltre accompagnata da alcuni fari sulle estremità dello stage. Durante i cori di un pubblico in delirio la band, come al suo solito, dona un tocco di personalizzazione alla traccia rispetto a quella ascoltata nella versione studio. La straordinaria distorsione del basso si mostra preziosa a tal fine, come anche le grandi capacità di Trujillo. La potente distorsione sostiene al meglio il riff in palm muting che segue, valorizzato al meglio e reso incisivo e concreto. La voce di Hetfield è reverberata in maniera talvolta anche estrema, assumendo strategicamente nei momenti più importanti le caratteristiche di un autentico eco che risuona per diversi secondi. In particolar modo, ciò avviene in quei momenti in cui il pezzo si ferma per poi ripartire, in maniera davvero furba e sapiente. La canzone, rispetto alla precedente, mostra qualche similitudine in più con la versione studio, almeno nella sua prima metà. Infatti, a differenza della prima parte, durante lo stacco conclusivo ci si affida al particolare arrangiamento chitarristico di Hammett e ad un vero e proprio assolo, assente nella versione originale del brano. Questa parte è godibile e calzante, spontanea e apprezzabile, davvero opportuna nel diversificare lo show dalla già conosciuta versione dell'84. La partecipazione del pubblico è straordinaria, e in questa come nella precedente traccia lascia una sensazione e un tocco unico all'esibizione. Particolare merito bisogna darlo anche qui al sound, che davvero dona alle chitarre un equilibrio che è perfetto compromesso fra il "taglio" tipico del Thrash vecchia scuola e la "potenza" moderna. Le liriche della canzone prendono spunto dal romanzo "Per chi suona la campana" di Ernest Hemingway del 1940, ritenuto insieme a "Il sole sorgerà ancora", "Il vecchio e il mare" e "Addio alle armi" uno dei migliori lavori dello scrittore. Nelle liriche cinque soldati repubblicani dell'epoca della Guerra civile spagnola cercano di sfuggire con i loro cavalli dai fascisti, mentre il freddo si abbatte su di loro. Non si tratta tuttavia di un gelo materiale, ma di uno portato dentro la propria anima a causa della vicinanza dell'indicibile sensazione di morte. I soldati vengono sfortunatamente uccisi su una collina da un aereo nemico, interrogandosi durante gli ultimi momenti di vita su cosa sia giusto o sbagliato. A tale quesito non viene data risposta alcuna ma, al contrario, il testo si concentra sul grande dolore provato dalle vittime.
Fuel
Fuel (Benzina) è la quarta traccia del CD1, terza del concerto se si esclude la intro. Il pezzo incomincia fra il delirio del pubblico, mostrando una vena più aggressiva ed esplosiva rispetto alla versione studio. Gli effetti scenografici portano una serie di casse da morto discendere dall'alto ai lati dello stage, dove sono sospese. Queste grandi bare, bianche e con una grande croce nera stampata sopra, donano un tocco unico all'ambiente d'esibizione; le scenografie infatti utilizzate durante l'esibizione sono state costruite ad hoc, e probabilmente mai le vedremo durante un'esibizione "reale" della band, ma anche su pellicola riescono a dare il desiderato effetto, quello di stupire. Questo brano si mostra, rispetto agli altri, molto più adatto alle nuove esigenze vocali di Hetfield. Il timbro vocale del cantante sembra infatti perfetto per la traccia, che in questa circostanza tira fuori le sue qualità migliori. Dal punto di vista degli arrangiamenti e dell'esecuzione in senso stretto, le differenze con la versione studio sono ridotte, sebbene Hammett dia un tocco molto personale grazie ad un sapiente uso dell'effettistica. Il potente riff principale rimbalza con potenza e, nella lunga serie di stop and go, riesce sempre a mostrarsi godibile e fresco all'ascolto, nonostante il basso numero di variazioni che caratterizza il brano durante la sua prima metà. Durante il rallentamento di metà brano il frontman torna ad incitare più che mai il pubblico, che risponde con entusiasmo mentre Hammett colora lo sfondo musicale con un rapido assolo dotato di grande espressività, dove il brano torna a differenziarsi dalla versione studio. A rendere speciale la canzone, bisogna ribadirlo, resta comunque la voce di Hetfield, il cui cambiamento vocale negli anni diventa un'autentica valorizzazione, visto l'incredibile feeling posseduto con l'armonia chitarristica. Anche coloro che, come me, possiedono una preferenza per i Metallica del primo periodo, dovranno ammettere che in questo frangente il brano, anche per la scelta del sound, si mostra davvero valido e incisivo. Il pezzo, terzo estratto dal settimo album studio "ReLoad" del 1998, affronta delle liriche già care alla band dai primi periodi di carriera. I Metallica ci raccontano del brivido unico che si prova nella guida veloce, tramite l'incredibile adrenalina ed eccitazione sperimentata dal protagonista durante il brano. L'uomo paragona la sua dipendenza per le corse a quella che si prova per le droghe, affermando di bruciare per il godimento sperimentato durante la guida. La sfida automobilistica viene descritta dal protagonista come unico mezzo per vivere con soddisfazione e passione la propria vita, dove la strada diviene unico luogo nel quale, per davvero, ci si sente a casa, provando un grande fuoco interiore che brucia dentro. A causa dei continui paragoni con le dipendenze in moltissimi pensano, o sostengono di sapere, che la canzone avesse dovuto originariamente parlare dei problemi di Hetfield con l'alcol, per poi essere ri-arrangiata. Evidentemente però non è così, che è ciò che conta.
Ride The Lightning
L'episodio successivo, Ride The Lightning (Cavalcare il Fulmine), viene introdotto da Hetfield come "roba vecchia" (in senso ironico ovviamente). Qui il sound si mostra abbastanza adeguato anche ad un lavoro più old school, anche se nuovamente si risente un bel po' del calo vocale di Hetfield, che davvero influenza abbastanza drammaticamente la godibilità della canzone. La band sceglie qui di mantenersi assolutamente fedele alla versione originale, volendo accontentare quei fan che altro non aspettano che questo. La canzone avanza in maniera compatta e quadrata, rendendo comunque in maniera valida lo storico riff della strofa e quello più rapido che funge da bridge. L'esecuzione dell'assolo di chitarra è perfetta, anche se l'accordatura ribassata fa perdere un po' di quell'appeal squillante che davvero ben si sarebbe adattato alla canzone. La linea batteristica è suonata qui abbastanza fedelmente, e svolge adeguatamente il lavoro per rendere potente il brano al punto giusto. La pecca principale di questa canzone è proprio che, essendo estremamente incentrata sulla potenza delle strofe, risente molto della scarsa resa della vocalità: in quasi sette minuti di canzone è proprio la musicale composizione di strofe e ritornelli a rendere il brano storicamente unico, quindi forse non ha pagato la scelta, probabilmente inevitabile, di suonare la title track del secondo album. Davvero stupenda la scenografia, che durante il film ci mostra una sedia elettrica discendere dal cielo sullo stage, con tanto di elettricità e bagliori visivi, un richiamo alla copertina del secondo disco della band. Il racconto ci narra di un uomo condannato a morte che, legato alla sedia elettrica, prende consapevolezza che la sua vita sta giungendo al termine. Il protagonista contesta il diritto di sottrarre la vita ad un'altra persona, un diritto che dovrebbe appartenere solamente a Dio. Durante la canzone la band sceglie di concentrarsi sul sentimento di paura provato dal condannato, che realizza di voler vivere ma comprende di non aver alcuna voce in capitolo. La sofferenza è anche data dal fatto che, nella tremenda vicenda, i minuti paiono scorrere come se fossero ore. Il povero uomo non è per altro certamente aiutato dalla consapevolezza di essere innocente in quanto, non avendo commesso alcun crimine, sta per essere giudicato ingiustamente. In diverse interviste rilasciate Hetfield ha dichiarato che non intendeva criticare o contestare la condanna a morte, ma solamente esprimere lo stato d'animo che, sulla sedia elettrica, vive colui che si prepara al decesso. Un punto di vista un po' strano, dal momento che si è scelto di rendere una storia su un uomo innocente.
One
Nella follia del pubblico comincia l'intro di One (Uno), uno dei brani più storici all'interno dell'intero panorama Heavy Metal, ed anche nel repertorio specifico della band. Fra rumori di guerra le urla del pubblico che, in preda all'entusiasmo, uniti in coro accompagnano l'inizio dello storico arpeggio, accompagnato sin da subito una incredibile presentazione scenografica del palco. Lo stage infatti, fra fumi e fari di tenebroso colore rosso, mostra diversi video di soldati che silenziosamente avanzano, prima di essere colpiti da bombe e eventualmente cadere in battaglia. La canzone, protagonista del famosissimo videoclip tratto dal quarto album "...And Justice For All", si ritrova perfettamente anche con l'accordatura in RE, dove le melodie rendono al meglio. Incredibile la scenografia, dove bagliori verdi e grandi effetti di luce accompagnano l'intero svolgimento della canzone. Qualche bella personalizzazione vocale per Hetfield rispetto alla versione studio, dove l'introduzione a differenza del live era tutta melodica, mentre nello show il frontman sceglie di interrompere l'ambiente calmo con quante feroce urlo. Bellissimo e armonioso l'assolo iniziale di Hammett, anche qui reso perfettamente sotto ogni punto di vista. Prima della parte più violenta della canzone la band sceglie di cambiare suoni e armonizzazioni in maniera accattivante e interessante, ad eccezione di qualche frangente vocale che ancora una volta lascia a desiderare in parte, ma non così tanto da non apprezzare in toto l'esibizione. La parte più aggressiva del brano, che parte dove vi è la storica sezione di serrata doppia cassa, vede ancora qualche personalizzazione sull'armonia, come del resto avviene nella conclusione. Puntuale e perfetto anche il secondo assolo di Hammett, che fino a questo momento risuona perfettamente nelle sue performance. Ad eccezione di alcuni frangenti vocali un po' "pacchiani" la canzone si mostra dunque suonata in maniera soddisfacente, ritrovando nelle personalizzazioni e differenze dallo studio le sue maggiori qualità. Il brano narra di un soldato che perde i suoi arti e diviene incapace di ascoltare, parlare e vedere, in conseguenza della guerra da lui vissuta. L'uomo, ritrovandosi sotto stato di shock nel mezzo del campo di battaglia, non è più in grado di distinguere un sogno dalla verità. Mentre il conflitto divampa, implora Dio di svegliarlo dall'incubo che sta vivendo: il protagonista si ritrova infatti attaccato ad una macchina, che permette alla sua vita di continuare. In questo tremendo stato d'essere l'ex soldato desidera la morte, unico mezzo per sfuggire alle tenebre e all'orrore in cui si ritrova, unico modo di liberare la sua anima dalla cella in cui si trova. Nella parte conclusiva del brano, l'uomo prende coscienza di aver perso vista, parola, udito, braccia, gambe e anima, abbandonandolo in ciò che senza mezzi termini definisce un vero inferno. Il pezzo, uno dei più celebri e preferiti dai fan, dal vivo è stato solitamente sempre eseguito ribassato di un semitono.
The Memory Remains
Si procede con The Memory Remains (Il Ricordo Rimane), seconda traccia tratta dall'album "ReLoad" del '97. Rispetto ai classici del Thrash, il sound ribassato e potente valorizza ancor più brani come il seguente, dove ancora una volta i Metallica tirano fuori il meglio di loro nel corso dello show. Allo stesso modo di "Fuel" è infatti impossibile non constatare che l'esibizione è più adeguata sotto ogni punto di vista. Qui si sceglie una scenografia povera ma non per questo meno valida, dove unico elemento degno di nota è il solito pavimento animato dello stage. Mentre incalza il potente e musicale riff della band, la cadenzata batteria di Ulrich si mostra pienamente opportuna, come anche la voce di Hetfield che finalmente torna a quello che oramai è definibile come "il suo genere". A differenziare il brano dalla versione studio è principalmente il continuo dinamismo donato dal lavoro di Kirk Hammett, che con piccoli arrangiamenti, qui più in primo piano, accompagna in maniera interessante il riff principale durante le sue ripetizioni rendendolo costantemente fresco all'ascolto. Allo stesso modo, anche la voce del frontman qui viene un po' riadattata all'esigenza live, quella di coinvolgere il pubblico. Gli spettatori infatti svolgono un ruolo fondamentale durante l'esibizione del brano, cantando e prendendo parte allo show a tutti gli effetti, specie nel momento in cui sono chiamati a canticchiare la melodia portante del brano. Da citare è anche il grande contributo di Trujillo, che con il suo sostegno al microfono (per esempio quando in maniera secca dice "fade to black") contribuisce all'appeal del brano. La grande capacità di questa canzone è infatti quella di riuscire a essere coinvolgente e carismatica, nonostante la grande semplicità e mancanza di variazioni nelle basi della linea musicale. Il brano ci narra di una donna il preda alla malinconia. La protagonista un tempo era una celebrità e, abituata ad ottenere qualsiasi cosa, si era abituata ad uno stile di vita adagiato. Con il passare degli anni la sua fama era però svanita, costringendola ad affrontare la dura realtà del "ritorno alla normalità". La protagonista sceglie dunque di voler riacquistare la fama ma, sfortunatamente, aveva cominciato ad impazzire in seguito al suo declino. Il racconto si svolge concentrandosi sulle emozioni e sulla tristezza sperimentata dalla persona, accompagnate dalla consapevolezza che il tempo scorre e, sfortunatamente, nulla se non la memoria resta per l'eternità. Il passaggio della fama viene paragonato dalla band ad un tramonto, che però non conosce una nuova alba.
Wherever I May Roam
La buona prova della band sulla canzone viene seguita da un altro brano del "periodo di mezzo" della carriera dei Metallica, ovvero Wherever I May Roam (Ovunque Possa Vagare), quinta traccia dell'album del '91 che noi tutti conosciamo con il nome di "black album". La canzone parte sotto intense luci verdi, che unite a dei potenti fari azzurri decorano lo svolgimento del brano. I fari poi cambieranno colore e appeal, a seconda dei momenti in cui la canzone progredirà. Scatenato il pubblico durante l'introduzione orientaleggiante arpeggiata, che vede poi seguirsi il potente riff portante del brano che divampa con potenza e aggressività. Ancora una volta il mix si rende perfetto per le esigenze, valorizzando perfettamente la canzone. Il sound si mostra infatti come perfetto compromesso fra il taglio "più old school" tipico del primo periodo della band e quello più "potente" del periodo più recente, ritrovandosi nei brani come "Wherever I May Roam" perfettamente a suo agio. Ottimo dunque il lavoro svolto dal punto di vista del suono, dal momento che era difficile riuscire a soddisfare con un master unico esigenze così distanti fra loro. La canzone irrompe con la sua musicalità potente e massiccia, con la sostanziosa base ritmica del basso di Trujillo e batteria di Ulrich a coadiuvare il tutto. Dal punto di vista esecutivo nessuna lacuna, con tanto di ottima espressività da parte dell'assolo di chitarra di Hammett. Poche se non praticamente nessuna differenza con la versione studio, il cui sound si mostrava allo stesso modo (ma non più) adeguato rispetto a quello che ascoltiamo dal vivo. Per quanto riguarda la performance vocale, pare proprio che questa peggiori quanto maggiori siano le necessità di ottenere un timbro raschiato e aggressivo. La performance di Hetfield si dimostra infatti né disastrosa quanto quella dei brani vecchia scuola, né positiva quanto quella di brani come "Fuel": semplicemente, il vocalist riesce a rattoppare con l'esperienza quelle mancanze che si sono venute a creare nel corso degli anni. La canzone ci narra di un vagabondo, obbligato a vivere la vita di strada e spostarsi senza fissa dimora. Il protagonista, in questo suo stato di vita, si abitua e riesce a sopravvivere, fino al punto di arrivare a definire la strada come sua sposa. La parte più evocativa e esilarante è però senz'altro quella in cui l'uomo giunge alla morte. Come il suo corpo durante la vita, anche l'anima dopo la sua morte continuerà a vagare in continuo e costante movimento. Da qui deriva la soddisfazione del protagonista, oramai praticamente innamorato del suo stile di vita, che grida e gioisce di soddisfazione per il realizzarsi della sua interminabile voglia di muoversi e di viaggiare, che per l'appunto non giungerà mai ad una fine.
Cyanide
Il brano precedente chiude quindi il CD1; il secondo si materializzerà con Cyanide (Cianuro), sesta traccia tratta dall'album "Death Magnetic" del 2008. Hetfield ci spiega che la band intende suonare canzoni da ogni differente full-length, e così ha inizio quella che il frontman definisce come una delle tracce che più ama. Alle intense luci di colore verde si aggiungono scenograficamente le casse da morto viste con "Fuel", che addirittura stavolta riportano dei videoclip (in particolare uno di un ragazzo che si tiene la testa, come se stesse impazzendo. Come ben sappiamo "Death Magnetic" riesce a coniugare una sonorità Thrash Metal relativamente vicina a quella dei Metallica del primo periodo, ma allo stesso tempo preservare le esigenze vocali del frontman. Ciò permette alla canzone di rendere meglio rispetto alle predecessori thrash, anche grazie al maggiore feeling posseduto con l'accordatura ribassata. Se il potente e aggressivo riff portante riesce a divertire e intrattenere, l'apice della canzone giunge probabilmente nella parte melodica e arpeggiata, dove la pulita voce di James e il sostegno degli altri strumenti rendono estremamente godibile lo svolgimento del brano. Qui forse soffre un pochino Hammett sulla solista, con un suono che a tratti pare un po' troppo scarno, secco e squillante, facendo perdere qualcosina all'esecuzione della canzone nella sua seconda metà. Ad ogni modo si parla di un ascolto molto più che dignitoso, che certamente ben figura rispetto a ciò che era ad esempio stata "Ride the Lightning". Nella traccia ci viene narrata della triste vita del protagonista che, insoddisfatto della vita che conduce, si chiede se la sua esistenza possieda ancora un senso. L'uomo spiega di voler morire ma, a differenza di quanto magari ci si potrebbe aspettare, sembra non intendere togliersi la vita, nonostante le sue lacrime scorrano come pioggia. Il racconto si concentra sulla constatazione, da parte del protagonista, che oramai la sua vita non è molto diversa da quella che sarebbe la morte, a causa dell'indescrivibile miserabilità dell'esistenza condotta e dell'assenza di prospettive per il futuro. Secondo una minore corrente di pensiero, la canzone si riferisce invece all'aborto, visto dal punto di vista di quello che sarebbe il bambino. In questo caso, il protagonista si definirebbe come "già morto" in quanto, con il rifiuto della propria madre, che senso la vita avrebbe? Ritengo tuttavia che in questo caso le liriche avrebbero un senso meno naturale, quindi personalmente preferisco orientarmi verso ciò che la maggioranza dei fan della band ha sostenuto.
...And Justice for All
Lo show procede con ...And Justice for All (E...Giustizia Per Tutti), title track dello storico quarto album del 1988. Il groove della canzone ben si adatta al sound, come del resto l'esibizione della band che presto si mostra più che adeguata. Il mix infatti mette insieme gli strumenti nel modo giusto, mentre allo stesso modo il taglio delle chitarre si mostra efficace e pungente. Come negli episodi precedenti si risente un po' di quel calo vocale, qui però forse camuffato con un pizzico in più di efficacia, con l'eccezione dei momenti in cui si necessita dell'utilizzo delle note più alte. Principale lacuna è qui la batteria di Ulrich, che dona meno "tappeto" ritmico di quanto dovrebbe rispetto alla versione studio, a cui comunque la versione qui suonata live si attiene moltissimo. Per altro la batteria è suonata con meno impatto di quanto dovrebbe, risultando meno un elemento importante e valorizzante del brano rispetto a quanto ascoltato nella versione studio dell'88, dove il potente e cadenzato riff principale e gli altri stacchi del brano rendevano maggiormente. L'assolo di Hammett torna qui a convincerci abbastanza, anche se manca di quella stupenda conclusione vibrata che lo contraddistingue. Sommariamente, è possibile tornare alla conclusione che i Metallica rendono peggio nei momenti in cui si ritrovano a suonare i brani più old school, sebbene qui il danno sia più limitato rispetto ad altri episodi. Le liriche, il cui titolo è preso in prestito dal celebre film del '79 di Norman Jewison con Al Pacino protagonista, ci raccontano dei cambiamenti nel sistema di giustizia americano. Questo, con il passare degli anni, sta venendo progressivamente "macchiato" dal denaro, che occupa un ruolo sempre più importante e dannoso alla correttezza delle sentenze. "La giustizia è persa, la giustizia è stuprata", sostiene Hetfield, che afferma che i soggetti più potenti sfruttino la loro posizione di supremazia per corrompere un sistema giuridico che sceglie a proprio vantaggio. Lady Justice, la donna nella cover del quarto album e rappresentante la giustizia per eccellenza, viene quindi assassinata, stuprata, ridotta ad una figura senza senso, cosa che si accompagna alla consapevolezza che "nulla potrà salvarci" non appena questo aberrante processo involutivo sarà completato. A sostegno di tale storia vi è la stupenda scenografia della band, che accompagna lo svolgimento della traccia. Durante l'esibizione della canzone infatti compare un'enorme statua della stessa Lady Justice che, mentre il pezzo avanza, viene progressivamente deturpata e distrutta: una chicca per enfatizzare con potenza il concetto espresso dalle liriche.
Master of Puppets
Nel totale delirio del pubblico parte l'esibizione di Master of Puppets (Signore delle Marionette), che qui la band sceglie di inserire improvvisamente e senza preavviso di tipo alcuno. Ci rendiamo subito conto che l'accordatura ribassata fa perdere qualcosa al brano, che nella versione standard si mostrava in forma migliore, essendo più incisiva e naturale. Mozzafiato la scenografia dello stage nel film (ovviamente esclusiva della pellicola e non presente nei reali concerti dal vivo), che vede la band esibirsi fra le brillanti croci cimiteriali presenti sul palco, e un'incredibile mole di fumi e luci. L'esibizione avanza tuttavia compatta e perfetta e, durante la strofa e i riff principali, è solo la vocalità di Hetfield, qui comunque meno deleteria rispetto ad altri episodi, a non rendere perfetto quanto suonato. Arrivati al celebre arpeggio del terzo minuto di esibizione la band sceglie di fermarsi completamente per qualche secondo, mentre il pubblico acclama e si appresta ad intonare la stupenda arpeggiata melodia in coro. Nella successiva fase, quella in cui le liriche recitano "laughter, laughter", Hetfield lascia come sempre lo scettro canoro a pubblico e compagni di band, mentre l'assolo di Hammett si battezza con aggressività e precisione, rendendo al meglio delle proprie possibilità e avviando nel migliore dei modi il celebre riff che segue l'assolo. Migliore qui la prestazione di Ulrich, come anche quella della band in generale rispetto agli altri brani vecchia scuola. Ottima la scelta di Hetfield, già ascoltata in anni di show dal vivo, di cantare con una voce grave e gutturale (e meno dispendiosa di energie) molti dei frangenti del brano. Tirando un bilancio sull'esibizione della canzone, senz'altro possiamo sostenere che la celebre traccia è quella che è stata meglio suonata dal vivo fra quelle dei primi anni. Questo deriva da una pluralità di elementi, sia vocali che tecnici. Il racconto si riferisce all'abuso di droghe come cocaina e specialmente eroina, a cui il protagonista si rivolge durante l'intero svolgimento del brano. Fonte di autodistruzione, queste droghe fanno perdere alla vittima ogni forma di controllo, conducendola alla sofferenza e alla morte. A causa della necessità di averne sempre più la droga diviene quindi il maestro, come simulato spesso da Hetfield negli show dal vivo che, imitando una siringa, si pone il dito sul braccio dicendo "avanti, manipolami". Ironico il frangente in cui le liriche recitano "just call my name, 'cause I'll hear your scream", in cui alle droghe vengono attribuiti valori salvifici. (Queste sono sostanze che manipolano la mente e distruggono i sogni), sostiene ripetutamente il vocalist, accecando la vittima e rendendola schiava, ridendo delle sue sofferenze.
Battery
Con il medesimo entusiasmo viene accolta Battery (Batteria), che da subito il pubblico sostiene intonando l'introduzione. Il brano incomincia con delle incredibili esplosioni di fuoco, che decorano il simultaneo svolgimento narrativo del lungometraggio, dove il protagonista si ritrova sempre più in difficoltà fra i rivoltanti. Lo storico inizio del brano, che peraltro battezza nientemeno che il celebre album "Master of Puppets" del 1986, termina con una potente esplosione a cui, fra l'entusiasmo dei fan, segue la prorompente strofa, che davvero tira fuori il meglio di sé in accordatura ribassata. Positiva "a sorpresa" la prestazione vocale di Hetfield, che recupera alla grande dopo i limiti mostrati negli altri brani, dove evidentemente si vedeva costretto al risparmio di energia. La canzone rende alla grande sin da subito, irrompendo incessantemente fino al terzo minuto creando un incredibile muro sonoro, dove la band si ferma completamente e Hetfield domanda ai fan "Are you alive?". Dopo questa introduzione i Metallica scelgono di riprendere improvvisamente con l'assolo di Hammett, squillante ed efficace, mentre un'altra differenza rispetto alla versione studio sono i leggeri stop inseriti in alcuni frangenti dalla più serrata linea di canto, dove il frontman recita "Cannot kill the family, battery is found in me". Questa variazione è godibilissima, e davvero non solo non sminuisce il valore della traccia, ma la rende più originale e interessante dal punto di vista live: è tipico di ogni band, specie quelle più importanti, sentire la necessità di variare o migliorare qualcosa dalla versione studio, cosa che talvolta (come in questo caso) davvero riesce in maniera opportuna. In poche parole, viene confermata la tendenza positiva già avuta con la precedente "Master Of Puppets", che mostra una ripresa rispetto alle tracce thrash del CD1. La narrazione del brano si focalizza sulla San Francisco della prima metà degli anni '80, luogo che ha visto la band nascere e crescere. Ad essere protagonista è il pubblico, o per meglio dire la famiglia, quella a cui i Metallica appartengono. Nella canzone i thrashers, scatenati durante gli show, vengono descritti come veri e propri fratelli, disposti a restare uniti ad ogni costo contro i propri nemici. Mentre la società infatti non comprende la scena, coloro che si trovano all'interno della famiglia faranno di tutto per difenderla e per portarne avanti gli ideali. In maniera indiretta la band fa quindi riferimento ad una rivalità: questa è quella con la scena Glam Metal che divampava in quegli anni, scena che si vede spesso contrapposta a quella Thrash di cui, per l'appunto, i Metallica sono considerati i principali esponenti.
Nothing Else Matters
Con Nothing Else Matters (E Null'altro Importa) ci si abbandona invece alla calma in seguito alla tempesta sia dal punto di vista musicale che scenografica, dove una tranquilla luce blu monocromatica, che a tratti si fa di un colore verde acqua, prende il comando durante la musica della band. La track viene battezzata da un arpeggio di un minuto e trenta, presente esclusivamente live. Questa melodica introduzione non è nulla di speciale a livello di originalità (anzi, per la verità, in alcuni frangenti ci lascia davvero la sensazione di "già sentito") e profuma in maniera neanche troppo vaga di "Alabama", ad eccezione della parte conclusiva in cui riprende le stesse note che avrete ascoltato nella title track del primo album dei Manowar "Battle Hymns". Tuttavia, è assolutamente perfetta per introdurre il brano e creare un'atmosfera propedeutica e valorizzarlo al meglio. Il pubblico canta e intona, mentre la band esegue alla perfezione la musicale strofa. Allo stesso modo, sia a livello di suoni che esecutivo, la parte del primo melodico assolo non lascia davvero spazio a errori, ma è il secondo la vera perla: qui infatti la linea chitarrista si mostra davvero completa al punto giusto, con un sound che possiede una rotondezza unica per quanto solitamente ascoltato dalla band. La pulizia dell'esecuzione, come anche la cura nei vibrati e nei bending, rende la conclusione del brano davvero la parte migliore dell'esibizione già perfetta di questo pezzo. Possiamo dunque senz'altro dire che questa traccia è stata dal punto di vista della resa quella in assoluto più valorizzata fino a questo momento, e la risposta del pubblico pare confermare pienamente tale sensazione. Il racconto è una dedica di Hetfield alla sua prima ragazza, ed era considerata dal frontman come molto personale. Quando Ulrich ascoltò il brano, lo volle però a tutti i costi nel quinto album, "Metallica". "Così vicini, non importa quanto lontani", recita il primo verso, in cui il vocalist confessa di non essersi mai aperto così tanto prima di quel momento con una persona. Egli prosegue poi affermando che la vita appartiene a noi e, dunque, ognuno sceglie di viverla come preferisce. A ciò si accompagna la consapevolezza che ogni giorno porta qualcosa di nuovo ma, dal profondo del cuore, tutto ciò che importa è ciò che si è insieme alla persona che si ama. La canzone si sofferma sul fatto che conta questo e null'altro, poiché tutto perde valore di fronte ad una cosa talmente profonda, piacevole e importante.
Enter Sandman
Lo show procede con Enter Sandman (Entra L'Uomo del Sonno), altra perla proveniente dall'album "Metallica". Non ci vuole molto perché il pubblico si infiammi, specie una volta che la strofa si battezza con una potente esplosione. Oltre al pubblico, ad infiammarsi è lo stage, che esplode e va a fuoco obbligando la band a sospendere la canzone. Sarà poi il duello fra l'attore protagonista e il cavaliere oscuro a catturare l'attenzione durante il brano (possiamo dunque pensare che le fattezze del nerboruto avversario di Trip, siano riconducibili all'uomo del sogno protagonista della canzone firmata dalla band, anche se qui viene mostrato in una accezione negativa rispetto al significato principe della canzone). La strofa, perfettamente eseguita, vede la straordinaria partecipazione del pubblico che, durante il ritornello, in alcuni frangenti canta al posto del vocalist. Allo stesso modo gli arrangiamenti di Hammett sono ottimi e, il solista, con brevi assoli accompagna lo svolgimento della canzone. Per il resto ci si attiene molto alla versione studio. Ottimo davvero ad ogni modo l'assolo eseguito da Kirk, il cui suono si riesce sempre a contraddistinguere. Durante la calma e tenebrosa parte che recita "Now I lay me down to sleep" il pubblico impazzisce addirittura superando la musica, e ciò avviene nel successivo ritornello. Una partecipazione costante, che vede la canzone accompagnata e rinforzata nota dopo nota. Al quarto minuto la canzone si blocca e il frontman risveglia il pubblico domandando "Oh Yeah?". A ciò segue la ripresa del ritornello e poi uno strano suono d'interferenza, con la band che è costretta a fermarsi (inutile dire che tutto ciò è voluto e cercato). Semplicemente, una scelta originale per concludere la canzone prima di battezzare il brano successivo. L'esibizione di questo brano funge da ponte per la parte conclusiva dello show, cosa che si manifesta principalmente in queste pause e nell'intenzione di catturare nuovamente l'attenzione del pubblico. Le liriche ci narrano delle paure che affliggono un bambino, che prega e spera di non andare incontro al suo incubo durante il sonno. Dovrà evitare di commettere peccati, e ricordarsi di essere buono con tutte le persone circostanti. A scacciare le paure è Sandman, l'omino del sonno del folklore anglosassone, che porta sogni felici ai bambini cospargendone di sabbia magica gli occhi. Il bambino, dal vedersi costretto a dormire con un occhio aperto e stringendo il suo cuscino, si dedica insieme ad Hetfield ad una preghiera. I due infatti pregano proprio il mitico personaggio, che porterà sogni felici e preserverà l'anima di colui che si abbandona al sonno. Con un po' di enfatizzazione, gli verrà inoltre richiesto di portare e proteggere l'anima nel caso che, prima del risveglio, si raggiunga la morte.
Hit the Lights
Hit the Lights (Accendi le Luci) si avvia con la band che fa le ultime prove del suono, accertandosi di trarre il sound più potente possibile dall'esecuzione della traccia. Hetfield spiega che gli sembra di essere tornato indietro nel tempo, e che prova una grande emozione. Sostiene di avere la sensazione di rivivere gli anni in cui lui e gli altri suonavano nel garage, e ciò apparentemente gli trasmette una grande carica. Quando i Metallica liberano i celebri power chords dell'intro, il pubblico impazzendo riconosce il brano e, nel più completo delirio, accompagnano l'avvio della famosa strofa. La rapida linea chitarrista rende benissimo anche con l'accordatura ribassata, mentre Hetfield si impegna nel trarre il meglio possibile dalla sua voce nell'ultimo brano. La canzone, che avanza con potenza ed efficacia, si attiene pienamente alla versione studio, anche se c'è da dire che durante il ritornello che recita per l'appunto "Hit the Lights" la partecipazione del pubblico si rende davvero gradevole. I rapidi e sferzanti assoli di Kirk Hammett si mostrano più che appropriati e, nei veloci percorsi pentatonici, sostengono e colorano pienamente la robusta base ritmica apportata da Hetfield e compagni. Per la felicità dei fan, questo grande classico dell'Heavy Metal non viene in alcun modo tradito. Probabilmente, ci si poteva aspettare su questo brano qualche personalizzazione in più, ma al contrario i quattro scelgono a buon ragione e con buon successo di tenere fede alla vecchia scuola e quindi di riportare il pezzo fedelmente senza alterarne le virtù. Del resto è anche la semplicità che rende grande questo brano, che con dei semplici riff riesce ad accendere ogni tipo di entusiasmo, proprio come la vecchia scuola impone. La canzone, la prima mai scritta dai Metallica, ci narra con atmosfera positiva dell'atmosfera musicale vissuta dalla band in quei tempi. Nel delirio musicale, la pazzia del metal divampa, portando urla e un po' di genuina e fraterna violenza, che porta con sé dolce dolore dal piacevole sapore di metal. Una volta che il rock comincia non ci si vuole più fermare, afferma la band, che sostiene con orgoglio la necessità di avere un volume che sia il più alto possibile. "Una volta che si comincia con il rock vorremmo che non finisse mai", è la frase cardine delle liriche, che mostrano la via della distorsione come l'unica possibilità perseguibile. Liriche che si discostano da quelle un pochino più oscure dei Metallica del secondo periodo, portando semplicemente la gioia e l'entusiasmo per la musica suonata.
Orion
Lo show si chiude con la celebre strumentale Orion (Orione), una delle canzoni in assoluto più amate dai fan della band. I Metallica scelgono di introdurre la traccia con la ritmata batteria di Ulrich, che in solo battezza la chitarra di Hetfield. I quattro scelgono di avvicinarsi al suono spaziale che ha denominato la traccia, il cui nome fa per l'appunto riferimento ad una costellazione. Il pubblico qui si mostra sorprendentemente più silenzioso (proprio come se non ci fosse) accompagnando educatamente e con curiosità le coinvolgenti atmosfere portate sin dai primi riff di chitarra, al punto che potrebbe essere una scelta volontariamente dettata dal mix per fini cinematografici. Il sound si mostra ancora una volta pienamente all'altezza, specie nello stacco che poco prima del secondo minuto battezza il violento e ritmato riff di Hetfield, che alterna furiosamente down e alternate picking con una combinazione storica per il genere. La band, dopo tre minuti e quaranta, in piena sintonia con quanto accade nella versione studio, si abbandonano all'assolo di basso e alle bellissime atmosfere di chitarra che nota dopo nota coccolano l'ascoltatore facendolo penetrare nell'evocatività del brano. Persiste il silenzio del pubblico, che accompagna la traccia in maniera totalmente differente rispetto quanto ascoltato durante il resto dello spettacolo. I fan infatti qui non interferiscono con le atmosfere della canzone, concettualmente in linea con la cultura della musica progressive rock a cavallo fra i '60 e '70. Nello svolgimento della traccia, i suoni si mostrano particolarmente "aperti" e "spaziosi", evidenziando il suono ambientale della canzone, aperto come del resto lo è lo spazio (che come ben sappiamo è però privo di suoni). Maniacale la scelta del sound durante gli assoli, che riporta alla lettera le fantastiche melodie della storica versione studio dell'86. Sul finale Ulrich non tradisce esibendosi in una fitta sezione di doppio pedale, cosa che purtroppo sempre più di rado regala ai sostenitori della band. Le nostre sensazioni sull'assenza di pubblico ci vengono confermate nel finale: il brano termina infatti nel più totale silenzio, come proprio nel film la decostruzione dello stage è giunta al completo. Come accennato nella pellicola la canzone viene infatti eseguita in un ambiente distrutto e privo di sostenitori, e da questo deriva la scelta di espellere dal mix ogni presenza esterna a quella degli stessi musicisti. Inoltre, nel lungometraggio l'esibizione della traccia avviene durante lo scorrimento dei titoli di coda, elemento che enfatizza ancor più quelle che erano state le nostre sensazioni.
Conclusioni
Prima di addentrarci nel dare una visione finale di questo lavoro, sarebbe opportuno attribuirgli una precisa classificazione. E' infatti chiaro che Through The Never non può essere definito semplicemente un film, cosa che lo renderebbe davvero incompleto e non renderebbe giustizia alla ratio dietro questo lavoro. Allo stesso modo, sarebbe certamente sbagliato definirlo un documentario sulla band, dal momento che non narra della carriera o della storia dei 'Tallica, ma ha una trama a sé che si affianca, o per meglio dire si erge, sulle basi della musica proveniente dallo show della band. La classificazione più adatta può perciò probabilmente essere quella di lungometraggio musicale, dal momento che è sì un lavoro estremamente vicino a un film, in quanto composto da una trama più o meno compiuta che sia, ma si basa interamente sull'esibizione live dei californiani: senza questo elemento, infatti, lo svolgimento narrativo di questo lavoro sarebbe potuto mai essere dotato di intrattenimento, come invece è grazie allo scorrere della musica? Detto ciò, possiamo lietamente passare a parlare di questo prodotto, al concept dietro esso, al target per la quale è designato e soprattutto, dato che noi siamo prima di ogni altra cosa un sito che si occupa di recensioni, consigliato. "Through The Never" è impacchettato perfettamente dal punto di vista visivo, supervisionato egregiamente, e per la verità anche l'idea dietro il concepimento del lavoro si rivela vincente. E' possibile però sostenere con certezza come la musica ascoltata durante quest'opera non sia frutto naturale di uno show dal vivo, come già brevemente accennato, ma prodotto di una serie di differenti live e di una successiva ed accurata elaborazione. Condividendo quindi, come del resto abbiamo già condiviso, l'intenzione dei Metallica di rilasciare un lavoro da cinema e pronto e perfetto per le grandi sale, a quel punto dal punto di vista musicale possiamo certamente affermare che si poteva fare qualcosa in più. Il risultato finale risulta infatti essere più come una "via di mezzo", come se si volesse far rendere come spontaneo concerto ciò che davvero non è. Avendo tratto la traccia musicale da quegli elementi di cui abbiamo già avuto modo di parlare, erano molti i fattori migliorabili: sia vocali, per quanto riguarda soprattutto le vecchie tracce della band che in alcuni frangenti superano il limite di tollerabilità, divenendo per molti di difficile ascolto, sia musicali, principalmente batteristici: spesso infatti manca quell'impatto determinante, qualche sezione di doppio pedale che avrebbe ben giovato alle versioni amate dei brani, o proprio qualche lacuna di valore fondamentale, come abbiamo detto di tracce come ad esempio "...and Justice for All". Trattandosi per l'appunto di un lungometraggio musicale, ciò rende certamente proibitivo l'apprezzamento di questo lavoro per molti amanti della musica rock e heavy che non sono specificatamente fan dei Metallica, cosa davvero di enorme conto considerando le intenzioni dietro questo lavoro. Sommariamente, questo è un prodotto che possiede certamente delle qualità, che andremo ora ad analizzare e valorizzare, ma che possiede la lacuna di essere un lavoro esclusivamente per i fan dei Metallica, che riteniamo essere l'unico target davvero adatto ad apprezzare a pieno un lavoro come questo. Se non è infatti possibile affermare con certezza che gli altri non lo apprezzerebbero, è certamente possibile dire che in molti riscontrerebbero le stesse lacune, se non più, di quelle che ho riscontrato io da conoscitore ed estimatore della band. Girando sulla rete ho letto di numerose critiche alla trama di questo lungometraggio, giudicata qualche volta addirittura insignificante. Da ciò mi discosto completamente: lo svolgimento di questo "Through The Never" non và infatti capito, né ne và cercato un senso compiuto o in alcun modo apprezzabile per la sua completezza artistica cinematografica, presa singolarmente come elemento (cosa che ci fa ancora una volta tornare alla classificazione del lavoro). Esso a mia opinione và semplicemente vissuto, goduto, mentre la musica avanza con potenza, sapendo cogliere e valorizzare quel surrealismo che è esclusivamente presente a soddisfazione di tale fine. Se si legge l'avventura di Dane DeHaan in questi termini, sicuramente è possibile convenire che non solo non risulta per essere fallimentare, ma è esplosiva, nel modo in cui coinvolge lo spettatore a 360° con l'elemento portante dell'opera, che resta per l'appunto l'esibizione della band. Allo scopo di intrattenere e tenere incollato l'ascoltatore si prende in prestito un elemento dall'intramontabile Tarantino: è infatti una borsa di cui non si conosce il contenuto ad essere unico fattore fisso e stabile nella trama, e come nel celebre "Pulp Fiction" resta la linea di non rivelare il contenuto nemmeno al termine del lungometraggio. Impossibile dunque non farsi cogliere da questa curiosità durante la visione del film, cosa che certamente aiuta moltissimo l'appeal e la suspense di quanto visto. Se il matrimonio con Dane DeHaan, attore protagonista, si rivela ottimo, ancora migliore quello con Nimród Antal, che si rivela addirittura perfetto come guida del lavoro. Chiunque conosca lui e il suo percorso cinematografico potrà notare da subito un enorme feeling con l'idea della band, cosa che esalta sia lo stesso regista che la riuscita del lavoro intero. Una grande chicca è anche la scelta di procedere al fianco dello svolgimento della trama ad una continua e costante decostruzione dello stage, davvero artistica e ricca di appeal. Questo risalta in particolar modo nei minuti finali, dove "Orion" avanza nel silenzio totale, accentuandone riverberi ed emozioni. Oltre a valorizzare la traccia le si dona un grande accento di spiritualità, accento perfetto anche per omaggiare l'intramontabile padre artistico dei Metallica, ovvero l'ex bassista Cliff Burton, ritenuto a buon ragione da molti uno degli artisti principali, se non addirittura il principale, dietro l'enorme successo della band. Tale sensazione viene evidenziata dalla scelta della data di rilascio di questo lavoro, scelta di cui abbiamo voluto parlarvi durante la parte introduttiva. Se dal punto di vista dell'esibizione in senso stretto abbiamo avanzato dubbi, ciò sicuramente non può dirsi del sound. Sembra infatti che la band e coloro che hanno lavorato a questo prodotto abbiano "centrato" in pieno l'unica tipologia di suono possibile, l'unica in grado di valorizzare al 100% lavori così distanti come una "Fuel" e una "Master of Puppets", una "Hit the Lights" e una "Nothing Else Matters". Le chitarre possiedono infatti nella maggiore misura possibile quel fantastico taglio tipico del Thrash Metal anni '80, ma allo stesso modo la potenza necessaria alle tracce con maggiore groove e cadenza, come anche le giuste caratteristiche per quelle con esigenze di maggiore musicalità ed orecchiabilità. Un risultato dunque completo a 360°, che deve davvero essere meritevole di riconoscimento. La cover del film originale raffigura Dane DeHaan con una felpa, il cui cappuccio rosso ne ricopre il capo. L'attore ha una benda davanti alla bocca, raffigurante il tema musicale dello spettacolo. Essa infatti rappresenta la band, che si esibisce dal vivo dinanzi al pubblico in preda all'entusiasmo. Un concept senza lodi e senza infamia, ma più che adeguato a dare un'idea sommaria dell'opera; la versione "motion picture" invece recherà semplicemente il logo della band, la M saettata di lato incastonata in un cerchio, dietro al quale leggiamo a caratteri cubitali la scritta "never". Opera che, tirando un bilancio, merita a mio avviso un 6. Se da un lato ritengo personalmente che sia impossibile non criticare gli aspetti strettamente musicali nei suoi lati sia esecutivi che decisionali, quindi emblematici nel darci un indicativo indice di soddisfazione delle differenti tipologie di pubblico, dall'altro riconosciamo che l'opera è stata resa al meglio nei suoi vari aspetti rispetto all'idea di partenza, che non era facile da valorizzare. Sicuramente si tratta di un lavoro dai fini commerciali, partito dall'idea stessa di realizzare un film sulla band per fini economici, e non da una spontanea e genuina ispirazione cinematografica proveniente dai quattro (cosa indicativa vista la "non condannata" povertà della trama). Una trovata certamente riuscita da questo punto di vista, ma che per l'appunto non può poi allargarsi molto oltre l'incontrare le aspettative di quella, seppur vasta, cerchia di fan che mai metterebbero in discussione la qualità dei lavori e del percorso artistico della loro band del cuore.
2) Creeping Death
3) For Whom the Bell Tolls
4) Fuel
5) Ride The Lightning
6) One
7) The Memory Remains
8) Wherever I May Roam
9) Cyanide
10) ...And Justice for All
11) Master of Puppets
12) Battery
13) Nothing Else Matters
14) Enter Sandman
15) Hit the Lights
16) Orion