METALLICA

The Day That Never Comes

2008 - Warner Bros. Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
01/07/2016
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Conclusa l'avventura non proprio felice di "St. Anger", i Metallica portarono a termine tutti i loro impegni live per poi prendersi un periodo sabbatico, un lasso di tempo nel quale, oltre a ricaricare le batterie, i quattro californiani ebbero modo di fare mente locale sul loro passato e sul loro presente di primi anni Duemila per poi progettare il loro futuro. Quell'album con il pugno sulla copertina aveva sconfortato i loro fan, e sappiamo tutti che la salute del gruppo stesso era a rischio; onde evitare ulteriori aggravamenti i Four Horsemen decisero dunque di prendersi tutto il tempo che era loro necessario per chiudersi in sala prove e comporre quello che a tutti gli effetti sarebbe stato il lavoro che li avrebbe ricollegati con il loro passato, obiettivo già attribuito al full lenght del 2003 che però uscì un po' troppo dal centro del mirino. Analizziamo ora lo stato attuale dei 'Tallica: la line up nuova è stata testata con successo sui palchi di tutto il mondo, il buon Robert Trujillo infatti, pur arrivando da una scena differente da quella degli autori di "Master Of Puppets", diede comunque prova del suo talento facendo il possibile per amalgamarsi con i suoi nuovi compagni di avventura, inoltre, la serie di date tenute in supporto all'album immediatamente precedente al suo ingresso ha altresì cementificato il legame dei tre veterani del Thrash con il nuovo arrivato, facendoglielo metabolizzare decisamente meglio di quanto non accadde con Jason Newsted nel momento in cui egli sostituì Cliff Burton. L'ex bassista dei Suicidal Tendencies e di Ozzy Osbourne venne quindi accettato con le porte molto più aperte di quelle trovate dal suo predecessore, e questa nuova alchimia si rivelò anche la musa ispiratrice per la creazione di quei brani che si dimostrarono l'ulteriore passo avanti per la band di San Francisco; ci vollero però ben cinque anni prima che "St. Anger" ebbe un successore: "Death Magnetic" infatti uscì ufficialmente nel 2008, ben cinque anni dopo rispetto alla penultima pubblicazione, e tale divario fu totalmente necessario per organizzare in ogni minimo particolare la controffensiva di un gruppo che all'alba del nuovo millennio aveva perso il rispetto e la stima di molti dei suoi fan. Hetfield e soci, per prima cosa, rielaborarono totalmente la loro strategia di marketing: se il disco che vide Bob Rock in veste di bassista in studio uscì improvvisamente come un fulmine a ciel sereno senza la benché minima anticipazione (poiché sugli scaffali dei negozi fu preceduto dal singolo di "I Disappear", totalmente svincolato da esso in quanto colonna sonora del film "Mission Impossible 2"), ora i 'Tallica ribaltarono completamente la situazione: il disco venturo fu infatti anticipato da ben quattro singoli promozionali, il primo dei quali è "The Day That Never Comes". Qualcosa di grande sta bollendo nella pentola dei californiani e loro stessi ne sono pienamente convinti, ma è meglio non bruciare le tappe, rischiando che anche il nuovo album spiazzi e deluda gli ascoltatori; lo scopo di questi singoli è infatti quello di preparare il loro pubblico all'arrivo sulle scene dei "nuovi" Metallica, quelli la cui formazione è ormai strutturata, che ha composto e registrato l'album senza intermediari e che lo porterà in giro per il globo con un altro faraonico tour. La scelta di allestimento di queste prime quattro pubblicazioni in supporto all'album in arrivo è organizzata in maniera totalmente differente dalle altre: all'interno di ognuna vi è solo una traccia, tutte con la durata superiore ai cinque minuti, tale espediente consente quindi di non appesantire troppo la proposta e di lasciare che l'acquirente si concentri solo ed unicamente sulla titletrack. Gli estratti live sono sempre efficacissimi (tanto che nell'edizione limitata di questo singolo disponibile sullo store Hot Topic è presente anche una versione live di "No Remorse" estratta da uno show del 2003) ed in precedenza si sono dimostrati l'ancora di salvezza per delle canzoni principali non entusiastiche, ma i Four Horsemen adesso credono fermamente in quanto hanno scritto e sono fieramente convinti che quelle canzoni, da sole, possano far nuovamente gridare al miracolo i loro seguaci. Anche per quanto riguarda il punto di vista grafico vi è una svolta netta e marcata, quasi drastica per certi aspetti: i disegni demoniaci facente parti del capitolo precedente, le tinte spente e opache ed il logo rimaneggiato vengono archiviati, in copertina di questo primo assaggio di "Death Magnetic" troviamo un primo piano del volto di Hetfield, in particolare degli occhi, la cui espressione lascia trasparire una miscela di rabbia, grinta ed un accenno di stupore, come se il frontman fosse agguerrito e volenteroso di rivalsa della propria immagine di musicista ed al tempo stesso stupito dell'essere riuscito a comporre qualcosa di così nuovo ma che al tempo stesso richiamasse il passato, in particolar modo l'era di "...And Justice For All", le cui le lunghe cavalcate strumentali alternate a parti relativamente brevi di testo entrarono nella storia. La fronte del volto del soggetto viene poi utilizzata come tela su cui far comparire in bianco il nome del gruppo, il cui font appare semplificato ulteriormente sul modello del primissimo logo del gruppo ma leggermente assottigliato rispetto ad esso, ed il titolo, in semplice stampatello maiuscolo nero. Il passato oscuro sembra essere dunque lasciato definitivamente alle spalle, non resta che sviscerare questa unica canzone dai quasi otto minuti di durata.

The Day That Never Comes

"The Day That Never Comes" ("Il Giorno Che Non Arriva Mai") è il primo brano con cui i Metallica si ripresentarono al varco dopo i tanto discussi risultati ottenuti con "St. Anger" e di cui venne realizzato anche un videoclip; il pubblico dopo quella "delusione" non scese a patti coi loro idoli, ma anzi alzò ulteriormente la posta, similmente all'atteggiamento di una compagna che pur dopo averci perdonati per un nostro errore o cattivo atteggiamento continua tuttavia a farci spurgare il nostro "peccato" centellinando la propria rabbia goccia dopo goccia. Da una band alla quale noi metal heads abbiamo dedicato alcune delle nostre più belle esperienze di ascolto metallico, si pretende sempre il 200%, hanno scritto album memorabili e, dopo parentesi non propriamente rosee, è giusto che tornino a farlo, ma l'esigenza dei fan sembra non spaventare assolutamente i quattro, che attraverso gli occhi azzurri del loro cantante accettano la sfida e rilanciano ulteriormente. Il pezzo si apre con una parte di chitarra arpeggiata, già da queste prime note sentiamo da parte dei 'Tallica la voglia di riallacciarsi al passato, dato che questa sessione ricorda molto l'introduzione della leggendaria "Fade To Black", di cui è ripresa la linea guida principale: mentre una chitarra esegue il fraseggio melodico, l'altra la segue con le toniche degli accordi, e dopo alcuni giri in solitaria entrano il basso la batteria di Ulrich con un mid tempo a sostenere il tutto. La formula degli incisi in distorto conferisce alla strofa quell'effetto di crescendo al cui apice esplode la rabbia, per poi ricalmarsi nelle battute successive; la voce di Hetfield resta però melodica ed intonata, il biondo vocalist infatti esita ancora a sporcare la sua voce con quel pizzico di raucedine che ne caratterizzò le performance storiche. Si sente in maniera lampante il desiderio di ricollegarsi ai primi album e dopo questa prima parte infatti la traccia si evolve verso una struttura più decisa e lineare, le sei corde infatti si lanciano su una ritmica in distorto dove si alternano passaggi lineari, stop and go, break down e riprese: a lavorare maggiormente però sono gli strumenti a corde, nelle varie evoluzioni ritmiche infatti la batteria continua a muoversi lineare sul quattro quarti, per far sì che siano i musicisti in piedi ad esprimere tutta la vena progressive di questa canzone. Non si può fare a meno di pensare alle grandi cavalcate dei su citati "Master Of Puppets" o "...And Justice For All", ma su questa composizione i 'Tallica vogliono rinfrescare ulteriormente quell'ottica di musica che li caratterizzò negli anni Ottanta. Il testo viene quindi "relegato" alle parti più dritte, per consentire anche ad Hetfield di potersi lanciare senza il pensiero della voce nei meandri delle suite più complesse; sul pezzo troviamo addirittura tre assoli, una cosa che da un po' di tempo non si vedeva nei brani dei quattro, ed ognuno di essi ha modo di far trasparire le peculiarità soliste del proprio esecutore: il primo consta di un passaggio armonizzato delle due asce, un'avanzata modello Iron Maiden trascinante ed avvincente, per poi passare ai singoli, quello del chitarrista cantante si presenta più standard ma al tempo stesso più dinamico, alternando passaggi veloci in shredding ad incisi ricchi di bending e hammer on, Hammet invece segue di più il proprio trademark, mitragliandoci addosso una delle sue consuete raffiche di note a velocità funamboliche. Finalmente abbiamo anche modo di apprezzare l'estro di Trujillo, che su "St. Anger" dovette limitarsi ad imparare quanto già realizzato in studio; al bassista di Santa Monica piace particolarmente lavorare sulle alte tonalità, specialmente nella fase iniziale della canzone, dove invece che seguire semplicemente le note toniche (come avrebbe invece fatto Newsted) preferisce lavorare attraverso una serie di armonizzazioni che rendono la sessione in pulito decisamente più morbida ed avvolgente. L'impalcatura ritmica della canzone colpisce soprattutto per il dinamismo e la freschezza del materiale in essa inserito, anche sull'album precedente vi era una serie variegata di riff concatenati tra loro, ma ora essa risulta molto meglio amalgamata e convincente, i fan più oltranzisti possono tirare un sospiro di sollievo, i Metallica stanno "guarendo" dal "morbo" che li "debilitò" qualche anno prima e finalmente ad una così copiosa sequenza di idee una dietro l'altra si accompagna quel tiro e quella grinta che da sempre animò i Four Horsemen: la lunghezza decisamente estesa del brano non appesantisce assolutamente l'ascolto, anzi, la nostra attenzione è sempre tenuta ben desta dai cambi che, seppur quasi spiazzanti in alcuni punti, ci lasciano incollati alle cuffie o alle casse con la suspense e la voglia di provare ad indovinare cosa possa arrivare di seguito a quanto ci sta entrando nelle orecchie. Ultima, ma non certo meno importante viste le critiche in passato, è sicuramente la postproduzione: la calibratura dei suoni è notevolmente migliorata rispetto alle canzoni immediatamente precedenti, gli strumenti risultano molto più cosi e fluidi tra loro e la batteria non eclissa più le parti melodiche con il proprio eccessivo volume. Anche per il fan più oltranzista ed esigente dunque, questa canzone apre una breccia nel suo muro di diffidenza, eretto a seguito di una caduta di stile per il quale, a suo giudizio, non sembrava esservi alcuna possibilità di redenzione. Il testo poi si rivela essere uno dei più poetici ed affascinanti che il sottoscritto abbia mai avuto occasione di analizzare tra quelli composti dai 'Tallica: il giorno che non arriva mai è metaforicamente espresso in maniera eccelsa dal videoclip narrante un'avventura di un gruppo di soldati americani durante una missione di ricognizione in Medio Oriente. Il suddetto giorno è quello della morte, quello che a maggior ragione per un militare è imprevedibile e privo di ogni possibilità di prevenzione razionale. Il trapasso può avvenire in qualunque momento, in battaglia come per caso alla base durante un momento di riposo: un'esplosione, un proiettile, una coltellata, basta un istante e gli occhi del combattente si chiuderanno per sempre, avvolgendolo nel nero del sonno eterno. Non c'è nemmeno il tempo di esitare a pensarci, gli ordini chiamano, bisogna imbracciare il fucile e partire verso quella zona di nulla in cui tutto può succedere e dove il vero e proprio inferno in terra può arrivare anche dalla più scarna delle rocce, "Basta stare bassi e tenere giù la testa", questo è l'unico comandamento che i sergenti istruttori possono dare alle reclute. Non stiamo parlando di una simulazione al campo di paintball, siamo in guerra e non bisogna fare sciocchezze, poiché basta esporsi anche solo un secondo di troppo per poter vedere il proprio cervello spalmato sul terreno. Il mezzo ora sta marciando, ed ognuno dei soldati che vi è sopra, dal pilota al mitragliare, non possono far altro che tenere gli occhi ben aperti, avendo solo la possibilità di condensare i propri pensieri giusto in quei brevi attimi che non ne distolgano l'attenzione dalla radura circostante. Un giorno si tornerà comunque a casa, l'unica certezza è questa, che lo si faccia in piedi, su una barella o dentro una bara nessuno può dirlo, si può solo stare bassi e sperare che la morte non arrivi mai. Tuttavia, non si può fare a meno di "aspettarla" comunque, quando è al fronte, un soldato non riesce ad evitare di pensare al giorno in cui perderà la vita e la tensione è talmente forte che non sente nemmeno il calore del sole sul proprio viso, unica parte del corpo non coperta dalla divisa e dalle protezioni. L'amore stesso non è più un sentimento forte ed ardente, ma è solo una parola di quattro lettere (poiché in inglese si dice "love") a cui si può rivolgere il proprio pensiero per pochi istanti. Quelle emozioni si potranno rivivere? Il milite potrà tornare ad amare la propria moglie e i propri cari come quando era in patria oppure saranno loro a doverlo armare riversando le loro lacrime sulla sua tomba? Nessuno può dirlo. Il pericolo arriva senza che ne meno ce ne si possa accorgere, un sussulto ed un compagno sdraiato di vedetta con noi si gira lamentando un dolore al fianco, è stato colpito, ed immediatamente lo si soccorre con le poche cose in dotazione, fortunatamente l'efficienza dell'esercito fa sì che egli possa rientrare alla base, ma la missione continua ed i rimasti devono avanzare nella ricognizione. Il mezzo prosegue fino a quando non incontra due mediorientali rimasti in panne con l'auto che chiedono un aiuto; cosa fare in quei casi? Mostrare cortesia e rischiare di cadere in un'imboscata oppure freddarli senza nemmeno pensarci, scongiurando ogni minaccia fisica, ma vivendo sempre attanagliati dal dubbio che fossero dei civili inermi? Si opta per la prima soluzione, appostandosi comunque in accerchiamento per proteggere il compagno che si avvicina al ragazzo con i cavetti in mano, egli gli punta contro il fucile intimandogli di gettare a terra ciò che tiene in mano, il giovane è atterrito, è una reazione agghiacciante ma bisogna avere cautela. Nell'auto c'è una donna coperta dal burqa, una potenziale kamikaze, che appena notata finisce subito al centro dei mirini dei compagni. Ella scende dall'auto, cercando di far capire a gesti ai soldati che non è quello che pensano, le mani restano alte così come il mitra resta puntato, la donna avanza verso il soldato fino a quando non si possono guardare vicendevolmente negli occhi; immediato è il flusso di pensieri che scorre nella mente di tutti i presenti, la tensione è altissima sulle note dell'assolo di Hammet posto in corrispondenza della scena, il soldato decide di fidarsi, abbassa l'arma ed impone di fare lo stesso agli altri. Non sa precisamente come, ma quegli occhi castani gli hanno fatto capire in qualche modo di essere amici e l'istinto omicida del guerriero ha lasciato il posto alla solidarietà di chi è lì per motivi troppo grandi per essere compresi ed ha il coltello alla parte del manico. L'odio ed il razzismo ci possono essere inculcati dalla propaganda di guerra, ma quando si guarda negli occhi il proprio bersaglio premere il grilletto alle volte non è così semplice, soprattutto quando chi è inerme davanti a noi è disarmato e senza una divisa militare addosso. L'auto viene rimessa in moto, non erano guerriglieri, ma solo dei civili gettati in mezzo alla foga del conflitto e la serenità per aver scampato un pericolo ed aver nello stesso tempo fatto una buona azione lascia modo al soldato protagonista del video di poter finalmente sentire il calore del sole sul proprio viso.

Conclusioni

In conclusione, possiamo quindi affermare che il "comatoso" corpo dei Metallica, rimasto per anni atrofizzato dai risultati creativi che fecero più discutere che esaltare, ha finalmente mosso un dito dando il primo segno di rinascita. "The Day That Never Comes" è un singolo nettamente migliore dei suoi predecessori più recenti, la cui "limitata" proposta di prodotti si colloca però su una fascia artistica ben più alta e convincente; ascoltare questo brano significa finalmente apprezzare i Metallica dell'era attuale mentre riprendono in mano le redini della loro immensa leggenda per farcela rivivere aggiornata alla realtà del nuovo millennio. Potrà sembrare scontato, ma non è da tutti riuscire ad evolvere il proprio marchio di fabbrica in modo tale da farlo suonare sempre simile con quanto fatto negli anni addietro pur facendolo uscire al tempo stesso attualissimo dalle nostre casse; solo pochissimi nomi possono fare della "monotonia" (e si badi bene alle virgolette proprio per non distorcere il messaggio) il loro fiore all'occhiello, penso ai Motorhead, ai Venom o agli AC/DC, ad esempio, nomi che hanno indiscutibilmente scritto la storia del genere che tutti noi amiamo e proprio per questo possono permettersi di fare "quello che vogliono". Anche i Metallica, ovviamente, sono una pietra miliare del Metal, ma i quattro californiani ci hanno da sempre abituati a canzoni ben più epiche elaborate e solenni, indi per cui ogni disco dato alla storia diventa immancabilmente un termine di paragone per quanto invece andrà ad affollare gli scaffali dei negozi e gli stores digitali in futuro. "St.Anger", per i motivi che conosciamo, non fu certo all'altezza di "Load" e "Reload", che a loro volta si collocavano su una linea ben lontana dal Black Album, ma adesso, con quanto costituirà poi il nono album in studio del gruppo, i Four Horsemen iniziano invece a recuperare terreno sugli album la cui memoria li aveva letteralmente lasciati indietro, come un maratoneta che ormai stanco si fa superare per poi tornare in prima posizione grazie ad un improvviso sprazzo di energia. La durata estesa del brano, come detto, si riallaccia alle grandi sferzate strumentali degli anni d'oro, quelle tracce che nonostante sfiorassero i dieci minuti di lunghezza non ci annoiavano mai ma ci facevano scuotere la testa secondo dopo secondo; con "The Day That Never Comes" quindi, i 'Tallica vogliono rincuorarci di avere ancora quella verve che li rese grandi, solo essa aveva bisogno di essere riesumata dall'oblio grazie ad un nuovo bassista, un nuovo slancio creativo ed una ritrovata fiducia in se stessi. Anche per quanto riguarda la post produzione, Hetfield e soci hanno imparato la lezione. Sul disco del 2003 si era voluto tentare un qualcosa di nuovo e di diverso, scelta che si rivelò abbastanza discutibile dal punto di vista estetico, i quattro californiani fecero un passo falso, ma come si dice, bisogna riconoscere i propri errori e trarre da essi le giuste lezioni e conclusioni: la lavorazione dei suoni è ora nettamente migliore alla precedente, l'equalizzazione ed il bilanciamento dei singoli strumenti vuole riallacciarsi direttamente ai full lenght degli anni Ottanta, aggiornandone però il sound all'attualità grazie a delle distorsioni meno taglienti ma più corpose e d'effetto, in altre parole. I 'Tallica hanno scelto di affinare ulteriormente ciò che ai fan piacque già dagli albori, dando loro la prova lampante che invece che addentrarsi in sentieri sonori mai esplorati e troppo distanti dalla via principale, alle volte, è molto meglio concentrarsi sul percorso tracciato, avendo ad ogni passo una nuova prospettiva di un percorso già noto.

1) The Day That Never Comes
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