METALLICA

St.Anger II

2003 - Elektra

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
11/06/2016
TEMPO DI LETTURA:
4,5

Introduzione Recensione

Giungiamo ora ad uno dei capitoli discografici più discussi della discografia dei Metallica, che dopo aver regalato alla storia album magistrali come l'esordio "Kill'Em All", il seguente "Ride The Lighning", proseguendo poi con "Master Of Puppets", "...And Justice For All" e "Metallica" imboccarono quel lungo e buio tunnel degli anni Novanta, che li vide alle prese con il loro apice di fama mondiale ma allo stesso tempo con lavori non tanto apprezzati dalla critica. Con l'arrivare del nuovo millennio, la parabola discendente dei Four Horsemen arriva probabilmente ad uno dei suoi punti peggiori con la pubblicazione di "St. Anger", album poco gradito dai fan oltranzisti che volle dare al mondo un'immagine rinata della band dopo un lungo e travagliato periodo, ma che a conti fatti parse ai più come una ricaduta di una convalescenza post chirurgica che minava il fisico ancora debole di uno dei gruppi più noti di sempre. Nel 2001 Jason Newsted abbandonò il gruppo, e James Hetfield dovette allontanarsi dalla band per entrare in clinica di disintossicazione dopo l'acuirsi della sua dipendenza dall'alccol; il gruppo dunque sembrava prossimo allo sfaldarsi; da un lato vi era infatti il leader costretto a combattere con i suoi demoni, dall'altro vi era ora il problema di dover sostituire un bassista defezionario, cosa che, nonostante il "new kid" fosse sempre stato ritenuto l'ultima ruota del carro (basta ricordare la storica diatriba su ?And Justice), non fu affatto semplice né tanto meno immediata. Le audizioni tenute dai 'Tallica videro la partecipazione di diversi musicisti illustri a questo "colloquio" di lavoro: Scott Reeder (Kyuss, Unida), Jeordie White, noto ai più come Twiggy Ramirez (A Perfect Circle, Marylin Manson), Chris Wyse (The Cult), Eric Avery (Alanis Morisette, Jane's Addiction), Danny Lohner (Nine Inch Nails) e Pepper Keenan, chitarrista dei Corrosion of Conformity disposto a cimentarsi alle quattro corde pur di aiutare i Metallica a tornare in pista, fino ad arrivare alla scelta definitiva di Robert Trujillo (bassista di Ozzy Osbourne, Suicidal Tendencies ed Infectious Grooves). Nel mentre però, in studio lo strumento fu suonato da Bob Rock, il quale, oltre a svolgere il ruolo di produttore, ora vestiva anche i panni del musicista provvisorio affinché il disco potesse comunque prendere forma nel frattempo. Alcune delle canzoni incluse furono scritte partire dal 2001, anno iniziale di questa spirale verso l'oblio che condusse i thrasher americani verso il baratro creativo forse più pesante della loro carriera. Tuttavia, l'immagine che si voleva e doveva dare al mondo era quella di un gruppo che aveva ritrovato la propria forma: "St. Anger" uscì nel giugno 2003, debuttando al primo posto della Billboard 200, e le vendite superarono il milione di copie, complice anche la curiosità dei fan di poter finalmente avere la conferma del ritorno in grande stile dei loro idoli, ma il risultato però fu diverso dalle aspettative: i momenti creativi giudicati degni di nota in quell'album erano veramente pochi, ma ciò che più fu criticato dai seguaci della band in merito a quel full lenght fu la postproduzione, ritenuta assolutamente mediocre per un prodotto della band in questione. "Com'è possibile che i Metallica, autori di dischi da annali della storia della musica, si ripresentino al varco con un disco avente dei suoni così di scarsa qualità?" Pensarono i più "Eppure dietro al banco mixer c'è Bob Rock, un producer che di lavori degni di nota nel suo curriculum ne ha diversi, in parte proprio dei Metallica". Nonostante tutto, i 'Tallica continuarono la loro carriera come se nulla fosse, partendo pochi mesi dopo la pubblicazione del lavoro per il Summer Sanitarium Tour, accompagnati da Limp BizkitLinkin Park e Mudvayne. Già dai nomi delle band di apertura, senza nulla togliere ad esse, si intuiva che i Metallica dovevano contare sul supporto di facciata di gruppi allora in auge in quanto alfieri dell'era d'oro del Nu Metal per poter riacquistare un minimo di credibilità agli occhi di chi ormai li dava per spacciati. Dal punto di vista discografico, i singoli promozionali pubblicati per "salvare il salvabile" furono quattro, il primo dei quali fu l'omonimo "St. Anger", contenente per l'appunto la titletrack ed una cover di "We're A Happy Family" dei Ramones. Il singolo fu poi seguito da altre tre uscite ("Frantic", "The Unnamed Feeling" e "Some Kind Of Monster"), ma furono manovre commerciali che, col senno di poi, tracciarono un quadro purtroppo chiaro della situazione, sia per i fan sia per i musicisti stessi. In copertina troviamo un artwork diretto, incisivo e minimale, non più le grandi grafiche mastodontiche degli album passati, ma un qualcosa che mira a lasciare il segno già dal primo impatto visivo: troviamo, in una composizione di colori tendente al giallo/verde,  il disegno stilizzato di un demone legato, con il viso rivolto verso il cielo mentre lancia un disperato grido di aiuto, ma come nella celebre tela "l'Urlo" di Munch, esso è destinato a restare silente e a perdersi nel vuoto, come il lamento di un prigioniero a cui sono state recise le corde vocali ed il cui rantolo di dolore è destinato a diffondersi unicamente come un impercettibile rantolo strozzato.

St. Anger

Ad avviare il singolo è appunto "St. Anger" (trad. "Santa Rabbia"), quella che per molti fu "la pietra dello scandalo", una canzone che fece discutere fin dalla sua prima apparizione e che i seguaci più accaniti cercarono di digerire più volte senza esito. In diverse interviste i Four Horsemen dichiararono che l'intento di questo nuovo album, concluso il loro periodo hard rock, era quello di recuperare il sound delle origini: le intenzioni erano dunque buone e gli errori che col senno di poi vennero commessi sono quindi da ritenersi compiuti in buona fede da parte del gruppo. Il charleston avvia la traccia nella più classica delle maniere, e giusto in questo breve frangente possiamo credere a quanto ci è stato detto, ma basterà ascoltare l'attacco del main riff per capire che la rinascita è un traguardo ancora lontano e, per voler usare una metafora medica, con questo materiale siamo ancora allo stadio fetale del tutto. Le chitarre vogliono essere grintose, almeno dal punto di vista esecutivo, ma i suoni che le caratterizzano appaiono spenti e privi di mordente, rendendo il tutto ben lontano dall'energia con cui, in passato, solo i primi secondi di una "Seek And Destroy" o di una "Enter Sandman" facevano venire la pelle d'oca. Lo sviluppo si conclude con l'arrivo degli accenti di batteria che seguono gli stacchi e qui ahimè giungiamo a sentire forse l'elemento che più di ogni altra cosa sul disco si sarebbe dovuta lavorare meglio: la batteria. Del drummer danese si sentono unicamente il rullante, la cui scelta di tenerlo aperto amplifica ulteriormente il suo emergere sul resto, ed i piatti; le chitarre ed il basso vengono totalmente coperti, e tutta la traccia suona come se fosse un'incisione di sola batteria con qualcosa in sottofondo, come se i microfoni del set avessero pescato per sbaglio anche gli altri musicisti intenti a suonare nell'altra stanza. La sfuriata d'apertura si conclude con un crescendo, dove Ulrich si lancia in un tappeto di doppia cassa in trentaduesimi, ma anche l'equalizzazione dell'elemento del set che viene suonato con le gambe ci rende difficile il poter percepire la punta del battente mentre ricrea il proverbiale effetto "mitragliata" che abbiamo già apprezzato su "One", facendo perdere il tutto sotto le frequenze alte del rullante che resta sempre al centro della nostra percezione uditiva. Si passa ora alla parte cantata, la chitarra accenna un arpeggio le cui note possono anche essere toccanti e ricche di pathos, ma non appena inizia il mid tempo della batteria il tutto sparisce eclissato dal poc'anzi citato rullante. L'unica nota positiva e che si ascolta in maniera definita dello sviluppo è la voce di Hetfield, che sembra non aver perso lo smalto canoro di un tempo nonostante il periodo difficile appena trascorso; arrivando poi al ritornello abbiamo modo di apprezzare dei cori fatti dall'ultimo arrivato Robert Trujillo, che si trova per le mani un lavoro su cui non ha effettivamente suonato ma su cui ha però modo di aggiungere il suo tocco personale per spingere ulteriormente il tutto. Dopo gli stacchi che separano il bridge dal ritornello, ecco partire quello che i Four Horsemen di un tempo avrebbero trasformato in uno sviluppo da cardiopalma, lo sviluppo è deciso e dinamico, ma il pastone generale dei suoni attenua il tutto, facendo emergere questo frangente come un qualcosa di debole e privo di energia. Passato il ritornello troviamo un altro blocco dalla struttura identica senza però che vi sia il cantato, i 'Tallica sperano di poter dare l'immagine del gruppo intento a martellare, ma salvo per quanto riguarda la batteria, non siamo in grado di distinguere chiaramente cosa fanno gli altri strumenti, sempre a causa del sopra citato squilibrio di volumi. Ciò che ci fece giudicare mediocri queste canzoni, a conti fatti, è proprio l'incapacità, dovuta alla post produzione, di non essere in grado di cogliere pienamente le idee che le costituiscono. Sarò monotono, ma oggi più che mai per la buona resa di un disco è fondamentale, oltre chiaramente alla mano che lo suona, che esso abbia una lavorazione mirata e modellata sulla base dello stile e del tocco degli autori. Un lavoro in studio più curato e magari meditato più a lungo avrebbe fatto sì che queste canzoni uscissero con una resa migliore di quelle effettiva. La responsabilità maggiore dunque, se proprio vogliamo trovare un colpevole in questa caccia alle streghe, è da attribuirsi alla fase di lavorazione immediatamente successiva alle registrazioni: quanto è uscito dal banco mixer dell' HQ studio di San Rafael in California, nella condizione attuale, ci rende difficile poter cogliere i vari particolari di queste tracce e conseguentemente viene altrettanto arduo poter affermare con certezza che questi, una volta concluso l'ascolto, sono i Metallica. La parte realmente apprezzabile ed incisiva di questa canzone si ritrova nel testo: le parole di questa traccia rappresentano una poetica e toccante immagine della rabbia e del senso di disgusto che un reietto delle società come un detenuto possa provare di sé dopo essersi pentito delle tue malefatte. Il pathos intrinseco di queste strofe è forse da individuarsi nella penna di un James Hetfield alle prese con il suo male interiore da esorcizzare. La Santa Rabbia che qui svolge il ruolo di protagonista è quell'ira che lentamente ci avvolge sinuosa il collo, quella che ci fa capire che dopo tutto il male che abbiamo causato solo l'Inferno è il luogo che ci deve ospitare, dove però non andremo in qualità di defunti per morte naturale bensì da suicidi: essa infatti è la valchiria che ci abbraccia sotto forma di corda che stiamo avvolgendo intorno alla nostra trachea per impiccarci e farla finita. Nella mente di colui che sta per compiere il folle gesto, alla decisione ormai invariabile, si affollano i mille altri pensieri che gli intasano il cervello: i propri cari, ammesso che ci siano ancora o non ci abbiano diseredato dopo averlo visto andare in cella, la donna amata, gli eventuali rimpianti, che vengono schiettamente mandati a quel paese per la loro inutilità e il desiderio di voler rompere quel faro che di striscio ci illumina mentre vogliamo che i nostri ultimi istanti trascorrano nelle tenebre più profonde. Tutto l'intero mondo intorno a noi è scosso da un boato, quasi fosse un terremoto, segno che la realtà come l'abbiamo conosciuta sta cercando di implodere insieme al nostro ultimo squarcio di dignità prima che i nostri occhi si chiudano per sempre; la prigione è la punizione che ci meritiamo per ciò che abbiamo fatto, ma essa è solo una condanna fisica, dentro di noi, nel nostro animo, sappiamo unicamente che è giunta l'ora di farla finita, chiudendoci un'ultima volta in preghiera ad invocare la Santa Rabbia purificatrice e sentire quella voce dentro di noi che ci dia l'ultimo sprono a renderci liberi per sempre.

We're A Happy Family

L'altra canzone contenuta in questo singolo è "We're A Happy Family" (trad. "Siamo Una Famiglia Felice") una delle due cover dei Ramones realizzate dai thrasher (l'altra invece è "53rd & 3rd", con cui la band partecipò, assieme ad altri artisti, alla raccolta in omaggio alla punk band americana). Stiamo quindi parlando di un pezzo relativamente semplice da suonare, senza contare che i thrashers californiani vantano un illustre passato anche in fatto di cover (il nome "Garage Inc." dovrebbe farvi venire in mente qualcosa): la traccia inizia con una basilare successione dei powerchords, che sarà poi il tema costituente dell'intero pezzo, ma fin dai primi istanti le chitarre appaiono suonate in maniera un pò grossolana. Tra un accordo e l'altro si sente infatti lo stacco delle mani nel passaggio da una diteggiatura all'altra e questo rende il tutto un pò zoppicante e poco fluido; la già citata post produzione inoltre ha reso i suoni delle sei corde troppo incentrati sulle frequenze alte e con troppo gain, dandone una resa "zanzarosa" e povera di corpo, mentre il basso resta basso di volume, rendendoci impossibile apprezzare la partitura eseguita da Trujillo. Per quanto riguarda il drumming di Ulrich, che di solito è sempre abbastanza standard, qui appare ulteriormente ridotto ai minimi termini e non vi sono infatti variazioni sul tema; l'inserimento di qualche piccola chicca ritmica in qualità di variante invece avrebbe conferito al brano quell'impronta di personalità che ha da sempre caratterizzato le rivisitazioni dei Four Horsemen in passato. Nel complesso manca quindi al sound quell'incedere compatto ed amalgamato che dieci anni prima ci faceva scatenare nell'headbanging più sfrenato, e che inoltre ha contribuito negli anni a creare il vero e proprio marchio di fabbrica dei Metallica. Il fare ossequioso ma allo stesso tempo personalissimo con cui il gruppo aveva reso omaggio a grandi nomi come Motorhead, Diamond Head, Queen e Mercyful Fate sembra quindi un ricordo legato all'opera omnia realizzata nel '98: ascoltando questa rivisitazione infatti si ha l'idea che il brano originale sia stato abbozzato alla veloce e registrato in presa diretta poco dopo con le mani ancora fredde, mentre un lavoro di ri arrangiamento più meditato e calibrato invece avrebbe reso "We're A Happy Family" un brano semplice ma esaltante, allo stesso modo di quanto i 'Tallica fecero con gli altri artisti punk tributati, basti pensare ai Discharge, ai Misfits o ai Killing Joke. Purtroppo il risultato poco convincente qui ottenuto, peraltro su una composizione non particolarmente complicata, mette in luce l'aspetto fondamentale che penalizza questa traccia e la separa da quelle di "Garage Inc.". Sull'album i Metallica hanno interpretato le canzoni di altri artisti, in questo particolare caso invece si sono limitati unicamente ad eseguire quanto è stato già scritto. La voce di Hetfield, che sulla raccolta di cover abbiamo avuto il piacere di apprezzare in quanto alle volte migliore del cantante originale del brano, qui appare approssimativa, priva di mordente e addirittura dissonante in qualche passaggio: è abbastanza insolito sentire le proverbiali "stecche" uscire dalla bocca del biondo vocalist di Downey, specialmente su una registrazione in studio dove, in caso di errore, vi si può subito porre rimedio. Eppure sul finale del testo la tonalità non sempre viene mantenuta e ciò lascia comunque l'amaro in bocca nel realizzare che questi errori sono commessi da un artista di tale calibro. Ben diverso sarebbe se si fosse trattato di una registrazione dal vivo, dove, specie se l'audio è estrapolato da una esecuzione posta verso la fine della scaletta, qualche errore dovuto alla stanchezza è più che giustificabile. Il testo di questa canzone ci offre un quadro volutamente ironico della famiglia felice su cui si basa il tanto blasonato sogno americano, che vede il nucleo familiare composto da un padre onesto e gran lavoratore, una madre casalinga modello ed i figli tutti con ottimi voti a scuola ed aventi tutti grandissime aspirazioni di eccellenza per il loro futuro. Il quadro reale di questa famigliola però e ben lontano da questo utopico disegno, ma nonostante questo, la voce narrante dichiara cinicamente "We're A Happy Family" (trad. "Siamo Una Famiglia Felice") nonostante risiedano nei bassi fondi, cenando sempre con razioni di fagioli surgelati ed apparendo su tutte le riviste come massima espressione del degrado. I loro guai non finiscono mai, non hanno amici con cui fare gite alla domenica e conseguentemente non hanno cartoline di auguri natalizi da spedire, ma sono una famiglia felice. Il padre dice continuamente le bugie, da buon truffatore, il bambino mangia le mosche perché non c'è altro cibo disponibile ed ha continuamente i brividi poiché non c'è nemmeno una coperta per scaldarlo, la madre abusa di tutte le pillole che trova ma sono comunque una famiglia felice. L'unico modo con cui avrebbero la possibilità di raggiungere la fama e la ricchezza del presidente o del papa è quella di racimolare i soldi guadagnati dal padre spacciando droga. Il tutto è per giunta cantato con la tipica cadenza da filastrocca, come se il figlio, cosciente del degrado che li avvolge, tenti tuttavia di autoconvincersi che il domani migliore presto arriverà. Siamo di fronte ad uno dei non pochi testi irriverenti ma allo stesso tempo divertenti dei Ramones, la cui ironia tagliente metteva in luce i paradossi della società statunitense attraverso il fare ribelle ed a tratti un pò volutamente clownesco dei quattro ragazzi con il chiodo e gli occhiali da sole; un testo che, nonostante abbia qualche anno sulle spalle, si dimostra ancora fresco ed attuale nella sua semplicità satirica.

Conclusioni

Il singolo di "St. Anger", a conti fatti, si dimostra una pubblicazione poco convincente per la promozione di un album. La scelta del materiale incluso purtroppo mette in luce un numero troppo alto di aspetti che sarebbero potuti essere migliori a discapito di quelli positivi. Per chi seguì la band fin dagli albori non fu certo facile constatare che nei primi anni del nuovo millennio il gruppo americano stava vivendo un periodo di forma non certo smagliante. La successiva uscita del documentario "Some Kind Of Monster" nel 2005, più che una manovra commerciale, fu una pubblicazione con cui venivano svelati i retroscena che fino a quel momento i Metallica cercarono di tenere nascosti, giustificando quindi in qualche modo una pubblicazione tra le più discusse dei primi anni Duemila; ormai sappiamo tutti che a quel tempo la band rischiò addirittura di sciogliersi, ma all'epoca, essendo ignari di tutto, i fan restarono delusi nel scoprire che il tanto agognato ritorno in grande stile era ancora troppo duro per potersi dire compiuto. Proprio per questo, seguendo il modello dei singoli dell'era di "Load" e "Reload", per mantenere comunque sempre desta l'attenzione sul gruppo, sarebbe stato preferibile puntare sul cavallo di battaglia della band: la resa dal vivo. Affiancare la titletrack del singolo a delle eventuali tracce live, magari prese dai lavori storici, registrate durante gli show (come del resto sarà fatto poi con i singoli successi di "Frantic", "The Unnamed Feeling" e "Some Kind Of Monster") si sarebbe rivelato un balsamo lenitivo nei confronti di quelle tracce in studio che fecero fatica a farsi apprezzare dai fan. Altro elemento che sarebbe potuto essere appetibile in tal senso, ed anch'esso sarà poi successivamente utilizzato, sono i videoclip: anche l'inserimento del video della titletrack in questo singolo, con magari anche qualche ripresa del making of, avrebbe reso più appetibile questo prodotto, anzi, considerato il caso specifico di "St. Anger", per il quale i Metallica hanno fatto visita ai detenuti del carcere di San Quintino, non sarebbe stata male nemmeno l'idea di un eventuale cortometraggio, in cui i Four Horsemen si sarebbero potuti rendere dei Cicerone all'interno della complicata realtà che è quella dei carcerati, dando così anche un risvolto "sociale" alla pubblicazione che avrebbe tinto il tutto sotto una vena di pacata umanità ed avrebbe reso l'estratto un qualcosa di assolutamente unico nel suo genere. L'essere limitato invece a due sole canzoni, di cui purtroppo è stata evidenziata la resa poco esaltante, rende invece difficile la commercialità di questo singolo, facendo preferire ad esso il full lenght stesso o i singoli seguenti, proprio per la ricchezza e la ricercatezza del materiale che contengono.

1) St. Anger
2) We're A Happy Family
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