METALLICA
Six Feet Down Under
2010 - Universal Music Group
MARCO PALMACCI
30/08/2016
Introduzione Recensione
Quando si parla di band di portata mondiale, inutile dirlo, il nome "Metallica" è uno dei primi che balza prepotentemente fuori dalle nostre bocche; al pari di leggende come Iron Maiden e Black Sabbath. Inutile nasconderlo o cercare di negarlo: a torto o ragione, i Four Horsemen hanno saputo scalare a mani nude vette impossibili anche solo da intravedere, per molte altre band. Una leggenda cominciata in un garage nei primi anni '80 e proseguita lungo la pubblicazione di (ormai) dieci album in studio, undici se aggiungiamo al lotto anche la raccolta di cover altrimenti nota come "Garage Inc.". Riconoscimenti a livello mondiale, dischi d'oro e di platino, sold out in ogni parte del mondo; che li si odi o li si ami, sarebbe antistorico ed anche ridicolo negare ad Het&co. dei meriti pressoché inscindibili dalle loro personalità. Quattro ragazzi che avevano un sogno, e che questo sogno sono riusciti a realizzarlo. Ieri, capelloni impertinenti e volenterosi di sfondare; oggi, padri di famiglia e musicisti esperti, forgiati nel fuoco di migliaia di indimenticabili concerti, di dischi belli e meno belli, di errori e di flop clamorosi. Un gruppo che ha vissuto qualsiasi periodo mettendoci la propria faccia, senza mai nascondersi dietro nessuna maschera o protezione "importante". Inutile dire quanto la loro carriera sia stata, mano a mano, testimoniata da diversi ed importanti "live" fermati nel tempo ed impressi su pellicola, o su nastro, o su DVD ed oggi anche Blu-ray. Così tanti che potremmo perdere il conto, elencandoli tutti. Live tenuti in ogni parte del mondo, sempre dinnanzi a legioni di fan a dir poco adoranti. Stadi, palazzetti, locali pieni. Questi sono i Metallica, in grado sempre di far parlare la loro musica a voce più alta di tutti. E quel che ci attendiamo a recensire oggi, esattamente, fa proprio parte di quel vasto campionario di "cartoline" collezionate dai Nostri, lungo l'intero arco della loro carriera. Il mappamondo segna una meta ben precisa: l'Australia, isola che ha saputo, nel corso degli anni, rendere grande ed immenso omaggio al mondo del Rock e del Metal. Basterebbe nominare gli AC/DC per capire il peso storico-musicale della terra dei canguri. E qualora Angus e soci non bastassero, potremmo tranquillamente tirare in ballo Buffalo, Rose Tattoo, Heaven, Holy Terror.. e la lista sarebbe ben lungi dal terminare qui. Impossibile, per una realtà come quella dei Metallica, non partire alla conquista di una nazione di tal portata. E secondo voi, gli Horsemen avranno magari declinato l'opportunità, spaventati dalle troppe ore di aereo? Assolutamente no! Il sodalizio fra i Cavalieri e l'Australia, a quanto sembra, affonda le sue radici sin dagli anni '80, come testimoniato da un'esclusiva targata Metallica e rilasciata esclusivamente per il mercato "aborigeno". "Six Feet Down Under", un doppio EP contenente svariate tracce registrate in altrettanti svariati concerti, tenuti dagli inizi sino a tempi più recenti. Una rarità, insomma, per noi europei. Una rarità che "Rock & Metal in My Blood" non poteva certo lasciasi sfuggire, reperendola tempestivamente ed andandola ad analizzare per tutti voi lettori, avidi di sapere. A livello di info, il prodotto non risulta particolarmente ricco di aneddoti o quant'altro: si tratta solamente di un'esclusiva, contenente più di qualche rarità / testimonianza dei tempi che furono.. e che erano, visto e considerato che questo EP risale al 2010 e la traccia più "vecchia" risale al 2004. Un EP diviso equamente in due parti. In questa prima, come noteremo, hanno trovato spazio ben poche "hit" di grande portata, a differenza di quanto avvenuto per il secondo capitolo, il quale invece risulta un vero e proprio mini best of della band di San Francisco. Una scelta ragionevole, visto e considerato quanto vasto sia il repertorio dei Metallica e quanto effettivamente i fan amino dividersi spesso in due partiti: patiti dei classiconi ed amanti dei brani più infossati e ricercati. Un bipolarismo perfetto, certo difficile da soddisfare con sole sedici tracce.. anche se il pensiero, alla base, risulterebbe quanto meno lodevole. Un'operazione tutto sommato buona ma non esente da alcuni difetti, che enunceremo in maniera più marcata ed approfondita nella consueta analisi "track by track". Non è tutto oro ciò che luccica, e lo si sa.. per quanto leggendari, neanche i Metallica possono essere esenti da difetti o comunque da piccoli appunti, da lanciarsi sempre con il massimo dell'oggettività e dell'obbiettività; proprio per non partecipare a quel gioco al massacro che da ormai troppi anni coinvolge i Cavalieri, da sempre bistrattati anche solo per un mezzo respiro sbagliato o per una maglietta non gradita da qualcuno. Bando con gli indugi, dunque, e tuffiamoci in questa nuova release.. il caldo australiano sembra già essere alle porte, come se il "nostro" non bastasse. Let's Play!
Eye of the Beholder
Si comincia dunque con "Eye of the Beholder (L'occhio di chi scruta)", prima di due tracce entrambe datate 1989, eseguite nel celebre "Festival Hall" di Melbourne. Udiamo subito il drum kit in azione; un ritmo il quale viene prontamente scandito da un battere quasi "tribale" dei fusti di Lars. Come se il danese volesse omaggiare l'antico folclore aborigeno, usando i suoi tamburi in maniera densa di sacralità ieratica. E' James, tuttavia, il mastro cerimoniere: arringatore di folle fra i più dotati, scioglie subito ogni indugio e presenta al pubblico la traccia. La qualità audio non è eccelsa, forse il pezzo risente di un eccessivo "rimbombo", tuttavia il riconoscibilissimo riff introduttivo di "Eye.." si fa subito sentire. Una marcia cadenzata e particolare, la quale prorompe dunque in una strofa leggermente più aggressiva, ma sempre stagliata su ritmi quadrati e ragionati. Lievi "sbavature" qui e là (voci fuori campo, volumi a volte spropositati), qualità audio che peggiora sensibilmente a lungo andare, una registrazione forse eccessivamente trascurata, rasentante il bootleg od il "fan made". Decisamente troppo poco per un prodotto immesso sul mercato come "live album". Tuttavia, il brano scorre tranquillamente, sempre sorretto da quel groove particolarissimo, tipico di tutto "..and Justice For All", album dal quale il brano è tratto. Un groove basato sulla precisione e le particolari cadenze dinamico / ritmiche in grado di dare colore ad una canzone dalla durata assai importante. Uno degli episodi migliori di tutto "..and Justice..", un frangente che riesce a far del male pur senza accelerare mai eccessivamente. Batteria e basso sono il cuore, le chitarre le arterie pulsanti e cariche di sanguigna attitudine. Peccato che tutto sia minato dalla resa sonora. Un pubblico a volte assente (a causa del pessimo audio) ma evidente in fase di ritornello, quest'ultimo praticamente cantato a squarciagola. Si torna a rumoreggiare durante l'assolo di Kirk, frangente nel quale riusciamo addirittura ad udire nitidamente il basso, anche se per pochi attimi. Si continua così sino alla fine del pezzo, senza particolari picchi di qualità; peccato che un brano con questo potenziale venga reso in questa maniera: sound piatto, confuso ed a volte rasentante il dilettantistico (facendo riferimento ovviamente ai "tecnici", in quanto l'esecuzione dei 'tallica, per quel che riusciamo ad ascoltare, è comunque molto buona). Il testo, naturalmente corrispondente a quello della versione studio, torna a narrarci l'annoso problema della libertà di espressione. Fino a prova contraria, tutti crediamo di vivere in un mondo libero: possiamo dire ciò che pensiamo, esprimere le nostre idee, cercare di comprendere quelle altrui. Eppure, una strana sensazione ci attanaglia e ci lascia spiazzati; una sensazione la quale corrisponde, purtroppo, ad una tragica realtà. Ovvero: forse e diciamo forse, non siamo poi così liberi come crediamo. Tutto è in grado di condizionarci: la televisione, i giornali, la famiglia, la società in senso lato. Siamo molto spesso bombardati da input di varia natura, se non da vere imposizioni velate, spacciate per "moda", "consigli", "ideologie", "religioni". E dunque cominciamo a pensare, agire, desiderare per conto di terzi. Crediamo di essere noi gli artefici del nostro destino, ed invece siamo manovrati. Manovrati da quei potenti i quali hanno ormai capito che il segreto non è nella tirannide spietata, ma anzi in quella più largamente "mimetizzata". Far credere a qualcuno di essere libero è la più subdola delle tecniche di sottomissione, eppure la più efficace. Proseguiamo dunque la nostra vita da burattini, fissati da quest'occhio. L'occhio di chi osserva, di chi scruta. Il quale appartiene sia ai potenti, ai nostri "creatori", i quali badano che il nostro essere non esca mai troppo da un determinato selciato; sia a noi, visto che osserviamo il tutto in maniera passiva, senza intervenire, senza fare nulla di nulla. Schiavi abbandonati a loro stessi.
..And Justice For All
Il prossimo brano in lista è dunque "..And Justice For All (..e fu giustizia per tutti)", presentato da James in maniera laconica e brevissima. E' subito tempo per Kirk di scandire il delicato e melodico arpeggio d'apertura, con un pubblico in visibilio, intento a tenere il tempo con le mani.. e sbagliando, alcune volte. Ben presto le elettriche cominciano a mordere, disperdendo il delicato impatto iniziale: benché alcune volte dei fan vengano sorpresi a "parlare" fra di loro piuttosto che a cantare o ad incitare il pubblico, minando il buon esito della registrazione, l'asticella qualitativa sembra essersi leggermente alzata, almeno quando la prima strofa prorompe in tutta la sua potenza. La precedente parentesi strumentale non è stata certo da ricordare (causa produzione), ma pian piano il lavoro si risolleva, anche grazie alla intrinseca bellezza di un brano come "..And Justice..", il quale non sfigurerebbe nemmeno nel contesto più becero. La chitarra di Hammett, a metà fra il Thrash e l'Heavy (piccoli lapilli di N.W.O.B.H.M. sapientemente sparsi qui e là), la voce di James sempre perfetta, la ritmica di Lars che non sbaglia, il basso di Jason fine cesellatore anche se messo in ombra dalla scarsa qualità generale. Dopo un sapiente alternarsi di strofe e ritornelli è dunque il momento per una intricata parentesi strumentale, la quale ci presenta un bell'assolo di Kirk; quest'ultimo termina in un frangente assai più lento di quanto abbiamo udito sino ad ora, un frangente incredibilmente ragionato che permette ad Hammett di continuare ad esprimersi al meglio della sua forma. Si torna in seguito a correre, quando Lars suona la carica e riconduce i suoi compagni su lidi ben più estremi. Nuova strofa, nuovo refrain, il pubblico sempre meravigliosamente partecipe; "yeeeah!" di James verso il minuto 8:39, ed arriva in seguito il momento per un nuovo "assolo" di Hammett, il quale riveste di melodia il finale di un brano decisamente ben suonato. Tutto si conclude fra urla ed applausi scroscianti, com'è giusto che sia. Con tanto di ringraziamento da parte di Het, visibilmente stanco ma soddisfatto, almeno da quel che si evince dal suo tono di voce. Dopo "Eye..", un altro testo denso di denuncia di stampo sociale. Se nel brano precedente si affrontava il tema della falsa libertà di espressione, in queste liriche troviamo invece una ferma condanna all'utilizzo arbitrario della giustizia. Un concetto nobile, quest'ultimo, che dovrebbe regolare le nostre vite e renderci più tranquilli, sereni. Chi sbaglia paga, e tutti siamo al corrente del fatto che infrangere la legge comporti solo guai. Per questo motivo ci sforziamo di vivere in maniera retta, lontani dalle sirene del crimine, decisi a guadagnare unicamente sfruttando le nostre forze. Cosa succede, tuttavia, quando la giustizia smette di fare il suo dovere, perché amministrata da personaggi prepotenti e privi di scrupoli? Dalla polizia al governo, in troppi sono in grado di riscrivere le leggi, applicandole secondo il proprio volere / tornaconto personale. Ecco quindi che i nostri sonni vengono turbati da cotanti abusi. Quanti innocenti finiscono in galera, e quanti (estremamente peggio) vengono condannati alla pena di morte? Basta un errore giudiziario, basta una giuria corrotta per ritrovarsi incastrati. Giudici comprati, tangenti, mazzette; accuse sottobanco, soffiate, confessioni false ma estorte mediante la violenza. L'ingranaggio della giustizia risulta mal oliato sin dall'alba dei tempi, e nessuno sembra ormai cercare di raddrizzare la situazione. Siamo costretti a subire le prepotenze e le angherie di chi dovrebbe proteggerci.. ed, invece, finisce col rovinarci l'esistenza. Ci ritroviamo in prigione per una tassa non pagata, per accuse false e non provate.. per un perché del quale mai saremo a conoscenza. Vorremmo urlare e far valere la nostra innocenza.. ma è la nostra parola contro chi, dietro un titolo od un distintivo, ha tutti i diritti di poter fare ciò che più lo aggrada. La statua bendata, tenente in mano una bilancia, viene dunque ripetutamente violentata e sconvolta dagli abusi dei suoi falsi rappresentanti. Ci sarà mai una vera giustizia, a questo mondo?
Through the Never
Compiamo un balzo in avanti ed arriviamo nel 1993: siamo a Perth, nell' "Entertainment Centre", location di questa versione di "Through the Never (Attraverso il.. mai)" che ci apprestiamo ad udire. Il primo brano, fra l'altro, che apre il seguente duetto composto da brani estrapolati dal celeberrimo "Black Album". E' la rugginosa chitarra di Hammett a donarci gli onori di casa, sorretta dalla precisa batteria di Lars. Un riff crudele e potente, eseguito in maniera ossessiva, il quale presto si staglia su di una ritmica meno aggressiva e più ragionata. Il brano assume dunque un'andatura media, accelerando in prossimità del memorabile refrain, il quale riesce a compiere autentici sfaceli, mandando il pubblico in visibilio. Un brano, questo che stiamo udendo, il quale risulta quindi variegato, abile nel destreggiarsi fra la pesantezza tipica dell'incedere più ragionato e la potenza della velocità senza quartiere. Velocità che permea particolarmente il momento solista gentilmente offertoci da un Kirk bestialmente ispirato, il quale fila dritto come un treno, senza fermarsi mai. Ben presto, il momento solista si infrange su di un drumming "sacrale", tribale, particolarissimo, sul quale la band tutta si cimenta in sede di canto, aiutando dunque un ottimo Het. Il taglio grezzo di questa registrazione, al contrario delle precedenti, rende il brano ancor più cattivo che su disco, giovando al contesto tutto non di poco: i 'tallica recuperano la loro naturale "ignoranza sonora" esibendosi al meglio e confezionando dunque un momento di grande Metal, portando a casa il risultato in maniera ottimale. Dopo due testi dedicati a tematiche strettamente politico-sociali, il tema centrale dei brani comincia a vertere su argomenti assai più esistenzialisti e se vogliamo "filosofici". In particolare, il testo di "Through.." si configura come un autentico viaggio da condursi in solitaria, privi di mezzi di locomozione. Siamo infatti proiettati in un'altra dimensione, alla ricerca di noi stessi; cominciamo a pensare al passato, al presente ed al futuro, cercando di indagare ogni singola componente nella maniera più efficace che possiamo. E' come ritrovarsi al di là del tempo e dello spazio, in volo verso una dimensione sconosciuta. Osserviamo il nostro pianeta dal cielo, così grande dall'interno come così minuscolo dall'esterno. E pensiamo, sospesi nel limbo. Pensiamo all'oscurità che ci avvolge, metafora di smarrimento e delusioni. Pensiamo al sole, speranza inestinguibile. Pensiamo a tutte le questioni in sospeso, alle gioie ed ai dolori. Siamo come persi all'interno del nostro cosmo, del nostro essere. La nostra quintessenza, rappresentata da un sistema solare in cui riusciamo a riconoscere un po' di noi, in ogni elemento del panorama che ci perdiamo ad osservare. Cosa siamo, se non tutto e niente? Dove andremo, cosa faremo? Cos'eravamo, cosa siamo, e cosa saremo? Qual è il nostro destino? Domande e forze contrastanti, le quali si annullano a vicenda, affrontandosi. Il "mai" del testo è la nostra condizione. La libertà di esistere, come di non esistere. Di essere, come di non essere. La rottura definitiva di ogni preconcetto, di legge. Solo noi stessi, pirandellianamente persi fra una, nessuna e centomila entità, contemporaneamente. Che sia nel "mai", la vera libertà?
The Unforgiven
Si cambia location ma non anno: sempre il 1993, solo che questa volta ci troviamo al "National Tennis Centre" di Melbourne. "The Unforgiven (L'imperdonabile)" può dunque fare la sua comparsa, introdotta da un'ascia a tratti "spagnoleggiante". Ben presto un arpeggio mesto e deciso ruba la scena, recando seco malinconia ma anche una strana dose di stoica potenza, la quale fa in modo di trascinare un'audience visibilmente contenta dell'esecuzione di questo brano durante il live. La chitarra di Hammett diviene profonda e rugginosa solamente con l'arrivo della prima strofa, lasciando da parte le velleità gitane ed arpeggianti; si prosegue dunque fra forza e melodia: sempre il solito "taglio grezzo" che fa nuovamente bene ad un brano che dovrebbe presentarsi come una ballad ma che tutto sommato vuole colpire, far male. Non certo presentandoci un qualcosa di sdolcinato, anzi Lo dimostra il cantato di Het, camaleontico e sentito, ma incredibilmente virile e ruggente, quanto serve. Melodia generale mai abbandonata, neanche quando le chitarre divengono pesanti come macigni ed accompagnano dunque il cantante verso grandi e notevoli climax, i quali non tardano ad esplodere. Anche gli arpeggi si fanno sentire, di quando in quando, divenendo protagonisti di una breve sezione strumentale antecedente all'assolo di un Kirk sul pezzo e capace di comunicare con il suo strumento. Un assolo d'alta scuola, a metà fra l'Heavy vecchio stile e quel Thrash mai del tutto abbandonato dai 'tallica, nemmeno negli anni del "Black Album", momento in cui cercavano di alleggerire notevolmente la loro proposta. Ce lo dimostra dunque il ritorno in pompa magna di un sottofondo arpeggiato succedente (non precedente, questa volta) l'assolo di Kirk, il quale accompagna un meraviglioso James sino alla fine del pezzo. C'è spazio, prima della conclusione finale, per un altro breve momento solista: il brano ha dunque modo di concludersi in maniera sentita, decisa, perentoria. Un pezzo carico di pathos, di emozioni.. toccante ma soprattutto graffiante, stravolgente. Una delle migliori ballad mai composte nella storia del Metal. Continuando con il trend "esistenzialista", il testo di "The Unforgiven" decide di affrontare temi drammatici come la solitudine e l'isolamento, spesso indotti da cause esterne, come molto spesso autoindotti. Troppe volte, infatti, le persone che ci circondano risultano false e totalmente ingestibili. Ma noi non ce ne avvediamo, e per paura di rimanere soli cerchiamo di ingraziarci chiunque. Il problema è che, in certi casi, al 100% delle volte non si riesce a conquistare nessuno, con il proprio modo di essere. Veniamo criticati e malamente spronati ad assumere altre identità, altri modi di essere, di pensare. E' quel che cerchiamo goffamente di fare, in effetti; ed il gioco, per un po' di tempo, sembra durare. Le persone ci apprezzano e veniamo cercati, coinvolti.. tuttavia, uno strano fuoco inizia a logorarci. Lo sentiamo bruciare in noi, lo sentiamo consumarci poco a poco. E' il fuoco del disagio, della stanchezza. Quel fuoco che corrode un'anima persa nel marasma e nel caos della mediocrità. La recita sta per finire, non riusciamo più a sostenere un peso che sia anche solo di un grammo. Tanta falsità ci opprime, eppure non vogliamo rimanere soli. La paura di perdere tutto ci sprona a continuare a fingere, anche se non vogliamo. Abbiamo paura, i nostri limiti non possono far altro che tenerci segregati in una cella immaginaria.. eppure così solida. Paure che ci inducono in sbagli, le cui conseguenze marchieranno a fuoco la nostra vita. Non riusciamo ad andare avanti, ci sentiamo dei falliti, delle totali delusioni. Questo è ciò che non possiamo dimenticare, che non possiamo perdonare. Non possiamo perdonarci per cercare d'essere ciò che siamo, non possiamo perdonare chi ci spinge a recitare; non possiamo dimenticare i nostri errori, non possiamo dimenticare le nostre sofferenze. L'isolamento ritorna, la paura ci bracca e conduce verso l'angolo più buio. E' la fine.
Low Man's Lyric
Seconda metà dell'EP aperta da una track tratta dal discusso "ReLoad": è il 1998 e siamo nuovamente all' "Entertainment Centre" di Perth, tempo e luogo di questa esecuzione di "Low Man's Lyric (La ballata del pover'uomo)". Il pubblico rumoreggia, James chiede se tutti sono presenti, presentando dunque il brano. Suonato interamente in acustico, ben interpretato da una voce che sfocia quasi il country.. con buona pace di Joey DeMaio, che aveva effettivamente disprezzato "Load" e "ReLoad" per il loro contenuto da lui ritenuto eccessivamente "bucolico". L'interpretazione di Het è decisamente sopra la media, il problema è forse il sottofondo: almeno inizialmente, gli strumenti acustici risultano quasi fastidiosi, e continuano a mantenere questo trend anche per tutta la durata del brano. Il quale si configura dunque come una malinconica ballad dal flavour Southern, forse una delle dimostrazioni d'amore più lapalissiane mai attuate dai Metallica nei riguardi dei Lynyrd Skynyrd. In effetti, i climax tipici di un certo tipo di ballad Southern si fanno prepotentemente sentire, e gli strumenti acustici non fanno altro che alimentare questo pensiero. Chiariamoci: un bel brano in studio, ma forse eccessivamente penalizzato da questa occasione. Lo ripetiamo, la qualità dei vari pezzi rasenta quella di un bootleg, e se in casi come "Through The Never" o "The Unforgiven" i danni sono stati di molto limitati, in questi casi il "piattume" generale e le generose sbavature non fanno altro che depredare l'esecuzione del pathos necessario a renderla memorabile. Proprio come accaduto alle prime due tracks tratte da "..And Justice". Il pezzo fila dunque fino alla fine, sempre fiero del suo fervore acustico, senza riservare chissà che sorprese. Degna di nota comunque la conclusione, di molto malinconica e "sentimentale", la quale vede Het cantare a bocca chiusa, quasi mugugnando, come accaduto del resto ad inizio brano. Pur cambiando disco, non cambia il perno centrale dei testi, ed anche "Low Man's.." continua sul sentiero già battuto dalle due precedenti tracce. Questa volta siamo dinnanzi alle confessioni di un uomo caduto in miseria. Un uomo che paga le conseguenze di una scelta sbagliata, che affronta le amare responsabilità che la vita gli sta dunque porgendo, sbattendogliele perentoriamente sul muso, senza pietà. L'uomo è quindi affranto, sente il suo animo cadere a brandelli. Le sue ossa, un tempo forti e stabili, scricchiolano ed implorano pietà. Cos'avrà mai fatto, per ridursi ad un pover'uomo? Non possiamo saperlo con certezza. Sta di fatto che, nella nostra storia, è coinvolta una seconda persona; alla quale l'uomo decide di scrivere, per chiedere perdono. La ballata da lui composta è il modo con il quale spera di redimersi, di venir compreso. Ha sbagliato e se ne rende conto: vorrebbe solo tornare ad essere felice, a venir di nuovo amato. Probabile che sia coinvolta una lei, e che lui l'abbia lasciata in un impeto di difficoltà e confusione interiore. Al più si potrebbe pensare ad un'amicizia rovinata da un litigio piuttosto grave. Sta di fatto che il protagonista canta e narra la sua storia, paragonandosi ad un povero cane abbandonato. La pioggia inizia a vessarlo ed egli non ha ripari: vorrebbe solamente che qualcuno gli aprisse la porta di servizio e gli permettesse di giovare del riparo di un tetto. Egli non riesce più a sostenere il peso delle sue azioni, delle loro conseguenze. Non riesce più a sopportare la sofferenza provocata, a sua volta, nella persona ormai perduta. Dunque ha scritto questa ballata, sperando di poter riuscire a riconquistare chi, dopo l'ennesima ferita, lo ha inevitabilmente abbandonato al suo destino.
Devil's Dance
Rimaniamo a Perth, stesso anno e stessa location: arriva il momento di "Devil's Dance (La danza del diavolo)", altro estratto da "ReLoad". James continua ad incalzare la folla, finché Lars non inizia a giocare con i suoi tamburi, scandendo un ritmo assai interessante. E' il battere sul crash che dà dunque il via all'inizio delle danze: un ritmo suadente e potente, serpeggiante e pregno, gravido di groove. Le chitarre fanno la loro parte, amalgamandosi al contesto dettato da basso / batteria. Notiamo come questa volta la resa audio non penalizzi minimamente il pezzo ed anzi lo esalti. Finalmente, un altro bel momento da godersi senza paura che venga rovinato da pecche e/o sbavature. Il cantato di James viene di quando in quando sormontato dagli strumenti, ma poco male: l'andatura grezza, cadenzata e maligna del brano è veramente un piacere per le orecchie, il battere possente alla sua base riesce a conquistarci, spingendoci a marciare in coorte, non curandoci dei possibili ostacoli. La batteria continua a ricamare tempi essenziali ma duri come la roccia, il sound delle chitarre sembra provenire da una palude tanto è malato e malsano, il basso di Jason fornisce al contesto tutto una profondità inaudita. Un brano che non brillerà per chissà che intrecci o soluzioni particolari, ma ci presenta dei Metallica crudeli e cattivi al punto giusto. Uno dei pochi episodi da promuovere, di un periodo piuttosto chiacchierato. Ottimo ma forse un tanto troppo prevedibile il solo di Kirk, ma è ormai chiaro che ci troviamo dinnanzi ad un frangente che cerca di colpire mediante la sua struttura / andatura generale, che su di un particolare momento. Non che, comunque, l'espressione solista di mr. Hammett risulti da buttare, anzi. Si può dunque arrivare verso il finale dopo un'autentica sferzata di malvagità e rugginosità. Uno dei migliori brani contenuti in questo EP, poco da dire. Molto particolari le lyrics, che sembrano riprendere la metafora biblica del Serpente Diavolo. Anche qui troviamo il rettile impregnato di caratteristiche a dir poco demoniache, parlante e con fare tentatore. La sua preda è sicuramente scettica ed anche un po' intimorita da tutto questo, ma l'essere strisciante sa come metterla a suo agio. Con un fare da affascinante gentiluomo tipico di altre figure demoniache tipiche cantate nel mondo del Rock (verrebbe in mente il Lucifero di "Sympathy For The Devil"), la dannata serpe cerca infatti di conquistarsi un nuovo adepto. "Nei tuoi occhi vedo ardere un fuoco, un fuoco che potrà liberarti", queste sono le prime parole della creatura la quale cerca di far leva sulle voglie nascoste di ognuno di noi, voglie represse dall'invadenza del clero. Papi e Vescovi ci vorrebbero sempre casti e pii, sottomessi ed arrendevoli; la carne è però debole ed il senso di curiosità non può essere soppresso facilmente. Il Serpente agisce proprio su questo, cercando di far breccia nella nostra intimità, promettendo di liberarci da determinate catene. Egli sa come ci sentiamo ed è qui per aiutarci, ci basta prendere anche noi un morso di quella mela per poterci finalmente liberare da anni e anni di insoddisfazioni e repressione. E se dapprima siamo restii, il Serpente non demorde. Sa che prima o poi torneremo da lui e lo supplicheremo di unirci alla sua danza. Un morso, solo un morso per poterci finalmente innalzare allo status di uomini perfetti, liberi dal "timore di Dio" e da altre situazioni che possono pregiudicare lo scorrere ed il liberarsi dei nostri naturali istinti. Possiamo declinare oggi l'invito a ballare col Diavolo.. domani o dopodomani, sicuramente cederemo. E' questione di pazienza e lui ha tutta l'eternità per aspettarci.
Frantic
Ulteriore cambio di location, di tempo e di line up: anno domini 2004, "Entertainment Centre" di Sydney; al basso subentra Robert Trujillo. Un periodo storico ed un nome che possono voler dire unicamente una cosa: "St. Anger". E difatti, la chitarra di James è lesta nello scandire il riff iniziale di "Frantic (Frenetico)", partendo in sordina ma fortemente incoraggiato da un pubblico in vena di cantare. Het coglie la palla al balzo e dunque prorompe in un discorso semplice quanto funzionale al contesto: "Fatevi vedere.. e ditemi, quanti di voi sono arrabbiati? Bene.. volete sfogarvi? ..benissimo! Questa è la vostra occasione! Lars.. sai cosa fare, amico!"; serie di rullate sempre più ravvicinate, "yeah!!" gridati da tutto il pubblico.. battiti di charleston frenetici e nervosissimi; "Frantic" può dunque iniziare nel migliore dei modi. Un pezzo che live rende almeno il QUADRUPLO che su album. Una resa sonora questa volta perfetta, che valorizza l'attitudine estrema del brano, il quale su disco suonava eccessivamente penalizzato dal bieco lavoro compiuto dietro il mixer. I Metallica donano dunque una seconda giovinezza ad un brano che finalmente si trova a suo agio, potendo esprimere momenti di rara rabbia alternati a melodie disturbanti. Se il precedente "Devil's Dance" si candidava ad essere uno dei migliori brani del lotto, "Frantic" è senza dubbio il migliore, poco da fare. Il nervosismo di quei riff taglienti e carichi di groove, la potenza della voce di James, il basso di Robert, la batteria roboante di Lars, il supporto offerto da Kirk in sede chitarristica.. tutto meravigliosamente perfetto. Il pubblico se ne accorge, facendosi travolgere dalla tempesta ed accogliendo a braccia aperte questo meraviglioso contenitore di rabbia e cantilene oscure. Soprattutto verso il minuto 5:30 il lavoro di chitarra diviene più estremo che mai. Le asce ruggiscono in maniera rugginosa e sferragliante, facendo del loro meglio affinché il contesto divenga pesante quanto un'intera catena montuosa. Il pezzo scorre dunque in questa maniera, alternando malvagità a brevi parentesi più riflessive. Ci sarebbe voluto "Six Feet Down Under", per far rendere conto ai Metallica con che spirito un disco come "St. Anger" avrebbe dovuto esser partorito. Provate ad ascoltare dal minuto 7:20 in poi; ditemi se siete in grado, francamente, di resistere a questa corsa sfrenata. Non crederei al contrario neanche se mi pagaste. Il testo sembra ispirare tanto frenetico disagio quanta la musica: è difatti figlio degli abusi di James Hetfield, ed è strutturato come la disperata richiesta di un uomo appena accortosi di aver sprecato tempo prezioso, dietro varie dipendenze. Ci si interroga su come sarà il futuro, se questo potrà essere migliore del presente, se risulterà benevolo o se si configurerà come l'ennesima condanna. Un futuro incerto che dunque fa paura, ma mai quanto un passato che sembra pesare come un macigno. Non tanto i giorni che verranno.. a spaventare, sono quelli appena trascorsi: tutto il tempo perso, tutto il tempo gettato via nelle bottiglie e nei bicchieri.. chi potrà mai ridare, a James, tutto questo? Quanto ha effettivamente buttato via, quanti giorni ha potuto vivere in maniera degna? Quali saranno i ricordi che si accumuleranno, col passare del tempo? Un'introspezione dura, una resa dei conti con la propria anima. Di una cosa, è certo il nostro.. ovvero, del fatto che l'alcool o le droghe non sono né potranno mai essere una soluzione. I problemi bisogna affrontarli, senza mai mentire a noi stessi, anzi riconoscendoli. Ammettere di aver bisogno d'aiuto è già metà della vittoria, e non è un gesto di debolezza. Anzi, è proprio un modo per dimostrarsi forti ed umili, determinati ad uscire dal baratro. Il tempo gettato alle ortiche, però, non verrà mai restituito. Questo è l'unico grande rammarico di Hetfield, il quale farà però in modo di "conquistare" nel presente tanti bei momenti da tramutare, nel futuro, in ricordi piacevoli. Una famiglia amorevole, dei compagni leali, amici sinceri.. questo è tutto ciò di cui abbisogna, ogni uomo o donna su questa terra. La paura è senza dubbio una nemica terribile, ma come saggiamente ci viene detto: "My lifestile determines my deathstyle! - il mio modo di vivere determinerà il mio modo di morire!". Come abbiamo vissuto, così moriremo. Avremo la forza di andare avanti? Di guardare in faccia il nostro futuro, di capire cosa non va in noi? Dobbiamo, ad ogni costo. Come ulteriore prova a supporto di quanto il testo sia impegnato, abbiamo anche una divagazione spirituale apposta da Kirk Hammett, il quale ha deciso di proporci un concetto preso in prestito dal buddhismo. "Birth is Pain, Life is Pain, Death is Pain", massima denominata in "Duhkha", ovvero "condizione di sofferenza". Una condizione che accomuna tutti gli Esseri, status esplicato dal Buddha Sakyamuni nel suo primo ed importante discorso.
Fight Fire With Fire
Giunge quindi il momento del gran finale con un classico senza tempo: "Fight Fire With Fire (Combatti il fuoco con il fuoco)", live from "Entertainment Centre" (Brisbane), A.D. 2004. La open track di "Ride The Lightning" viene aperta dalle consuete chitarre arpeggiate à la "Into The Coven" (sempiterna hit dei Mercyful Fate), sorrette da un boato del pubblico. Melodia particolare e sognante, la quale va presto ad infrangersi in un'accelerata devastante, degna dei tempi che furono. Riff principale presto scandito, breve serie di stacchi e dunque la prima strofa può fare imperialmente la sua comparsa, in un tripudio di violenza sonora. L'ugola di Het pare leggermente provata, tanto da inficiare leggermente la prova generale; ma tant'è, la potenza strumentale rimane tale da non poterci far lamentare poi troppo. Comprensibilmente, trovandoci forse all'ultimo brano di una scaletta completa, è anche lecito pensare che James fosse allo stremo delle forze; e ben sappiamo quanto il cowboy sia capace di donare tutto se stesso, durante un live. Si prosegue così con cattiveria sino al secondo refrain, momento in cui James chiede al pubblico se è ancora vivo. Chiede anche di dimostrarlo, invitando la folla a far casino. Proprio perché è il momento di un assolo potente quanto una tempesta, ben presto ricamato da un Hammett sugli scudi, il quale si concede addirittura (in questa parentesi solista) un excursus Heavy che molto sa di neoclassic. Ben presto si ritorna a picchiare senza pietà, successivo combo di strofa / refrain ed il brano può dunque avviarsi ad una conclusione potente che forse avrebbe avuto più mordacia se il frontman avesse conservato più energie da spendere, in vista del finale. Nella sua brevità, il testo di"Fight Fire With Fire" inverte la rotta e lascia da parte esistenzialismo e filosofia. Nella più pura tradizione Thrash, infatti, si torna a disprezzare il trend dell'allora mondo degli anni '80.. il quale, col senno di poi, non è certo molto cambiato. Ad essere disprezzata è la regola dell'occhio per occhio. Viviamo infatti in un mondo costantemente sottomesso da conflitti intrapresi fra "due fuochi". Basta un nonnulla per aizzare un incendio, per causare un rogo di proporzioni bibliche. Potenze che si combattono a suon di missili e proiettili, nulla sembra poter stabilire anche un solo secondo di pace. Ogni giorno esplode una bomba, l'Armageddon sembra avvicinarsi con passo pesantissimo. Ed allora cerchiamo in tutti i modi di capire cosa stia succedendo, perché e percome; non trovando risposta, sembriamo quasi accettare tutto quel che ci circonda, sperando di non rimetterci mai le penne. Eppure, "far fuoco al fuoco" sembra diventata la regola d'oro. Il nuovo passaggio chiave, la nuova massima capace di riassumere il mondo in poche parole. Che cosa succederà, dunque, quando tutto sarà finito? Quando tutti saremo morti e nulla più esisterà? Fino ad allora possiamo solo congetturare.. o meglio, essere assaliti dagli incubi che ogni notte tormentano i nostri sonni; tutt'altro che placidi.
Conclusioni
Terminata questa nostra avventura all'interno della prima parte del progetto "Six Feet Down Under", diverse sono le considerazioni che mi sentirei di formulare, in merito. Iniziamo subito da ciò che (per così dire) risulta più "ovvio", o magari scontato. Siamo dinnanzi ad una normalissima "operazione tributo", ed i Metallica non sono certo né i primi né gli ultimi ad aver profuso energie in cause del genere. Ogni band ama ingraziarsi il proprio pubblico, senza applicare barriere geografiche, cercando di tributare soprattutto le zone del mondo in cui è effettivamente più difficile soggiornare. E l'Australia, lo sappiamo bene, risulta una terra stupenda quanto inospitale, per molti versi. Una grande isola sperduta nell'oceano, distante ore ed ore di volo dall'occidente. Chiaro e lampante che un "live in" in queste zone sia sempre un grande evento, capace di catalizzare l'attenzione di milioni di persone. E' per questo motivo, dunque, che mi chiedo: a cosa dovrebbe poi tanto servire, quel che a conti fatti si presenta come poco più di un buon bootleg e nulla di più? Un insieme di tracce bonus, unite forse con poco criterio, la cui qualità troppe volte non raggiunge la sufficienza. Tutta una serie di "perle rare" che avrebbero forse trovato maggior collocazione come "surplus" da inserirsi in ben altri contesti. Quel che "Six Feet.." cerca di essere, effettivamente, è un album live. Quel che invece è, a conti fatti, dista lontano anni luce dall'idea originale. Sembra di trovarsi al cospetto di tutta una serie di outtakes presto messi assieme per compiacere il mercato Australiano, il quale però non si trova certo al cospetto di un lavoro importante e particolarmente ben curato. Proviamo a pensare ad album come "Orgullo, Pasión y Gloria - Tres Noches en la Ciudad de México", o il più recente "Liberté! Egalité! Fraternité! Metallica!". O anche a "Quebec Magnetic", DVD particolarmente ben curato e godibilissimo a vedersi. Dischi che realmente tributano una nazione in maniera sentita e definitiva: Messico, Francia e Canada si ritrovano esaltate da una band che ha tenuto fortemente a mostrare ai fan del luogo tutto il proprio repertorio, dai classici ai brani più recenti. Il tutto presentato dopo accurate revisioni, materiale supportato da un lavoro certosino e particolarmente accurato, "servito" in confezioni accattivanti ed anch'esse studiate / preparate al millimetro. Paragonando "Six Feet.." ai lavori precedenti, è chiaro come il sole che il mercato australo-neozelandese sia risultato forse penalizzato. I fans aborigeni non hanno altro in mano che un pugno di rarities, qualche registrazione "grezza" e sporca, datata certo.. ma nulla di più. Il fascino del "vecchio" non attira più di molto, così come la selezione dei brani. "Low Man's Lyric" non regge il confronto con nessuno degli episodi presenti, nemmeno con le più deboli "Eye.." ed "..and Justice". Se poi decidiamo di paragonare questo terzetto alle esecuzioni di "Through The Never", "The Unforgiven" e "Frantic", allora notiamo come a minare il buon esito del progetto intervenga anche una fastidiosa altalena qualitativa. Morale della fiaba: acquisto consigliatissimo ai fans più sfegatati, desiderosi di mettere le loro mani su qualsiasi prodotto recante il nome "Metallica". Per il fan non certo sfegatato, una bella occasione per ascoltare qualche bel brano moderno e qualche pezzo di storia.. ma nulla, assolutamente nulla più di questo.
2) ..And Justice For All
3) Through the Never
4) The Unforgiven
5) Low Man's Lyric
6) Devil's Dance
7) Frantic
8) Fight Fire With Fire