METALLICA

ReLoad

1997 - Elektra Records

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
14/01/2016
TEMPO DI LETTURA:
6

Introduzione Recensione

"Historia Magistra Vitae", disse un grande scrittore. Scomodiamo Cicerone, questa volta, per parlare del proseguo di una Storia che ben impara dal "passato" e si ripete per far si che il successo torni a bussare ad una porta che tutti noi conosciamo, nel bene e nel male. La porta della illustre "Metallica 'n' Bob Rock S.p.a.", premiata ditta che dopo il successone di "Load" si ritrova ad ammiccare al mercato discografico con una nuova uscita che per nulla ha intenzione di cambiare le carte in tavola. Avevamo lasciato James, Lars, Kirk e Jason alle prese con un cambio drastico di sonorità e di immagine, li ritroviamo esattamente nello stesso punto, fedeli alla linea, decisi a proseguire sulla strada che il lungimirante Bob Rock gli aveva indicato sin dai tempi del "Black Album". Su quest'ultimo, benché enormemente differente dalla tetralogia iniziale ("Kill 'em All", "Ride the Lightning", "Master Of Puppets" e "..And Justice For All"), molti avevano deciso di chiudere un occhio, giudicandolo comunque un lavoro degno del nome "Metallica" e non troppo distante dal mondo Metal. L'idillio fra i Four Horsemen ed i Metalheads aveva cominciato decisamente a scricchiolare con l'arrivo di "Load" e si ritrovava paurosamente incrinato in quel 18 Novembre 1997, data di uscita del nuovo lavoro targato "casa Metallica". "ReLoad", questo il titolo (fra l'altro molto poco originale, ma ci arriveremo a breve..) dell'ultima fatica di Hetfield e soci: una definitiva presa di posizione, ancora una volta sottolineata la voglia, da parte del quartetto, di continuare sulla strada del successo facile mediante un Hard 'n' Heavy di semplice caratura e di grande impatto sul giovanissimo pubblico in quegli anni assai catturato dalle sonorità pesanti e massicce dell'alternative Metal. Più il solito tocco di Grunge e spruzzate di Blues. Come già detto, siamo nel '97 e sulla scena avevano già fatto la loro comparsa tantissimi gruppi più che validi, in ambito Nu Metal ed Alternative: i Korn avevano già pubblicato due album di discreto successo e si apprestavano a sfondare di lì a qualche mese con "Follow the Leader", i Deftones riscuotevano grandi successi con il loro "Around the Fur", i Coal Chamber di Dez Fafara esordivano catapultandosi immediatamente nel giro che contava; insomma, molta carne al fuoco, una nuova scheggia impazzita del Metal che stava catturando l'attenzione di un pubblico al quale i Metallica decisero di spremere ben bene le tasche (ancora una volta), inutile negarlo. "Reload" è, difatti, esattamente quel che fu "Load" un anno prima; una commistione di generi, un Hard Rock profondamente appesantito da sound moderni, ritmiche ben lontane dalla foga di "Kill 'em All", ed anche un'immagine del tutto differente. Capelli corti e curati, look all'ultima moda.. insomma, una riproposizione in misura (forse) minore di quel che era già stato. Tant'è vero che "Reload" avrebbe dovuto essere pubblicato contemporaneamente a "Load", il quale sarebbe dovuto essere un doppio album. I Nostri, però, scoraggiati dall'idea di creare un lavoro troppo pesante e dal dover passare eccessivo tempo in sala di registrazione, decisero di scindere il prodotto pubblicandolo per l'appunto in due tronconi. "Carica" e "Ricarica". Quel "Re-", infatti, aggiunge poco o niente ad un tutto che sa di già sentito ma che comunque rassicurava le nuove legioni di fan conquistate 365 giorni prima. "Reload" fu un nuovo successo di vendite, che fece stappare meno bottiglie di champagne del suo compagno ma tante bastarono per poter far festa tutta la notte. Dati alla mano, debuttò alla prima posizione della Billboard 200 vendendo la bellezza di 436.000 copie solo nel primo fine settimana, finendo con l'essere certificato quadruplo disco di platino a fronte di oltre quattro milioni di copie solo negli Stati Uniti. Numeri da capogiro, che leniscono il dolore dei nostri per aver abbandonato quel pubblico che, in locali piccoli e dimessi, li aveva supportati a suon di pogate ed headbanging. Se è vero e si rivendica il diritto di poter scegliere cosa fare della propria carriera, è altresì vero che determinate (e repentine) svolte debbono tenere conto di tanti altri fattori e conseguenze. I Metallica volevano vendere e fare della musica una definitiva professione, nessuno li avrebbe attaccati più di troppo se non si fossero nascosti dietro dichiarazioni atte ad esaltare lo "sperimentalismo". A conti fatti, il quartetto non stava di certo scrivendo la storia come accaduto in precedenza, si limitava solamente ad unire più sfaccettature allora di moda per confezionare un prodotto che vendesse. Per quanto sarebbero riusciti a tenere testa a questa loro vita "parallela"? Abbastanza poco, il "crack" era dietro l'angolo.. e qualcosa, nella famiglia dei Four Horsemen, stava muovendosi in maniera non proprio consona allo status di "fratelli più che membri di una band". Più di qualche voce voleva il gruppo in crisi, anche a causa di problemi personali. Tutta una serie di situazioni che portarono Jason Newsted, per primo, ad abbandonare la nave. "Reload" fu infatti l'ultimo album che il talentuoso musicista registrò con i Metallica, stufo della direzione intrapresa dal gruppo e delle politiche quasi dittatoriali di James Hetfield. Alla base del litigio ci furono le volontà di Jason di volersi dedicare contemporaneamente al suo side project, denominato Echobrain (forse una valvola di sfogo per cercare di esprimersi come veramente voleva, e non come Bob Rock ed i Metallica ordinassero) e, cosa da non trascurare, la distanza mai colmata fra lui, James, Kirk e Lars. La morte di Burton fu una tragedia immane, la perdita di un fratello come Cliff divenne ben presto insanabile e James si ritrovò sin da subito costretto a fare i conti con lo spettro dell'ex bassista. I fan non lo accettarono mai del tutto, i suoi compagni di band ancora meno. Unendo a questo clima l'obbligo di sottoporsi alle regole tassative di un produttore esigente, non riusciamo dunque a stupirci del fatto che James abbia commentato la sua dipartita con la seguente frase: "tutto questo è stato il danno fisico che ho fatto a me stesso pur di suonare la musica che amo". I problemi continueranno a susseguirsi per tutto il resto degli anni '90 e buona parte dei 2000.. ma questa, come si suol dire, è un'altra storia. Rimanendo al 1997, "Reload" fu quindi un ulteriore motivo di vanto per il produttore Bob Rock, una nuova macchina da soldi per l' "Elektra" ed un nuovo centro nei cuori del pubblico mainstream per i Metallica, ormai certi della loro fama planetaria. Se squadra che vince non si cambia, anche a livello visivo l'album rimase in tutto e per tutto fedele a "Load". Vennero riprese altre fotografie di Andres Serrano per quanto riguarda l'artwork, anch'esso rappresentante una manciata di sangue bovino misto allo sperma dello stesso Serrano, il tutto schiacciato fra due fogli trasparenti di plexiglas; anche lo stile del vestiario non cambiò, fermo alle camicie e ad i jeans alla moda. Un Hetfield sempre più polemico verso la sua stessa creatura si lasciò scappare anche questa volta dichiarazioni al vetriolo circa i suoi stessi compagni d'avventura: "Lars e Kirk erano immersi in questa cosa dell'arte moderna.. sembravano due gay!!", sentenziò a metà fra il divertito ed il polemico, canzonando gli amici che, dal canto loro, si erano totalmente calati in una nuova realtà molto più chic che Metal, fatta di fotografie avanguardistiche e vestiario all'ultimo grido. Un vecchio cowboy come James, evidentemente, non riusciva proprio a sopportare quella svolta. C'era bisogno di soldi, però. E si sa, quando se ne possono toccare anche solo un po', la  voglia di guadagnarne altri riuscirebbe a far compiere a molti delle trasvolate che nemmeno Lindbergh redivivo. Giusto il tempo di ritoccare il materiale precedentemente inciso per il "doppio" "Load" (anche questa volta ci troviamo al "The Plant Studio" di Sausalito, California) ed un nuovo disco era presto servito. La tempesta stava per scatenarsi imperterrita sui nostri quattro cavalieri.. prima di allora, però, potettero godersi un altro po' di fama. Grazie, appunto, a "Reload" ed al suo carico da 90: brani aggressivi ma "miti" nel loro incedere moderno, orecchiabili e potenti quel tanto che bastava a non mettere paura alle "famiglie". Let's Play!

Fuel

Ad aprire questo nuovo lavoro targato Metallica è una delle loro (paradossalmente) hit di maggior successo di tutti i tempi. Se da un lato "Load" era quasi privo di un brano di grande impatto in grado di trascinare l'intero disco dietro di sé (per quanto buona, "Ain't My Bitch" non ne fu decisamente in grado), questa volta i Four Horsemen vincono alla grande la loro scommessa pubblicando un brano ancora oggi amato non solo dai neofiti, ma anche (seppur un po' a malincuore) dai seguaci più di lungo corso. Inutile nasconderlo, "Fuel (Benzina)" è stato uno dei brani Metal più importanti degli ultimi anni, un pezzo in grado di sdoganare prepotentemente il genere e di far scoprire, a molti giovanissimi dei '90, lo scalcinato mondo dell'Heavy Metal. Un'impresa non da poco, considerando il contesto in cui i Metallica di "Load" e "Reload" erano immersi: certo con le tasche piene di soldi, ma anche derisi dai colleghi e considerati "traditori" dai vecchi fan. Forse consapevolmente o forse no, i Cavalieri erano stati in grado di creare un nuovo inno generazionale, una canzone che subito fece breccia nel cuore di molti e divenne con gli anni un classico delle loro setlist, tutt'oggi promossa e richiesta a gran voce dal pubblico. Terzo singolo estratto dal disco, "Fuel" (anche per via delle sue tematiche) venne sin da subito associata alla velocità ed al mondo delle corse spericolate. Non fu infatti un caso il fatto che venne utilizzata come theme song per diversi programmi a tema NASCAR trasmessi dalla NBC, rete televisiva statunitense. Per i profani, la Formula Nascar è un particolare tipo di campionato automobilistico ove sia le auto sia i tracciati favoriscono quasi unicamente il fattore velocità; particolarmente "apprezzati", da parte del pubblico, sono anche i rovinosi incidenti ai quali i piloti, viaggiando al massimo dei giri, vanno incontro. Scoppi, esplosioni, ribaltamenti ed auto create apposta per sfrecciare sull'asfalto: un brano come "Fuel" sembrava praticamente fatto apposta. In tema corse "virtuali", invece, notiamo come il brano sia presente nel videogame "Hot Wheels Turbo Racing", senza scordarsi poi addirittura di passaggi in televisione (presenza nella puntata "Known Unknows" della serie tv "House M.D." altrimenti nota in Italia come "Dr.House") o della cover realizzata da Avril Lavigne in occasione della sua performance al programma "MTV Icon", nel 2003. Insomma, un brano quasi nazionalpopolare che fece stringere a coorte tante personalità e mondi diversi, uniti da un solo minimo comun denominatore, ovvero l'apprezzamento dimostrato per "Fuel". Il brano inizia con un James Hetfield più carico che mai (dichiarerà nel corso di diverse interviste come questo sia uno dei suoi brani preferiti dell'intero repertorio, poiché in grado di gasarlo ai massimi storici), pronto a scandire con voce quasi "gracchiante" la primissima strofa del pezzo. "Gimme Fuel, Gimme Fire, Gimme that which i desire!!!", una delle intro più famose della storia dell'Hard 'n' Heavy. Versi che vennero addirittura censurati dopo i tragici avvenimenti dell'11 Settembre del 2001, a causa della loro involontaria connessione con l'assurda mentalità terrorista. Fatta dunque questa energica presentazione (e dopo un bell'UH!! alla Tom Warrior..), le asce di James e Kirk possono iniziare a rombare alla grande, scandendo un riff introduttivo dal grande e notevole tiro. Gli strumenti sono sempre impostati su tonalità a metà fra flavour Grunge ed Hard Rock, un mix sporcato da quel tocco bluesy che aveva già caratterizzato la precedente uscita discografica di casa Metallica. Insomma, quasi un tentativo di omologarsi alla pesantezza tanto in voga nell'ambito Alternative Metal del 1997, riuscendo però a creare un brano che, come già detto, funziona alla grande. Bando alle ciance ed ai virtuosismi, Lars decide nuovamente di impostarsi su registri ben più essenziali, percuotendo il suo drum kit come un forsennato e portando bene il tempo, in maniera si precisa ma anche molto incalzante e coinvolgente. Il drumming è ridotto "al minimo" ma tanto basta a supportare l'ottimo lavoro delle asce. Il basso è a suo modo protagonista, mentre a destare molto interesse sono le linee vocali di James, il quale va ad arricchire notevolmente un contesto che beneficia della sua voce molto più ispirata che in diversi episodi di "Load". Una struttura per nulla imprevedibile, il brano si ripete in maniera lineare fra chitarre ora più sporche e paludose ora tendenti a suoni maggiormente puliti, un gioco di alternanze che ci porta dunque al minuto 2:31. Dopo un uuuuh.. ye-eah!" di James possiamo ascoltare un Lars ben più ridimensionato ed ancor più essenziale nel ritmo, mentre Kirk si lancia in un assolo decisamente godibile, a metà fra il blues e l'hard 'n' heavy Sabbathiano della famigerata "Dio Era", ben presto Kirk viene affiancato da un James superlativo che decide in questo momento di sfoderare il meglio delle sue abilità canore, andando a cesellare finemente il sound di chitarra. Vocals e note si intrecciano dunque meravigliosamente in un momento Hard Rock melodico ma assai "polveroso", finché il nostro frontman non scandisce nuovamente i versi iniziali e si ritorna ad accelerare a più non posso. Di lì a poco la conclusione si palesa, portandosi via quattro minuti abbondanti di divertimento e coinvolgimento. Nulla da dire, su questa prima prova: una prestazione maschia e di carattere, un brano semplice ma assai di impatto, che si stampa in testa con la veemenza di un timbro e riesce a farsi ricordare / cantare. L'importanza di "Fuel" non sta tanto nella tecnica d'esecuzione (un brano per nulla imprevedibile, per dirla alla Malmsteen: "è roba facile, chiunque potrebbe suonarla") quanto nell'importanza che il pezzo ha assunto nel momento d'uscita e negli anni avvenire. Un pezzo che ha fatto conoscere i Metallica a tante persone che, da lì, hanno cominciato poi ad indagare. Persone che hanno scoperto "Load", poi "Master Of Puppets". Poi magari hanno saputo della diatriba Megadeth / Metallica ed hanno approfondito anche l'esistenza della band del cremisi-crinuto Dave Mustaine. Per forza di cose, avranno conosciuto anche Slayer ed Anthrax e via discorrendo. Un pezzo, "Fuel", che se non altro possiamo lodare proprio per aver permesso a tanti "non addetti ai lavori" di partire alla scoperta del Metal, catturandoli con la sua verve e ferocia. Alzi la mano chiunque non abbia mai canticchiato, fra sé e sé: "Gimme Fuel, Gimme Fire!!". Come immaginavo, nessuno ha nulla da dire. Come già accennato in apertura di descrizione, il testo di "Fuel" è fortemente connesso all'ebbrezza che solo la velocità folle sa donare. Il protagonista del testo sembra infatti immerso in un contesto ove è proprio la velocità a dominare. Possiamo dire e pensare a qualsiasi frangente in cui i km contino davvero molto: Formula 1, NASCAR, corse in motociclette ma anche gare clandestine, momenti in cui la vita è in gioco e per salvarti non devi far altro che schiacciare il pedale molto più forte di quanto il tuo avversario è in grado di fare. A giudicare dalla spregiudicatezza del Nostro, forse quest'ultimo sembra effettivamente immerso in una gara non regolamentata da nessun vademecum ufficiale. "Dammi il carburante, dammi il fuoco, dammi tutto ciò che desidero!!", questo il suo grido di battaglia, ed è prontissimo a sfidare sia la Vita sia la Morte partendo veloce come un razzo. Non gli importa di schiantarsi, non gli importa di morire: egli vive per la velocità, è la sua droga, tutto quel che vuole è provare sulla sua pelle l'ebbrezza che solo una corsa spericolata sa donargli. L'uomo in quel momento si sente vivo e capace di sfidare chiunque, persino Dio e Satana messi assieme; la sua vista si tinge di rosso, è come un toro imbizzarrito pronto a caricare l'ignaro bersaglio, abbattendolo per poi cercarne subito degli altri. Non esistono freni, non esistono cinture od air-bag. La sicurezza è per i perdenti, ed il protagonista vuole solo fare in modo di far prendere fuoco al sangue nelle sue vene, facendo scorrere in corpo l'adrenalina, quell'adrenalina che lo manda su di giri e lo fa sudare dall'eccitamento. In molti hanno comunque cercato di tralasciare il senso più pvvio delle liriche per cercarne uno più velato e nascosto. Come già avevamo detto nel corso anche dell'articolo riguardante "Load", Hetfield non stava passando un buon momento a causa della sua dipendenza dall'alcool. I più attenti hanno visto in questo testo, dunque (e soprattutto nella fatidica frase d'apertura) una sorta di ammissione della colpa. Un alcolizzato che non riesce più a divertirsi o a provare emozioni senza la sua bottiglia al suo fianco, e dunque cerca disperatamente dell'alcool per dare un senso alla sua serata. Una volta ingeritone il quantitativo giusto, egli sarà pronto a dare sfogo a tutta la sua violenza repressa, divenendo un pericolo pubblico, anche per sé stesso. Difficile credere all'ultima interpretazione, in quanto "Fuel" sembrerebbe solo un inno alla velocità spericolata e nulla più. Un alcolizzato reo confesso come Hetfield non può certo comporre un testo - brano che glorifichi quello status di profonda sofferenza, tanto più se pensiamo che questo è effettivamente il brano che più riesce a gasare il nostro James, di tutto il repertorio dei Metallica. Come può un ex alcolista essere fomentato da un pezzo che rievoca e soprattutto esalta ciò che per egli è stata causa di profonda sofferenza? Molto meglio immaginarsi una folle corsa clandestina alla "Fast & Furious"!

The Memory Remains

Dal terzo singolo estratto passiamo dunque al primo, nonché secondo brano della tracklist: "The Memory Remains (Il ricordo sopravvive)" è un brano che gode di una collaborazione assai speciale, quella di una notevole personalità artistica del calibro di Marianne Faithfull, famosa cantante ed attrice americana. Le soddisfazioni a livello musicale sono state sicuramente molte di più di quelle ottenute nel mondo della celluloide: divenne famosa infatti per essere stata compagna di Mick Jagger dal 1966 al 1970 e per aver co-firmato assieme agli Stones brani come "Sister Morphine" (da "Sticky Fingers" del 1971); per quanto riguarda invece i successi personali, la ricordiamo come interprete del celebrato singolo "As Tears Go By", scritto per lei da Jagger, Keith Richards e dall'allora manager dei Rolling Stones Andrew Loog Oldham, pubblicato ufficialmente nel 1964. Indimenticabile, poi, il suo massimo successo: l'album del 1979 "Broken English", considerato il più bello della sua carriera e giunto dopo diversi anni di silenzio dovuti ai suoi problemi con l'alcool. Anche parlando di cinema, come dicevamo, la sua carriera fu interessante e prolifica. Ha recitato in una ventina di film, in svariate serie tv ed ha anche all'attivo una collaborazione con il discusso Kenneth Anger, regista maledetto autore della demoniaca pellicola "Lucifer Raising" nella quale Marianne interpretava il ruolo di Lilith. Fu inoltre la prima persona ad aver mai pronunciato una parolaccia sul grande schermo (riferendoci a pellicole note e "commerciali"). Il suo "fuck!" detto in "I'll Never Forget What's'isname" (1967, regia di Michael Winner e con la partecipazione di Orson Welles) rimane tutt'oggi indimenticabile. Parlando più prettamente del brano, notiamo come esso richiami, nel suo riff portante, i Black Sabbath del capolavoro "Sabbath Bloody Sabbath", anche se in questo caso ci troviamo su lidi del tutto differenti da quelle vene progressive "oscure" sfoggiate da Iommi e co. in quel 1973. I Metallica riprendono in maniera evidente la lezione dei loro maestri, tuttavia rendendo il tutto ben amalgamato a quella che è la loro proposta musicale, ovvero il "solito" Hard 'n' Heavy a tinte Alternative, venato di Blues. Notiamo poi come l'incedere del brano sia in qualche modo malinconico ed a tratti ipnotico, come se quest'ultimo dovesse avere il compito di "placare" gli animi accesi da "Fuel". Se difatti la open track si configura come un assalto frontale in piena regola, in questo caso la velocità è messa in secondo piano in favore di un'andatura più cadenzata, "ipnotica" come già detto, quasi fossimo noi ascoltatori dei ratti soggiogati dal pifferaio magico. Dobbiamo sottostare quindi al volere di James, il quale con la sua voce riesce a risollevare un contesto che, fino ad ora, è certo di impatto ma pecca di forte monotematicità. Kirk non vuole allontanarsi dagli standard fino ad ora proposti, Jason è sfruttato al minimo e Lars è come al solito un gran lavoratore ma non certo un genio della tecnica e della varietà. Per lo meno, il tempo è ben scandito e questo è già moltissimo. L'incedete "sabbathiano" continua nella sua irresistibile marcia, fino all'arrivo di un mini-assolo di Kirk Hammett il quale, in questo piccolo lasso di tempo, si dimostra finalmente ispirato ed abile a giocare con queste "nere" melodie che tanto sanno anche di Alice In Chains. I re del Grunge si sentono prepotenti in questi solchi, ma ecco che al minuto 1:58 subentra Marianne con dei vocalizzi atti a scandire un coro mesto, cupo, triste nel suo svilupparsi. Ammetto che ad un primo impatto l'espediente non risulta dei migliori, riascoltando però si può tranquillamente dare atto alla cantante di aver sfoderato una performance molto convincente. La sua voce, roca e madida di pianto, quasi "strozzata" (come se stesse rimembrando un suo caro scomparso), è certamente un duro colpo emotivo da incassare. Nessuno si sarebbe mai aspettato di trovare un qualcosa del genere in un brano dei Metallica, ma tant'è, anche questa volta le scelte di Rock si rivelarono astute, lungimiranti e ponderate. Questo "na na na na naaa.." diverrà col tempo un altro grande "appuntamento" live molto atteso dai fan, i quali saranno chiamati in sede di concerto a cantare loro questa parte, in assenza di Marianne. Ben presto il coro viene sospeso e si riprende a suonare in maniera più decisa, con James e Kirk che sembrano voler premere un po' di più sull'acceleratore, inasprendo il loro approccio al brano. Hammet è bravissimo ad intersecare ai riff dell'amico un momento solista sicuramente efficace ed ispiratissimo, melodico e "maledetto", al solito molto debitore all'esperienza della band di Layne Staley. Un assolo perfettamente amalgamato con la prova vocale di un James sugli scudi, ed è di nuovo il momento per Marianne di tornare con i suoi vocalizzi, riprendendo il coro interrotto in precedenza, accompagnato da un'elettrica capace di emettere note quasi stridenti e fastidiose all'udito, impostate a mo' di melodia carrilonesca. La cantante continua il suo lavoro (possiamo udire anche delle sue frasi sussurrate nel background) e si termina così, sfumando. Altra buona prova per i Metallica; un brano non certo iconografico come "Fuel", ma molto accattivante ed in grado di farsi ricordare. Certo è che degli scalmanati ragazzi autori di "Ride The Lightning" non sembra più esserci traccia alcuna, nemmeno remota. Dal punto di vista lirico, il brano affronta una tematica incredibilmente più attuale oggi che nel momento in cui queste lyrics furono concepite. Parliamo infatti della fugacità della fama, una "quasi Dea" che molti rincorrono e corteggiano; quest'ultima è però una Dea viziata e capricciosa, decisamente infedele e restia a rimanere per sempre accanto ai suoi numerosi amanti. Come si è incondizionatamente donata è infatti pronta a sparire per sempre, lasciando ai malcapitati solo una scia di bei ricordi, sepolti sotto dita di polvere. Nella fattispecie parliamo di una stella del cinema ormai caduta in disgrazia, che si ritrova a fare i conti con sé stessa dopo una lenta e costante caduta in un oblio totale. "Cenere alla cenere, polvere alla polvere", questo il drammatico soliloquio che l'ex stella si ritrova a pronunciare dinnanzi ad uno specchio che ormai non riflette più la spavalda e lucente immagine di una persona popolare e sicura di sé. Tutto quello che il vecchio mobile mostra è un volto avvizzito e privo della beltà della gioventù, un volto segnato dalle ferite causate dalle dimenticanze e dall'insensibilità dei fan, capaci di innalzare veri e propri monumenti come di dimenticarsi dei propri eroi, nell'arco della stessa giornata. Parlavamo di "attualità" proprio perché il problema delle Star cadute in disgrazia è molto più attuale oggi che negli anni '90. Pensiamo alla società del consumo nella quale viviamo, quella società che risponde ad una sola legge, quella del "Produci / consuma / crepa". Quanti "idoli" preconfezionati vengono immessi sul mercato? Per quanto tempo vengono spolpati? Quanto ci mettono a tornare nell'ombra dell'anonimato? Tutto questo accade nel giro di una manciata di mesi, nella migliore delle ipotesi. Passiamo la vita cercando ed anelando la Fama, dimenticandoci che scendere a biechi compromessi pur di ottenerla non fa altro che aumentare le nostre chances di cadere rovinosamente prima del tempo. Solo un lungo e costante impegno garantiscono l'immortalità artistica, prendere la scala mobile o le vie più facili non è mai e poi mai sinonimo di buona riuscita del piano. Interessante notare come i Metallica si auto-citino usando l'espressione "Fade To Black" (riferimento al loro omonimo brano presente in "Ride The Lightning"); da notare anche il riferimento a Marilyn Monroe, uno degli esempi più lampanti di Star presto caduta in disgrazia. Durante l'outro possiamo infatti udire le parole "Say yes, at least say hello", chiaro riferimento a "The Misfits" (1961, diretto da John Huston con la partecipazione di Clark Gable), l'ultima pellicola in cui la Monroe compare (in quanto morirà appena un anno dopo).

Devil's Dance

Proseguiamo di gran carriera con il brano numero tre, "Devil's Dance (La danza del Demonio)", aperto da un Jason finalmente presente il quale (assieme ad un Ulrich in questo caso maestro del 4/4) scandisce una linea di basso assai accattivante e molto, molto coinvolgente. L'essenzialità del drumming di Ulrich si mostra in questo caso in tutto il suo "splendore" ed il brano si poggia esattamente sul tempo preciso e granitico scandito dal batterista danese. Le chitarre di James e Kirk danno come l'impressione di essere governate in questo caso da un Newsted sugli scudi e (grazie al cielo!) protagonista importante di un pezzo che, nella sua andatura, risulta irresistibile soprattutto dal punto di vista ritmico. Anche a livello di chitarra (ritmica, of course) notiamo quanto James tenga ad essere grezzo e diretto, pesante come un macigno, lasciando naturalmente ad Hammett il compito di osare maggiormente. La prova vocale di Hetfield, poi, è a dir poco da dieci e lode. Grande interprete ed ottimo cantastorie, il frontman con le sue linee vocali cesella alla perfezione i riff da egli stesso emessi, andando ad intersecarsi magnificamente lungo le linee di basso e batteria. Un pezzo che dà quasi l'idea di essere una marcia, perfetto nella sua impalcatura blueseggiante e smaccatamente Hard Rock. L'ampio uso del basso rende la canzone "grossa", piena al punto giusto, e ciò consente dunque alle note di sovrastarci implacabili, perfette e quasi militaresche nel loro marciare compatte verso le nostre orecchie. La batteria di Lars sarà pure adoperata al minimo sindacale ma diamine, se fa il suo mestiere. Un brano che non "esplode" e che rimane volutamente "misterioso" e quasi "sotto tono", salvo poi presentarci un momento solista (minuto 3:14) fatto di note squillanti e stridenti, che però sono strutturate a mo' di climax discendente. Partono sparate per scemare poco a poco, ed acquisiscono in seguito anche un effetto strano verso la parte centrale del momento solistico. Talmente stridenti da risultare quasi "industriali" nel loro palesarsi, quasi fossero abrasive e strusciassero fra di loro, dimenandosi in una nuvola di polvere. Un assolo interessante e soprattutto abbastanza esteso, che si conclude questa volta con un climax ascendente formato da una sequenza di note impazzite ed acute, le quali ben presto rilasciano spazio alla struttura "standard" del pezzo che comincia quindi ad avviarsi verso la conclusione. Cori in sottofondo, quasi "spettrali", aiutano molto un James superlativo, e tutto può dunque concludersi nel migliore dei modi; un altro brano non certo brillante a livello di varietà ed estro compositivo, ma interessante nel suo incedere e dotato di un buon momento solista. Meno particolare dei precedenti due, ma comunque un buon successore. Molto particolari le lyrics, che sembrano riprendere la metafora biblica del Serpente Diavolo. Anche qui troviamo il rettile impregnato di caratteristiche a dir poco demoniache, parlante e con fare tentatore. La sua preda è sicuramente scettica ed anche un po' intimorita da tutto questo, ma l'essere strisciante sa come metterla a suo agio. Con un fare da affascinante gentiluomo tipico di altre figure demoniache tipiche cantate nel mondo del Rock (verrebbe in mente il Lucifero di "Sympathy For The Devil"), la dannata serpe cerca infatti di conquistarsi un nuovo adepto. "Nei tuoi occhi vedo ardere un fuoco, un fuoco che potrà liberarti", queste sono le prime parole della creatura la quale cerca di far leva sulle voglie nascoste di ognuno di noi, voglie represse dall'invadenza del clero. Papi e Vescovi ci vorrebbero sempre casti e pii, sottomessi ed arrendevoli; la carne è però debole ed il senso di curiosità non può essere soppresso facilmente. Il Serpente agisce proprio su questo, cercando di far breccia nella nostra intimità, promettendo di liberarci da determinate catene. Egli sa come ci sentiamo ed è qui per aiutarci, ci basta prendere anche noi un morso di quella mela per poterci finalmente liberare da anni e anni di insoddisfazioni e repressione. E se dapprima siamo restii, il Serpente non demorde. Sa che prima o poi torneremo da lui e lo supplicheremo di unirci alla sua danza. Un morso, solo un morso per poterci finalmente innalzare allo status di uomini perfetti, liberi dal "timore di Dio" e da altre situazioni che possono pregiudicare lo scorrere ed il liberarsi dei nostri naturali istinti. Possiamo declinare oggi l'invito a ballare col Diavolo.. domani o dopodomani, sicuramente cederemo. E' questione di pazienza e lui ha tutta l'eternità per aspettarci.

The Unforgiven II

Avanzando ci imbattiamo in un altro singolo estratto dall'album oggi recensito, ovvero la seconda parte del brano "The Unforgiven", precedentemente comparso nell'album "Metallica" o "Black Album" che dir si voglia. Il titolo, "The Unforgiven II (L'Imperdonabile, pt. II)", non brilla certo di originalità, ma rende bene l'idea di continuità che i Metallica vogliono inculcarci, andando a creare una vera e propria saga musicale. A darci il benvenuto è un effetto sonoro richiamante quasi una tromba intenta a suonare per dei caduti in guerra, ed è presto il rullo di Lars a determinare un crescendo che sconfinerà nell'inizio effettivo del brano. Si parte con una melodia di chitarra assai riflessiva e malinconica, la quale richiama molto da vicino i Lynyrd Skynyrd più melodici (quelli di "Free Bird" o "Simple Man") e permette ai Metallica di sfoggiare la loro definitiva anima "southern", quasi. E' una ballad Metal e certamente la pesantezza della sezione ritmica ce lo ricorda (questa volta Jason è più "in sordina" mentre Lars continua a scandire un 4/4 preciso e ripetitivo), ma nel suo svilupparsi, almeno in questi primi due minuti, troviamo espedienti chitarristici tipici di un certo tipo di Rock proveniente dalle zone più a sud degli stati uniti. La bandiera confederata sembra sventolare fiera sui nostri Metallica, almeno sino al minuto 1:59, momento nel quale i riff divengono più sporchi e taglienti, tipici dell'Hard 'n' Heavy. Un ritornello ben confezionato e molto gradevole, un "dramma" perfettamente strutturato su di un alone di malinconia. Si ricorda e si fa cantare con l'accendino tenuto bene in alto, se non altro ci troviamo dinnanzi ad un brano che ridesta il nostro interesse dopo la buona ma non eccellente prova fornita in "Devil's Dance". Si continua con le melodie polverose e  quasi southern delle strofe e con la maggiore aggressività dei ritornelli, sino a giungere al minuto 3:49, momento in cui Kirk decide di dare il via ad un assolo ispiratissimo, potente e triste allo stesso tempo, gonfio di pianto e di rabbia, melodico e strutturato in maniera tale da conciliare le due anime della canzone. Anche grazie al supporto in fase ritmica di James, possiamo infatti udire il mood blueseggiante unito alla "cattiveria" tipica del Metal. In questo momento (e non ci vergogniamo a dirlo), i Metallica stanno fornendo una grande prova di estro e composizione, creando un brano particolare e per nulla scontato, dalla struttura semplice ma in grado di inglobare in essa tutto quel pathos tipico del Rock Blues, quella mestizia in grado di essere esaltata in questo senso dagli artigli metallici di un'elettrica Metal. Stacco di Lars e dopo questo splendido momento solistico si ritorna al ritornello, cantato e suonato con la solita foga e passionalità. Ritornello ripetuto di fatto due volte e verso il finale quasi "sovrastato" dai malinconici arpeggi di un Hammett più ispirato che mai, il quale decide di far rendere omaggio per l'ultima volta ai fratelli Van Zant salvo poi accompagnare il pezzo verso un finale sfumato, nel quale tutti gli strumenti si spengono a poco a poco lasciando vibrare in solitaria i piatti di Ulrich. Possiamo apprezzare ed applaudire un brano perfettamente ben riuscito, ispirato ed ispiratore, una ballad che si dimostra per nulla fuori contesto ed anzi di reggere perfettamente il passo con le track iniziali. Il testo è direttamente collegato con quello del precedente "Unforgiven": se nelle lyrics del primo episodio avevamo assistito alla cronistoria di uno "sconfitto", ovvero di una persona sostanzialmente non in grado di competere contro una società feroce e priva di scrupoli, in questo frangente notiamo come i soggetti siano due. Forse il primo ha finalmente trovato un piccolo raggio di luce, un altro essere (probabilmente una donna) in grado di capire a fondo quanto possa far male la solitudine derivata dal non riuscire a confarsi ed amalgamarsi con la vita di tutti i giorni. I due parlano a lungo liberando i loro demoni più segreti, mediante questo piccolo confronto riescono finalmente a trovare un po' di sollievo dal loro status di "inadatti". "Se tu puoi capire me, io posso capire te", questa la frase cardine, pronunciata dal protagonista a quella che possiamo definire quasi la sua anima gemella. Sdraiati l'uno accanto all'altra si raccontano le loro vite, spalancando tutte le porte della loro anima, anche quelle più ostiche e maggiormente sigillate. E' forse il momento giusto per abbattere definitivamente ogni barriera, il protagonista non fa altro che chiederselo. Certo l'ambiente attorno è ancora ostile, oscuro, tetro.. il sole non arriva facilmente a squarciare quella coltre di pessimismo ma finalmente un fioco e tenue raggio comincia a vedersi. Particolarmente difficili ad essere interpretate le strofe seguenti, nelle quali ci viene dapprima confermato che si tratta di una Lei, ma che al contempo qualcosa del rapporto fra la ragazza ed il protagonista si è pericolosamente incrinato. Ella lo ama ma non lo ama più, contemporaneamente. Difficile credere che due anime così affini abbiano voluto abbandonarsi, più plausibile credere che a lei sia successo qualcosa che l'abbia allontanata forzatamente. I versi "Stenditi accanto a me e dimmi cosa ho fatto.. la porta è chiusa, così come i tuoi occhi" potrebbero far pensare o ad una morte improvvisa della donna o ad un errore madornale commesso dal protagonista, fatto sta che quest'ultimo ha comunque imparato molto da questa storia ed ammette di riuscire a vedere la luce, finalmente. E' solo un piccolo passo, in quanto il suo stato di "unforgiven" rimane comunque affibiatogli senza possibilità che egli possa scrollarselo di dosso. Anche lei è (era?) come lui, questo lo ha capito.. entrambi, nel poco tempo che hanno avuto a disposizione, sono comunque riusciti a fare tesoro della vicinanza l'uno dell'altra, migliorandosi come persone e trovando un po' di sollievo.

Better than You

Possiamo dunque passare alla quinta track, "Better than You (Migliore di te)", altro fortunato episodio di questo "ReLoad", un brano che infatti valse ai Metallica la vittoria di un Grammy Award nel 1999, categoria "Best Metal Performance". Si parte immediatamente con dei suoni elettronici, strani, quasi "industriali", sui quali ben presto si staglia un bel giro di tom (finalmente Lars comincia a ri-esplorare altri territori del suo drum kit!) seguito da un'elettrica che comincia a rombare minacciosa, tonante ed in procinto di esplodere di lì a poco. Piatti, timpano, tom, Lars sembra divertirsi un mondo, Kirk e James finalmente escono allo scoperto cominciando a scandire un riff che finalmente soppianta definitivamente il background "industrial" sentito nei primi secondi, dando di fatto via alla song. Il drumming ritorna molto più essenziale e preciso ma poco importa, il tiro è eccezionale ed il brano comincia a scorrere via come un treno. Balza all'orecchio la prova vocale di James, ben più ispirata che aggressiva come ci saremmo aspettati; il brano è nuovamente pregno di attitudine Hard Rock e Grunge e solo il ritornello sembra effettivamente "scomodare" quei flavours blueseggianti che bene vanno ad amalgamarsi con la potenza Hard Rock proposta. In concomitanza con l'arrivo del refrain, infatti, il brano diviene meno tirato e più cadenzato, come se ci fosse una pausa generale, salvo poi riprendere a correre subito dopo. James è addirittura supportato da cori di voci opportunamente modificate per sembrare quasi aliene, a tratti "robotiche". Un espediente che funziona e rende senza dubbio il pezzo più abrasivo; notevole lavoro di Ulrich verso il minuto 1:55, il quale finalmente decide di variare un po' facendoci udire la forte percussione delle campane del suo ride, con l'andatura blues che da questo momento sembra quasi farla da padroni. Il cowboy Hetfield non disprezza affatto e si lancia in una magistrale interpretazione, il tutto è perfettamente strutturato per fare in modo che la sua ugola dia il meglio di se stessa ed anche le chitarre sembrano richiamare a gran voce degli espedienti "southern metal" proprio per accentuare il lato più "sudista" e "polveroso" dei 'Tallica. Subitamente, il tutto si infrange verso un ritorno di un veloce 4/4 di Ulrichiana memoria ed è il momento per Kirk di esprimersi con un assolo di chiara forgia Hard 'n' Heavy, eseguito ancora una volta molto bene ed in grado di fare la sua figura. Hammett è a suo agio e ce lo dimostra, sfoderando forse la prova più "Metal" di tutti e due "Load" e "Reload" messi assieme. Finito di stupirci con la sua carica e potenza, Hammett cede il passo ad un ritorno prepotente del sound "Southern Metal", momento che si ripete proprio come in precedenza accaduto non riservandoci poi troppe sorprese. Il brano sembrerebbe avviarsi verso la fine, ma dopo una "quasi chiusura" ecco che Hetfield riemerge scandendo un nuovo ritornello, sempre sorretto da cori di voci modificate. Stacco di Ulrich poco dopo ed Hammett riprende letteralmente il solo già sfoggiato qualche minuto prima, facendo nuovamente muovere le nostre teste a ritmo e (fortunatamente!!) dando fondo a tutto quel che la sua anima Heavy Metal è in grado di fornirgli. Dopo quest'ultima, ottima prova del chitarrista, c'è tempo per un ultimo ritornello e dunque ci si avvia (questa volta sul serio) verso la fine, che coincide con il ritorno dei suoni industrial uniti ad inizio brano. Ci scostiamo, liricamente parlando, dai toni malinconici di "The Unforgiven II" per approcciarci ad una tematica assai particolare. Stando a quanto hanno dichiarato gli stessi Foru Horsemen, infatti, "Better.." risulterebbe un brano atto a descrivere una persona ossessionata dalla competizione, dalla volontà di risultare sempre la migliore di chiunque. Una "smania" assai comune ed ancora una volta un tema attualissimo: già sul finire degli anni '90 la società stava prendendo la piega odierna, ovvero quella di un'immensa gabbia di leoni in cui solo i più forti riescono a sopravvivere. Nell'istinto di autoconservazione non c'è assolutamente nulla di male, il dramma è quando quest'ultimo diventa una vera e propria ossessione, capace di far deragliare anche il più assennato degli umani. Il protagonista delle lyrics sembra infatti ripetere, a mo' di mantra, "Sono meglio di te? sono migliore di te!!" quasi da questa affermazione dipendesse la sua stessa vita. Vive per combattere, combatte per vivere. Più che un soldato coraggioso od un combattente impavido, però, sembra realmente una persona affetta da egocentrismo e totalmente obnubilata dal demone della competizione. "Nulla può fermarmi", ripete l'uomo, niente può buttarlo giù: egli deve dimostrare al mondo di essere un vincente e non far dubitare nessuno del suo status di "vero uomo". Solo schiacciando i tuoi avversari senza pietà potrai dimostrare il tuo valore, perdere anche una sola volta può significare lo scherno a vita e l'ostracismo definitivo dalla società. Il primo posto è l'unico che conta, il secondo non è nemmeno contemplabile.

Slither

Inizio che più grunge non si può per il brano numero sei, "Slither (Strisciante)", il quale contiene in se cupi ed oscuri suoni di chitarra uniti alla voce effettata di James Hetfield, il quale cerca a tutti i costi di risultare espressivo e drammatico come Layne Staley, tuttavia non riuscendovi benissimo. La linea vocale è altresì particolare ed evocativa; ben presto al tutto si aggiunge la batteria di Ulrich, pesante come un macigno ma guai a schiodarsi da questa "essenzialità" che sta cominciando ad "appiattire" forse troppo quel che stiamo ascoltando, rendendo i brani troppo simili fra di loro proprio per la mancanza di estro dietro le pelli. L'andatura del brano può comunque contare su chitarre "oscure" e molto pesanti, intente a decantare un riff Hard 'n' Heavy sporcato comunque dal modus operandi di band come gli Alice In Chains, grandi ispiratori dei Metallica in questo frangente. Soprattutto in fase di refrain e pre-refrain, momenti nei quali la voce di Hetfield risulta nuovamente effettata per ottenere un effetto "à la Staley" e dove la chitarra di Hammett indugia di quando in quando in melodie infernali e carrilonesche, alienanti e quasi disturbanti, alternate alla rocciosità dei riff scanditi invece da Hetfield. Un brano molto gradevole, che sa conferire una gran carica ma che forse (come già successo per "Devil's Dance") non riesce a brillare troppo di luce propria, anche "per colpa" dei due ottimi pezzi che lo hanno preceduto, veri e propri catalizzatori di attenzioni. L'assolo di Hammett risulta invece tutt'altro che banale, benché i momenti solisti del Nostro tendano ad assomigliarsi un po' tutti possiamo dire che Kirk comunque mostra una buona volontà invidiabile ed una gran capacità di giocare con questi tempi pesanti ed atmosfere cupe ed oscure, non perdendo mai un colpo ma anzi mostrandosi sempre e perfettamente a suo agio. Di certo non sarà mai banale e scontato quanto il drumming di Lars, questo è più che certo. Possiamo assistere poi ad un bel finale, momento in cui le note di Hammett ben si intersecano con le linee vocali di Hetfield. L'effetto è molto gradevole ed i due mostrano di saper dialogare non solo chitarristicamente parlando. In definitiva, un buon pezzo che non troppo aggiunge ma, al contempo, nulla toglie a quanto di buon fatto sino ad ora. Il testo di "Slither" risulta essere particolarmente criptico, in alcuni punti; ritorna la tematica del serpente già riscontrata in "Devil's Dance", in questo caso la creatura viene sempre vista come metafora ed allegoria di un danno autoprocuratosi, causa caduta in tentazione. "Non andare alla ricerca dei serpenti.. rischi di trovarli davvero", questa frase potrebbe essere la chiave di volta necessaria per comprendere il significato di tutte le lyrics. Il serpente, come già detto, è metafora della tentazione. Cos'è una tentazione? Una situazione allettante, che ci spinge verso di essa pur essendo consapevoli, noi, della sua "immoralità". Sappiamo bene di non dover compiere quel gesto, ma l'ipotesi contraria è così dannatamente affascinante, sembra quasi parlarci, come se una voce nella nostra testa pronunciasse in loop le fatidiche parole; "Fallo! Fallo, nessuno se ne accorgerà", questo è il pensiero che domina il cuore, mentre la nostra testa è un perpetuo ammonimento. Ragionando, ci accorgiamo che forse sarebbe il caso di non accettare quella proposta, per quanto ci stimoli curiosità. Eppure, al 50% delle volte ci caschiamo e siamo condannati a subire un guaio che noi stessi ci siamo procurati, andando alla ricerca del famigerato serpente. Ci invischiamo in situazioni che solo all'apparenza sembrano innocenti marachelle ma che in seguito si trasformano in guai ben più grossi di noi. Chi incolpare, in quei casi? Solamente noi stessi.. perché, diciamocelo chiaramente: se non fossimo mai partiti alla ricerca del rettile strisciante, non saremmo mai incappati in nessun guaio. E' come se ci fossimo sforzati, quasi, di cadere in tentazione, come se ci fossimo spinti fra le sue braccia ad ogni costo. "Non ti ho già visto prima?", frase sibillina pronunciata svariate volte nel corso della canzone, come se il Diavolo in persona stesse guardando attentamente i suoi nuovi adepti, peccatori sin dall'alba dei tempi e dunque familiari all'Arcidemone per antonomasia. Un testo che si pone in netta antitesi con "Devil's Dance", risultandone forse la continuazione naturale; se nel primo caso il Diavolo appariva seducente ed attraente, qui ci vengono mostrate le conseguenze della nostra "scelta". Facendoci sedurre dal Male abbiamo segnato la nostra esistenza, corrosi dai rimorsi e dai sensi di colpa, nonché da tutta una serie di guai autoprocuratici.

Carpe Diem Baby

Compiamo il definitivo giro di boa con l'avvicendarsi del settimo brano, "Carpe Diem Baby (Cogli l'attimo, tesoro)", aperto da chitarre in sordina che ben presto si palesano nella loro sferragliante potenza, in crescendo, fino a sancire l'inizio del pezzo. A dominare, ancora una volta, è un'andatura blues caratterizzata da un sound possente e sporco, ottenuto grazie ai "feelings" che Hammett ed Hetfield stanno dimostrando di saper riversare nei loro riff. Il brano è sentito e ben eseguito ed i due, un po' bluesmen ed un po' metallari, sembrano far convivere molto bene in loro queste due anime non poi così antitetiche come molti pensano. Non ha forse detto, il grande e compianto Lemmy, che la musica dei Motorhead non è altro che "blues, suonato più veloce ma nient'altro che blues"? Si continua dunque su questa falsariga abbandonando l'oscurità grunge di "Slither", molto interessante è il frangente che caratterizza al solito il brano in fase di pre refrain e ritornello, momento in cui una melodia ben congeniata e costruita aiuta James nell'intento di rendere il brano quasi una ballad, in determinati frangenti. La prova vocale del nostro, infatti, è a tratti ruvida a tratti "accomodante" come se ci si stesse approcciando ad brano "lento", ed il risultato è più che ottimo. Una traccia che si fa notare e risulta particolarmente articolata dal punto di vista strutturale, variegata quanto basta (soliti vezzi "southern metal" e melodie toccanti) da rendere il contesto degno di nota e sicuramente più che apprezzabile. L'assolo di Kirk ben cesella un tutto magnificamente costruito; Kirk si dilunga e si esprime come meglio può, dandi vita ad un momento solista riflessivo a metà fra melodia e "Texas", un assolo letale come un serpente a sonagli ma a tratti "leggero" e delicato, ancora una volta il buon Hammett vuol smentirci le voci secondo le quali egli sarebbe sempre uguale a sé stesso, in certi frangenti. Terminato il momento di espressione in solitaria di Kirk abbiamo dunque un nuovo momento di brano in cui udiamo le componenti del spund fino ad ora citate alternarsi in maniera al solito ottima e ben calibrata. Il tutto va presto ad infrangersi verso un finale "in climax", che si concita un poco ma che termina in maniera particolarmente perentoria. A differenza del precedente, il testo di "Carpe Diem.." (e lo si evince già dal titolo) sembra essere assai più chiaro a livello di significato. Esso è infatti breve e coinciso, uno dei primi testi realmente ottimisti e lungimiranti scritti dai nostri Four Horsemen nel corso di questa fase della loro carriera. Cominciamo con l'analizzare la massima in latino: "carpe diem" è un motto direttamente estrapolato da un'ode del poeta romano Orazio, il quale intendeva con il suo discorso sollecitare i suoi interlocutori, invitarli a non spendere inutilmente neanche un secondo delle loro vite. "Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero - Mentre parliamo il tempo sarà fuggito, come se ci odiasse: ruba un giorno, confidando il meno possibile nel domani (Odi 1, 11, 18)". "Ruba un giorno", questa la traduzione letterale e più accurata, è spesso reso in "cogli l'attimo", un'ulteriore traduzione più libera ma comunque adatta a sottolineare il concetto oraziano di "tempo che fugge". Rubare un giorno non è altro che dare uno scacco matto alla vita, non dando mai nulla per scontato e soprattutto senza rimandare mai a domani quello che possiamo effettivamente fare oggi. I Metallica si fanno strenui difensori del concetto, invitando i loro ascoltatori a non lasciare mai niente al pensiero ma anzi sollecitandoli ad agire, agire, agire. Nel bene o nel male, che si voglia giocare per vincere, che si perda, che si cada e ci si rialzi, che si beva o che ci si rilassi, che ci si dia alla pazza gioia o si faccia una semplice passeggiata.. l'importante è vivere, al massimo, facendo unicamente quello che ci piace. Perché dovremmo castrarci con le nostre stesse mani, dando retta magari a regolamenti - norme obsolete atte a confinarci in limiti tristi e squallidi? Possiamo vivere una volta sola e neanche sapremo mai per quanto. Tutto quel che possiamo fare è dunque levarci tutte le soddisfazioni possibili, buttandoci a capofitto in ogni tipo di attività che maggiormente ci aggradi. Perderemo? Forse. Vinceremo? Probabile.. certo è che, se non ci PROVEREMO, non lo sapremo mai.

Bad Seed

"Bad Seed (Seme Marcio)" si apre con un rumore di tosse, seguito da un drumming cadenzato e riffing in loop; al ventesimo secondo dei rullanti in salire aprono la strada ad una serie di arpeggi incalzanti, sui quali poi parte il cantato ritmico di Hetfield. Largo poi a campionamenti vocali, i quali anticipano il ritornello contratto fatto di tamburi e parti dritte con chitarre a sirena e vocals ammalianti; si continua quindi con i riff taglienti, pur mantenendo l'impianto hard rock di base. Si ripropongono quindi ancora i giochi di batteria e arpeggi con parti parlate, prima del ritorno del ritornello, il quale prosegue in una sequenza rock accompagnata poi da rullanti battaglieri; al secondo minuto e venti un assolo discordante si libra con le sue scale sgraziate, mentre gli elementi quasi funk si prodigano in sottofondo, infondendo al tutto una forma progressiva, coronata da cori leggeri molto alla Guns 'n' Roses. Ecco quindi che un nuovo levare con rullanti sfocia ancora nella struttura contratta principale, puntellata da una marcia con cantato a megafono e colpi di batteria con rullanti di pedale, salvo nel finale dare spazio alla chitarra e ad effetti vorticanti come di corno tibetano; un pezzo evloce che mostra ancora una volta la volontà dei Metallica di allontanarsi dal metal e dedicarsi ad un rock molto americano e di facile presa, il quale a volte ci da una versione semplificata di quanto proposto da loro stessi nel passato. Nel bene e nel male quindi un simbolo del percorso intrapreso con gli ultimi due lavori, decisamente più semplici e minimali, vicini a certo rock; non certo quindi l'episodio che farà ricredere i detrattori della nuova strada. Il testo sembra trattare del concetto di peccato originale, con riferimenti biblici ad Adamo ed Eva e al Frutto Del Peccato; siamo invitati a confessarci e purificarci, togliendo il velo e rivelando le carte e rompendo il sigillo, mostrando a tutti l'uomo che diceva la verità. Il cappio viene ancora una volta smosso, e la buccia della mela bucata, mentre mordiamo più di quanto dovremmo; quindi soffochiamo per i semi marci che vanno di traverso. "Let on, load off, Confess, cast off.. Drop the disguise, spit it up, spit it out, And now, what you've all been waiting for, I give you. He Who Suffers the Truth - Lascia perdere, liberati, confessa, esiliato.. Getta al maschera, sputa tutto! Adesso voglio darvi quello che vi aspettavate tutti.. vi do Colui Che Soffre La Verità" prosegue il testo, mentre oltre il velo delle illusioni, viene rivelato tutto, si rompe il sigillo, e il gatto esce dal sacco alla mercé di tutti, ora si può buttare tutto fuori; il testo quindi ripete i versi precedenti in una sorta di cantilena ossessiva incentrata sul concetto di peccato svelato, e di fragilità morale da parte delle persone.

Where The Wild Things Are

"Where The Wild Things Are (Dove Dimora ciò che è selvaggio)" ci accoglie con un arpeggio delicate reminiscente di quelli di "Metallica", sul quale parte un cantato lascivo ed effettato; ecco quindi una marcia improvvisa di batteria e giri circolari, la quale porta il tutto su toni ben più robusti. Sembra quasi a tratti di essere tornati ai fasti del passato, e anche Hetfield presenta una voce in riverbero legata a tempi andati; certo però il tutto è molto melodico, e al minuto e ventisei parte un ritornello molto alternative, con chitarre spettrali e batteria controllata. Ecco quindi suoni languidi e sognanti, psichedelici, dalla ritmica rallentata di batteria e chitarra; essi si protraggono fino al secondo minuto e dodici, dove riprende la marcia di chitarra creando un buon contrasto, in una fusione tra passato e presente. Si ripetono quindi le vocals effettate e i giri di chitarra, fino al ritornello che non stonerebbe in un pezzo degli Stone Temple Pilots; e anche i rallentamenti paludosi a seguire non sono certo da meno. Ecco quindi un pezzo legato al suo tempo, dove cori in riverbero e arpeggi alieni si dipanano in modo liquidi, violati però poi da un assolo squillante e da montanti rocciosi di chitarra, riproponendo le due anime della band; i giri si fanno ancora più sguaiati, in un movimento dritto basato su chitarre e drumming. Si collima quindi in una marcia sincopata fatta di batteria marziale, chitarre alternative e vocals sdoppiate dal gusto allucinogeno, con una coda ripetuta fino al ritornello melodico alla Soundgarden; riecco per l'ennesima volta di seguito rallentamenti lisergici e note stese fino all'ultimo montante dagli assoli con scale strutturate, con un gioco di abilità suggellato in chiusura dalla ripresa dello strumento a corda della voce sommessa di Hetfield, fino al feedback finale. Un ennesimo esperimento quindi, e forse uno dei pezzi più riusciti del lavoro, per quanto lontano dai fasti del passato; le parti più robuste non devono ingannarci, il thrash è comunque lontano, sostituito da un certo rock alternativo anni novanta vicino al grunge. Il testo tratta del mondo odierno, considerato ingiusto e malato, e di come i giovani non devono accettarlo passivamente, bensì fare qualcosa per cambiarlo; gli addormentati sono invitati a svegliarsi, per salvare il mondo, rubando sogni e dandoli a noi stessi, e anche pensieri, mentre i bambini toccano il Sole bruciando le loro dita una per una. Se vogliamo che la Terra sia buona con noi, dobbiamo tenerla pulita, dobbiamo svegliarci e salvare il mondo, perché siamo dove dimorano le cose selvagge, soldati giocattolo che fanno la guerra; "Big eyes to open soon, Believing all under sun and moon, But does heaven know you're here? And did they give you smiles or tears? No, no tears - Grandi occhi da aprire, Credendo a tutto ciò che c'è, Ma il Paradiso sa che sei qui? E ti hanno dato sorrisi o lacrime? No, niente lacrime" continua il testo, ricordandoci ancora poi dove siamo. I riferimenti al libro omonimo di Maurice Sendak sono evidenti, riprendendone il messaggio di crescita illustrato in questo testo per bambini, ma non solo; ecco quindi che si ripetono i versi precedenti spingendo all'azione per cambiare il mondo intorno a noi, in un processo di causa effetto dove noi dobbiamo essere il motore di tutto.

Prince Charming

"Prince Charming (Fascino Da Principe)" parte con un assolo blues sul quale poi subentrano piatti ritmati che ne sottintendono i giri circolari; ecco quindi un montare arioso che si apre ad una corsa allegra in media velocità, alternata a digressioni rock. Hetfield parte con il suo cantato pieno di espressione, mentre il motivo continua in soffondo con alcune punte squillanti; al minuto e ventotto prende piede il ritornello con voce effettata e riff melodici, mentre il drumming si mantiene controllato. Esso collima al minuto e cinquanta, lasciando spazio ai loop di chitarra; subito dopo si passa ad una sessione tribale con colpi pesanti, la quale fa da preambolo ad una ripresa del movimento strisciante di voce e chitarra. Si riparte con le evoluzioni precedenti, in una struttura che non riserva moltissime sorprese, ma coerente con se stessa; dopo l'ennesimo momento tribale parte un assolo sguaiato a motosega, il quale si dipana tra piatti e batteria cadenzata, sviluppandosi scale stridenti dal sapore tecnico. A sorpresa invece al terzo minuto e trentaquattro parte un coro vecchia scuola con montanti di chitarra, richiamando in parte i Metallica del passato, per quanto edulcorati; largo quindi ad una digressione strisciante di batteria e chitarra, al quale continua con i suoi rullanti sottintendendo le vocals esclamate di Hetfield. Riparte dunque il ritornello sempre seguendo le stesse modalità, fino ad una ripresa dell'assolo squillante, creando una coda altisonante che vuole avere un'aria esaltante ed epica, giocata ancora una volta su scale elaborate e momenti hard rock; così quindi si chiude il pezzo, riprendendo un'ultima volta tamburi e suoni stridenti, fino al silenzio. Ennesimo brano che presenta la nuova musica del gruppo, coniugata con alcuni, spauri, momenti vicini al passato; poco da dire al riguardo diverso da quanto esternato negli altri casi, la solfa la conosciamo ormai. Il testo sembra voler tornare al tema di "Mama Said" di "Load", ma con una prospettiva diversa: questa volta il protagonista si sente rifiutato dai suoi parenti, e per questo sfoga la sua rabbia sugli altri, forse un riferimento biografico ad un giovane Hetfield. C'è una nuvola nera, e siamo noi, così come l'edera velenosa che strozza gli alberi, siamo gli sporchi barboni per strada, che la gente oltrepassa camminando, e siamo il bambino che spinge forte e lo fa piangere; c'è un ago sporco nel figlio altrui, chiediamo di pungerci, una bottiglia vuota in una mano morta, e ora siamo la cravatta e la divisa che insanguinano le strade, e che vogliono di più, siamo la calibro quarantacinque in bocca a qualcuno, siamo una sporca prostituta. Si, siamo noi, coloro che non possono essere liberi, troppo giovani per concentrarci, ma troppo vecchi per vedere; quello che nessuno vuole vedere, il modo in cui il Mondo è stato ridotto. Siamo cose nefaste, che lasciano il segno sugli altri e noi, e dopo alcune ripetizioni il testo prosegue con "Look up to me, what to be and what to fear, Look up to me look, it's me, like what you hear? See right through me, see the one who can't be free, See right through me, look, it's me, what no one wants to see - Guardami per capire cosa essere e cosa temere, Guardami sono io, cosa senti? Guardami attraverso, guarda colui che non può essere libero, Guardami attraverso, guardami sono io, quello che nessuno vuole vedere"; proseguono quindi i versi, ripetendo il concetto dove siamo quanto di negativo c'è, quello che gli altri vogliono vedere solo ora in noi, ma in genere ignorano. 

Low Man's Lyric

"Low Man's Lyric (L'Ode Del Uomo Decaduto)" ospita il violino di Bernardo Bigalli e la ghironda (strumento medioevale a corda e tasti) di David Miles, presentandosi sin da subito come il pezzo più sperimentale del lotto, con un'aria insolitamente folk ed "europea"; Hetfield declama il testo con passione, quasi in modo sussurrato, mentre gli arpeggi di chitarra e le linee degli archi generano una melodia sobria e malinconica. Il cantato ha tratti più baritonali, mentre la chitarra assume punte squillanti, mentre al minuto e dieci il tutto passa su connotazioni più pop, sempre levigate e dall'impianto emozionale; anche la batteria si mantiene cadenzata, in un crescendo trattenuto che non esplode; invece il ritornello torna sui toni medioevali precedenti. Si alternano quindi ancora i movimenti leggeri, regalando il gusto della ballad più sognante e calma; al terzo minuto e sedici si ripropone il trittico celtico, continuando la natura insolita del pezzo; chitarre e batteria hanno modo poi di creare un momento progressivo con tamburi. Mentre Hetfield si da a vocalizzi effettati. Riecco quindi il crescendo, che ancora collima nella calma sottolineata dal violino, in un'atmosfera tranquilla; le modalità del lento sono ormai sicure, con l'aggiunta della ghironda e gli arpeggi delicati di chitarra. I Metallica classici sono qui totalmente assenti, anche nel ritmo più tribale ripreso nel quinto minuto e cinquantaquattro, concitato risetto a prima, ma sempre controllato; ecco dunque una sessione atmosferica con voce, arpeggi e violini, dove quest'ultimi hanno sempre più spazio, con i ritmi di ghironda che segnano il passo, creando una coda finale magistrale. Forse l'episodio più interessante di tutto l'album, ma anche quello più distaccato da ogni velleità metal; qui insomma di materiale per far arrabbiare i fan più oltranzisti ce n'è, ma le vere colpe dei nostri stanno piuttosto negli episodi dove suonano fiacchi nel riproporre la potenza di un tempo. Il testo tratta dei pensieri di un senza tetto, naturalmente amari e disperati, legati alla sua solitudine ed esistenza dispersa; i suoi occhi cercano la realtà, le sue dita le sue vene, c'è un cane dietro di noi, che rientra dalla pioggia. Cadiamo perché ci lasciamo andare, la rete sotto si è consumata comunque, mentre il fuoco dato dalla spazzatura bruciata da calore, ma non c'è riparo dalla tempesta; non sopportiamo di vedere cosa siamo diventati, marci ed amareggiati. Quindi mentre scriviamo di cosa è stato fatto e cosa c'è da fare, forse il destinatario capirà e non piangerà per noi, che abbiamo ricevuto quello che meritiamo; chiediamo perdono, mentre cerchiamo con le dita la fede, toccando il pulito con mani sporche, rovinandolo. "So low, the sky is all I see, All I want from you is forgive me. So you bring this poor dog in from the rain. Though he just wants right back out again - Così in basso, Il cielo è tutto ciò che vedo, Tutto ciò che voglio è che mi perdoniate. Porta dentro questo povero cane proteggendolo dalla pioggia. Anche se lui vorrebbe tornarci" prosegue il testo dopo alcune ripetizioni di versi, mentre poi il protagonista piange e si confessa nella pioggia, ma mente allo specchio, che ha rotto per farlo combaciare con la sua faccia; seguono altre ripetizioni che reiterano il concetto di solitudine e colpa, che regna nel testo della canzone.

Attitude

"Attitude (Attitudine)" si apre con un assolo blues subito frastagliato da rullanti di batteria; ecco che al sedicesimo secondo parte un riffing più corposo di natura hard rock, sul quale si appoggia il drumming incalzante con piatti, e giri squillanti. Hetfield ci sorprende con un cantato vecchio stile, accompagnato da giri circolari saldamente robusti e batteria cadenzata; ci approcciamo ad un ritornello lanciato, per un pezzo decisamente più collegato al passato thrash della band, per quanto le coordinate rimangono mischiate con un rock radiofonico. Dopo una cesura ritmata si riprende con la cavalcata altisonante, dove ci si alterna con momenti dal drumming tribale e i giri graffianti, per la gioia forse dei fan della band legati al passato; ma anche la melodia è sempre dietro l'angolo, per una sorta di versione (allora) odierna delle glorie passate. Al secondo minuto e cinquanta l'ennesimo arpeggio fa da cesura, dando spazio poi al riffing incalzante; ecco però che ora si collima in un assolo dalle scale squillanti, adagiato su arpeggi e batteria ritmata. Si arriva dunque ad una coda più lineare, sempre con assoli elaborati, la quale prosegue con la sua struttura precisa tra rullanti e cassa dritta; ma al quarto minuto e due si attiva una sessione liquida con vocals effettate e strimpelli di chitarra uniti al drumming sottinteso. Essa esplode in un ritornello vivace, il quale ripropone poi i riff robusti e il cantato trascinante; ecco quindi la riproposizione finale dei suoni più raffinati, fino alla digressione che chiude il brano. Un pezzo insomma che non delude, ne complicato o sperimentale, ne troppo moscio; però i modi sembrano una versione edulcorata di quelli più corposi e vivaci del passato, anche più godibili allora. Il testo parla di un'attitudine ribelle e contro le regole, in un chiaro messaggio di stampo rock semplice e diretto; supponiamo di dire che non siamo mai soddisfatti, e che bisogna tagliare alcune radici per far sopravvivere l'albero, e di chiedere a qualcuno di ucciderlo un poco, per un sorriso, solo una volta, perché siamo annoiati a morte. Abbiamo fame e mangiamo, e "Born into attitude, asleep at the wheel, Throw all your bullets in the fire and stand there, Born into attitude, twist mother tongue, Throw all your bullets in the fire and run like hell, Why cure the fever? Whatever happened to sweat? - Nato con l'attitudine, addormentato al volante, Getta le tue pallottole nel fuoco e rimani li, Nato con l'attitudine, contorci la lingua madre, Getta le tue pallottole nel fuoco e corri come il diavolo, Perché curare la febbre? Che è successo al sudore?"; supponiamo che gli avvoltoi ci sorridano, e di mandarli giù per ripulire il cadavere altrui, mentre siamo soddisfatti, ma presto la soddisfazione se ne va ancora. Ecco che i versi vengono ripetuti ancora reiterando le metafore, mostrando una sorta di sarcasmo ribelle che fa da perno tematico al testo; proseguendo il mondo stilistico "americano" presentato nell'album.

Fixxxer

"Fixxxer" ci sorprende con strani suoni noise pieni di riverberi, i quali poi lasciano il passo ad arpeggi grevi e colpi di batteria, in un'atmosfera progressiva allucinata. Qui s'intromettono fraseggi di chitarra, mentre al minuto e dieci parte una marcia con piatti cadenzati  e giri più risoluti e severi; Hetfield entra in gioco con un cantato ammaliante, mentre le chitarre si ripetono in riff secchi e la batteria si divide tra rullanti e piatti. Al secondo minuto e dodici si accelera leggermente con un ritornello sottinteso da arpeggi acustici e ritmo vivace; esso collima in un riffing robusto dove tornano gli effetti di chitarra baritonali. Si riproporne quindi il crescendo appagante ed esaltante, dove è la voce del cantante a fare da perno, offrendoci uno degli episodi sicuramente meglio riusciti del disco; largo quindi a digressioni melodiche unite ad una batteria a tratti più concisa, così come a momenti più severi. Al quarto minuto si apre una sessione strisciante con giri elaborati e assoli squillanti, dove anche la batteria si mantiene cadenzata; le evoluzioni si fanno articolate, in una parte progressiva che dura a lungo, conoscendo impennate varie sia di chitarra, sia di batteria. Si decelera quindi al quinto minuto e trenta in una coda lounge con batteria e fraseggi progressivi, la quale forse va un po' a rovinare il momentum con sperimentazioni non richieste: lo stesso si può dire per le vocals alternative effettate di Hetfield, che sembrano ora legate ad un altro brano. Si collima comunque in un'esplosione melodica con ritornello ripetuto, la quale poi si apre in una cavalcata controllata con arpeggi melodici uniti a piatti sempre più incalzanti; ecco quindi il finale dominato da questi elementi fino al riff conclusivo. Un pezzo non negativo, ma che si perde nella seconda parte rispetto alle promesse iniziali; si denuncia quindi al voglia di sperimentare sempre e comunque, che a volte fa dei veri e propri "autogoal" ad un songwriting diversamente più coerente. Il testo parla della sofferenza subita da parte di una figura paterna (un genitore, o forse Dio stesso) da parte del protagonista, paragonato ad una bambola vodoo; eccole quindi piene di aghi, ognuno per noi e i nostri peccati, mentre siamo messi in fila e veniamo punti per renderci umili, e solo chi lo fa può dire per tempo se cadiamo o inciampiamo solo. Ma può curare quello che ha fatto il padre? O riparare il buco nel figlio della madre? Riparare i mondi spezzati dentro? Ripulire tutto per ricominciare? Tagliare la fune e lasciarci liberi di fuggire? Quando tutto sembra ok e siamo liberi dal dolore, egli spinge un altro ago in noi; "Mirror, mirror, upon thy wall break the spell or become the doll, See you sharpening the pins, so the holes will remind us, We're just the toys in the hands of another, And in time the needles turn from shine to rust - Specchio specchio delle mie brame, rompi l'incantesimo o diventa una bambola, Ti vedo affilare gli aghi, così che I buchi ci ricorderanno, Che siamo giocattoli nelle mani di altri, E con il tempo l'ago diventa da lucido, arrugginito" prosegue il testo, presentandoci poi dopo varie ripetizioni facce insanguinate e sudore sporco, e rituali violenti con fucili a pompa per ritrovare l'amore per la vita con fede rinnovata. Un mantra ripresenta tutte le immagini anteriori, in una sorta di sarcastica preghiera dove l'abuso perpetrato e mascherato da atto giusto viene denunciato; un destino non libero dove le attenzioni della figura paterna sono punizioni ingiuste che rinnovano il dolore senza speranza.

Conclusioni

Impossibile parlare e valutare questo disco senza prendere in considerazione il precedente "Load", dato che si tratta di una sua estensione sonora e tematica; continua quindi l'esplorazione da parte dei nostri di atmosfere hard rock e da classifica, con passaggi legati al country e al blues, allontanandosi da quel metal che li aveva caratterizzati fino al famoso "Metallica" del 1991, per molti primo passo verso questa direzione qui ampliamente esemplificata. Anche qui valgono quindi molti discorsi fatti in sede di recensione del lavoro prima nominato: alcuni troveranno qui l'orrore cosmico, altri contro corrente lo considereranno l'opera di una band che evolve crescendo nel tempo. Bisogna vedere il lavoro per quello che è, ovvero una raccolta di b-side tratte dalla lavorazione di un disco che vedeva un gruppo deciso a raggiungere lo stardom allontanandosi dalla scomoda etichetta metal ed avvicinandosi a quella più "nobile" e popolare del rock classico, mondo che in realtà non gli era del tutto familiare, portando ad un suono inferiore rispetto ai veri esponenti del genere, e soprattutto a quanto fatto dai Metallica degli anni ottanta. E' chiaro che per i nostri tutto è molto nobile ed artistico, tanto da permettersi una copertina ad opera di Andres Serrano dove egli ha usato il suo stesso sperma mischiato con sangue bovino; siamo negli anni del grunge e dell'alternative, della rabbia e nichilismo esistenziale a tutto spiano, quegli anni novanta caratterizzati da una gioventù "contro", disillusa ed apatica. Ma il tutto risulta forzato, e si sente ancora una volta: la produzione è debole, penalizzando soprattutto, ma non solo, la batteria una volta potente di Ulrich, ora monotona e semplicemente sullo sfondo, mentre le chitarre di Hammett e il basso di Newsted semplicemente esistono per gran parte del disco, dando solo alcuni segnali di energia pari al passato ed inventiva. Hetfield svolge come sempre il suo lavoro, e non fa mai gridare allo scandalo, ma le alte note del passato non sono qui presenti, così come non è di casa l'epicità robusta del loro periodo thrash; la convenzione è in realtà regola, perché sperimentare significa ben altro dal lanciarsi semplicemente in altri generi in voga nel mainstream. Da un punto di vista comunque puramente commerciale l'operazione continua a funzionare, la stampa non di settore abbraccia con piacere questi "metallari redenti" e il grande pubblico non disdegna le loro ballad e pezzi orecchiabili, mentre molti ragazzini legati al rock alternativo incominciano a portare le loro magliette; il tutto naturalmente con buona pace dei loro fan della prima ora, i quali guarderanno sempre più con rabbia e disprezzo il gruppo, il quale è ormai nella comunità metal visto come il simbolo del tradimento in nome del dio denaro. Le vendite ci sono, il disco arriva nelle classifiche in prima posizione, e i Metallica sono sempre più convinti della strada presa, non disdegnando dichiarazioni ed operazioni celebrative che sembrano fatte apposta per irritare i loro detrattori e gettare benzina sul fuoco; Ulrich in particolare diventerà negli anni uno dei bersagli preferiti, al pari di Kerry King degli Slayer, delle accuse di megalomania e addirittura di essere una sorta di Yoko Ono interna che ha rovinato la band. La realtà è molto più pacifica, dato che a nessuno dei membri è stato mai imposto nulla: semplicemente la loro volontà comune era seguire quei passi che sono stati presi. Eventuali litigi interni ci sono sempre stati, anche nel periodo d'oro, anzi spesso essi sono il motore dietro una band; partono qui definitivamente i Metallica come li intendiamo oggi, delle rockstar miliardarie che hanno superato la barriera tra metal e stardom grazie a circostanze varie, tra cui il suono giusto al momento giusto, cosa che molti ancora oggi non gli perdoneranno. Quello che seguirà lo conosciamo, live orchestrali più o meno riusciti, come il famoso "S&M", raccolte di cover a volte auto indulgenti ("Garage Inc."), video, partecipazioni a colonne sonore, merchandising, tributi verso i nostri da artisti anche improbabili, tanta MTV; il fulcro sarà quel "St. Anger" che doveva essere un ritorno al metal, e che farà infuriare molti anche più di questo lavoro e di quello precedente, il tutto condito dalla questione Napster che cementificherà la visione di molti della band come ormai arrogante e irriconoscente verso quel pubblico che nei primi anni ha fatto la loro fortuna. Il gruppo, con cambi vari di formazione e un ritorno tardivo a suoni più robusti, esiste ancora oggi, e anche senza pubblicare nulla fa continuamente parlare di se; i Metallica sono e rimarranno sempre un simbolo del metal e delle sue vicende e contraddizioni, sia degli artisti, sia dei fan, nonché del rapporto tra esso e il versante più commerciale di stampa e pubblico, un rapporto di convenevole attrazione, ripudio, sfruttamento reciproci. Ma al di fuori degli interessi filologici e di cronaca rimane la musica, la quale ha subito purtroppo un abbassamento qualitativo lampante, legato ad una convinzione non più presente, e ad una malizia palpabile nel voler ottenere con la propria musica una certa immagine e condizione; "ReLoad" esemplifica per diversi motivi tutto questo, album non necessario che raschia il fondo di idee già di per se non così ottimali, lavoro di cui non si sentiva davvero il bisogno (salvo "Fuel" e poco altro..), se non da parte delle tasche della band (e cinicamente, chi può criticarli se si mette nei loro panni e nelle potenzialità di guadagno che solo ora capivano pienamente?). Ad ognuno il proprio giudizio, di certo non è questo il periodo dei Metallica che ha dato loro la l'identità e cementificato il loro nome nel suo significato; e di certo non è musica che appartiene davvero all'animo di chi l'ha composta, come invece era quella dei primi quattro (e in parte del quinto) album della loro carriera.

1) Fuel
2) The Memory Remains
3) Devil's Dance
4) The Unforgiven II
5) Better than You
6) Slither
7) Carpe Diem Baby
8) Bad Seed
9) Where The Wild Things Are
10) Prince Charming
11) Low Man's Lyric
12) Attitude
13) Fixxxer
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