METALLICA

Orgullo, Pasión Y Gloria

2009 - Universal Music Group

A CURA DI
SANDRO & DAVIDE CILLO
26/08/2016
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Metallica, una sorta di parola magica per chi ascolta il ramo più estremo della musica rock, parola che spesso accende infuocate diatribe che dividono il popolo metal. Il Quartetto Di Los Angeles ha incantato e formato gran parte degli Heavy Metal Kids della generazione cresciuta negli anni '80, ovvero tutti quelli che hanno avuto la fortuna di vivere il fantastico periodo dell'adolescenza in compagnia di alcuni dei migliori album della storia della musica, indipendentemente dal genere ascoltato. Qualche nome? Per il Metal è semplice, l'esplosione di quelli che in futuro saranno i leggendari Big Four , il periodo d'oro di Ozzy Osbourne, Dio , Iron Maiden  e Alice Cooper, l'hard rock melodico dei Bon Jovi e degli Europe, e ancora l'esplosione del glam metal con Ratt, Twisted Sister e Motley Crue, oppure, cambiando genere, l'avvento del neo progressive con i Marillion, gli storici super gruppi Asia e GTR o il brusco ma sempre interessante cambio di rotta dei dinosauri del rock Yes e Genesis, ed ancora il rock di gran classe dei Dire Straits e dei Queen, per non parlare del cinema, che in quel periodo ha sfornato memorabili pellicole. Un periodo che riesce incredibilmente a tenere testa al fantastico decennio degli anni '70, riconosciuto giustamente da molti come il periodo d'oro della musica rock, che ha visto nascere le più grandi band della storia della musica, che inevitabilmente hanno influenzato tutto ciò che è venuto dopo, e ci teniamo a precisare la cosa, in quanto spesso ci capita di affrontare il problema con  pseudo ascoltatori più giovani, che definiscono "vecchiume" dinosauri come Led Zeppelin, Yes, Genesis e chi più ne ha più ne metta. Ma torniamo ai 'Tallica. I nostri dopo aver piazzato un micidiale poker di pietre miliari del thrash metal, hanno fatto di tutto per fare disinnamorare i numerosissimi fans. Si va dal ridicolo "caso Napster" ad un brusco addolcimento delle sonorità, in virtù di lidi più melodici e anche più redditizi, spinti dalla mente diabolica di Bob Rock. C'è stato chi, accecato dall'amore per i Four Horsemen, ha continuato imperterrito ad amare qualsiasi prodotto portasse il marchio Metallica, c'è stato chi ha iniziato addirittura ad odiarli, rinnegando ingiustamente anche il glorioso passato, mentre i moderati, si sono limitati a continuare ad amare gli ineguagliabili primi quattro album, ascoltando con un interesse che gradualmente andava svanendo i futuri lavori. Ci sono stati anche nuovi fans, che infischiandosene del passato, sono stati catturati delle nuove melodiche composizioni del Quartetto Californiano. Chi scrive si è iscritto al partito dei moderati, che impazzisce per i primi tre album, apprezza moltissimo l'ultra tecnico ma mal prodotto "?And Justice For All", trova qualcosa di buono nel "Black Album", un ottimo lavoro che ha l'unico difetto di supportare il pesante moniker Metallica, conosce appena qualche brano del duo "Load" e "ReLoad", impreca per aver speso soldi inutilmente per una delle produzioni più scadenti del metal, intitolata "St. Anger" ed ha ascoltato con superficialità dettata dalla diffidenza l'ultimo lavoro in studio "Death Magnetic. Noi di R&MIMB abbiamo la nostra sindacabilissima opinione sui Four Horsemen: Cliff Burton (R.I.P.) si è portato nella tomba una buona parte dell'anima dei Metallica. Con la sua morte, i Four Horsemen non hanno perso solo uno dei migliori interpreti delle quattro corde in campo metal, ma hanno perso anche un grande compositore ed un leader che se ne stava in penombra, lasciando apparentemente la scena all'eccentrico Lars Ulrich e al frontman James Hetfield, ma che riusciva a tenere a bada tutta la band. Siamo straconvinti che, con il compianto Bassista Di Castro Valley ancora in vita, non ci sarebbe stato un "Black Album" e neanche tutta la spazzatura che è venuta dopo, né tantomeno il simpatico Lars Ulrich si sarebbe mai azzardato di abbassare meschinamente ad insaputa del bassista i volumi delle partiture incise con alacrità durante le sessioni di registrazione di "?And Justice For All". Ma con i se e con i ma, andiamo poco lontano. Siamo qui a parlare di questo energico live tenuto nella piccante terra del jalapeño, dove i nostri, hanno dato vita a tre infuocate serate al Foro Sol di Città Del Messico il 4, 6 e 7 Giugno del 2009, di fronte ad oltre 150.000 persone, deliziandoli con una splendida carrellata della loro carriera, alternando brani del passato, del presente e del nuovo album "Death Magnetic". Il meglio delle tre serate fu raccolto nell'ormai storico DVD "Orgullo, Pasión Y Gloria - Tres Noches En La Ciudad De México" inizialmente pubblicato per il solo mercato sudamericano e spagnolo, ma fortunatamente ora disponibile per i fans di tutto il Mondo. Si tratta di una sorta di greatest hits live, che ripercorre tutta la carriera dei 'Tallica, sparato con l'asticella dei BPM ai massimi livelli, con qualche lieta sorpresa e qualche pesante assenza, ma si sa, le scalette live difficilmente riescono a mettere tutti d'accordo. Secondo il nostro modesto e sempre sindacabile parere, si è pescato troppo poco dalla pietra miliare "Master Of Puppets", mentre, due brani, sono stati scelti come rappresentanti del dirompente album d'esordio "Kill 'Em All", l'anthermica "Seek & Destroy" e in maniera inaspettata la tagliente "Hit The Lights", una lieta sorpresa per le set list standard metalliche. Per farvi un idea, la traccia che apre il sempiterno "Kill 'Em All", occupa la posizione numero 39 fra le canzoni suonate dal vivo, con 198 apparizioni, contro, per esempio le 1504 di "Master Of Puppets", che guida incontrastata la classifica, o le 1360 della stessa "Seek & Destroy", tanto per rimanere all'interno del medesimo platter. Per nostra immensa gioia, ben quattro brani (più altri due nella versione de luxe) sono stati estrapolati da "Ride the Lightning". Esiste infatti in commercio una versione de luxe, contenente ben 35 tracce rispetto alle 19 della versione retail, dove vengono colmate alcune lacune, come l'incomprensibile assenza di "Fade To Black" ed allo stesso tempo è possibile trovare alcune liete sorprese come le cover di "Helpless" e "Turn The Page" oltre ad una manciata di brani tratti da "?And Justice For All", che, se riascoltate con le linee di basso ad uopo, hanno un loro perché. In entrambe le versioni, pesa comunque come un macigno l'assenza delle due epiche strumentali "Orion" e "The Call Of Ktulu" nonché almeno un altro paio di brani tratti da "MOP". La versione de luxe, contiene anche un doppio CD, che replica le 19 tracce della versione standard in DVD. Fra un brano e l'altro, troviamo inserite simpatiche interviste ai fans e ai nostri amati Four Horsemen. Ma è giunta l'ora di inserire il nostro DVD nell'apposito lettore e fare un meraviglioso viaggio nel paese della tequila e del peperoncino, accompagnati dalla tagliente colonna sonora dei Metallica.

The Ecstasy Og Gold

Appena premiamo il tasto play, siamo catapultati a bordo di un elicottero, che sorvola velocemente il suggestivo complesso archeologico Maya "Chichén Itzá", in direzione Città Del Messico. Poi, James Hetfield, con un "Hey Man, Mexico" annuncia una veloce carrellata di immagini che ritraggono l'infuocato popolo metallico, alternata ad immagini inerenti a luoghi o momenti salienti della vita messicana e a frammenti di interviste, con i taglienti riff di "That Was Just Your Life" a fare da colonna sonora in sottofondo. Fra corna che si sprecano e tricolori che sventolano, apprendiamo che fra la marea di fans accorsi a Città Del Messico, ce ne sono molti provenienti dalla Colombia, dall'Argentina e da altri stati sudamericani. Dopo un insolito coro che inneggia al "Tabasco", i fans gridano a gran voce quali sono i brani che sperano siano inseriti nella track list, e ovviamente, trovandoci pienamente d'accordo, vengono menzionati solamente brani appartenenti al micidiale trittico iniziale con cui i nostri ci hanno stregato. La telecamera ci mostra una breve carrellata del numerosissimo pubblico, seguita da alcune immagini al rallentatore che mostrano i nostri nel back stage, fra stretching, riti propizi e volti segnati dalla tensione, poi,  sono subito brividi con le note della meravigliosa "The Ecstasy Of Gold (L'Estasi Dell'Oro)" firmata da  Sua Maestà Ennio Morricone, composta per la colonna sonora del film di Sergio Leone "Il buono, Il brutto, il Cattivo", brano con cui i Four Horsemen aprono i loro concerti sin dal lontano 1983. Ritornando alla leggendaria pellicola western datata 1966, la canzone viene ricordata in particolare per essere il sottofondo musicale della scena in cui "Tuco (Eli Wallach)" nel sinistro cimitero di Sad Hill, cerca freneticamente la tomba dove si dovrebbero trovare sepolti 200.000 dollari in oro. Ma il condizionale è d'uopo. Quando viene aperta la bara, in realtà invece di un bel gruzzolo d'oro contiene un cadavere. Sergio Leone era preoccupato della possibilità che delle ossa finte risultassero poco credibili all'occhio dello spettatore. Mentre la sua mente elaborava dati per ovviare al presunto inconveniente, ebbe una brillante idea, ovvero quella di inserire all'interno della bara un vero e proprio cadavere eroso dal tempo. Indagando, venne a scoprire che un'attrice spagnola era morta lasciando scritto i suoi voleri, ovvero che avrebbe voluto recitare anche da morta. Quindi, quale migliore occasione per rendere il più reale possibile la pellicola ed allo stesso tempo realizzare i sogni di un'attrice passata a miglior vita? Ma torniamo a noi, sia i Metallica che i fans, si uniscono in coro alle emozionanti trame musicali disegnate da Ennio Morricone (che a dire il vero hanno ispirato i nostri per la stesura della celebre "The Unforgiven", le cui note iniziali non sono altro che le medesime di "The Ecstasy Of Gold" riprodotte al contrario).

Creeping Death

Non appena i Four Horsemen toccano il palco vengono accolti da un tellurico boato da stadio, Lars Ulrich dà il "quattro" sul charleston, lasciando presagire che quella che verrà, sarà una versione al fulmicotone di "Creeping Death (La Morte Che Avanza)", dall'immenso "Ride The Lightning" datato 1984. Si tratta uno dei brani preferiti in assoluto dai fans, nonché uno dei più suonati in sede live, si parla di cifre da capogiro, precisamente, secondo gli addetti ai lavori, il brano è stato riproposto ben 1447 volte, "numeri che fanno girare la testa", come direbbe il simpatico quanto sconclusionato Ingegner Cane, impersonato dal comico Fabio De Luigi nella fortunata saga di "Mai Dire Gol". Dopo l'imperiale marcia dell'introduzione, rimare solo la chitarra di James Hetfield ad abbattere le prime file con il leggendario e tagliente riff, sparato con l'asticella dei BPM a manetta, cosa che non permette a Lars Ulrich di replicare fedelmente la splendida corsa sulle pelli dei tom tom della versione in studio. Quando i nostri suonano tutti e quattro insieme, l'impatto sonoro è a dir poco devastante. Dopo questi primi travolgenti secondi strumentali appartenenti alla bibbia del metal, il biondo Frontman Di Downey ci aggredisce con una linea vocale che traspira grinta da tutti i pori, ricamato dagli inconfondibile taglienti cori in pieno thrash metal style. Il pubblico canta a squarcia gola le prime strofe, poi dopo un tagliente bridge strumentale, arriva l'inciso. I potenti power cord sparati dalla chitarre mettono in luce i memorabili versi nati dalla penna di Hetfield, la seconda parte del ritornello viene interamente cantata dal pubblico, poi, dopo un effimero interludio strumentale, torna la strofa, seguita dal bridge e dal ritornello, il tutto con la constante partecipazione canora del pubblico. L'incessante cavalcata della sezione ritmica i porta dritti verso l'assolo. Kirk Hammett spara una serie di virtuosi fraseggi alla velocità della luce, che poi vanno ad imboccare una strada assai più melodica nella seconda parte. Ultime scorribande sulla sei corde e poi arriva lo special. Calano i BPM, le chitarre sparano all'unisono un riff cadenzato, accompagnati dalla tribale corsa sulle pelli di Mr. Ulrich. Il pubblico urla a squarciagola "Die! (Muori!)", anticipando di qualche battuta il leggendario coro. I Metallica sfruttano al meglio il momento, le chitarre si ammutoliscono, mettendo in mostra i sinuosi fraseggi di Robert Trujillo. Dopo questa inedita versione drum&bass dello special, James Hetfield ritorna dietro al microfono, accompagnato da suggestivi controcanti dei compagni e del pubblico che in loop grida "Die". Dopo una fugace apparizione del riff portante, torna la tagliente strofa, seguito dall'inciso, che nella prima parte viene riproposto in un'insolita versione drum&bass, sempre cantato a squarciagola dall'infuocato pubblico del Foro Sol. L'indemoniato Lars Ulrich ci porta verso il finale, dove le due chitarre dialogano all'unisono in modalità Iron Maiden, per poi andare a chiudere con il devastante tema dell'introduzione, seguito dal settantiano gran finale con una miriade di note sparate dagli strumenti e trilli sui piatti. Per le liriche. James Hetfield ha tratto ispirazione dal colossal datato 1956 "The Ten Commandments (I Dieci Comandamenti)" di Cecil B. DeMille. Il film narra la storia di Mosè, il bambino ebreo salvato dalla madre a seguito di un massacro voluto dal faraone, che, adottato dalla figlia di quest'ultimo, divenne principe d'Egitto. Dopo aver scoperto le sue vere origini, decise di abbandonare la sua vita di lussi e agi e, in seguito, dopo aver affrontato il faraone Ramesse II, suo acerrimo nemico sin dalla gioventù, liberò il suo popolo dalla schiavitù. A colpire in maniera particolare Hetfield e compagni, fu il secondo tempo del colossal americano, quando Mosè scatena sul popolo egiziano le leggendarie dieci piaghe. Fra invasioni di locuste, rane, mosche e zanzare, un'improvvisa moria del bestiame, purulente ulcere che colpivano ogni essere vivente, e sconcertanti fenomeni meteorologici, a colpire Cliff Burton fu la piaga numero dieci, quella che vuole la morte dei primogeniti maschi. Il compianto Bassista Di Castro Valley, di fronte a tanta crudeltà esclamò "Whoa! It's Like Creeping Death! (Whoa! E' Come La Morte Che Avanza)", dando inconsciamente il titolo e l'ispirazione per un brano che può considerarsi uno dei migliori e più famosi dell'ambito del thrash metal. E' dunque Mosè l'ebreo che si cela fra le righe del testo, mandato dall'Eletto ad uccidere il primogenito del Faraone, Mosè è la Morte che sta arrivando, andando a compiere la sete di vendetta del popolo israeliano. Gli accordi del brano precedente si dissolvono lentamente nell'aria, Lars Ulrich si alza in piedi dietro al drum set e batte il tempo con secchi e precisi colpi di gran cassa. James Hetfield prima saluta la patria del chili, poi presenta al pubblico il bassista Robert Trujillo, che ruba la scena con un vorticoso assolo con il basso a cinque corde. Gli effetti a pedale donano un sound caustico alle corpose note che si librano nell'aria. Una telecamera a bordo di un elicottero fa una carrellata veloce mostrando Città Del Messico by night, subito dopo, una seconda inquadra prima il pubblico, poi un sudatissimo Lars Ulrich, che a quanto pare non ha ancora perso il vizio di sputare a destra e a manca. Le vibrazioni sparate dall'ex bassista dei Suicidal Tendencies ci arrivano fino allo stomaco. 

For Whom The Bell Tolls

I virtuosi fraseggi finali sono il preludio ad uno dei pezzi più amati dai fans, l'oscura ed ineguagliabile "For Whom the Bell Tolls (Per Chi Suona La Campana)", per la nostra immensa gioia, sempre dal capolavoro "Ride The Lightning". Robert Trujillo, prosegue il suo assolo, replicando le gesta del compianto Cliff Burton, che in sede live amava prolungare la storica partitura di basso dell'introduzione, accompagnato dai sinistri rintocchi della campana. Le acide note gravi si fanno largo fra i potenti accordi distorti e i portentosi colpi inflitti da Lars Ulrich sul drum set. Il brano inizia a prendere corpo, Robert Trujillo, si accovaccia su se stesso, appoggiando lo strumento sulla gamba destra andando a terminare la prolungata escursione solista. Il pubblico s'infiamma. Il basso, ripulito dalle sonorità sporche del distorsore, ora pompa in maniera tellurica nell'interludio che precede la leggendaria parte di chitarra. Il ridondante lamento della sei corde di Kirk Hammett ipnotizza la platea, che ondeggia le teste, seguendo la monolitica ritmica del Drummer Danese. Dopo questa prolungata e memorabile introduzione, una versione strumentale dell'inciso anticipa la strofa. La grintosa voce di James Hetfield riecheggia nell'aria, facendosi largo fra gli eterei accordi distorti, cantando gli orrori della guerra, visti attraverso gli occhi di un manipolo di soldati senza speranza. Le liriche infatti, prendono spunto dal romanzo "Per Chi Suona La Campana" di Ernest Hemingway, dove cinque soldati repubblicani impegnati nella guerra civile spagnola, cercano di sfuggire ai fascisti cavalcando i propri destrieri. La loro fuga disperata terminerà poi sulla cima di una collina, dove verranno uccisi da un aereo nemico. Il romanzo deve aver catturato in maniera particolare l'attenzione dei Four Horsemen, che hanno deciso di tributarlo con uno dei loro brani più popolari. A sua volta, il titolo del romanzo è preso da un famoso sermone di John Donne; in relazione al concetto secondo il quale nessun uomo è un'"isola", cioè può considerarsi indipendente dal resto dell'umanità, egli disse: "...And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee. (E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te.)" Da sottolineare che, nella lingua inglese, il verbo "to toll" indica proprio il suonare a lutto, per una morte o più. E stavolta la campana suona proprio per i cinque eroi, che hanno difeso con tutte le forze e fino alla morte la loro collina, simbolo della loro terra e delle loro tradizioni. Anche questo brano, rispetto alla versione in studio, viene eseguito con un più elevato valore di BPM, mantenendo però l'ossessiva ritmica che lo rende unico. Il pubblico canta passo per passo tutte le strofe, esplodendo definitivamente nel grintoso ritornello, seguito da un interludio strumentale. L'ipnotico tema di chitarra sparato da Kirk Hammett, viene eseguito all'unisono da Hetfield, che lavora su registri più bassi, e dal funambolico Robert Trujillo, che salta da un posto all'altro del palco come un fauno libero in una foresta incantata. Fa il suo ritorno l'epica strofa, con una suggestiva pausa che per alcuni secondi lascia il solo "?will" di James Hetfield a riecheggiare nell'aria. Fra un filler di batteria e primi piani di James Hetfield, la telecamera sovente indugia sul pubblico indemoniato, che innalzando le corna al cielo, canta a squarcia gola tutto il brano. Ritorna l'inciso, Hetfield inviata il pubblico a cantare la seconda parte, la platea risponde con un "For Whom the Bell Tolls" da stadio, che riecheggia prepotentemente nelle vallate messicane. Dopo uno spagnoleggiante "gracias" arriva il doommeggiante finale, con la lugubre marcia in onore del manipolo di soldati che in maniera eroica ha difeso fino all'ultimo la loro patria. Lars Ulrich si alza in piedi percuotendo violentemente le malcapitate pelli, Kirk Hammett tesse una acida ragnatela di note dal piacevole retrogusto settantiano che termina solo quando finisce il manico della chitarra.

Ride The Lighting

Dalle ceneri del gran finale, a sorpresa, come una fenice, risorge l'epica introduzione di "Ride The Lighting (Cavalcando Il Fulmine)" title track dell'album datato 1984. Il pubblico accompagna a gran voce la memorabile introduzione, seguendo i micidiali colpi di Lars Ulrich, resi ancor più corposi dalle profonde note sparate dal basso. Dopo questa introduzione dal sapore epico, arriva come un treno uno dei riff più famosi del thrash metal. Le due chitarre ed il basso eseguono all'unisono il granitico riff, generando un wall of sound a dir poco devastante. Arriva la strofa, James Hetfield, quasi si graffia la gola nel recitare i primi versi, che narrano gli ultimi attimi e gli atroci pensieri di un condannato a morte, destinato alla sedia elettrica. Ma non si tratta di una critica al drastico sistema giudiziario che vige in alcuni stati americani. Spesso, James Hetfield ha dichiarato apertamente di essere favorevole alla pena capitale. Ma nelle liriche, il nostro illustra gli ultimi attimi di vita di un condannato alla sedia elettrica, che purtroppo vi è finito ingiustamente, a causa di qualche grossolano errore giudiziario. Il malcapitato, forte della sua innocenza, con l'arrivo dell'energico bridge domanda ai suoi carnefici "Who made you God to say I'll take your life from you? (Chi vi ha resi Dei per poter dire: ti toglierò la vita?)". Ma è con il melodico inciso, che James Hetfield urla ai quattro venti la brutalità degli ultimi attimi di vita di chi si è seduto ingiustamente sulla sedia elettrica. Dopo il chorus, che ben presto è diventato uno dei più famosi  del thrash metal, un grintoso interludio strumentale con le chitarre in evidenza, anticipa il ritorno della strofa. Le telecamere indugiano sugli strumenti, possiamo notare che per l'occasione Robert Trujillo, impugna un pregiato Fender a quattro corde. A seguire troviamo nuovamente l'inciso, che ormai si è impresso in pianta stabile nella nostra mente. Il brano si fa più grintoso nel successivo interludio strumentale, dove gli strumenti a corda ergono un muro invalicabile. Improvvisamente, aumentano in maniera vistosa i BPM. I taglienti riff delle due chitarre si intrecciano, imprigionando la graffiante linea vocale di James Hetfield, poi dopo un altro intermezzo strumentale, si passa a ritmiche cadenzate. Il pubblico accompagna con calorosi "eh" gli epici riff di chitarra. James Hetfield infuoca la platea alzando in alto il braccio destro a tempo di musica, annunciando l'assolo di Mr. Hammett, che abusa dello wah-wah per enfatizzare le lisergiche trame di chitarra. Le scorribande sulla sei corde del riccioluto Chitarrista Di San Francisco sono accompagnate da una delle più belle partiture di chitarra ritmica del metal. Forse influenzati dai crediti del brano, che vede il prezioso nome di sua maestà Dave Mustaine fra i compositori, possiamo riconoscere le sature partiture di chitarra dei futuri Megadeth di "Peace Sells?" Dopo l'inquadratura di una sciarpa da stadio che porta il logo della band, l'inquadrato Lars Ulrich da un veloce "quattro" sul charleston, preannunciando che il brano avrà un'ulteriore cambio di ritmo. Su una solida base ritmica che rievoca i taglienti fasti dell'album d'esordio, Kirk Hammett continua il prolungato assolo, mettendo da parte la melodia in virtù di una improvvisa crisi di autocelebratismo. I riccioli castani ondeggiano velocemente a tempo di musica, mentre le dita della mano sinistra corrono ad una velocità pazzesca sul manico della sei corde. In barba a chi lo dava per finito Lars Ulrich corre come un treno, con una precisione chirurgica. I funambolici fraseggi di chitarra ci portano verso lo special, basso e doppia cassa danno vita ad una micidiale ritmica tellurica. Senza prender fiato, James Hetfield recita alcune strofe, poi lentamente i nostri ritornano a ritmiche più tranquille, riproponendo lo storico riff di chitarra della strofa, seguita dal ritornello. I nostri vengono trasformati in un quartetto di piccoli Hulk dalle potenti luci verde smeraldo. Nel grintoso pre-finale del brano, Lars Ulrich sembra divertirsi, ignorando la fatica e riempendo gli spazi con precisi filler, trasportandoci verso l'estinzione del brano, che si chiude con una fugace apparizione del mitico riff iniziale. Dopo questo micidiale trittico preso dal capolavoro "Ride The Lightning", il DVD ci mostra alcuni momenti dell'intervista tenuta dai nostri nell'infuocata terra del jalapeño. Le telecamere ritornano all'interno del Foro Sol. James Hetfield infiamma il pubblico richiamandolo nella loro lingua, andando poi a pescare nell'album che li ha consacrati come star del metal, una delle pietre miliari del genere, il granitico "Master Of Puppets", che nel lontano 1986 cambiò il mondo della musica metal.

Disposable Heroes

 A sorpresa, i nostri propongono una delle tracce meno popolari del platter crociato, la polemica "Disposable Heroes (Eroi da Buttare), brano con cui i nostri ostentano tutto il loro disprezzo nei confronti della guerra. Nelle liriche viene illustrato l'inutile martirio dei ventunenni americani, che vengono obbligati dallo stato ad andare a combattere una guerra in cui molti di loro nemmeno credono. Lo stato li getta nelle mani della Grande Mietitrice, strappandoli alle loro famiglie. Giovani impauriti che quotidianamente lottano contro la morte, vedendo morire i compagni uno dopo l'altro, consapevoli che ogni momento potrà essere il loro. Ovviamente la critica non è rivolta solo alle guerre che vedono coinvolto lo Stato A Stelle E Strisce, ma a qualsiasi tipo di conflitto bellico, dove i padroni guerrafondai portano avanti i propri interessi giocando sulla pelle dei loro giovani ed inesperti militari di leva, addestrati ad uccidere il nemico. Il brano si apre con un potente wall of sound, guidato dalla marcia bellica di Mr. UlrichKirk Hammett preme il pedale dello wah-wah, dando una nota acida all'introduzione. Lars Ulrich si guarda intorno, poi dà il "quattro" sul charleston, annunciando l'epica cavalcata in "Mi" di James HetfieldRobert Trujillo si muove minacciosamente sul palco, ricordando un terribile Uruk-Hai in cerca di una preda, sparando profonde note che donano un'anima alla ritmica sincopata di Lars Ulrich. La chitarra di Kirk Hammett disegna oscure trame che si lasciano dietro una scia di terrore. In maniera brusca, Lars Ulrich alza notevolmente l'asticella dei BPM. I nostri ci mostrano in versione strumentale quello che sarà il bridge. Si scatena l'Inferno, un temerario fans si lascia rotolare al di là delle transenne, ma viene gentilmente rispedito al mittente dalla security. Gli strumenti a corda generano un micidiale wall of sound che incendia gli animi sugli spalti. Subito dietro alle prime file si crea un vuoto, dove i fans più accesi danno vita ad un massacrante pogo. Per fortuna i Four Horsemen ritornano alla cavalcata in "Mi". Ora gli strumenti a corda viaggiano all'unisono. Arriva la strofa, con grinta James Hetfield vomita tutto il proprio disprezzo nei confronti dei conflitti bellici. A seguire il bridge, Lars Ulrich suona ad una velocità disumana. James Hetfield recita tutto d'un fiato le poche righe. Sul volto dei nostri possiamo leggere la tensione che porta ad eseguire ad una velocità pazzesca un brano, che già nella versione originale viaggiava come un treno impazzito. Breve intermezzo strumentale, con un tagliente tema di chitarra protagonista e poi arriva il chorus. Calano i BPM, ma questo non basta a sedare il pogo. La grintosa linea vocale di James Hetfield viene ricamata da disprezzanti cori che vomitano "Back to the front (Torna al fronte)", rimarcando l'ingiusto comando con cui lo stato manda le giovani leve ad immolarsi di fronte al nemico. Riparte la strofa, con l'epica cavalcata delle chitarre, seguita dal vertiginoso bridge che eccita nuovamente l'indemoniato pubblico. La telecamera inquadra la vistosa chitarra di Kirk Hammett dedicata al Principe Delle Tenebre nato dalla penna di Bram Stoker, mentre spara nuovamente il tagliente tema che anticipa il ritorno dell'inciso, seguito da un'anthemico special dalle ritmiche che invitano al "mosh". E' il momento dell'assolo. Supportato da una granitica partitura ritmica, Kirk Hammett alterna funambolici fraseggi a momenti più melodici. Parte del pubblico sembra ignorare la performance del riccioluto axeman, continuando imperterriti a pogare. Ritorna l'anthemico special a gettare benzina sul fuoco, seguito dal velocissimo bridge strumentale che annuncia il ritorno della strofa. La struttura abbastanza eterogenea prevede il ritorno di bridge e ritornello, stavolta impreziosita da un lancinante tema di chitarra. Un'ultima sfuriata alla velocità della luce e poi pubblico e musicisti possono tirare il fiato. Il Foro Sol viene oscurato da una avvolgente luce blu cobalto. I Metallica abbandonano la scena. Nell'aria riecheggia il ridondante rumore delle pale dell'elicottero. Dal palco partano una serie di fuochi d'artificio. Fumi, lingue di fuoco e l'eterea luce blu danno vita ad un'atmosfera surreale, ma il palco è ancora orfano dei Four Horsemen. L'intensità dei fuochi pirotecnici aumenta gradualmente, uno sciame di schermi luminosi invade la platea, il pubblico impaziente, decide di fissare alcuni memorabili ricordi della bellissima scenografia, il fragore dei botti si fa sempre più forte, si aggiungono le raffiche di una mitragliatrice. Nel frattempo una serie di fuochi d'artificio vola in alto, ad illuminare il cielo tenebroso che sovrasta Messico City, eccitando ulteriormente l'impaziente pubblico. 

One

Dopo una sfuriata finale, le lingue di fuoco tornano nelle bocche dei draghi, finalmente fra le tenebre si intravede l'inconfondibile sagoma di James Hetfield, che attacca il celebre arpeggio di "One (Uno)", dal quarto album in studio "...And Justice For All", risalente al 1988, il primo senza Cliff Burton, per chi scrive l'ultimo dei Metallica. Un boato riecheggia fra le tenebre, il pubblico riconosce ed apprezza. Si tratta di uno dei brani più amati dai fans, che in sede live riesce a dare ancora di più, grazie anche alla spettacolare scenografia che di solito lo accompagna. Ora lo sciame di lucciole artificiali ondeggia a tempo di musica, dalla platea si solleva un delicato coro che riprende la linea melodica dell'arpeggio portante, mentre Kirk Hammett inizia con i suoi preziosi e melanconici intarsi dal sapore latino. Entra in scena Lars Ulrich, con l'inconfondibile ritmica, seguito qualche battuta più avanti da Robert Trujillo, annunciato da un profondo glissato. I preziosi fraseggi di chitarra di Kirk Hammett si fanno più armoniosi, aprendo uno spiraglio di luce fra la funesta atmosfera che pervade in questa malinconica introduzione. Arriva la strofa. James Hetfield spazza via tutta la grinta con cui ha affrontato i brani precedenti.  Il biondo Frontman Di Downey fa quasi tenerezza, affrontando con estrema dolcezza queste prime strofe. Gli accordi distorti dell'inciso rompono per pochi istanti la lugubre atmosfera del brano, con lo stesso effetto che ha un lampo nelle tenebre, ma poi, dopo un breve intermezzo strumentale che mette in evidenza i preziosi fraseggi spagnoleggianti di Kirk Hammett, veniamo avvolti nuovamente dalle melanconiche trame della strofa e ipnotizzati dalla ritmica claustrofobica del duo Ulrich - Trujillo. Nella seconda parte della strofa, James Hetfield carica al massimo l'interpretazione delle parole "that sticks in me (la flebo che è in me)", ottenendo un effetto suggestivo grazie all'aiuto dell'eco. Andando avanti incontriamo l'energico quanto effimero inciso, seguito da uno struggente assolo di chitarra. I melanconici fraseggi di Mr. Hammett si intrecciano con il triste arpeggio di Hetfield e il sinuoso giro di basso, dando vita ad una armonizzazione da brividi. Dopo una doppia razione del chorus, i Four Horsemen incantano la platea con un prolungato assolo. Le due chitarre lavorano quasi all'unisono, lavorando su registri diversi ed intersecandosi con la bella partitura di basso, che vi ricordo non possiamo apprezzare nella versione in studio, a causa della pessima mossa di sua simpatia Lars Ulrich, che all'insaputa del resto della band, in fase di mixaggio, fece portare tutte le partiture del basso del povero Jason Newsted ai minimi livelli. Ultimamente, il tecnico del suono Steve Thompson, sul quale erano piovute ingiustamente tutte le critiche inerenti al sound dell'album, ha messo in circolazione i mixaggi originali, prima che la tagliente mano di Ulrich ci passasse sopra, dove potete apprezzare l'ottimo lavoro di Jason Newsted. Ironicamente la nuova versione dell'album è stata intitolata "? And Justice For Jason", ed è facilmente reperibile in rete. Dopo questa dovuta divagazione, torniamo sul palco del Foro Sol, avvolto dalla lugubre atmosfera diffusa dalle luci cobalto e dal deprimente incedere della musica. Eravamo rimasti al secondo assolo. Dagli accordi distorti che lentamente evaporano, iniziano a farsi largo micidiali trigger di doppia cassa, seguiti poi all'unisono dagli strumenti a corda. Il brano compie un'inaspettata svolta stilistica. Le melanconiche atmosfere della prima parte vengono letteralmente spazzate via dall'energico impatto sonoro generato dai Four Horsemen. La telecamera a bordo dell'elicottero, fa una breve carrellata sull'impressionante marea umana accorsa ad assistere lo spettacolo. James Hetfield mette da parte la dolcezza con cui aveva interpretato la prima parte del brano, vomitando con grinta l'oblio di un soldato ferito da una mina. La deflagrazione non solo lo ha reso un tronco umano, ma ha preso anche la sua lingua, il suo udito, la sua vista, ed anche la sua anima. Ora lui si trova in un letto, tenuto in vita da un macchinario, ad implorare il suo Dio, che risparmiandolo alla morte lo ha condannato a vivere le pene dell'Inferno sulla Terra. Spesso desidera di risvegliarsi da un incubo, ma invece si ritrova sempre imprigionato in quel che resta del suo corpo, a sperare che la Grande Mietitrice torni indietro a prenderlo, come se lo avesse erroneamente dimenticato, lasciandolo in fin di vita, in preda al dolore e alla disperazione, gli unici ricordi che l'esplosione gli ha lasciato. In questa seconda parte più energica, tornano i fuochi d'artificio, che annunciano un notevole aumento di velocità da parte di Lars Ulrich. Basso e chitarre seguono all'unisono l'indemoniato Drummer Danese. Dopo qualche battuta, Kirk Hammett si dissocia dall'epica cavalcata e attacca un tagliente assolo che unisce virtuosi fraseggi a funamboliche escursioni in tapping. Dopo un grintoso stacco, i due axeman iniziano a dialogare all'unisono, rievocando in parte gli inconfondibili intrecci chitarristici della vergine Di Ferro. Con energia disumana, i nostri vanno a concludere il brano, che come già detto, in sede live risulta assai più convincente rispetto alla versione in studio. Un'ultima curiosità su questo brano, al tempo, i Metallica acquistarono parte dei diritti del film "E Johnny Prese Il Fucile", scritto e diretto da Dalton Trumbo nel 1971, a cui sono ispirate le liriche, in modo da poter usare alcune delle crude immagini nel loro primo videoclip ufficiale, video che fece gridare allo scandalo i fans più ottusi, sconcertati di fronte a tale mossa commerciale..

Broken, Beat & Scarred

Dopo una meritata dose di complimenti indirizzati al popolo metallico, James Hetfield gli dedica il prossimo brano, si tratta di "Broken, Beat & Scarred (A Pezzi, Picchiato e Sfregiato)", primo singolo estratto dal nuovo "Death Magnetic", datato 2008. Quindi, dopo un prolungato e piacevolissimo tuffo nel passato, si torna al presente. Chitarre e basso viaggiano all'unisono sulla ritmica stoppata di Lars Ulrich, che dopo qualche battuta assume sentori tribali, grazie all'energica iterazione fra timpano e gran cassa. Le chitarre sparano fraseggi epici, mentre il basso tellurico di Robert Trujillo, armonizza il lavoro del Drummer Danese. Sotto al palco torna a prendere vita il violento pogo. James Hetfield canta con grinta le prime strofe, ma nonostante i nostri si impegnino a fondo e credano fermamente nel brano, è fin troppo lapalissiano che c'è un abisso con il magnifico pokerissimo che lo ha preceduto. L'inciso non è di quelli che lasciano il segno, anche se devo dire il pubblico apprezza ugualmente, cantandolo insieme a James Hetfield e Robert Trujillo, che nell'occasione da una grossa mano con la seconda voce. Si ritorna alle ritmiche forsennate della strofa, la telecamera alterna veloci primi piani dei Four Horsemen con repentine carrellate sul pubblico, cercando sempre di scovare i personaggi più pittoreschi. Dopo una energica cavalcata ritmica, arriva l'assolo di Kirk Hammett, l'unica parte del brano che riusciamo a ricollegare alle indimenticabili composizioni del passato. Il nostro esegue fraseggi ultra tecnici, abusando più volte del pedale wah-wah e del tremolo. Dopo un prolungato interludio strumentale, dove i nostri tentano di spazzare via i fantasmi del passato con taglienti riff di chitarra e chirurgici filler di batteria, ritorna il chorus, ma non ci sono storie, il brano non riesce minimamente a coinvolgere, appare freddo, privo di passione, incapace di trasmettere il benché minimo messaggio musicale. A fatica riusciamo ad arrivare al finale, anche la risposta del pubblico non è stata calorosa rispetto ai brani precedenti. Non solo la musica, ma anche le liriche non sono all'altezza di quelle del passato, sempre profonde e mai banali. In questo caso siamo di fronte ad un vero inno che inneggia alla positività, spesso ripetitivo. I nostri ci invitano a reagire prontamente quando ci troviamo di fronte a periodi a dir poco neri. Il motto è "ciò che non ti uccide ti fortifica". Anche si è a pezzi, picchiati e sfregiati, con onore bisogna mostrare le proprie cicatrici. Quando occorre, dobbiamo piegarci, facendo attenzione a non spezzarci. Le liriche si concludono con un laconico "siamo duri a morire", frase che suona molto autobiografica, come se i nostri volessero dimostrare che non sono ancora morti, che le critiche li fortificano e che sono pronti a fare ancora buona musica. Sul fatto che per fortuna sono duri a morire siamo d'accordo, sul materiale che hanno messo in commercio dagli anni 90 in poi, possiamo parlarne. Terminato il brano, le telecamere vanno ad indugiare nella cameretta di una bellezza indigena. Pareti e soffitto sono letteralmente tappezzate da poster e pitture che ritraggono i nostri e lo storico logo. Salutata la madre l'inaspettata protagonista si ritrova con altri heavy metal kids, tutti borchie e Metallica, che salendo in auto, si apprestano a raggiungere la sede del concerto. La telecamera si sposta sulla metropolitana, dove oltre ad alcune bellezze locali, incontriamo anche un pittoresco fans con una maschera che sembra uscita da un incontro di catch degli anni '80. Il regista salta continuamente dalla metropolitana alla auto dei nostri amici incontrati precedentemente, prendendo nota dei brani preferiti che ognuno di loro si aspetta vengano eseguiti dai 'Tallica

The Memory Remains

Ma dopo questa simpatica carrellata, torniamo sul palco del Foro Sol, dove ritroviamo i nostri in procinto di iniziare "The Memory Remains (Il Ricordo Rimane)", seconda traccia e primo singolo estratto dal controverso "ReLoad" (1997). I nostri attaccano subito con l'acido ritornello di seattleliane memorie, lontano anni luce dai taglienti riff di chitarra del decennio precedente, ma apprezzato dai fans, che a gran voce scandiscono il titolo del brano. Arriva la strofa, con i sinuosi fraseggi di chitarra dal sentore psichedelico. James Hetfield sembra trovarsi a suo agio anche di fronte a sonorità meno aggressive. Ritorna il chorus, stavolta nella sua interezza e cantato a squarciagola dal pubblico nella parte finale, seguito da un breve assolo di chitarra, dove Kirk Hammett mantenendosi in linea con le sonorità del brano, sfodera uno sciame di lisergiche note dal piacevole retrogusto settantiano. Se pur non avendo nulla in comune con i classici del passato, il brano risulta assai più convincente del precedente. Dai primi piani, che vengono riproposti anche sul maxi schermo, i nostri si dimostrano assai più rilassati rispetto per esempio all'esecuzione di "Disposable Heroes", segno, che i vecchi brani, oltre che avere un diverso impatto sull'ascoltatore, specie se di vecchia data, impegnano maggiormente nostri durante l'esecuzione, e se 1+1 fa 2. Strofe sabbathiane e ritornelli seattleliani si susseguono senza infamia e senza lode, cantando della lenta ma inesorabile decadenza delle star, che inevitabilmente, man mano che passa il tempo, passano letteralmente dalle stelle alle stalle, con in mano solo una manciata di sbiaditi ricordi. Per la precisione, la protagonista è una ex stella del cinema caduta in disgrazia, incapace di rialzarsi da una inesorabile caduta senza una soluzione di continuità. Sulla testa della vecchia stella del cinema, vi è un pesante epitaffio che recita "Cenere alla cenere, polvere alla polvere", è questo quello che vede ogni volta che si paventa di fronte ad uno specchio, che purtroppo non è magico come quello della perfida strega di Biancaneve, e mostra semplicemente tutta la bellezza che l'ineluttabilità del tempo, con una lenta erosione, si è mangiata, giorno dopo giorno, lasciando solo un corpo debole ed avvizzito, privo della beltà e della spavalderia di un tempo che fu. Ma quello che fa ancora più male è l'indifferenza di quelli che una volta erano i fans più accesi, quelli che un tempo facevano follie solo per poter essere immortalati di fronte alla sua bellezza, ma che ora, allo stesso tempo, sembrano dimenticarsi del glorioso passato, passando a bramare la nuova star di turno, che inevitabilmente dovrà aspettare che il ciclo si ripeta, lasciando poi a sua volta lo scettro e la popolarità alla prossima star di turno. Andando avanti incontriamo un interludio strumentale, dove basso e chitarre viaggiano all'unisono, riuscendo a coinvolgere il pubblico, che a gran voce, con un coro alla "Heaven Can Wait", per capirsi, segue la strada melodica aperta dagli strumenti. James Hetfield e soci sembrano estremamente soddisfatti dalla partecipazione spontanea del pubblico, e con un sorriso a trentadue denti, riattaccano la strofa, stavolta abbellita da lisergici fraseggi di chitarra, con un forte apporto dello wah-wah, che la rendono ancora più ipnotica. A seguire il chorus, inframezzato da un acido assolo di chitarra e seguito dall'anthemico special che vede il pubblico ancora una volta coinvolto. I 'Tallica sembrano gradire la partecipazione del pubblico, e decidono di ringraziargli, lasciandoli in solitudine protagonisti. Rimane solo lo sferragliante charleston di Lars Ulrich a tenere il tempo, i protagonisti sono i rumorosi fans, che a gran voce, cantano in coro, accompagnati da un triste lamento di violino, che gli mostra la strada melodica da percorrere. Il pubblico canta talmente forte, che James Hetfield si mette le mani alle orecchie, con un ampio sorriso che percorre tutto lo spazio che intercorre fra i due organi auditivi.

Sad But True

Durante questo prolungato interludio lasciato nelle mani, o meglio nella voce del pubblico, sempre sorridendo, i Metallica ne approfittano per cambiare gli strumenti. James Hetfield attacca a cappella il ritornello di "Sad But True (Triste Ma Vero)", uno dei brani più oscuri e ossessivi del controverso "Black Album (1990)". Il pubblico raccoglie immediatamente l'assist, e canta a gran voce, sovrastando prima e sostituendo poi il biondo Frontman Di DowneyLars Ulrich da quattro energici colpi di gran cassa e siamo subito investiti dal lento ed inesorabile impatto sonoro generato dalle due chitarre, seguite all'unisono dal basso e ricamate da precisi filler di batteria. Quattro secondi di pausa, poi una rullata annuncia uno dei riff più amati dai fans di seconda generazione. Robert Trujillo, fa ruggire il basso, tenendo testa ai monolitici riff sparati dalle due chitarre. Il pubblico accompagna il potente drumming di Lars Ulrich con vigorosi "eh", innalzando le braccia al cielo a tempo di musica. James Hetfield affronta con energia le prime strofe, facendo riecheggiare nei sobborghi di Mexico City gli ormai leggendari "eeh" che aprono ogni verso. Le telecamere alternano veloci carrellate che evidenziano l'interminabile marea umana accorsa al Foro Sol, con primi piani dei nostri, dove scorgiamo uno scatenatissimo Robert Trujillo, che si muove in un simpatico Angus style. Arriva subito l'inciso, perfettamente in linea con la grinta e la cattiveria della strofa, Kirk Hammett tesse oscure e vischiose trame con la sei corde, Lars Ulrich esegue un gran lavoro dietro alla batteria. E' doveroso sottolineare una massiccia partecipazione del pubblico, che canta a squarcia gola ogni singola sillaba del ritornello. Fa il suo ritorno l'energica strofa, il potente riff è di quelli che istigano il pubblico ad un lento headbanging, seguendo i cadenzati e decisi colpi sulle pelli del Drummer Danese. A seguire troviamo nuovamente l'inciso, che vede sempre una marcata partecipazione del pubblico ed un Lars Ulrich ormai sempre più a suo agio con i mid tempo, dove sembra divertirsi un mondo. Uno straziante urlo di James Hetfield annuncia un vischioso interludio strumentale, rafforzato dagli energici e ormai consueti "eh" del pubblico. E' il prologo all'assolo di chitarra. Kirk Hammett si diletta con acide trame settantiane, ma sinceramente, ci aspettiamo di meglio dal riccioluto Axeman di San Francisco. A spezzare in due tronconi l'assolo, fa una fugace comparsa l'inciso, ma anche nella seconda parte, Kirk Hammett non ci impressiona con le sue lisergiche scorribande soliste sulla sei corde. Un ravvicinatissimo primo piano ci mostra un sudato James Hetfield che canta la monolitica strofa, che sinceramente alla lunga, inizia a rimanere indigesta. Il brano non è dei più articolati composti dai Four Horsemen, e ritroviamo nuovamente l'inciso, a confermare una eccessiva staticità ridondante del brano. Sul finale, James Hetfield si inginocchia, suonando i classici accordi da gran finale. Fa l'opposto Lars Ulrich, che termina il brano in piedi, tempestando di colpi il set dei piatti. Lentamente le chitarre e la batteria evaporano, lasciando il solo Robert Trujillo, che ruba la scena con una tellurica cavalcata sul basso a cinque corde. Il nostro, continuando a suonare, inizia a scordare la corda del "Si", raggiungendo frequenze ultra basse che ci arrivano fino allo stomaco, andando a concludere in maniera alternativa il brano. Le liriche mettono in risalto il profondo conflitto interiore che pervade certi esseri umani, quando sono di fronte a difficili decisioni da prendere. Una lotta contro il loro ego che li porta quasi a confondere il bene con il male, la bugia con la verità, a mentire sapendo che stanno mentendo, cercando disperatamente un alibi o un capro espiatorio che riesca a tirarli fuori da una brutta situazione. Queste persone, che io considero senza mezzi termini meschine e prive di rispetto verso il prossimo, vivono in un mondo tutto loro, fatto di menzogne e bugie, che spesso perfino loro stentano a distinguere dalla realtà, come dice il titolo, triste ma vero, e ancor più triste è il fatto che purtroppo ne incontriamo molte, durante il duro cammino della vita. James Hetfield si è ispirato alla pellicola di Richard Attenborough "Magic", (in Italia "Magia") un angosciante thriller psicologico datato 1978. Il protagonista è "Corky" un aspirante prestigiatore interpretato da uno strepitoso Anthony Hopkins, il quale rassegnato dopo una serie di disarmanti fallimenti che lo allontanano sempre di più dal successo, si concentra in numeri da ventriloquo, instaurando un rapporto sempre più morboso con il proprio pupazzo "Fats" (nel doppiaggio italiano "Forca").  Con il passare dei giorni, "Corky" inizia ad essere succube della inquietante marionetta, che inizia a parlare di sua spontanea volontà e lo trasforma in uno spietato assassino. 

The Unforgiven

Dall'illuminata ed esplosiva scenografia della traccia precedente si passa subito alla più buia di "The Unforgiven (Il Non Perdonato)", altra storica traccia del black album. Con l'arpeggio, dal sound molto arioso e godibile e valorizzato a livello sonoro nella maniera più efficace possibile, si accende il pubblico in preda alle più classiche urla di passione ed entusiasmo che contraddistinguono i grandi show. L'esibizione è solida e compatta, piacevole nei momenti di distorsione e ancor più in quelli calmi e pacati, dove tutto l'amore dei fan si fa sentire. Nel brano Hetfield accompagna dolcemente l'arpeggio di chitarra, cantando una commovente storia che narra di un bambino che non ha saputo integrarsi in un mondo sporco e adulto, bambino in cui lo stesso frontman della band si riflette; il cantante/chitarrista, piuttosto velatamente, fa intendere che siamo circondati da comportamenti e abitudini malvagie e egoistiche e che, agli occhi di una persona innocente, inserirsi all'interno di una società che funziona "al contrario" è tutt'altro che semplice: il bambino qui altro non è che immagine stessa dell'innocenza, immagine che non passa tanto in primo piano per l'età o le caratteristiche del protagonista quanto per il fatto che anche noi adulti, se dotati di una parte pura nel nostro cuore, ci siamo sicuramente rivisti almeno una volta in questo disadattamento sociale di cui la band statunitense narra nella celebre traccia tratta dall'album omonimo della band. Il massimo entusiasmo del pubblico arriva durante l'assolo di chitarra che, dopo la prima breve parte in clean, prorompe incendiando lo stage con tutto l'impatto e l'energia che solo un valido assolo rock possiede. Sotto il punto di vista vocale, la prestazione di James Hetfield è opportuna e più che apprezzabile, come anche quella di Ulrich dietro le pelli, come del resto quella di ogni componente della band; è tuttavia il pubblico a dare una vera e propria marcia in più all'esibizione, trasmettendo con tutto il sincero coinvolgimento le emozioni che una traccia di questo genere può con sé trascinare: questo stupendo mix di "corna e accendini", è emblematico nel rappresentare le caratteristiche di una canzone che è divenuta celebre non solo per la sua energia ma anche per le sue coinvolgenti e vibranti melodie. Apprezzato attimo di relax in una set list che prima aveva visto soprattutto grande potenza e energia, il pezzo sembra lasciare soddisfatte tutte le tipologie di sostenitori della band. Qui ci troviamo di fronte ad un vero e proprio classico della parte "calma" che va a comporre l'immenso mosaico dei Metallica. Unforgiven col suo carico di malinconia e profondità, ha ben scavato nei cuori degli appassionati un solco che ancora oggi non accenna ad andarsene. Tratto da uno degli album più controversi di tutta la carriera della band, che proveniva da un passato ancor permeato dalle polemiche grazie ad And Justice, The Unforgiven comunque si ritagliò una folta schiera di appassionati, che ancora oggi la cantano a squarciagola ogni volta che viene intonata dai Four Horsemen. Nel caso dei messicani, il loro hype man mano sale via via che il pezzo procede per la sua strada, in un enorme crescendo che vede pubblico e band battere il cuore all'unisono e trasformarsi in un tutt'uno.

All Nightmare Long

Tutt'altro il genere del brano successivo, "All Nightmare Long (Durante Tutto l'Incubo)", che sin dai primissimi power chord mostra al pubblico tutta la sua voglia di impressionare con la sua potenza e con la sua ricerca di un sound che tanto ricorda quello tipico delle origini della band. Le battute iniziali del brano, contraddistinte da un potente riff composto da "cavalcate" di alternate picking, portano il pubblico a scuotere la testa e a partecipare con uno straordinario entusiasmo, ma è durante l'introduzione del riff della strofa che davvero i fan si accendono e rendono onore alla traccia come se fosse una delle più grandi e celebri del repertorio del complesso statunitense. L'esibizione è più che positiva, e la voce di Hetfield si adatta meglio al potente Thrash Metal della traccia rispetto a quanto accadeva con le tracce del primo periodo di carriera della band. Straordinario lo stage con i suoi giochi di luce, che in una continua alternanza di colori catalizza al meglio l'attenzione durante il primo assolo, eseguito come sempre da Hammett; tuttavia, il momento all'apice dell'esibizione di questa canzone è quello che segue il secondo assolo del solista, che porta la band a proporre un roccioso riff composto da una tanto semplice quanto continua ed efficace scarica di plettrata alternata. Anche dal punto di vista lirico la band ritorna alle origini, raccontando della macabra avventura notturna del protagonista che si vede catapultato in un vero e proprio incubo: qui l'uomo viene cacciato come una preda senza pietà alcuna, ritrovandosi abbandonato in un luogo di terrore ed oscurità dove delle misteriose entità attentano alla sua vita; purtroppo per lui, la sua fortuna è terminata ed il momento di vivere faccia a faccia con una realtà terrorizzante e giunto? quale finale, non ci è dato però saperlo, proprio come un horror che lascia velatamente intendere come il finale non sia dei più positivi. Nel complesso, un'ottima esibizione che conferma quanto i Metallica si adattino live meglio alle tracce di "Death Magnetic" rispetto a quelle storiche e tanto ricordate e amate dei primi quattro album della band provenienti dagli anni '80: tranquillamente, si potrebbe dire che a livello strettamente esecutivo la traccia ha avuto una riuscita anche superiore rispetto agli episodi più classici ascoltati nella prima parte dello spettacolo. La scelta di alternare nella scaletta pezzi agitati ad altri momenti più emotivi però, si rivela assolutamente giusta, ed i nostri californiani suonano e pestano sui propri strumenti ad ogni occasione buona. Certo, come abbiamo sottolineato, l'abilità nel suonare tracce pubblicate qualche mese prima neanche, appare evidente fin dal primo step del concerto, tuttavia, è bene sottolineare anche quanto i Metallica siano sempre stati degli animali da palcoscenico, anche durante i periodi più oscuri e criticati della loro carriera. Sono ad oggi uno dei migliori gruppi live in circolazione, capaci ancora di stampare un treno in corsa in faccia al pubblico, che non può far altro che prenderselo e rimanere lì ad assistere alla magia. 

The Day That Never Comes

 Sullo stage colorato di luci blu ed oro, e fra l'incredibile esplosione di urla del pubblico, la band comincia l'esibizione di "The Day That Never Comes (Il Giorno Che Non Arriva Mai)". Sin dalle prime battute l'esibizione si mostra straordinariamente d'impatto, e il melodico arpeggio viene accompagnato al meglio dalla voce di Hetfield: con tanto di accendini di accompagnamento, l'esecuzione della canzone si mostra fluida e godibile, scivolando con perfezione assoluta e mantenendo massimo l'apice d'interesse dei felicissimi spettatori. Le classiche irregolarità nei tempi batteristici di Ulrich contribuiscono, durante un arpeggio in sé privo di grandi variazioni, a valorizzare al meglio un'introspettiva parte che sotto il punto di vista compositivo non passa in cattiva luce neppure dinanzi ai primi quattro storici album della band californiana. Il brano presenta un classico Thrash Metal composto in gran parte da leggerezza e musicalità, di armonie e racconti; è dopo la prima parte della traccia che, tuttavia, la canzone si "incendia" scaraventando l'ascoltatore attraverso una serie di ritmiche degne della band nel suo miglior periodo: qui i fan, in preda al delirio, accompagnano con vivacità la band attraverso il passaggio verso questa seconda e più serrata parte della canzone. Il riff catalizzatore d'attenzione per eccellenza è quello fantastico con cui, subito prima di immergersi in una serie di evoluzioni che conducono all'assolo di Hammett, la band si cimenta in una serie di continui alternate picking degni del periodo d'oro della carriera di James, Lars e compagni. Non meno l'apprezzamento per la parte solista di Hammett, che conduce il brano alla sua conclusione in una robusta e compatta serie di ritmiche eccelse. La canzone parla di un soldato che, vittima delle menzogne di chi governa, si trova confinato in una guerra che non accenna a terminare. Il protagonista, trovandosi obbligato a vivere in prima persona questa orribile giornata, si augura che questa termini al più presto rivolgendosi, con rabbia, verso Dio: in questo luogo privo di amore, dice, l'unica speranza che si può avere è che tutto ciò termini al più presto. Liriche profonde e in cui il vocalist Hetfield si sente pienamente coinvolto, per capirlo basta osservare i suoi occhi mentre si approccia al microfono durante l'esecuzione della traccia. Una scelta abbastanza peculiare questa, visto l'anno del live che stiamo analizzando. Un pezzo che certamente strizza l'occhio al passato quanto al presente, con ritmiche moderne che si vanno a fondere con l'energia del passato che i Metallica hanno riportato in auge grazie al loro lavoro. Il pubblico appare sicuramente estasiato dalla scelta di questa scaletta, che ben riesce a bilanciare la golden age della band con alcuni rimandi agli ultimi lavori, in una unica bordata di Thrash ed Heavy Metal senza quartiere. Per quanto riguarda The Day, celebre anche il videoclip che venne allegato alla canzone, con i due soldati protagonisti di una struggente e melanconica scena di amicizia ed onore, mentre uno dei due si trova in una situazione per niente favorevole. 

Master Of Puppets

Terminata la seconda traccia consecutiva tratta da "Death Magnetic", "Master of Puppets (Signore delle Marionette)" irrompe con vigore scatenando la follia dei fan, mentre Ulrich si alza come di consueto dalla sua batteria e incita ripetutamente il pubblico; mentre il batterista, sollevando le braccia, istiga i sostenitori della band a scatenare l'inferno, questi rispondono in maniera immediata cimentandosi in un divertito e corposo circle pit. Seppur la voce di Hetfield, rispetto alle canzoni più recenti, si adatta peggio a grandi classici come appunto "Master of Puppets", questa problematica nel caso della celebre traccia viene totalmente annullata dalla possibilità di lasciar cantare la canzone interamente al pubblico, cosa che in gran parte effettivamente avviene; nonostante ciò, l'esibizione della title track del celebre terzo album della band non solo non viene intaccata da questo, ma anzi resa più magica proprio dalla stessa partecipazione del pubblico, che in coro disegna e colora il potentissimo riff della strofa che, come ben sappiamo, ha contribuito a scrivere la storia di un genere. Nota dopo nota, il pubblico diviene esilarato durante il ritornello, per impazzire definitivamente in preda all'entusiasmo una volta che viene introdotto lo storico arpeggio di chitarra. E' fra luci e fumi verdi che lo stage, durante il bridge che conduce all'assolo di Hammett, si illumina dinanzi agli innumerevoli spettatori, entrati in uno stato di estasi durante la rapida esecuzione dello stesso solo da parte del chitarrista che, alle origini della band, subentrò a Dave Mustaine, poi leader dei Megadeth. Il brano è probabilmente, come spesso avviene, il punto più rappresentativo dell'intera esibizione della band, mostrando un'inverosimile reazione da parte dello scatenato pubblico. La canzone parla degli effetti negativi derivanti dall'uso di droga, e in particolare di come questa schiavizzi le sue vittime come se fosse un burattinaio. Inconsapevoli, coloro che ricorrono all'uso di queste sostanze non solo si espongono ad un pericolo, ma cedono il controllo della propria vita e della propria volontà a qualcosa che ne prende il comando: è così che mente, sogni, lucidità di pensiero svaniscono per sempre, sostituite dall'unica necessità di soddisfare il desiderio derivante dalla propria dipendenza. Una volta terminata la canzone la band non sceglie un attimo di relax, ma come spesso accade sceglie di rincarare la dose. Qui c'è ben poco altro da aggiungere, ci troviamo di fronte a IL pezzo per eccellenza della band; se nelle ballad Nothing Else Matters è l'emblema delle canzoni tranquille, Master Of Puppets è uno degli stendardi non solo dei Metallica stessi, ma anche del Thrash Metal in generale. Un pezzo che, al di là del profondo significato che viene dato alle liriche (considerando anche l'anno di uscita del disco, il 1986, periodo in cui cocaina e soprattutto eroina stavano dilagando come una vampa incendiaria, soprattutto fra i giovani), è una struttura musicale in cui neanche una virgola è fuori posto. Dal main theme riconoscibile negli anni ogni volta che parte, alla cattiveria vocale di James, fino al comparto ritmico, Master è uno degli emblemi della band, e probabilmente continuerà ad esserlo in eterno.

Fight Fire With Fire

L'avvio della successiva "Fight Fire with Fire (Combattere Il Fuoco Col Fuoco)è, dal punto di vista scenico, ancora più incredibile: terminato l'intro melodico di chitarra, non eseguito dalla band ma registrato, l'oscuro stage e la buia area spettatori si illuminano all'improvviso con delle potentissima fiammate che, dal palco, si innalzano verso il cielo; allo stesso tempo, lo stage si accende con delle calde luci che donano un impatto straordinario al potentissimo e rapidissimo riff di chitarra, eseguito prima in solitudine da Hetfield poi da tutta la band. La canzone è l'episodio più diretto e violento di questa seconda parte di show, quello che in alcun modo scende a compromessi, e il pubblico risponde in maniera come sempre attiva cimentandosi in un vigoroso moshpit. Durante la parte ritmica della traccia, Hetfield suona accanto all'amico Ulrich che, mentre con la mano destra suona, con la sinistra mostra all'amico il segno delle corna, fraterno simbolo dell'universo musicale Heavy Metal. Durante metà traccia, la band ferma l'esibizione per assicurarsi che il pubblico sia "ancora vivo", per poi riprendere con la medesima furia con cui si era fermata: ottimo questo frangente con cui, nell'attesa di ricevere la puntuale risposta del pubblico, si aggiunge ancora più suspance all'esibizione. L'ultima parte dell'esecuzione del brano conferma l'ottimo stato di forma della band, che anche nel caso di un grande classico come appunto il brano tratto dal secondo record discografico "Ride the Lightning" riesce a cavarsela egregiamente sotto ogni punto di vista, compreso quello vocale. Il racconto della traccia narra di un'eventuale conflitto nucleare che porterebbe la fine del nostro mondo: "l'esplosione" di questo conflitto proverrebbe dalla cosiddetta "legge del taglione" (occhio per occhio dente per dente); nella canzone, la band incita quindi gli ascoltatori a non cedere a questo tipo di vendicativo pensiero, e a comprendere quanto reali e letali possano essere i pericoli portati da una guerra: combattere il fuoco con il fuoco non è dunque, a detta dei quattro ragazzi, la cosa più saggia, ma anzi bisognerebbe ponderare ogni propria azione valutandone non solo le conseguenza, ma anche la correttezza e l'umanità. Un altro tuffo nel passato d'acciaio della band, una canzone che è una bordata di violenza senza eguali, come molte altre presenti su Ride. Un disco che ancor oggi stupisce per la sua crudità espressiva e per le sue massicce composizioni; se Kill'Em All infatti aveva invaso le case dei metallari per la sua attitudine chitarristica senza freno, divertente anche da risuonare e profondamente "tamarra" (nel senso buono del termine), con Ride The Lighting si fa un passo verso la classe, classe che diventerà velenifica e senza quartiere con Master Of Puppets. E quindi ci ritroviamo accanto alla title track ed a Call Of Ktulu, anche questa mastontica Fight Fire, in qui la vena compositiva dei Four Horsemen raggiunge uno dei picchi massimi di tutto il disco, ma anche della loro carriera. 

Nothing Else Matters

La successiva "Nothing Else Matters (E Null'altro Importa)" è introdotta da una breve esibizione individuale di Kirk Hammett: fra le azzurre luci il chitarrista solista della band intona una melodia in pulito, conducendo questa gustosa alternanza (che chiaramente di metallaro ha ben poco) fra frangenti più lenti e melodici ed altri più gravi allo storico arpeggio della canzone, che fu composto da Hetfield mentre era al telefono con una sua ragazza. La canzone, come sempre di grande impatto dal vivo grazie alle sue coinvolgenti melodie, racconta del rapporto fra Hetfield e la sua ex compagna: il frontman non intendeva infatti pubblicare la canzone, ritenendola molto personale, salvo poi farsi convincere dall'altro amico e fondatore della band Lars Ulrich. Il chitarrista-vocalist si approccia molto bene al microfono durante l'esecuzione della canzone, raccontando dell'importanza del rapporto di fiducia e delle scoperte che si vivono giorno dopo giorno: "La fiducia che cerco e trovo in te, ogni giorno per noi è qualcosa di nuovo, una mente aperta per una visuale differente e nient'altro importa" risultano infatti essere le parole chiave della traccia. Nello stage illuminato di un evocativo colore blu scuro, con tanto di consueto video che riflette i componenti della band mentre eseguono la canzone sui propri rispettivi strumenti,  l'esibizione prosegue in maniera lineare e dolce, mentre la regia ci mostra alcuni fan in stato di estasi durante il breve assolo di chitarra della traccia. Altro particolare da sottolineare è l'intelligente scelta di canto di Hetfield che, mentre in un primo momento accompagna semplicemente la canzone lasciando ai fan la possibilità di partecipare, in un secondo momento si rende più protagonista adottando una vocalità a tratti più aggressiva (per quanto, si intenda, si possa fare per gli standard della traccia). In toto, una positiva e valida performance della band, che riesce nel suo obiettivo e non fallisce nulla, pur non mettendo dopotutto a segno una di quelle esecuzioni destinate a rimanere nella storia del proprio complesso musicale: su questo si potrebbe fare una piccola e non certo imprevedibile discussione, presente in fase di chiusura dell'odierna recensione. Al di là delle fila totali che tireremo fra poco, Nothing Elese Matters è l'emblema delle ballad per i nostri Metallica; un brano che chiunque, dal metalhead che non fa un passo senza il proprio chiodo, all'uomo della strada che va a lavoro in giacca e cravatta, almeno una volta ha sentito. È questo forse il più grande merito dei Four Horsemen, essere riusciti a portare un determinato tipo di musica nelle case di tutti quanti, producendo brani che invogliassero le persone a sentirli, e magari ad alcuni invogliassero anche l'idea di andare a ricercare quanto fatto prima. Nothing ne è l'esempio più lampante, talmente lampante che alcune persone, quando la sentono passare alla radio, non si immaginano neanche che sia dello stesso gruppo che ha composto un tritacarne come Creeping Death. "Enter Sandman" viene introdotta da un brevissimo assolo chitarristico di Hetfield della durata di pochi secondi, fra le urla del pubblico che incitano la band al ritmo della batteria di Ulrich. Se durante l'introduzione le luci dello stage rimangono simili alla precedente traccia, una serie di impressionanti fuochi d'artificio dai colori caldi trasformano per qualche secondo il palco in una bollente e vivace zona di guerra. La canzone, sin dai primi istanti, viene eseguita con grande impatto e veemenza, liberando il pubblico al divertito canto della traccia: anche qui, come visto in praticamente qualsiasi traccia dello show, è notevolissima la partecipazione dei fan al canto; detto ciò, contrariamente a quanto avvenuto nei brani precedenti, qui una volta terminati i fuochi d'artificio si mantiene il colore dello stage blu e tetro già visto durante l'esecuzione della precedente canzone "Nothing Else Matters".

Enter Sandman

 Uno dei valori aggiunti della performance di questa "Enter Sandman (Entra L'Uomo del Sonno)" è il grande impegno del frontman della band dietro al microfono, mentre intona le liriche. Le parole del brano narrano di un bambino che, approcciandosi al sonno, inizia ad avere il tormento del cosiddetto "uomo nero": da ciò deriva l'invocazione dell'omino del sonno, personaggio mitico del folklore del Nord Europa, portatore di sogni felici e tranquilli cospargendo di sabbia magica gli occhi dei bambini in cerca di un tranquillo riposo. Durante l'esibizione di questa traccia, la band sceglie nuovamente di interrompersi a metà brano per risvegliare il pubblico; in tal senso, i quattro horsemen vengono coadiuvati da una nuova e vigorosa esplosione di fuochi d'artificio, atti a lasciare davvero il segno in uno show che la band ha vissuto con grande impegno e applicazione: il risultato pare positivo, e certo questi mezzi scenici si rivelano come sempre opportuni e quantomeno efficaci. Anche qui ci troviamo di fronte ad un altro brano che ha fatto la storia; un main riff tanto semplice quanto geniale, che si prodiga di andare a risvegliare sopiti sensi nelle menti di chi sta ascoltando. Non c'è niente da fare, e questo lo diremo fino alla nausea, certe canzoni le sanno scrivere solo loro, o almeno, quasi nessuno ci si avvicina con questa classe. Per quanto sia presente su un album che ha letteralmente diviso i fan come le profetiche acque, Enter Sandman rimane un'altra delle lucenti perle prodotte dai Four Horsemen nel corso del tempo. Peraltro con dettagli "nerd" a bizzeffe, dato che il significato rimane quel che abbiamo spiegato prima, ma se andiamo bene a ricercare, la figura del Sandman la ritroviamo anche nel fumetto a lui dedicato, scritto e diretto dal mitico Neil Gaiman. Probabile che i nostri thrashers, dato che il primo numero del fumetto era stato pubblicato nel 1989, avessero scorso quelle pagine rimanendone affascinati, considerando anche che le ispirazioni di Gaiman sono le stesse che abbiamo esplicato qualche riga fa.

The Wait

Si procede con la cover di una grande band, i Killing Joke, e in particolare con l'esecuzione del celebre brano "The Wait (L'Attesa)": tratto dall'album di debutto della band londinese del 1980, intitolato "Killing Joke" quindi omonimo della band, il pezzo mostra già dalle prime battute di possedere tutto ciò che è opportuno avere per potersi esprimere in chiave Metallica. Nella traccia la band inglese narrava di un'attesa (appunto, "the wait") rivolta alla speranza di un futuro migliore, sebbene la canzone si soffermi più sulla negatività del presente, una negatività che ci vede vivere in un mondo fatto di maschere e di falsità, di conflitti e di visioni distorte delle cose. Il palco torna qui a riaccendersi di colori caldi, con tanto di fumi di un vivace colore oro. I fan, in un primo momento un po' disorientati dalla scelta della traccia, finiscono con l'acclamare la band proprio come era avvenuto nelle precedenti traccia. Per quanto riguarda il punto di vista esecutivo, la sensazione è che questa cover sia tanto riuscita dal punto di vista musicale quanto rivedibile da quello vocale, dove James non riesce a donare lo stesso carisma e la stessa originalità della versione originale; ci troviamo ad ogni modo a parlare di una traccia suonata in maniera positiva, sebbene non eccelsa, e valorizzata in particolar modo dalla coraggiosa revisione musicale in salsa Thrash Metal. Più che positiva invece la scelta in sé di eseguire una cover dei Killing Joke e di osannare una band il cui sound non si discosta poi molto da quello dei californiani: senza dubbio alcuno, è possibile considerare i Joke fra i precursori di band come i Metallica, band influenzate dall'originale stile della band che, per certi versi, ha decisamente influenzato quelli che sarebbero poi diventati i più importanti gruppi del panorama Heavy Metal. 

Hit The Lights

Una volta terminata la cover non ci vorranno molti secondi per la successiva traccia, la storicissima "Hit the Lights (Accendi Le Luci)": sin da subito rapida e tagliente, energica e chiassosa, la band coinvolge bene il pubblico che saltella e alza a tempo le braccia durante l'esecuzione del brano; si rivede qui frequente il segno delle corna, il viso del metallaro, il capellone che sbatte forsennatamente la testa. La performance della traccia si mostra su un livello certamente sufficiente, ma non perfetto come quello di diverse delle precedenti tracce: la cattiveria non è più quella di un tempo, il sound è meno tagliente e la batteria di Ulrich meno d'impatto, la vocalità di Hetfield infine si adegua molto peggio rispetto alle molte canzoni ben cantate di questo show, in primo luogo quelle composte a partire dagli anni '90. Il pubblico sembra tuttavia apprezzare la storica traccia, che narra di ciò che era questa musica per la band a quei tempi: il brano, soffermandosi sulle emozioni provate durante uno show, tratta del delirio sperimentato durante i concerti e della follia degli spettatori, oltre che dell'adrenalina sperimentata dai musicisti stessi; "Hit the Lights" è una Bibbia dell'Heavy Metal, certamente non l'unica, ma è una traccia che rappresenta un'epoca d'oro ed un passaggio ad un modo di suonare musica differente, una "transizione" fra le origini e ciò che poi sarebbe diventato a partire dalla metà degli anni '80 l'universo musicale Heavy Metal. Dal punto di vista scenografico, lo stage è illuminato da una gialla e intensa luce di fondo, ma anche decorato da molti fumi e da brillanti luci argentee: una scelta stupenda, e che davvero combina in maniera egregia tutti i fattori necessari ad incendiare i fans durante l'esecuzione della traccia. Un ritorno alle origini stesse del gruppo, visto che questa, oltre che essere presente sul primo album, è stata anche la prima canzone ufficialmente pubblicata dal gruppo, quando grazie alle pressioni di Lars riuscirono ad apparire sul primo volume della Metal Massacre, la storica (ed ancora esistente) compilation della Metal Blade Records. Si parla dunque di un brano che ha segnato in maniera indelebile la storia del gruppo, e che continua a farlo dopo 30 anni dalla sua pubblicazione, senza alcun problema, ogni volta che viene suonato, il mondo in quel momento si ferma, e sentiamo solo i cori ed i battiti di coloro che stanno ascoltando, andare in estasi per quanto sta accadendo. 

Seek And Destroy

Terminato il brano, i quattro horsemen scelgono una conclusione prolungata anziché una secca, salutando i fan e abbracciandoli in un affetto vocale che segna la fine dello show messicano; è tuttavia tutta una finzione, perché ai fan della band attende una grande sorpresa, la successiva "Seek and Destroy (Cerca E Distruggi)", anch'essa tratta dal celebre album di debutto dell'83 "Kill'Em All": possibile immaginare la reazione del pubblico quando Hetfield annuncia "there is one more song for you" (c'è un'altra canzone per voi). Prima della partenza, James si lascia tuttavia promettere che sarà una canzone rumorosa, delirante, e che i sostenitori dovranno fare tutto il macello che potranno. Incredibile sin dal primo riff la partecipazione durante questa "Seek and Destroy", che vede il pubblico incendiarsi e saltellare in maniera entusiasta e forsennata. Il palco qui si illumina di un colore verde acceso, una tonalità di verde perfettamente adeguata ad esprimere tutto l'impatto e la potenza della canzone, poi divenuta di un luminoso arancione durante il primo ritornello della traccia. Nel racconto del brano, i ragazzi si trovano sulla strada per cercare e distruggere tutto ciò che incontrano senza pietà alcuna; durante le liriche, si comprende che per i nemici non vi è alcuna possibilità di scampo, e che questi verranno travolti dall'incredibile volontà di uccidere dei protagonisti. La performance si mostra tagliente e d'impatto, talmente riuscita da mettere in secondo piano i naturali ed inevitabili limiti vocali di Hetfield nel momento in cui si approccia alle tracce dei primi album. Straordinario il momento dell'assolo di chitarra, quanto quello in cui i fan intonano in coro uno dei riff conclusivi della traccia, che sotto i vigorosi "oo oo oo" del pubblico rende ancor meglio di quanto ci si potesse inizialmente aspettare. Sempre incredibile l'impatto live del riff principale della canzone, che porta "Seek and Destroy" ad essere la terza canzone più eseguita dalla band dal vivo nella propria storia dopo "Creeping Death" e ovviamente "Master of Puppets": un risultato degno di nota, per quella che dal punto di vista musicale si mostra con l'essere una delle tracce meglio riuscite durante lo show. Questa traccia ogni volta che viene suonata scatena un effetto adrenalinico senza precedenti; non a caso è stata inserita nelle scalette della band fin dal loro esordio del 1983. È una canzone in realtà dalla struttura molto semplice ed immediata, e che mantiene quel massiccio effetto chitarristico che permea tutto Kill'Em All. Nonostante le ritmiche così semplici però, quel main riff geniale nel suo essere diretto come un pugno allo stomaco, è passato alla storia. Ogni volta che i primi tre arpeggi partono, il delirio del palco si spacca letteralmente in due, andando a foraggiare tanto un mosh pit selvaggio, quanto cori da stadio ad ogni parola che viene pronunciata, non c'è niente da fare, è una cavalcata epica sotto tutto gli effetti.  Affettuosissimo infine il momento in cui la band saluta definitivamente il pubblico, dove prima Trujillo nella sua lingua madre poi Ulrich parlano e salutano i numerosissimi sostenitori presenti in questa lunga nottata musicale, della durata consecutiva di quasi 2 ore di tempo.

Conclusioni

Questo "Orgullo, Pasyon y Gloria" del 2009 si mostra come uno degli show più degni di nota dei tempi recedenti della band, mostrando grande voglia di lasciare il segno e di dare il massimo al fine di lasciare ai propri sostenitori uno spettacolo memorabile. Sfortunatamente c'è poi da unire questi aspetti a quelli dettati dai limiti dell'età, particolarmente visibili in Ulrich nei brani più classici e spinti e in Hetfield quando, vocalmente, deve approcciarsi ai brani composti durante i primi anni di storia della band: il risultato resta comunque più che positivo, colpendo a dovere gli scatenatissimi (davvero!) messicani che davvero come pochi rendono onore al quartetto californiano quando si presenta dal vivo. Discutibile per qualcuno è stata la setlist, ma si parla ad ogni modo di qualcosa di estremamente personale e che in molti hanno al contrario apprezzato: la band ha scelto di partire come di consueto con l'intro di Morricone "Ecstasy of Gold", per poi procedere con tre tracce provenienti da "Ride The Lightning", in modo da donare subito una notevole scarica di energia allo show. Successivamente, i quattro horsemen della band di origine californiana hanno scelto di suonare una delle tracce più amate dal celebre terzo album "Master of Puppets", ovvero "Disposable Heroes", seguita dalla celebre "One", canzone che fra l'altro fu il primo videoclip della band, generando qualche contestazione fra i fan in quanto originariamente i Metallica si erano dichiarati contrari al rilascio di video musicali come mezzo di promozione. Settimo brano suonato nello show protagonista della recensione odierna è stato "Broken, Beat & Scarred", proveniente da "Death Magnetic", seguito poi all'ottavo posto dalla celebre ma certamente meno metallara "The Memory Remains": è con quest'ultima traccia che la band ha scelto di dare un rallentamento allo show, procedendo con la potente ma meno rapida "Sad But True" e poi con "The Unforgiven", vero e proprio punto centrale dello spettacolo, ottimo nel preparare i sostenitori ad una nuova scarica di energia. Terminata la celebre traccia del black album, la band ha infatti preso la decisione di procedere con le due tracce più acclamate di "Death Magnetic", ovvero l'ottima "All Nightmare Long" e la coinvolgente "The Day That Never Comes", quest'ultima meno tagliente e rapida e quindi perfetta per introdurre il grande capitolo "Master of Puppets", prontamente acclamato dai sostenitori. Terminata master, ancora Thrash Metal ed energia con la successiva "Fight Fire With Fire", ancora una traccia, in questo caso la prima del lavoro, proveniente dall'amatissimo secondo album della band "Ride the Lightning". Nuova sessione, a livello di potenza e impatto sonoro, con le successive "Nothing Else Matters", "Enter Sandman" e con la cover dei Killing Joke "The Wait". Il quartetto ha poi scelto di chiudere lo show con il ritorno all'album di debutto della band, "Kill'Em All", tramite lo storico brano "Hit the Lights" e la sempre amata e celebre "Seek and Destroy", il cui riff ha donato un consueto grande impatto adatto a chiudere lo show. Oggettivamente straordinaria invece la scenografia, che fra esplosivi fuochi d'artificio e luci e fumi indovinate regala allo spettacolo un tocco davvero unico e certamente degno di nota. Comprensibilmente, pare impossibile chiedere alla band una prestazione ai livelli degli anni d'oro (come per esempio quella storica e magnifica a Seattle che in molti conoscono), ma c'è da dire che quando i Metallica scendono in terra messicana tirano spesso il meglio di ciò che possiedono, come anche i fan che davvero rendono omaggio ai quattro musicisti come pochi pubblici, pur attivi e partecipi, riescono a fare. 

1) The Ecstasy Og Gold
2) Creeping Death
3) For Whom The Bell Tolls
4) Ride The Lighting
5) Disposable Heroes
6) One
7) Broken, Beat & Scarred
8) The Memory Remains
9) Sad But True
10) The Unforgiven
11) All Nightmare Long
12) The Day That Never Comes
13) Master Of Puppets
14) Fight Fire With Fire
15) Nothing Else Matters
16) Enter Sandman
17) The Wait
18) Hit The Lights
19) Seek And Destroy
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