METALLICA
My Apocalypse
2008 - Warner Bros. Records
MICHELE MET ALLUIGI
01/07/2016
Introduzione Recensione
Proseguiamo il nostro cammino all'interno dei singoli promozionali pubblicati dai Metallica in previsione e supporto di quello che sarà il loro nono studio album, "Death Magnetic". Le operazioni bellico-sonore della band sono già state inaugurate con il primo "The Day That Never Comes", pubblicato il 21 agosto del 2008, ed esattamente cinque giorni dopo vide la luce anche il secondo titolo "My Apocalypse", lanciato in formato digitale su tutte le piattaforme multimediale. Nonostante sia ben noto che i Four Horsemen intrapresero una causa legale contro il sito Napsters.com, alla fine del primo decennio degli anni Duemila, i quattro californiani dovettero riconoscere l'importanza di internet come mezzo di diffusione della loro musica, ovviamente regolamentata a norma di legge contro la pirateria. Con questo nuovo materiale, anche se l'album vero e proprio non aveva ancora visto ufficialmente la luce, i 'Tallica sondano il terreno su quella che potrebbe essere la risposta di feedback verso il loro tanto atteso ritorno in grande stile: "St. Anger", come sappiamo, lasciò abbastanza l'amaro in bocca ai seguaci del gruppo, specie a quelli della vecchia guardia, ma dopo i buoni risultati della traccia precedente, Hetfield e soci capirono che bisognava battere il ferro finché era caldo, puntando su quelle che, a giudizio degli stessi autori, erano le canzoni con le quali si poteva fare la miglior impressione all'orecchio della massa. Le basi per il tanto dichiarato (e sperato) ritorno alle vecchie sonorità erano finalmente state gettate, e se la lunga ed articolata struttura di "The Day That Never Comes" aveva aperto uno spiraglio nel cuore dei fan la cui fiducia aveva perso la propria intensità, con questa nuova traccia, dalla durata ridotta e dalla struttura più lineare, si voleva così colpire a bersaglio sicuro, facendo scuotere la testa ai loro adepti con un brano dall'impronta thrash old school che avrebbe messo d'accordo tutti, dai metallari nostalgici agli ascoltatori di leva più recente. Cinque anni da una pubblicazione all'altra sono tanti, ma visti i trascorsi, ai californiani fu necessario ogni singolo giorno per poter fare un attimo mente locale e riacquistare il vigore compositivo di un tempo; la cosa che col sennò di poi stupì con l'uscita del nuovo album, se in positivo o in negativo spetta al giudizio di ognuno, è che questi brani, nel complesso e a primo impatto, sembravano il risultato di una lunga jam in sala prove, all'inizio della quale un membro avesse premuto "rec" su un registratore di fortuna per immortalare così quanto usciva da quelle sessioni di improvvisazione, per poi rielaborarle ed organizzarle in seconda sede. Naturalmente un'idea simile è anche portata dal fatto che i pezzi del disco precedente sembravano composti da un'altra band tanto erano lontani dallo standard dei Metallica, queste nuove composizioni invece escono senz'altro da un clima più disteso e rilassato, che proprio per queste sue caratteristiche ha fatto sì che ogni traccia arrivasse come niente ben oltre i cinque minuti senza che i musicisti quasi se ne accorgessero. È vero che non sempre lunghezza e qualità di una canzone sono direttamente proporzionali, ma per fortuna l'estro compositivo di Hetfield e soci questa volta ha avuto modo di fluire liberamente ed in modo completamente svincolato dal minutaggio iniziale. Mettere agli atti che gli autori di "Ride The Lightning" siano finalmente ritornati a "riveder le stelle", per usare una metafora dantesca, è ancora prematuro, ma con il nuovo singolo e questo suo immediato successore possiamo comunque ben sperare che si sia sulla buona strada per farlo presto; la diffidenza è ancora tanta, ma queste pubblicazioni, piccozzata dopo piccozzata, abbattono le mura che intorno ai quattro musicisti americani erano state erette con la sfiducia di chi credeva in loro. Critiche, gossip inutili, dissapori e magagne varie venivano così archiviate e chiuse a chiave nel baule della storia per consentire ai Four Horsemen di volgere finalmente lo sguardo verso l'orizzonte, prontissimi a cogliere tutte le nuove sfide che li avrebbero attesi, e a giudicare già da "The Day That Never Comes" si può dire che essi fossero pronti a farlo con il coltello tra i denti. A livello di artwork, lo stile si riallaccia al singolo precedente: logo vecchio stile in bianco e titolo in stampatello nero (posti però questa volta al centro dell'immagine) e tinte sempre in bianco e nero, questa volta con una maggiore accento a varie tonalità di marrone, quasi a dare un colore più "terroso" al tutto, dando l'impressione che la foto giacesse impolverata in qualche cassetto abbandonato. Il soggetto principale è il rottame di un'automobile che è stata coinvolta in un incidente, con il muso schiacciato ed i vari pezzi sparsi sul terreno, metafora quanto mai eloquente per esprimere come l'apocalisse di ognuno di noi sia qualcosa di estremamente reale e vicino a noi e non per forza qualcosa di biblico: basta mettersi alla guida sotto l'effetto di alcool o droghe, oppure guidare distratti dal cellulare che in tempo zero ci si può trovare nella propria personale apocalisse, dove nella migliore delle ipotesi si rischia qualche ammaccatura e dove nella peggiore non ne si esce proprio se non in un sacco di plastica.
My Apocalypse
Analizziamo dunque "My Apocalypse" ("La Mia Apocalisse"), canzone che occupa la decima posizione nella tracklist di "Death Magnetic" fungendone quindi da chiusura. Ad aprire le danze troviamo un riff di chitarra distorta tagliente ed energico, una mazzata in shredding di quelle che non si sentivano da parecchio tempo nei nuovi lavori dei Metallica, e già con questo incipit possiamo iniziare a scaldare il collo, perché le premesse per l'headbanging ci sono tutte. Il sound è secco e scarno, ciò non si deve però ad un errore di bilanciamento dei suoni, ma ad una scelta consapevole per creare il giusto contrasto con gli altri strumenti al momento dei vari stacchi che ne scandiscono gli accenti, dove avvertiamo finalmente quella botta in faccia che tanto bramavamo dai 'Tallica. Con il lancio della strofa, ecco arrivare un tupa tupa linearissimo ed inarrestabile della batteria di Ulrich, a sorreggere un main riff standard ma di assoluta precisione sia per quanto riguarda le chitarre ed il basso. Non possiamo fare a meno di pensare alle grandiose cavalcate travolgenti di "Master Of Puppets", in particolare di tracce come "Battery" e la titletrack, dove la secchezza delle pennate e la limpidezza dei colpi della batteria creavano quella potenza che da sempre rese la band un titano dell'Hard N' Heavy. Il passaggio dalla seconda parte dell'intro alla strofa, articolato su un passaggio sui fusti, crea poi l'attesa per l'esplosione successiva, che ci trascinerà in un vortice frenetico che ci scuote le ossa da capo a piedi. Ad intervallare le varie parti delle strofe troviamo un break down, dove alle pause si alternano una serie di incisi che accompagnano ai colpi di rullante degli accordi sulle alte tonalità per creare il classico effetto "fischio" che ci arriva diretto come una coltellata all'addome. L'intera canzone si modella principalmente su due riff principali, ai quali fanno seguito poi i vari arricchimenti e ricami melodici, a restare pressoché costante per tutto il pezzo, salvo in pochi passaggi, è la parte di batteria di Ulrich elementare ma perfettamente adatta a svolgere il proprio lavoro senza impegnare troppo il drummer danese in terreni che non sono propriamente i suoi. L'idea compositiva alla base di questo pezzo dunque è semplice ma efficace, d'altra parte ai Metallica non occorreva chissà che cosa per ritornare a spaccare teste come in passato, basti pensare che è con pezzi "minimali" come "Hit The Lights" o "Motorbreath" che iniziarono la loro scalata verso l'Olimpo metallico e le recentissime composizioni troppo astruse con le quali hanno cercato di ripercorrere la strada dei primi lavori si sono rivelate un buco nell'acqua, basti pensare a certi passaggi di pezzi come "Some Kind Of Monster", che all'interno di quegli otto minuti e ventisei secondi risultavano quasi dei riempimenti aggiunti senza troppa attenzione unicamente per arrivare forzatamente alla lunga durata. "My Apocalypse" dura giusto cinque minuti ed un secondo, tre minuti in meno delle super canzoni con le quali anche i Four Horsemen si sono cimentati (con risultati o eccelsi o non del tutto convincenti come abbiamo visto), e le intricate concatenazioni di idee, attuate già nel singolo precedente in maniera ottimale, vengono ora messe provvisoriamente da parte in favore di una immediatezza artistico compositiva che permette di seguire la traccia in tutto il suo svolgersi senza particolari sforzi; questo pezzo dunque si presenta come il classicone da baldoria apprezzabile anche dell'amante dell'old school, che patisce particolarmente la durata eccessiva in favore di materiale più secco e diretto. Siamo quindi di fronte ad una prova dei quattro musicisti americani che arriva, in maniera molto edonistica, al classico "massimo risultato con minimo sforzo": la struttura della canzone infatti si basa su intro-strofa-ritornello con in vari stop and go intermedi, le variazioni al tema sono poche e molto rapide, ma del resto, non sta scritto da nessuna parte che Hetfield e soci siano obbligati a complicarsi la vita per piacere, per farci scuotere la testa ed alzare le corna al cielo basta molto meno, in questo caso particolare pochi, semplici ma validissimi riff ed ecco che il ritorno alle origini è ottenuto in grande stile. Con questo singolo dunque, il ritorno alle "sonorità degli albori", può dirsi pienamente compiuto. Le parole di questo testo ci gettano letteralmente di una mischia bellica, più precisamente nell'apocalisse personale che ogni soldato vive sulla propria pelle durante un assalto in piena battaglia. L'atmosfera e soffocante e confusionaria, in aria non fanno altro che esplodere colpi di artiglieria e volare pallottole, mentre il fumo e la polvere ci accecano e ci disorientano, lasciandoci ogni secondo esposti alla morte. Finalmente troviamo un riparo provvisorio, un cratere creato da un colpo d'artiglieria nel quale giacciono ancora i pezzi di un nostro compagno morto; sangue budella e fango si sono impastati tra loro in un tutt'uno e non c'è tempo per essere schizzinosi, bisogna raccogliere le forze e raggiungere un altro nostro compagno che ci fa cenno di ripararci. Appena affondiamo la faccia in quella marmaglia maleodorante scorgiamo la linea di fuoco davanti a noi, una serie di feritoie scavate nella roccia dal quale i nemici non fanno altro che sputarci fuoco addosso, i fischi delle mitragliate sono assordanti ma bisogna avanzare, da lontano i bersagli sono irraggiungibili e bisogna andare all'assalto; il tempo di stabilire il manipolo di prescelti per questa missione pressoché suicida e si varca la trincea, coperti da fuoco dei compagni che cercano di impedire ai mitraglieri ed ai cecchini di bersagliarci, la testa del nostro vicino viene colpita ed il suo sangue e la sua materia grigia ci insozzano la divisa, ai rumori degli spari adesso anche le urla dei feriti si fanno sempre più forti, unite anche dalle nebbie dei gas che pervadono le ferite di chi si trova nel pieno delle nubi tossiche. Giungiamo fortunatamente al costone roccioso, miracolosamente scampati al fuoco, e senza farci notare dobbiamo utilizzare tutte le granate a disposizione per snidare i nemici nei bunker. Il tempo di tirare la spoletta, lanciare le bombe e buttarsi a terra e gli scoppi penseranno a fare il resto; il boato è assordante, tanto che noi stessi restiamo storditi, ma le mitragliatrici da postazione tacciono ed i nostri compagni rimasti indietro hanno il tempo di raggiungerci. La calca è sempre più concitata, ma la desolazione ed uno strano silenzio incisivo si stendono sul rifugio che abbiamo appena attaccato, tuttavia non c'è da fidarsi perché ci può sempre essere qualche nemico ancora vivo e bisogna andare dentro a fucile spianato per verificare. Giunti dentro, troviamo solo desolazione, morte e frattaglie, un solo soldato giace a terra rantolante, trapassato da una scheggia della sua arma, subito veniamo colti da un scossa di compassione per lui che come noi è li a fare il proprio dovere, ma la divisa e di colore diverso e l'unico modo per aiutarlo davvero e porre fine alle sue sofferenze una volta per tutte. Un colpo alla testa ed è tutto finito, in qualche modo ci piace immaginare che egli ci abbia ringraziato per questa cinica prova di carità, ma non è ancora finita, gli avamposti sono presi, ora bisogna avanzare ancora e via nuovamente nella mischia per conquistare ancora una volta qualche metro di terra non sapendo nemmeno che ore sono. La stanchezza ormai fa dolere ogni muscolo, ma l'adrenalina funziona da anestetico perfetto, vogliamo solo tornare a casa, ma l'unico modo per farlo è vincere. Così, tra spari e Thrash Metal, i Metallica ci hanno gettati nuovamente, e finalmente, in mezzo ad una bolgia.
Conclusioni
Come accennato, "My Apocalypse" è una canzone che potrà far esaltare anche il più conservatore dei Metallica, quello la cui toppa sul gilet è e resterà sempre quella "Kill'Em All", diretta schietta e da pogo sicuro, insomma avente tutti i requisiti che il metallaro va cercando in un pezzo dei Four Horsemen. Dopo tanti, forse troppi, esperimenti stilistici dagli esiti altalenanti, i 'Tallica hanno capito che la loro genuina essenza è nella semplice ma geniale standardizzazione del loro songwriting; dopo le cavalcate gloriose di album come "... And Justice For All", poter riscrivere brani di quel calibro non è cosa facile né tanto meno immediata, ben più semplice in questo senso è tornare indietro in tutti i sensi, cercando prima la propria ispirazione in un album scarno e tritaossa come il primo pubblicato dalla band, per poi arrivare in seguito, molto gradualmente, a raggiungere quei grandissimi risultati; questo singolo infatti riprende la lezione del debutto a livello concettuale ma viene suonata dai Metallica cresciuti del 2008, rodati dopo 26 anni di carriera sulle spalle. I suoni sono finalmente ben organizzati e finemente calibrati tra loro: la batteria di Ulrich punta tutto su cassa rullante e charleston, ma ogni suo pezzo viene gonfiato a dovere per conferire la massima resa ad ogni bacchettata del drummer danese. I tre pezzi principali godono di un'equalizzazione ad hoc, la cassa è calda e grossa ma senza trascurare la punta del battente che ci fa arrivare il colpo in tutta la sua nitidezza, il rullante è secco e squillante ma a volumi decisamente più umani di quelli apportati su "St. Anger", e soprattutto è tornato ad essere chiuso, riconquistando quel sound naturale che è necessario per il genere proposto. I piatti non sono troppo invadenti, in maniera tale da non interferire con le loro frequenze nei passaggi chitarristici, visto l'ampio uso che ne fa il batterista dei Metallica. Le chitarre sono ben distribuite su ogni frangente, lavorate con una maggiore quantità di bassi sulle ritmiche, senza appesantirle troppo, e belle fluide e morbide nei passaggi solisti, in perfetta sintonia con il muro sonoro creato mediante il basso di Trujillo, il quale viene reso meno secco di quello del suo predecessore per uscire più gonfio ed ampio. Se il bassista dei Flotsam & Jetsam era solito privilegiare la proverbiale zappata del plettro sulle corde, il nuovo membro ora preferisce che le sue dita lasciano la priorità alla nota piuttosto che alla ditata, segno anche di un ottimo controllo del tocco da parte del musicista. La voce di Hetfield infine appare, chiara, limpida e, soprattutto, al massimo della forma, un leone del calibro del vocalist di Downey finalmente torna a ruggire in tutta la sua fierezza. Dopo aver inaugurato l'era "Death Magnetic" con un singolo abbastanza "astruso" ma tuttavia fruibile ed assolutamente piacevole, ora i Four Horsemen mirano direttamente al sodo con un pezzo meno lungo e molto più lineare ed in your face, una mossa più che azzeccata per dimostrare al pubblico che dopo tanti anni, il gruppo è ancora capace di muoversi sui diversi fronti, dal più "progressive" al più schietto. Ognuno potrà preferire questo piuttosto che quello, ma ciò che è certo è che con sole due pubblicazioni anticipate, Hetfield e soci, oltre a far aumentare la curiosità degli ascoltatori, hanno già confermato che il prossimo album possiederà entrambi gli aspetti compositivi finora qui presentati.