METALLICA
Mama Said
1996 - Vertigo Records
MICHELE MET ALLUIGI
03/11/2015
Introduzione Recensione
Proseguendo il nostro viaggio nei singoli rilasciati dai Metallica per la promozione di "Load", veniamo ora a "Mama Said", una delle tracce della tracklist che sicuramente si presentò all'orecchio dei fan come una svolta decisiva nella carriera artistica dei Four Horsemen. Se già l'album che la contiene si rivelò un fulmine a ciel sereno, nel bene e nel male, con questo brano il gruppo sigla definitivamente l'abbandono di quel sound crudo, veloce e diretto che ha caratterizzato album divenuti capolavori del Metal, dall'esordio "Kill'Em All" fino al "Black Album". Il 1996 quindi sembrerebbe l'anno "fine" di quei Metallica capelloni, sfacciati e ribelli ed al tempo stesso il punto di partenza per un'omonima hard rock band di fama planetaria; ai quattro metal heads californiani, che avevano fatto del chiodo la loro seconda pelle e dei jeans e degli stivali gli abiti con cui arrivare alla sepoltura, subentrano ora le rock star a tutti gli effetti: quattro musicisti per i quali la musica sembra prima di tutto una fonte di guadagno e poi, solo in seconda battuta, un mezzo espressivo. Per alcuni artisti infatti parrebbe che la gloria planetaria sia più un male che una manna; quante volte infatti ci limitiamo a constatare dispiaciuti che un gruppo che seguivamo con interesse ha iniziato ad apparire poco interessante, scontato e ripetizione di sé stesso in esatta concomitanza del primo milione di copie vendute? Sia chiaro, non si tratta di oltranzismo, ma della difficoltà di riuscire a separare il ricco conto in banca dalla coerenza. I casi di artisti che, fortunatamente, hanno mantenuto la loro dignità musicale pur arrivando al successo su vasta scala ci sono (pensiamo semplicemente ai Motorhead o ai Venom), e quello dei Metallica andò a porsi come uno dei casi di maggior scalpore proprio perché, fino al 1991, sembravano irriducibili, dogmatici quasi fino all'estremo caso; il vederli quindi con le camicie di seta, gli stivali d'alta classe, i sigari e, nel caso di Ulrich, la pelliccia, quando non si tratti del look camicia aperta, matita nera sotto gli occhi e pantaloni di pelle (un pugno nell'occhio sia per i thrasher sia per le donzelle, dato il fisico non proprio statuario del drummer danese) lasciò i fan della vecchia guardia letteralmente allibiti. La seconda metà degli anni novanta è quella che vede i 'Tallica calcare i palchi di tutto il Mondo tanto quanto le prime pagine delle riviste, e quando si è star affermate a tal punto i dictat diventano "vendere" e "apparire". Ciò che ci rincuora, almeno, è la considerazione che una volta toccato il fondo non resta che risalire (anche se col senno di poi non potremmo certo dirci fortunati quanto a pubblicazioni successive negli anni duemila) e parlando comunque di artisti di grosso calibro, che la storia della musica l'hanno fatta, si deve constatare che la vena che pompa l'arte di scrivere buona musica pulsa ancora nei loro arti, solo con minore intensità rispetto agli anni ottanta. Volente o nolente James Hetfield e soci sono sempre dei musicisti di tutto rispetto, e nel loro percorso artistico "Load" ed il seguente "Re-load", nel complesso, sono da considerarsi un esperimento non del tutto riuscito: ovviamente ci sono dei brani di eccelsa fattura in entrambi ma quello che non convince è proprio la loro minor quantità nel totale delle tracklist; in passato i Metallica ci hanno regalato dischi da pelle d'oca costante, dal primo all'ultimo secondo, e l'esigua quantità di canzoni spettacolari di questo periodo ci fa temere che questa mitragliatrice del Thrash si stia pian piano inceppando, perdendo la propria potenza di fuoco. Per far meglio metabolizzare ai fan queste nuove direttive intraprese dalla band, la Vertigo Records rilasciò diversi singoli insieme all'album vero e proprio, "Until It Sleeps" prima e "Hero of The Day" e "Mama Said" dopo (quest'ultimi poi seguiti dal conclusivo "King Nothing"). La tracklist viene raddoppiata, si passa quindi dalle due tracce dei singoli precedenti alle quattro, oltre alla titletrack del singolo troviamo la versione della stessa in versione edit (quella ciè più breve e presente a tutti gli effetti sul disco) e le versioni live di "King Nothing" e "Whiplash"; ancora una volta troviamo una strizzatina d'occhio ai fasti gloriosi dei Metallica, che vogliono qui ribadire che dal vivo sono sempre delle macchine da guerra devastanti a prescindere dalle canzoni che suonino, vecchie o nuove che siano, la band dal vivo è sempre eccezionale. L'artwork si riallaccia a quello dei precedenti, proponendo l'ormai assodato nuovo e più semplice logo posto sopra una macchia nera su fondo bianco simile ad una delle macchie di Rorschach, le celebri macchie colorate che ognuno di noi interpreta figurativamente a suo modo e che denotano la nostra personalità in base alla risposta data. La scelta di questi brani conferma ulteriormente che i Metallica puntano sul fare con questi brani le grandi vendite, ecco quindi che viene composta una tracklist appetibile per qualsiasi tipo di fan, dando questa volta maggior "importanza" al fan delle nuove sonorità.
Mama Said
In pole position troviamo appunto "Mama Said"; una chitarra acustica ci regala una serie di accordi costituenti una ballad letteralmente struggente, mentre Hetfield si cimenta in un cantato che di thrash ormai non ha più nulla ma in compenso si presenta subito come una performance sentita e ricca di pathos. La struttura del brano è molto lineare, il compito maggiore viene infatti lasciato all'arrangiamento delle sei corde, rispettivamente acustica ed elettrica in pulito, che si intrecciano sinuose in una suite dallo stile marcatamente blues; non ci viene più da pensare ai Misfits, agli Iron Maiden o ai Motorhead come influenze principali dei Metallica, adesso viene automatico pensare ai Lynird Skynyrd, ai Thin Lizzy ed alla musica country in generale: i Four Horsemen si cimentano nell'esplorazione di terreni mai calcati prima, attraverso un viaggio epico all'interno dell'animo umano sospinto da un tempo lineare di batteria in quattro quarti che accompagna delicatamente lo sviluppo del pezzo. Siamo di fronte ad un brano che non deve avere tiro, tanto che le chitarre distorte, seppur presenti, restano comunque in disparte recitando il ruolo di comparse, lasciando letteralmente la scena ai puliti di Hetfield ed Hammet. Il basso di Newsted in questa composizione si limita unicamente a conferire quel calore di fondo che, ben amalgamato con la voce grave di Hetfield, conferisce alla canzone un tocco malinconico ed avvolgente, a maggior riprova che i Metallica, sebbene sembrano aver perso la retta via del passato, tuttavia sono dei compositori dal valore a dir poco unico, ancora in grado di scrivere canzoni in grado di scaldarci il cuore. "Mama Said", come è intuibile, non è la canzone da ascoltare con gli amici pogando e rovesciandosi litri di birra addosso nell'headbanging ma è un pezzo decisamente introspettivo, da poter dedicare alle nostre donzelle o da ascoltare in macchina durante un lungo viaggio, assaporando il paesaggio scorrere veloce sotto i nostri occhi inebriati dall'odore di un asfalto che lentamente ci conduce verso l'infinito. Il vero e proprio colpo di scena arriva a metà del pezzo, il crescendo infatti si sviluppa ulteriormente salendo di tonalità, conferendo così alla musica ed alla voce di Hetfield una maggiore apertura e soprattutto una maggiore carica emotiva, per poi spegnersi lentamente, come la maggior parte delle ballate, con un finale che va a rallentare fino alla definitiva chiusura. Il testo racconta la storia di un proto eroe romantico interpretato dal biondo frontman dei Metallica: un giovane che dopo aver vissuto la sua infanzia nel calore della propria casa vuole evadere dalla routine quotidiana per intraprendere il proprio viaggio alla scoperta del Mondo. Non sa bene dove andrà, né come potrà arrivarci, l'unica certezza è che oltre la porta di casa c'è una realtà nuova e tutta da scoprire; la gratitudine verso chi ci ha dato la vita e cresciuti è enorme ed altrettanto grande è l'affetto provato per nostra madre, ma ora il figlio è cresciuto ed è giunto il momento che lei lo lasci andare. È naturale che nostra madre voglia tenerci sempre vicino a sé ma prima o poi per noi arriva il momento di camminare con le nostre gambe e, passo dopo passo, intraprendere da adulti il cammino della nostra vita; anche se siamo geograficamente distanti saremo per sempre legati alla nostra famiglia, pur trovandoci dall'altra parte del pianeta infatti troveremo sempre il tempo ed il modo di far sapere a casa che stiamo bene ed seppur immersi nella frenetica routine di tutti i giorni, tra lavoro, amicizie e vita privata, troveremo sempre un momento da dedicare a noi stessi pensando ai nostri cari con immediata nostalgia ma anche con decisa gratitudine perché tutto ciò che siamo e tutto ciò che diventiamo lo dobbiamo a loro. Per quanto avessimo trovato ingiusti i rimproveri paterni e le "paranoie" di nostra madre, la quale ci proibiva di frequentare gente poco raccomandabile o di infilarci in situazioni poco piacevoli, col senno di poi essi si sono rivelati essere gli insegnamenti più preziosi che potessero darci, insegnandoci da soli a giudicare cosa sia bene e cosa sia male per noi. Perciò tu, madre malinconica, lascia che il tuo figliolo intraprenda un sentiero che per quanto tortuoso possa essere, egli saprà affrontare grazie all'affetto che gli hai dato, e nell'eventualità che egli torni a casa sconfitto dalle avversità potrà sempre contare su colei che gli resterà a fianco tutta la vita. Sicuramente "Mama Said", per gli standard dei Metallica di come li conoscevamo, è un pezzo diverso dal solito: passiamo dal thrash metal al country blues in un transfert collegato solo dal retaggio culturale degli statunitensi Metallica, che in questa traccia mescolano tutte le loro origini "yankee" con tanto di look cowboy, bistecche e Budweiser alla mano; rispetto al singolo precedente "Hero of The Day", che a conti fatti sembrava più un ibrido tra vecchio e nuovo repertorio dei 'Tallica, questa volta il risultato è nettamente migliore, in quanto il brano di questo singolo è sì diverso ma totalmente convincente se considerato come una ballata blues e non come composizione di una band che, ancora nel 1996, si definiva thrash metal.
King Nothing
In seconda posizione troviamo una versione live di "King Nothing", uno dei brani meglio riusciti di tutta la tracklist di "Load" che, grazie alla verve della band sul palco, oltre ad essere già buona in versione studio non può che migliorare quando è eseguita dal vivo. La registrazione si apre, come di consueto, con il vociferare dei fans esaltati presenti al concerto, immediatamente emerge lampante la voce di Hetfield, che con il suo fare spavaldo (ormai diventato tipico della sua "maschera" di animale da palco) intrattiene il pubblico prima di iniziare. Se la prima frase che sentiamo proferire al musicista californiano è se il pezzo precedente avesse spaccato o meno ("Has the previous song kicked ass, do you still have fun?" trad. "La canzone che abbiamo suonato prima ha spaccato, vi state ancora divertendo?") a seguito del quale arriva l'ennesimo boato, ecco che quella immediatamente successiva, a mio giudizio, ci da la prova lampante che ormai i Metallica della seconda metà degli anni novanta sono diventati delle rockstar : "I've got the Martini and you don't, i really like Gin" trad. "Io ho qui da bere il Martini e voi no, mi piace davvero tanto il Gin"; chissà se il James Hetfield dell'83 si sarebbe mai sognato di "sfottere" i propri fans che si bevono una bevanda plebea come la birra mentre lui, ormai arrivato, meritatamente sia chiaro, sull'Olimpo della musica può permettersi di avere un membro della troupe che gli prepara un cocktail da sorseggiare sul palco. Dopo questo siparietto, divertente se considerato ironico, da lanciargli una molotov se preso sul serio, ecco che finalmente arriva l'inizio del brano dopo un'ultima piccola scenetta da cabaret; Kirk Hammet inizia tenendo la nota che apre la canzone, mentre Newsted entra incalzante con il suo fraseggio di basso; ciò che hanno di buono i pezzi di questo periodo è la loro resa imponente dal vivo, la band infatti si muove granitica e potente come ce la ricordavamo, anche perché, come si suol dire, il sangue è più denso dell'acqua. Il tempo cadenzato della struttura si appesantisce grazie all'equalizzazione live del set di Ulrich, che ha modo di rendere ogni suo singolo una vera e propria martellata, scandita fedelmente dalle quattro corde del bassista dei Flotsam & Jetsem che, per quanto sempre sottovalutato, risulta essere qui il motore di tutta la traccia. Le chitarre sono sempre granitiche e potenti e la pacca dei Four Horsemen su un palco è sempre unica, tanto che ascoltando questo bootleg ci si sente quasi in colpa per non aver potuto presenziare di persona a quell'esibizione. Hetfield sfoggia infatti una delle sue migliori interpretazioni, conferendo al testo tutta l'aggressività anti-dispotica di cui sono pregne le parole. Le liriche infatti si scagliano contro un re egoista e malvagio, che ottiene il potere e la gloria attraverso i soprusi attuati suoi suoi sudditi, che ne osservano impotenti l'ascesa al trono. Come tutti i tiranni però la sua sete di ricchezza sarà allo stesso tempo la sua forza e la sua condanna, come in tutte le storie di tirannia infatti il despota arriva a sperperare tutti i suoi averi senza curarsi che essi stiano pian piano svanendo, solo quando si ritroverà spodestato ed in miseria potrà riconoscere a tutti gli effetti di essere diventato povero. Anche lui ora sentirà l'olezzo dei bassi fondi, andando a mendicare un tozzo di pane con cui sfamarsi ed un soldo con cui ottenere una misera scodella di zuppa per scaldarsi durante le gelide notti dell'inverno. Quello che una volta era il suo lussuoso mantello ora non è altro che un cencio consumato dall'usura e dal tempo, tanto insozzato dal fango da non essere nemmeno più riconoscibile come drappo reale, i suoi stivali sono logori, come i suoi vestiti ed il freddo e la neve gli entrano nelle ossa mentre si aggira disperato alla ricerca anche solo di un timido focolare con cui poter dar ristoro alle proprie stanche membra ormai dilaniate dal gelo. È irriconoscibile in viso, ormai decaduto non ha più il barbiere di corte che possa mantenergli il viso ben rasato ed i capelli sempre ben curati, ora la sua barba ed il suo crine gli si stagliano copiosi e disordinati sul volto e sulla testa ed il loro unico merito è quello di celare l'identità di un sovrano che per troppo tempo si è arricchito sulle spalle dei meno abbienti. Dov'è la sua corona ora che egli non è più nessuno? Della sua immagine fiera e possente ora resta solo il nome segnato negli almanacchi della storia, ma nella memoria del popolo resta solo il demone che si è guadagnato tutto il proprio odio, che, ormai solo, non può far altro che piegarsi d'innanzi agli eventi orditi per lui da un fato sempre più imparziale nel giudicare gli uomini. La decadenza regale, fra l'altro, è ben espressa metaforicamente all'interno del videoclip, dove si vede un sovrano da solo nella neve intento a sfoggiare una corona di cartoncino dorato, unico elemento che possa anche solo per qualche istante far rivivere i fasti del passato, mentre viene accerchiato dai sudditi di cui ha sempre abusato.
Whiplash
Passiamo ora al secondo estratto live di questo singolo, "Whiplash", un vero e proprio tuffo nel passato, in quei gloriosi anni ottanta che hanno visto esordire i Metallica con il capolavoro del Thrash Metal "Kill 'Em All". Nuovamente troviamo il biondo frontman intrattenere un pubblico sempre più esigente; i fans infatti hanno capito che si sta giungendo verso la fine della set list, quel momento del concerto per cui la band si riserva il meglio per un finale letteralmente col botto. A rendere ancora più "fastidiosa" l'attesa, ecco che Hetfield inizia a chiedere ai presenti se avessero mai visto i Metallica a degli altri show prima di quello, se avessero letto gli ultimi articoli delle fanzine riguardanti la band e conclude chiedendo chi possiede l'album da cui è tratto il pezzo che stanno per eseguire. Ovviamente si tratta di un espediente per accrescere la suspence, un trucchetto che può essere usato solo da chi calca i grandi palchi da anni con l'esperienza che può avere solo chi ha fatto della propria musica una leggenda. Ecco che Lars Ulrich inizia a tenere un tappeto di doppia casa in trentaduesimi, purtroppo non precisissimo, ma la sporcizia in questo caso è voluta, poiché anche Hammet e Newsted iniziano ad eseguire dei palm muting scarni con i loro strumenti mentre James urla con rabbia furiosa il titolo del brano incombente, ovviamente condito con un "motherfuckin'" che non ci sta mai male. Immediatamente possiamo lanciarci in un headbanging serrato e spaccaossa, perché l'energia della sesta traccia di "Kill'Em All" è e resterà sempre una vera e propria mazzata nei denti; a differenza della registrazione precedente, la qualità audio risulta più caotica e confusionaria, ma per un pezzo di questo calibro occorre potenza quindi non importa se i potenziometri danno ora più punta alla cassa, ora al basso o alla voce, i quattro cavalieri suonano compatti ed energici come una vera e propria macchina da guerra e, nonostante la breve durata del pezzo, il pubblico non può che restare entusiasta. La canzone giunge al termine, la batteria si ferma e ormai si ode solo un lungo fischio di chitarra sul quale si stende velato l'arpeggio di "My Friend Of Misery" probabilmente eseguita immediatamente dopo nella scaletta del live registrato. Il testo di questa canzone è un vero e proprio salto indietro nel tempo, agli anni in cui i Metallica erano ancora "bambini" con i capelli lunghi, le canotte dei gruppi, i jeans strappati ed il chiodo. Le parole contenute in queste liriche trasudano infatti attitudine ad ogni verso, da esse traspare l'entusiasmo e la grinta di chi si esalta solo con la musica che più adora e per la quale ha siglato un patto di fedeltà per tutta la durata della sua vita. La scena è quella dell'eterna alleanza fra musicista e fan: il primo chiede al secondo se egli verrà al concerto della sera stessa, promettendo di dare il proprio meglio affinché tutti si possano scatenare buttando l'anima a forza di headbanging; la notte diventa così lo scenario di uno show inteso non solo come serata di musica dal vivo ma come, più largamente, un vero e proprio rituale di condivisione di quella scarica elettrica che solo le chitarre distorte possono farci correre lungo la schiena. Potrà sembrare un cliché, ma nulla più della musica può unire le persone, le sette note infatti sono un collante molto più solido e resistente di qualsiasi ideologia politica (anche se anche nell'ascolto del Metal non mancano i classici tuttologi che devono sempre spaccare il capello in quattro con i loro inutili sofismi). Ecco che giunge l'ora fissata per l'inizio dello spettacolo, il locale inizia a riempirsi a mano a mano mentre i musicisti sono intenti ad apportare gli ultimi preparativi tecnici; niente saluti o compromessi, la band parte d'improvviso dritta come un treno ed ecco che subito i presenti si scatenano muovendosi a scatti come dei pazzi forsennati; quando la musica ci entusiasma, non possiamo infatti fare a meno di lasciarci prendere da una vera e propria pazzia, una sorte di estasi spiritica che si impossessa di noi e ci scuote le membra dall'interno rendendoci letteralmente dei corpi adepti al solo suono dell'Heavy Metal. L'amplificatore Marshall infatti getta sulla folla presente una vera e propria colata di note che ci colpisce netta è bruciante come un colpo di frusta (in inglese "whiplash" per l'appunto) che come in una sorta di rito sadomaso non ci dilania ma ci alimenta lo stato di beatitudine quasi erotica che ci danno le canzoni sparate a bpm velocissimi e serrati. Concluso il concerto non si torna a casa ma si inforcano le moto per continuare a far baldoria lungo le strade che fungeranno da tappeto rosso per la nostra marcia metallica; presi dall'euforia andiamo alla ricerca di alcune camere di motel per poter sfogare in santa pace gli istinti primordiali con le dolci donzellette rimorchiate poco prima, che non potendo resistere al fascino del chiodo si sono immancabilmente sedute sul sedile posteriore della motocicletta per seguirci in una cavalcata all'insegna dell'ignoto. Sembrerà una vita scapestrata, cruda e secca, ma loro sono i Metallica ed è così che vogliono viverla.
Mama Said (Edit Version)
A chiusura della tracklist del singolo troviamo la "Mama Said (Edit Version)", la versione della traccia di apertura destinata all'uso prettamente promozionale attraverso il videoclip realizzato ed il passaggio nelle varie radio. L'unica differenza rispetto alla precedente è la durata: la versione edita (presente nel disco a tutti gli effetti) compare infatti con un minutaggio più breve di circa un minuto, più consona quindi alla trasmissione radiofonica, ottenuta attraverso il taglio di alcuni giri degli accordi iniziali (presenti invece nel videoclip) che fanno sì che questa versione parta direttamente con l'ingresso della voce di Hetfield senza l'introduzione di chitarra acustica. Trattandosi di un singolo, il suo scopo è quello di funzionare da "biglietto da visita" per "Load", ecco quindi che con questa seconda più breve proposta ai fan viene offerto il pacchetto completo della canzone: come la sentiranno attraverso i mass media del settore e come, invece avranno modo di gustarla sull'album. Come accennato, di "Mama Said" è stato inoltre girato un video destinato alla diffusione televisiva: unico protagonista di questo corto è unicamente James Hetfield, poiché non sono presenti gli altri membri della band, nel ruolo di giovane speranzoso in procinto di compiere il suo viaggio alla scoperta del Mondo. Lo scenario è quello di un ambiente urbano prettamente statunitense, fatto di grattacieli e strade a quattro corsie nel quale il nostro baldo giovane stesso sembra trovarsi disorientato. Egli infatti si passa la mano tra i capelli guardandosi intorno in attesa dell'auto che verrà a prenderlo. Nei suoi occhi si vede sì la curiosità di scoprire la realtà che ci circonda ma più marcato ancora emerge il forte senso di straniamento e disorientamento verso un qualcosa di più grande di lui che non sarà sicuro di poter affrontare. Il cappello da cowboy denota una provenienza rurale del protagonista, la campagna in cui è immersa la sua fattoria costituisce un piccolo microcosmo sicuro, poiché conosciuto in ogni sua aspetto da bambino, ed al tempo stesso caldo ed accogliente, contrapposto alla grande città, moderna, fredda e tutta fatta di cose troppo complicate. Ecco che l'auto finalmente arriva, James si appresta a sedersi, levandosi il copricapo e sistemandosi provvisoriamente sul sedile posteriore in cerca di una posizione confortevole. Dietro di lui, dal lunotto posteriore del veicolo, la città scorre inesorabilmente via ed ecco che James ha la possibilità di dare un ultimo sguardo al suo passato che lentamente si allontana. Ora davanti a sé ha solo il futuro, simbolizzato attraverso la metafora del viaggio in auto, la destinazione non è del tutto certa e lui con sé non ha bagagli se non una chitarra, perché non importa chi sarà o cosa farà, senza la sua musica non potrà mai sentirsi realmente completo. Ecco che si appresta a prendere il suo strumento ed inizia ad abbozzare qualche accordo, ma nel guardare il paesaggio passargli a fianco resta comunque perplesso e viene colto dai numerosi dubbi: avrà fatto bene a partire? Non era meglio restare a casa nel calore della propria casa e della propria madre? Poco importa, ormai è partito e non potrà più tornare indietro. Il viaggio è lungo e James ne approfitta per schiacciare un pisolino tirandosi il cappello sul viso, un momentaneo ristoro per schiarire le idee prima di poter finalmente intonare la propria canzone blues. Alla malinconia ora si accostano anche la decisione e la sicurezza della decisione presa, ma il ricordo della propria madre, che non voleva lasciarlo andare, torna a farsi vivo come una punta di coltello che gli affonda nel cuore, quello stesso cuore che resterà per sempre legato alla donna che gli ha dato la vita e che lo ha visto andare via, abbracciata stremata al porticato di casa mentre il figlio spariva lentamente all'orizzonte. Per quanto James possa essere grintoso nel voler affermare la propria individualità e l'ormai essere diventato uomo, non può fare a meno di guardarsi indietro, il legame col proprio passato e troppo solido per essere spezzato e l'affetto verso sua madre è troppo grande. Arriva un attimo di silenzio, qualche istante di raccoglimento prima di rinnovare la richiesta di lasciarlo andare ("Let my heart go") e di percorrere la propria strada. Ormai James è convinto, vivrà per conto suo conservando per sempre il ricordo della sua adorata mamma, la penserà ma ormai il suo momento è giunto, è un uomo e deve affrontare la vita come tale. Quand'ecco che arriva il colpo di scena: l'inquadratura si allarga e si scopre che in realtà era tutto un set, l'abitacolo dell'auto è finto e lo sfondo veniva proiettato su uno schermo, una pura finzione dunque; James si alza ed esce frontalmente per accingersi a prendere le redini di un cavallo ed uscire assieme al destriero dalla scena, un'efficace metafora per affermare che il legame con la terra è troppo forte ed è ancora vivo in lui. Viene quindi spontaneo chiedersi questo: se l'emozioni, pur attraverso una messinscena, si sono rivelate così vive, James sarebbe in grado di lasciare realmente casa sua?
Conclusioni
Il singolo di "Mama Said" a conti fatti, si rivela uno dei più riusciti a livello artistico nella discografia dei Metallica del 1996: posto comunque che con l'utilizzo dei brani live vanno a colpo sicuro verso il cuore dei loro fan, è nelle titletrack che ora i Four Horsemen devono stare attenti a giocarsela bene. Come detto sopra, "Mama Said" è una canzone che con il thrash metal dei Metallica non ha nulla a che vedere ed è un'ulteriore prova che i quattro musicisti sono cambiati, essa però è una ballata dallo stile blues ed un retrogusto country che si rivela convincente e coinvolgente; nonostante la struttura compositiva sia abbastanza semplice essa scorre via fluida e limpida nel lettore e fa venire voglia di riascoltarla nuovamente. Se il tentare di mescolare la grinta del passato con gli stilemi scelti nella seconda metà degli anni novanta non ha prodotto grandi risultati, risultando un qualcosa senza infamia e senza lode (né carne né pesce, per essere terra terra) è proprio andando a parare completamente verso una direzione musicale differente che, paradossalmente, i Metallica colpiscono nel segno. In precedenza ho sostenuto che i Metallica degli anni novanta sono una band Hard Rock e non Thrash Metal, e questo singolo va quindi a porsi come una delle migliori ballad pubblicate da questa band omonima a quella che ha esordito con "Kill'Em All"; tentare di conciliarle entrambe è inutile, visto l'ampio divario di sonorità, tanto vale considerare questa fase artistica dei Four Horsemen come un qualcosa di a sé stante; ecco quindi che "Load" e "Re-load" risultano due dischi veramente validi di una band rock e non metal. I suoni stessi con cui sono prodotti infatti sono più consoni alla nuova era artistica del gruppo, limpidi, nitidi e ben equalizzati per uscire ad hoc sugli impianti degli ascoltatori che dai 'Tallica vogliono un qualcosa di più catchy ed orecchiabile, realizzando qualcosa che possa passare in radio, vendersi bene e che un timido giovane metal head possa far sentire anche alla propria nonna senza che le esplodano le orecchie o che, altrimenti, possa mettere in una compilation da mandare ad una ragazza che non conosce il metal e che possa apprezzarla senza che le si sfreghino i timpani a forza di distorsori.
2) King Nothing
3) Whiplash
4) Mama Said (Edit Version)