METALLICA

Live in London

1998 - Vertigo

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
13/11/2015
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione recensione

L'orizzonte commerciale dei Metallica nella seconda metà degli anni novanta sembra essere inarrestabile; nell'ultima decade del Novecento infatti, i Four Horsemen diedero alle stampe numerosissimi prodotti, tra album e singoli, atti a far girare il nome della band di Los Angeles in ogni parte del globo. Alcuni di essi, si dimostrarono buoni, altri mediocri, altri poco convincenti, fino ad arrivare alle pubblicazioni evitabili sotto ogni punto di vista. Poco sembrava importare alla band della reazione del pubblico, quello che contava è che si parlasse di loro, nel bene e nel male: ormai erano diventati delle superstar e per loro l'apparizione scenica era importante tanto sul palco quanto in televisione e sulle riviste. Siamo negli anni di "Load" e "Re-load", due dei dischi più dibattuti e controversi dell'intero panorama metal, eppure, i 'Tallica non sembrano curarsi troppo di ciò che di loro stessi si sono lasciati indietro: quei quattro thrasher nati, cresciuti e vissuti nelle peggio sale prova della Bay Area venivano ormai definitivamente abbandonati nell'oblio per lasciare il posto ai vip, ai manager, agli uomini d'affari che al 50% sono musicisti e la restante metà sono imprenditori. I singoli stessi infatti sono l'ultima trovata delle soluzioni commerciali: strasfruttati dalle pop star, ecco che anche i Metallica non si fanno problemi a sperimentare questo nuovo sistema che per il Metal era consono solo a chi poteva permetterselo: nell'Hard n'Heavy non si trattava di etichette che miravano a lanciare nei negozi l'ennesima trovata di un gruppo, ma di fan accaniti ed assetati di chicche da collezionismo che andavano alla ricerca del più introvabile bootleg o demo tape di cui si conoscesse l'esistenza; scoperta infatti la presenza sulla Terra della tale cassetta o vinile ecco fiondarsi i metal head nella caccia più sfrenata, tutta improntata al possedimento di quella testimonianza dei propri idoli da poter ascoltare e riascoltare sognando un giorno di potergli stringere la mano; poco importava se la qualità audio era pessima o se il live fosse stato registrato di straforo con il più scrauso dei mangianastri e senza nemmeno il consenso dei musicisti, quello che contava era possederlo, metterlo nel lettore infinite volte e consumarlo a forza di farne scorrere la musica sfogliandone il booklet fino a farsi sciogliere l'inchiostro fra le dita. Per i Four Horsemen degli anni novanta questa è storia ormai passata; se il fan vuole infarcire la sua collezione di cimeli deve recarsi nei negozi e comprare il singolo come tutti e guai a lui se dovesse osare comprarlo di contrabbando o scaricarlo, perché ebbene sì, come è noto Lars Ulrich e soci intrapresero un enorme causa legale all'inizio della decade contro il sito Napster.com. Tralasciando comunque la spinosa questione dei download della musica, i Metallica giunsero in quel periodo a cifre di vendite da capogiro, come è noto i loro primi lavori non mancarono di andare via come il pane ma è intraprendendo la svolta "commerciale" del 1996 che gli indici cominciarono a salire verso gli orizzonti più sconfinati del cosmo: due dischi che allargarono notevolmente il loro range di ascoltatori con in più svariati singoli, entro i quali si sperimentavano anche le soluzioni di vecchio e nuovo in una sola tracklist, lanciarono quindi la macchina da business della band sul mercato di vasta scala, facendo uscire nella loro discografia ogni tipo di pubblicazione immaginabile. Si parla di commercio, ed ecco che nel calderone dei 'Tallica inizia a bollire l'idea della raccolta di cover, idea già sperimentata con successo con l'EP del 1987 "The 5.98$ EP- Garage Days Re-revisited", un buon prodotto, ma un azzardo allora, che andava ripreso e sviluppato sotto ogni punto per far si che la band potesse dar prova di se dal vivo anche riproponendo brani di altri artisti; in attesa di "Garage Inc.", che sarebbe uscito di lì a poco, i Metallica ci propongono questo singolo di tracce live "Live in London - Antipodean Tour Edition": i Four Horsemen tornano agli antipodi dell'Atlantico per un esibizione nella capitale inglese, della quale viene raccolto un assaggio di tutto ciò che s potesse trovare nel campionario della band, a cominciare dalla fresca "Bleeding Me", estratta da "Load", seguita poi da due cover ("Stone Cold Crazy" dei Queen e "The Wait" dei Killing Joke) per poi concludere col flashback nel proprio passato con "Damage Inc." brano rispolverato dalla tracklist del capolavoro assoluto che fu "Master of Puppets". Fortunatamente, se la band di Los Angeles ultimamente (inteso come gli anni dal '96 al 98') non convincesse granché sul piano compositivo in studio, li troviamo freschi e lampanti sul fronte live: dal vivo infatti, James Hetfield, Lars Ulrich, Kirk Hammet e Jason Newsted sono un vero e proprio carro armato inarrestabile, che fa tremare tutti i palchi su cui si esibisce solo con il suo ingresso trionfale. C'è poco da fare: dal vivo i Metallica sono e resteranno pur sempre un qualcosa di unico ed emozionante in ogni senso ed anche se le pubblicazioni più moderne non siano esaltanti basta che on stage ripeschino i brani dal 1991 indietro che subito esplode il tripudio.

Bleeding Me (live)

La prima canzone che troviamo eseguita è "Bleeding Me" (trad. "Sanguinando"): come ogni registrazione dal vivo, è il pubblico a farsi sentire subito caldo e pronto a scatenare la bolgia; a giudicare dalla frenesia dei presenti, questo brano si può ipotizzare che fosse collocato da metà setlist in poi: i fan sono già in delirio per le canzoni precedenti, quand'ecco che senza nemmeno presentarla, la traccia inizia con il classico quattro dato sul charleston. L'arpeggio di chitarra effetto con il delay ed il flanger ci immerge subito in un'atmosfera sognante ed introspettiva; il tempo di batteria è un quattro quarti lento e cadenzato ed accompagna la voce di Hetfield, la quale entra subito calda e potente ad esprimere tutto il disagio esistenziale delle liriche. Si è detto che all'interno di "Load" i Metallica hanno abbandonato le sonorità thrash per dirigersi verso orizzonti più consoni alla seconda metà degli anni novanta, ed infatti il pezzo appare immediatamente come la classica ballad struggente intrisa di rabbia in puro stile Alice in Chains, solo che a differenza della band del rimpianto Layne Stanley, il biondo frontman dei 'Tallica opta per una maggiore ricerca della melodia per le proprie linee vocali. La struttura del pezzo è molto lineare ed orecchiabile, facile da seguire e da metabolizzare lasciandoci cullare in un headbanging fluido e lento: l'alternanza di parte in pulito e successiva parte aperta in distorto conferisce al brano un dinamismo coinvolgente, anche se non certo all'altezza di ciò che il gruppo ha saputo regalarci negli anni ottanta: per i musicisti che hanno composto "...And Justice For All", pietra miliare della loro discografia caratterizzata per la varietà compositiva, un pezzo come "Bleeding Me" si suona ad occhi chiusi senza troppa fatica. A metà esecuzione, poco prima della ripresa finale, ecco la pausa da manuale nella quale si può dare modo al pubblico di sfogare tutta la frenesia: giusto il tempo di un apprezzamento da parte di Hetfield ed ecco ripartire la canzone con una vera e propria esplosione; sono subito le chitarre ad entrare sontuose ed epiche sul lancio eseguito da Ulrich, la sessione è immediatamente possente ed energica e tutti i presenti si lanciano su un coro sfrenato da cantare insieme al frontman nel ritornello. A compensare quindi una composizione a conti fatti mediocre per gli standard a cui i Metallica ci avevano abituati, troviamo fortunatamente ancora quella grande energia che il gruppo di Los Angeles è sempre in grado di sfoggiare dal vivo; la canzone si conclude attraverso la ripresa della parte arpeggiata iniziale: troviamo nuovamente l'arpeggio di chitarra effettata ad accompagnarci verso la definitiva chiusura, dopo la quale esplodono le ovazioni dell'audience. Le parole di questo testo si pongono a metà fra una poesia romantica ed una lirica scritta da Kurt Cobain dei Nirvana: l'indagine introspettiva di Hetfield si tinge ora di un alone di sofferenza ed oscurità che non poteva collocarsi in altri anni se non quelli immediatamente successivi al boom del Grunge negli Stati Uniti. Il leader dei 'Tallica si pone ora come protagonista in prima persona di un racconto che urla tutta la sua rabbia verso una realtà sempre più difficile e malsana; il disagio esistenziale viene espresso attraverso delle immagini ricorrenti in questo frangente compositivo come quella del sanguinamento ed il cammino verso una destinazione ignota. In apertura troviamo proprio il racconto di come il narratore si stia scavando da solo un sentiero fra le spinose sterpaglie della vita, la destinazione è ignota, ma lo squallore dello stato attuale lo conforta con la certezza che ovunque egli possa arrivare sarà sicuramente un posto migliore di quello in cui si trova adesso. La sua stessa esistenza è spinta con tutte le forze verso una condizione migliore, più dignitosa e lontana dallo sconforto di sentirsi perennemente fuori luogo in qualsiasi contesto; tutto ciò che lo circonda e tutte le persone con cui interloquisce gli risultano estranee e lontane, anche se fisicamente si pongono a pochi centimetri da lui. Il suo stato però non è semplicemente una condizione subita passivamente ma è per buona portata dagli errori da lui commessi vuoi per ingenuità vuoi per la mancanza di dell'esperienza, che fallimento dopo fallimento ci insegna che nulla è dato per scontato e che bisogna lottare per ciò che si vuole ottenere. Sembrano quindi non esserci speranze di salvezza, se non un unico ed malsano rimedio autolesionista che solo ipoteticamente potrebbe essere una soluzione: sanguinare. La metaforica emorragia consentirebbe a tutto ciò che di marcio e sbagliato è in noi di uscire e di scorrere via, un processo purificatorio drastico ma necessario per eliminare ogni traccia di quel virus che è la mancanza di coraggio di affrontare le proprie battaglie quotidiane. Un'immagine cruda ma espressivamente molto efficace.

Stone Cold Crazy (live)

Il tiro si alza decisamente con "Stone Cold Crazy" (trad. "Completamente folle"), riproposizione del celebre brano dei Queen che attesta immediatamente una grande accortezza dei Metallica: quella di saper interpretare in maniera intelligente un brano altrui. È infatti appurato che la magia della band inglese sia impossibile da ricreare e trattandosi di una canzone del grandissimo Freddy Mercury, l'imitazione fedele da parte dei Metallica sarebbe risultato quanto di più fallimentare si potesse provare a fare; i Four Horsemen si tengono alla larga da questo rischio e ci regalano una versione interamente reinterpretata a loro modo del brano contenuto in "Sheer Heart Attack". Chi vide l'esibizione di James Hetfield al Live Aid in onore del vocalist inglese sicuramente notò la devota umiltà con cui il thrasher americano interpretò il pezzo assieme a Brian May, Roger Taylor e John Deacon, senza nemmeno lontanamente cercare di imitarne la voce originale e ciò,solamente, non può che far guadagnare ad Hetfield il massimo rispetto. Parlando dei Metallica, ciò che non può assolutamente mancare è la grinta: la loro versione si apre infatti con un deciso power chord atto a creare la giusta suspence prima della partenza. Il charleston tiene il tempo all'impazzata prima che venga lanciato il main riff e fin da subito emerge lampante che i 'Tallica non avrebbero potuto scegliere brano migliore da rifare all'interno della variegatissima discografia dei Queen: la grinta della struttura infatti si adatta perfettamente al tiro thrash del gruppo americano, che non manca di esprimersi al massimo del proprio potenziale rendendo graffiante ogni singolo passaggio del pezzo. Il riff di chitarra viene eseguito di Hetfield ed Hammet con una mano decisamente più dura di quella di Brian May e la traccia non può che guadagnarne in potenza ed impatto; la batteria procede linearissima, pompando ogni colpo senza distaccarsi dalla linea originale salvo qualche sporadico stop and go inserito per dare un gusto più thrash all'esecuzione. Roger Taylor risulta essere forse il batterista meno impegnativo con cui Lars Ulrich si sia dovuto confrontare nella realizzazione delle varie cover: entrambi infatti, pur muovendosi in due distinti generi, hanno come punto in comune del loro stile la linearità nel proprio drumming e non viene quindi difficile al drummer danese riproporre il brano in questione. "Stone Cold Crazy" ci viene quindi regalata attraverso il giusto compromesso tra fedeltà all'originale, almeno sul piano strutturale, e reinterpretazione personale dei Metallica; James Hetfield canta le serratissime strofe con un pulito che non vuole assolutamente imitare l'enorme estensione vocale di Mercury, ma rimane nella sua chiave senza tuttavia distaccarsi dalla linea vocale originale. Non si tratta quindi di una band che ne imita un'altra ma di una band che rende omaggio ad uno dei gruppi più importanti ed influenti nel panorama rock; sembrerà paradossale, ma alle volte il miglior modo per rendere omaggio ad un artista è rivisitare le sue canzoni senza cercare di scimiottarlo. Anche per quanto riguarda il testo, i 'Tallica trovano in queste parole uno scenario molto conforme alla loro attitudine metallara, altra prova che dimostra quanto sia stata azzeccata la scelta di "Stonce Cold Crazy" come pezzo da coverizzare (anche perché ad eseguire "Bohemian Rhapsody" proprio non ce li avrei visti). Le liriche narrano il bizzarro sogno di un istrionico personaggio che dormendo "sonoramente" al sabato mattina, indizio che probabilmente ha passato il venerdì sera a far baldoria, sogna di essere il famoso gangster Al Capone, intento a ripulire la città dai suoi rivali e gestendo i suoi affari mafiosi; immediatamente braccato dalle sirene della legge deve darsi alla fuga per fuggire da quella folle esperienza onirica tanto veritiera da renderlo completamente folle. La fantasia tuttavia prosegue ed ora il boss si trova nel suo appartamento a suonare il trombone durante un piovoso pomeriggio degli anni venti, la noia ormai lo pervade ed eccolo nuovamente darsela a gambe dalla pazzia che ormai si è impossessata di lui: ora è sulla strada e con il suo mitra tommy gun si diverte a sparare ad ogni persona che incontra: sembrerebbe una vera e propria mattanza, se non fosse che la sua arma è ad acqua, quindi la ferita più grave che le vittime possano riportare è giusto un alone sui propri vestiti; nonostante si tratti di ilarità il giudice emette lo stesso un mandato di cattura, ecco che allora il nostro gangster burlone ruba un'auto per scappare dai poliziotti che lo inseguono e la corsa si snoda per tutte le strade della città fino a quando la macchina non resta a secco di benzina; la rocambolesca fuga si conclude ed il nostro Al Capone picaresco viene imprigionato: la condanna è definitiva, non andrà mai in paradiso ma resta per lui la magra consolazione di poter sempre evadere da quell'antro oscuro che è la sua pazzia.

The Wait (live)

Passiamo ora all'altra cover presente in questo singolo: "The Wait" (trad. "L'attesa"), brano originariamente composto dai Killing Joke e presente sul loro disco omonimo di debutto del 1980. I Metallica lo hanno già coverizzato all'interno di "The $5.98 EP -Garage Days Re-revisited", ma ora bisogna testare la resa della cover dal vivo. Il pubblico è sempre euforico e fra le urla deliranti ecco emergere il sinistro fraseggio di chitarra: solo due note, solo un semitono di differenza tra una e l'altra, eppure l'alone di tenebra che esse ricreano sembra essere uscito direttamente dalle mani di Tony Iommy dei Black Sabbath per celebrare un funerale in una valle dimenticata durante una notte piovosa . Ad appesantire ancora di più l'atmosfera subentra un riff in palm muting di chitarra granitico e possente, l'utilizzo dell'accordatura in re delle sei corde conferisce agli sviluppi una notevole potenza, che le mani dei due axeman sanno sfruttare sapientemente a loro vantaggio per incattivire ancora di più un brano che, all'origine, fu pubblicato a ridosso dell'esplosione del Punk in Inghilterra. Il tachimetro aumenta di giri, la batteria si lancia in un tempo in quattro quarti che sostiene una strofa decisa ed incalzante; immediatamente è il groove a spingere i nostri colli a fare headbanging sotto quella che è ormai una canzone heavy metal a tutti gli effetti. Le pennate decise sostengono le frasi serrate delle strofe, intervallate fra loro da un fraseggio melodico incisivo prima di riprendere a martellare con il palm muting. Il drumming, come di consueto, è lineare e marcato, Lars Ulrich non si sbilancia troppo nell'eseguire ricami ritmici che snaturerebbero il pezzo e che, come accennato più volte, non fanno nemmeno parte del suo modo di suonare. La vera e propria chicca della traccia sta nel ritornello: da un procedere serrato e claustrofobico della strofa ecco entrare imperiosi i power chord aperti, un espediente sicuramente vincente per offrire maggior respiro e dar modo ad Hetfield di lanciarsi nella pronuncia del titolo del brano, indugiando sulla seconda parola e concedendosi qualche vocalizzo per seguire la tonalità ascendente dello sviluppo. Per rendere maggiormente dinamica la cover, Hammet si cimenta in una piccola parentesi solista, assente nella versione contenuta in "Killing Joke", e qui l'astuzia del moro chitarrista dei Metallica sta proprio nell'eseguire un assolo che si adatta benissimo alla melodia generale, non siamo di fronte quindi alla classica cascata di note serratissime, ma possiamo apprezzare invece un'esecuzione più in stie hard rock, eseguita con il solito wah wah, che va ad amalgamarsi in maniera molto fluida agli accordi principali, un arricchimento quindi, piuttosto che un solo così come siamo abituati ad intenderlo solitamente nei pezzi dei Four Horsemen. Le liriche di Jaz Coleman (frontman dei Killing Joke) seguono perfettamente lo stile dark che in quegli anni veniva portato in auge anche da Robert Smith dei The Cure: non si tratta del classico testo di protesta contro il sistema che ci si immaginerebbe da un brano del filone punk, ma di un testo che si immerge nell'abisso oscuro di un'anima tormentata che si trova perennemente in disappunto nel vivere immerso in una società distorta come quella moderna: giorno dopo giorno, la monotonia modifica solo apparentemente quello che è lo scorrere lentissimo di un tempo atto ormai a scandire solo la decadenza umana, le fiamme dell'indifferenza degli esseri umani, inesorabilmente incatenati nella prigione della loro vita, non fanno altro che illuminare le maschere di finto benessere che essi portano sul volto. Seduti sulla riva di un fiume, non possiamo fare altro che ammirare attoniti le acque inquinate nelle quali galleggiano ormai i cadaveri di un'esistenza felice e dimenticata. Siamo negli anni ottanta, l'epoca in cui l'Inghilterra vive una sua nuova rinascita economica sotto il governo di Margaret Tatcher, conservatorismo e liberismo mescolati insieme sembrano dare agli Inglesi un motivo di gioia e fiducia nel futuro e nel progresso, ma l'avanzamento altro non fa che nascondere un decadimento strutturale di cui noi, perenni disagiati, restiamo in trepidante attesa. Basta risvegliarsi dal sonno ed aprire gli occhi per notare come tutto questo perbenismo irrazionale sia costruito solo per dare l'impressione che tutto vada bene: come una donna ormai anziana cerca di mascherare i segni dell'età attraverso un look esageratamente giovanile, tanto da apparire quasi grottesca, allo stesso modo la modernità ci ipnotizza con grandi pubblicità televisive e slogan inneggianti al futuro migliore, un avvenire che tutti aspettano con ansia ma che solo noi, poveri eroi romantici cronologicamente fuori posto, attendiamo con la consapevolezza che esso non arriverà mai, anzi, sarebbe più facile si presentasse d'innanzi a noi il proverbiale Godot piuttosto che un presente prossimo nel quale tutto va bene solo sulla carta. Tutti questi pensieri nati in menti malate non fanno quindi che creare in noi una nuova, ennesima, visione distorta di quella che è un'esistenza votata alla rovina.

Damage, Inc. (live)

Giungiamo ora al vero e proprio flash back nella carriera dei Metallica con "Damage Inc." (trad. "Danno Incorporated", nome di una metaforica società atta alla distruzione delle masse); abbiamo avuto la prova che in sede live le cover realizzate dalla band vengono molto bene, ma è con i grandi classici che viene raggiunta l'apoteosi espressiva dei quattro cavalieri californiani. "Master Of Puppets" è infatti uno di quei dischi sbalorditivi dall'inizio alla fine; all'interno di esso non vi sono canzoni migliori di altre, tutte sono emozionanti allo stesso modo ed ascoltarle skippando da una all'altra quasi danneggia quella che è la resa perfetta di un lavoro che va lasciato scorrere nel lettore dall'inizio alla fine. Pur trattandosi della traccia conclusiva sia del disco di provenienza che di questo singolo, essa risulta essere quella attesa con maggior trepidazione, in quanto evergreen indiscutibile della band di Los Angeles. Il pubblico non può fare ameno di far venire giù il mondo intero con il proprio entusiasmo e per un pezzo del genere non serve nessuna presentazione: solo i quattro colpi sul charleston ed ecco i famosissimi stacchi netti e serrati che da soli annunciano quella che successivamente arriverà come una mazzata thrash metal in piena faccia. La velocità aumenta, dai quarti si passa agli ottavi per poi esplodere in una cavalcata da mosh pit spacca ossa, di fronte al proverbiale tupa tupa non si può restare fermi e le chitarre, taglientissime e granitiche, mitragliano imperanti un terzinato che ci condurrà presto all'aldilà. Sull'album come sul palco, la band suona coesa e compatta, nonostante al basso vi sia Newsted al posto di Burton, ma il bassista dei Flotsam & Jetsam non snatura assolutamente quanto fatto dal suo glorioso predecessore, anzi fa sua una parte di basso dinamica ed energica che sostiene tutta la struttura ritmica del pezzo; poche storie, sono questi i pezzi che i Metallica devono continuare a fare, hanno sì dato prova di pezzi convincenti anche se diversi come "Mama Said" e "King Nothing", ma perché accontentarsi di una Bmv quando si può avere direttamente una Ferrari? De resto, se delle quattro canzoni del singolo questa è l'unica durante la quale il pubblico non cessa mai di far sentire il proprio supporto facendo da sottofondo costante all'intera esecuzione ci sarà ben un motivo; Hetfield, la cui voce risulta molto più matura rispetto a quella del giovane che incise "Master Of Puppets", risulta essere ormai un vero e proprio domatore di folle, completamente a suo agio di fronte alle glandi platee osannanti a cui non esita a regalare, di volta in volta, la sua performance migliore. Stesso dicasi anche per Kirk Hammet e Jason Newsted, i quali, si dimostrano dei veri e propri maestri in fatto di pulizia esecutiva di un brano che non manca di causare tendiniti e dolori lancinanti data la sua estrema velocità. L'unico a risultare leggermente sottotono rispetto al passato è Ulrich: se nelle esecuzioni precedenti, notevolmente più lente, suonava preciso e potente, su "Damege Inc." iniziano a farsi sentire la fatica ed un esercizio sullo strumento forse dato per scontato; d'altra parte, dopo anni passati a suonare Hard Rock è difficile tornare alle velocità serratissime del thrash senza un bel check up batteristico, a sopperire alle imprecisioni per fortuna troviamo una batteria equalizzata in modo tale da far trasparire i suoi colpi potenti ed energici anche quando magari sono dati un po' di fretta cercando di star dietro a tre colleghi notevolmente più in forma. Tra i vari pezzi dei Metallica, questo è uno di quelli il cui testo risulta volutamente anticonformistico: una vera e propria accusa urlata in faccia ai politici ed alle grandi multinazionali che non fanno altro che arricchirsi alle spalle dei poveracci che ogni giorno si spaccano la schiena lavorando come schiavi. Mentre la maggior parte della popolazione mondiale vive in ginocchio, cercando di tirare la cinghia per avere da parte quel piccolo gruzzoletto che consenta di vivere in maniera dignitosa, vi è quella ristretta cerchia di persone che ai piani alti si ingrassa con il sudore dei meno fortunati. Questa classe di "potenti" (in quanto tali giusto per il fattore economico) non si fa il benché minimo scrupolo a compiere azioni anche illegali pur di trarre un beneficio economico, mentre, per contraltare, i lavoratori che fanno i salti mortali per poter pagare le sempre più numerose tasse arrivano a morire di onestà, un macabro paradosso che trasforma le persone oneste in stupide (e in questo caso ahimè la situazione del nostro paese non poteva essere descritta meglio). Pur essendo stato scritto nel 1986 da quattro ragazzini cresciuti nei "bassifondi", successivamente divenuti miliardari, questo testo risulta ancora fortemente attuale: i ricchi sfruttano i poveri fino alla loro ultima goccia di sangue, tutto è programmato per essere la perfetta attuazione della manovra economica della "Damage Incorporated": i Metallica descrivono tutto il marcio di questo mondo malato rappresentandolo come un'immensa multinazionale che detiene il monopolio; non si tratta quindi di raggirare gli altri secondo questi "manager", ma di business. Loro svolgono solamente il mestiere, se poi, nel condurre questa serie di profitti, una miriade di persone viene ridotta alla fame non può essere certo colpa loro, ma solo una fredda e sterile attuazione della fredda legge di mercato. Il loro cappio si stringerà sempre di più attorno al collo già sottile dei portafogli altrui fino al definitivo soffocamento ed il filo conduttore di questa enorme azienda viene recitato quasi fosse uno slogan: nei primi tre versi viene quindi descritta la "mission" di questo marchio e dulcis in fundo, il nome della società viene recitato sottovoce, quasi a nascondere una consapevole colpevolezza che però per legge deve comunque essere nominata, esattamente come nelle postille al fondo degli spot pubblicitari recitate alla veloce giusto per esserci. Ogni giorno la Damage Inc. svolge il proprio compito, storpiando e mutilando un sistema economico già fragile che getta la povera gente direttamente nelle fauci di Cerbero, ma gli affari sono affari, ed ecco che l'economia prende immediatamente il posto della coscienza in questi uomini d'affari senza volto, che non si preoccupano nemmeno quando il loro stesso riflesso allo specchio gli sputa in faccia disgustato. Non sembra quindi esserci nessuna soluzione possibile: la maggior parte della ricchezza mondiale sarà sempre detenuta da una ristretta parte di popolazione e finché non verrà attuata una rivolta su vasta scala, il sudore dei lavoratori andrà per sempre a lucidare i mocassini di questi manager malvagi e senza ritegno.

Conclusioni

Dei singoli pubblicati finora dai Metallica nella seconda metà degli anni novanta, "Live In London - Antipodean Tour Edition" risulta essere quello più convincente sotto tutti gli aspetti. Pur non trattandosi di brani in studio, la scelta delle tracce live risulta anzi essere la soluzione migliore che i Four Horsemen potessero fare, dato che su un palco i Metallica danno sempre il meglio della loro maestria. Grazie alle tecnologie ed allo staff che la band possedeva all'epoca (e possiede tutt'ora) viene ripreso fedelmente il meglio di quanto fatto dal gruppo durante lo show londinese: i suoni sono limpidi e ben equalizzati senza però perdere quella "grezzura" che rende autentiche le registrazioni dal vivo; la post produzione infatti si è semplicemente limitata ad eliminare solo le scorie che possono capitare durate i concerti, come gli eventuali fischi o rientri dei microfoni, e anche quando essi "scappano" durante lo show, lo staff del concerto provvede immediatamente ad eliminarlo affinché non interferisca con le esecuzioni dei brani. Non essendoci ancora i dvd nel 1998, i live album erano, e sono ancora, un'ottima soluzione per regalare ai fan una testimonianza dello spettacolo in questione e questo singolo si presenta quindi come una vera e propria chicca per i collezionisti amanti dei 'Tallica. Anche la scelta delle canzoni inserite ne rende la scaletta un piccolo "best of" di quanto James Hetfield e soci potessero presentare dal vivo: dai brani attuali con "Bleeding Me", alla stravaganza delle due cover fino al ritorno ai classici con "Damage Inc."; su ognuna di esse poi, il gruppo offre al proprio pubblico una performance senza eguali, che può rallegrare i seguaci della vecchia guardia: anche se i Metallica hanno provvisoriamente perso l'attitudine, dal vivo sono la macchina da guerra di sempre. Quando anche l'energia live della band verrà meno sarà allora il definitivo e funesto segno che i Four Horsemen sono giunti definitivamente alla fine della loro cavalcata, ma finché ci regaleranno prove dal vivo di questo spessore non possiamo far altro che scuotere le nostre teste, nell'attesa di poter avere finalmente l'occasione di poter presenziare di persona ad un loro show.

1) Bleeding Me (live)
2) Stone Cold Crazy (live)
3) The Wait (live)
4) Damage, Inc. (live)
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