METALLICA
Live at Wembley Stadium
1992 - Vertigo Records
LORENZO MORTAI
22/10/2015
Introduzione Recensione
Il 1991 è stato un anno strano per la musica alternativa e non solo, per alcuni aspetti veramente funesto, per altri positivo, per altri ancora un anno a cui una definizione è davvero difficile da trovare. Cercate di immaginare lo scenario che si palesava in quegli anni: la cortina di ferro era ormai solo un ricordo da almeno 700 e più giorni interi, eppure quei meccanismi che regolavano i precedenti 30 e più anni di Guerra Fredda, avevano letteralmente gelato il calcio nelle ossa delle persone, facendo scendere sulle loro menti ormai libere, una fitta e perenne coltre di ghiacciata neve. Per quanto le frontiere fossero ormai aperte, e per quanto tutti noi fossimo liberi di muoversi (chi vi scrive è nato esattamente un anno dopo la caduta del muro) c'era ancora quel sentore di gelo fra le nazioni, gelo che, sembra impossibile, ma permane ancora, seppur in minima parte, ai nostri giorni. Gli Scorpions avevano deciso di omaggiare quel grande evento con la famosa Wind Of Change, una melanconica ballata in La di Rock maggiore che divenne subito uno dei brani più apprezzati della band, nonché uno dei simboli degli anni '90 stessi. Oltre alla caduta del muro, che ovviamente è annoverabile fra gli aspetti positivi, il 1991 verrà ricordato anche per altre cose: come ad esempio il 24 Settembre, quando la Geffen Records diede alle stampe quello che probabilmente è considerato come uno dei dischi più controversi, amati, odiati, denigrati e consumati della storia musicale. Non vi viene in mente cosa potrebbe essere? Vi do un piccolo indizio: sulla copertina abbiamo un poco pudico bambino dentro una piscina, che pare inseguire un dollaro attaccato ad un filo da pesca, esatto, parliamo di Nevermind, primo ed assoluto viatico del Grunge firmato Nirvana (anche se è bene ricordare che il Grunge stesso ha radici leggermente più arretrate nel tempo, almeno di 2/3 anni abbondanti). Un disco che spaccò letteralmente in due l'intera popolazione dell'ascolto alternativo, fra nuove leve che ci leggevano "genialità" scritta sopra a caratteri cubitali, ed i virgulti che invece avrebbero preferito dargli letteralmente fuoco, specialmente se erano fan di un certo Mr Heavy Metal nato molti anni prima, e che negli anni '90 iniziava a non cavarsela più tanto bene. In tutto questo vortice di emozioni, sensazioni, sputi contro la musica che stava nascendo, inseriteci anche un'altra band, una band di adamantio puro, una band destinata a rimanere indelebile nella storia musicale come il marchio a fuoco rimane sulla pelle dei capi di bestiame quando vengono segnati, una band che risponde al nome di Queen. Le regine inglesi, che si erano formate ormai nel lontano 1970, nell'anno che stiamo descrivendo avevano ormai letteralmente invaso le strade del mondo, tutti, ma proprio tutti, li ascoltavano, tutti quanti amavano il loro estro compositivo, quella vena artistica che pareva non esaurirsi mai, specialmente da parte del loro carismatico frontman, il sempiterno Freddie Mercury. Nel 1991 Freddie non se la passava molto bene, come purtroppo poi la storia vera ci ha raccontato; era malato da tempo, di AIDS, e tutti i vani tentativi di nascondere la propria malattia, per rispetto atavico e perenne verso i fan (compresa l'esibizione di un falso test negativo all'HIV nel 1990), furono assai vani, perché in fan stessi vedevano la sofferenza dipinta sul volto del loro idolo nelle ormai pochissime apparizioni pubbliche. Nonostante la malattia, nonostante tutto, i Queen comunque riuscirono il 14 gennaio 1991 a dare alle stampe Innuendo, album storico della discografia regia degli inglesi, migliaia di copie vendute, e l'ennesima pagina di storia assicurata in eterno. Abbiamo prima segnato la data dell'avvento di Kurt Cobain e soci, 24 Settembre, bene, spostiamo il calendario a due mesi dopo, anzi, due mesi ed un giorno prima, 23 Novembre 1991, quando il mondo vide confermate dalla stessa persona che le aveva così spudoratamente negate, le voci sulla sua malattia. Freddie Mercury, con un comunicato stampa ormai ricolmo del dolore che stava provando, annunciò al mondo di essere malato di HIV; il giorno dopo aver rilasciato il comunicato, il 24 Novembre, Freddie si spense per una broncopolmonite (ovviamente accentuata dai drammi della malattia) nella sua casa di Earls Count, a soli 45 anni. Si era spenta una leggenda, quella voce così cristallina, quella potenza inaudita, quella versatilità nel passare da strappalacrime ballad lente e sontuose, a brani veloci e maledettamente rock, non ci sarebbe più stata, ed il mondo intero era diventato leggermente più buio. Ovviamente la notizia della morte di Freddie rimbalzò come impazzita da un capo all'altro del globo, infestando come un morbo le menti degli ascoltatori, degli appassionati, ma anche della semplice gente per la strada. Pochi mesi dopo la scomparsa di Freddie, nel 1992, durante gli annuali Brit Awards, Roger Taylor e Brian May annunciarono al mondo il loro enorme progetto: creare un maxi-evento in onore di Mercury, per omaggiare la sua memoria e rendere ancora più immortale il suo operato. Fu così che nacque il "Freddie Mercury Tribute Concert", l'evento andò presto esaurito (i 72.000 biglietti a disposizione andarono via in circa quattro ore, e la maggior parte furono acquistati senza neanche sapere chi avrebbe suonato sul palco, tanta era la voglia di poter dire negli anni futuri "io c'ero"), e si svolse il 20 Aprile 1992 presso il grande Webley Stadium di Londra, già teatro di svariate storiche esibizioni degli artisti più influenti del pianeta (Queen stessi). I proventi del concerto vennero dati in beneficenza, e l'evento stesso venne trasmesso in mondovisione, fino a raggiungere (secondo le stime) la platea televisiva ufficiale di ben 1 miliardo di persone, uno dei record di questo secolo. Su quel palco ci sono saliti veramente tutti, molti dei quali suonarono assieme ai Queen stessi (come Elton John, George Michael, David Bowie, Axl Rose, Gary Cherone, Liza Minelli e Robert Plant), ma l'evento iniziò fin dal pomeriggio, con l'esibizione di alcune band "crude", senza il feat con la band inglese (fra cui spiccano i nomi dei Guns'n Roses, degli Spinal Tap e degli Extreme). Fra queste band esibitisi "da sole", dominarono la scena i nostri Metallica, che proposero tre brani estratti dal loro ultimo lavoro, quel Black Album tanto criticato e tanto osannato al tempo stesso. Quel live fu l'ennesima testimonianza della potenza di una band nata ormai molti anni prima, e che se cominciava a vivere la sua seconda decade con uno stuolo di fan ben diverso da quello del 1982, ancora sapeva infiammare le folle. Da quella micro esibizione (che proseguì poi con il feat fra i Queen ed il solo James Hetfield, che intonarono Stone Cold Crazy) venne estratto il classico singolo "da Metallica", uno dei tanti feticci prodotti dalla band californiana, ma tanto cari ai fan. Questo in particolare, intitolato semplicemente Metallica - Live at Webley, venne dato alle stampe dalla Vertigo Records, ed uscì il 27 Aprile del 1992 in formato CD; il logo dei metallica "old school", la maschera teschiata con la cresta che tanto cara fu alla band nella prima parte di carriera, campeggia sulla copertina, inserita su di uno sfondo bianco macchiato, quasi come se il CD lo avessimo trovato a fine concerto per terra, calpestato dai piedi di tutti, e avessimo deciso di portarlo a casa ed inserirlo nella nostra collezione; ma direi che è arrivato il momento di estrarre il cd dalla custodia, infilarlo nel lettore, e sentire i caldi animi dei "72.000 di Wembley" prendere vita per i nostri Metallica, ed ovviamente per il grande e compianto Freddie.
Enter Sandman
La scelta dei brani evidentemente non fu facile, ma il quartetto californiano, nella fattispecie è supponibile che siano stati Ulrich ed Hetfield a scegliere i brani, optò per una soluzione discreta: un brano melanconico e due leggermente più caustici per scaldare gli animi della folla. Ed è proprio con uno di questi due che si parte, con una delle tracce simbolo del gruppo, Enter Sandman ( Entra L'Uomo del Sonno); ancor prima che la band faccia il suo ingresso sul palco, si sente la folla diventare un vero e proprio oceano di grida e fischi positivi, finché il classico suono della chitarra di Hammet non da il La al pezzo. Un pregevole riff di chitarra prima leggermente accennato, da il suo contributo alla prima parte del brano, finchè anche Lars non fa il suo ingresso sul palco stesso, iniziando prima a toccare dolcemente i piatti, poi a martellare i tom e la grancassa con un ritmo quasi da marcia militare, dando il tempo anche a James e Jason di palesarsi, il primo duettando con Kirk grazie al main theme della prima parte di brano, il secondo scandendo il tempo assieme a Lars e piroettando su sé stesso come un ragazzino in preda all'eccitazione più totale. Il brano poi, dopo aver montato la propria energia per i primi secondi, esplode in un cadenzato ritmo ossessivo e continuo, con tutti gli strumenti che all'unisono ci sparano le note in faccia. Il proseguo del ritmo compulsivo continua finché la graffiata voce di James si frammenta nelle nostre orecchie, iniziando la sua arringa del caos. Si prosegue così, con le immagini e l'audio del pubblico che letteralmente esplodono nelle nostre orecchie, mentre i Metallica continuano a batterci sul cranio senza volerci lasciar andare; tutto questo fino all'arrivo del celebre ritornello, in cui si gioca fra i cambi di tempo strofa/testo, dando ancora più energia al brano stesso, e lasciandoci il tempo di alzare la voce e cantare con loro. Una volta finito il ritornello, è il momento di tornare al fil rouge del brano, con il ritmo che continua a darci scosse e pugni come se il domani fosse solo un lontano ricordo, e noi non possiamo far altro che rimanere lì a prenderle. Da sottolineare in questa seconda parte sia l'ottimo lavoro di Jason al basso, le cui spesse corde vi posso assicurare che, almeno per una volta nella sua carriera, si sentono eccome; sono corde di annichilimento della nostra anima, le sue mani si muovono come impazzite su quel grosso manico, producendo un'allegra danza di devastazione. Come, peraltro, è da sottolineare il grande lavoro di Kirk alla chitarra, il quale, mentre James continua a suonare il main theme del brano, ricama sopra alla chitarra di Hetfield con riff di ottantiana memoria, puliti e taglienti, dei piccoli accenni del suo essere fondamentalmente un chitarrista Thrash, e non perde alcuna occasione per ricordarcelo. Si arriva, continuando in ordine, al secondo ritornello, un altro cerchio si chiude, ed il brano ormai ci è già entrato in testa , i cori fra James e Jason si sprecano, duettano all'unisono per rinverdire ancor di più la sete di potere del brano, un altro riff, stavolta nettamente più lungo e corposo, di Kirk, e la folla implode su sé stessa per la pioggia di note prodotta. Finché ad un certo punto il brano sembra ritornare nella posizione iniziale, quel martellante ritmo che aveva fatto da apripista per la traccia stessa, si ripete, stavolta però con l'ausilio di voci registrate in sottofondo, che rendono il tutto ancor più lugubre e spettrale di quanto già le liriche non siano. Rientra James che ci continua ad arruffare il pelo dal suo alto pulpito metallico, finché, al segnale di Lars (una progressiva accelerata sulle pelli) il brano nuovamente ci fa saltare dalla sedia e ri-esplode nelle nostre orecchie, sangue ovunque, ma siamo comunque soddisfatti. Alcuni "Yeah!" di James, ormai divenuti famosi quanto la Coca Cola, ci accompagnano nella deflagrazione finale, in cui il brano diventa sempre più cacofonico, fino a sublimarsi in una enorme orgia di note lanciate letteralmente sul pubblico, con Lars che si alza in piedi quasi a voler spaccare i piatti con le bacchette, Kirk che ci regala l'ultimo ricamo del pezzo con la sua chitarra, e James che se la ride di fronte alla folla oceanica che ha dinnanzi agli occhi, brusco stop, ed il brano è finito. Le liriche, che penso ormai conoscano anche i muri, sono impregnate dei colori di un incubo: incubo che però ha radici affondate nell'inchiostro fumettistico. Sandman infatti è il protagonista dell'onirica serie a fumetti creata da Neil Gaiman proprio nel 1991, un metafisico viaggio fra notte, sogni infranti e tanta psichedelia, fino a non ricordarsi più chi si è. I Metallica cavalcano l'onda del fumetto prodotto da Gaiman, estrapolandone il concetto dell' "uomo del sonno", una specie di orco del male che bussa alle porte dei sogni e ti porta via con sé. Il bambino protagonista del brano viene messo a letto, consapevole del fatto che come si addormenterà, l'uomo del sonno verrà a fargli visita, quindi gli viene consigliato di dormire con un occhio aperto, onde evitare di non accorgersi della sua venuta. Sono liriche che traboccano buio ed oscurità da ogni poro, impregnate di quel senso di paura che tutti noi abbiamo avuto almeno una volta andando a letto, e cioè che potesse venire qualcosa a prenderci letteralmente di peso e portarci con sé in un putrido antro della nostra psiche, per mangiarci vivi. I Metallica danno vita a questo incubo su gambe inserendolo in una musica martellante e dai toni altrettanto oscuri, fornendo la progenia per questa nuova razza del male; mentre si ascolta il brano, veramente si ha l'impressione di trovarsi nel letto accanto a quel povero bambino, fino quasi a fonderci con la sua stessa mente, ed avere anche noi la nostra visione dell'uomo del sonno. Probabilmente uno dei brani divenuti più celebri della formazione californiana, Enter Sandman ci si palesa nelle orecchie col suo carico di notte e famelica voglia di sbranarci ogni pezzo di carne che compone il nostro corpo; avremo anche noi il nostro uomo del sonno, ed esattamente come il bambino del brano, dormiremo con l'occhio aperto, sognando di volare via verso la terra immaginaria, un luogo prodotto dalla nostra strenua fantasia in cui rifugiarsi e cercare un po' di pace, ma non potremmo mai scordarci che l'orco ormai è parte del nostro essere, e non si nasconde soltanto nei nostri sogni, egli è sotto il letto, nell'armadio, persino nella nostra stessa testa, ogni volta che chiudiamo gli occhi, ogni volta che le palpebre si faranno pesanti, lui ci sarà, ci sarà e la sua putrida mano si allungherà per afferrarci il collo.
Sad But True
Il secondo brano "agitato" del platter, quel che scalda ancor più gli animi della folla sottostante, viene annunciato da James stesso dopo essere rientrati sul palco, e già all'annuncio del titolo, il bagno di folla è assicurato. La traccia scelta è Sad But True (Triste, ma Vero); piccoli accenni dei piatti di Lars e si parte con un ritmo dal sapore nettamente Heavy/Thrash, con tutte e tre le corde che suonano all'unisono, nei toni alti ovviamente troviamo James e Kirk, in quelle basse il buon Jason che picchia come un fabbro. La voce di Hetfield entra quasi subito, ed inizia, come era accaduto per Sandman, ad arringare il mondo con la sua omelia di devastazione. Il brano continua pomposo, imperterrito ed altisonante a scaldarci le orecchie, ed essendo in sede live, il tutto viene reso ancor più "vero" che su CD, donando all'intera canzone un sapore diverso, nettamente più reale, con la folla sotto al palco che spinge, scalcia e urla le parole della canzone. Riprese dall'alto mentre i Metallica suonano ci fanno vedere letteralmente questo oceano di persone che si è ritrovato per omaggiare Mercury, ed i californiani, a cui tocca l'ingrato compito di suonare nel pomeriggio, pare abbiano tutta l'intenzione di rendere il loro personale omaggio al frontman dei Queen, semplicemente spaccando tutto. Il brano è un inanellamento di ritmi pressoché simili, si passa da quello ripetuto che abbiamo sentito ad inizio del brano, ad una leggera accelerata ed alzata dei toni durante il ritornello, in cui l'intero brano gonfia il petto ed assume un tono ancor più muscoloso. Dopo il secondo ritornello, è il momento di un corposo solo di Kirk, che rispetto a quello sentito nel brano precedente, ha un sapore nettamente più Heavy/Southern, con un grande groove che si ripercuote su noi ascoltatori, e di sottofondo sentiamo Lars che gli da il tempo con la sua batteria, mentre James e Jason continuano a scandire le note sulle loro corde, abbassando un po' il tiro e permettendo a Kirk di esprimersi al meglio. Finito il momento solista di Hammet, James si piazza nuovamente dinnanzi al microfono, intonando le parole del ritornello, ma stavolta con cadenzata nettamente più altisonante, scandendo bene le parole e donando all'intera esibizione un sapore quasi epico. Si ha l'impressione di far parte di quel mare di folla sentendo questi brani così, in sede live, la nostra testa si sposta a quel 1992, e ci sentiamo stretti nella morsa del pubblico; finito il momento roccioso di Hetfield, è di nuovo Kirk a prendere lo scettro del pubblico, ma stavolta con un solo più Thrash, saliscendi sul manico della chitarra la fanno da padrone, mentre le sue mani si muovono sinuose sui tasti, facendoci impazzire. C'è tempo però ancora per un ultimo bridge con il main theme del brano, che viene introdotto da un piccolo rallentamento, seguito da una rullata di Lars alla batteria; Hetfield di nuovo ci intona il ritornello, e come era accaduto anche per la traccia precedente, il pezzo prima esplode, diventando un vortice di suoni sempre più indistinguibili fra loro, e poi, esattamente come era arrivato, sfuma delicatamente, prima di stopparsi in maniera brutale, come una pugnalata, ma ormai siamo in estasi da cinque minuti che sono appena trascorsi. Le liriche sono un altro prestampato dal mondo degli incubi che corrono su note; l'ispirazione è venuta da un vecchio film del 1978 ad opera di Richard Attenborough, intitolato "Magic - Magia". Nel film vediamo un mago fallito che, dopo aver tentato la strada della prestidigitazione, fallendo miseramente, si da al ventriloquo, con il suo pupazzo Forca (Fats, nella versione originale); ben presto però il giocattolo prenderà piede sull'uomo, iniziando a parlare da solo e trasformandolo in un assassino . Si tratta di un horror psicologico di grande impatto e da arrovellamento di cervello perenne, in cui si cerca di spiegare l'effimero confine che c'è fra realtà e finzione, infatti non riusciamo mai a capire se il pupazzo abbia veramente vita propria, e quindi influenzi la mente del protagonista, o se sia il protagonista stesso ad essere dissociato mentalmente, imprimendo parte della sua follia nel pupazzo, ed agendo come se fosse "qualcun altro" a dirgli di farlo. Le liriche dei Metallica prendono la parte di Fats (doppiato nel film da Anthony Hopkins), che parla direttamente alla mente del protagonista, definendolo il suo capro espiatorio, i ruoli si sono invertiti, adesso è l'uomo ad essere marionetta. E così il nostro pupazzo ordina all'uomo di fare quel che lui vuole, orge di sangue pervadono la sua mente, egli la sta controllando, sa bene che l'uomo non gli dirà mai di no, perché ormai il pupazzo è il suo unico e vero amico, il solo che gli sia rimasto, senza di lui non è niente, nessuno, soltanto un altro cadavere che presto finirà nel fosso. E tutto questo, parafrasando il titolo, è tanto triste, quanto vero; quando si è veramente soli, ci si aggrappa a tutto pur di non rimanervi, anche ad un essere demoniaco come questo giocattolo, che ci impregna la mente di desideri omicidi, e che ci fa imbrattare le mani di sangue. Quando ti rendi conto che la tua vita non vale più niente, ti accorgi che farti controllare è la cosa più banale del mondo, tutti possono farlo, chiunque può essere i tuoi occhi e muoverti come un burattino, o se volete, come un pupazzo da ventriloquo. La tua bocca non è più tua, le tue mani, i tuoi occhi, niente è più tuo, sei soltanto un maledetto essere vuoto, votato a vita a farsi controllare, e tutto questo è vero, reale, ricolmo di verità, ma al contempo è triste, sadico, malinconico, da far scendere le lacrime agli occhi di chiunque, persino a chi non ha mai pianto nella sua vita.
Nothing Else Matters
Il cerchio di questo omaggio a Freddie Mercury si chiude con quella che è considerabile come la canzone più conosciuta al mondo dei Metallica, anche da coloro che il gruppo non l'hanno mai sentito/apprezzato, ma questa la conoscono sicuramente; coverizzata da chiunque (anche in Italia da un certo Masini, con un titolo diverso e testo in italiano, ma è un'altra storia), parliamo ovviamente di Nothing Else Matters (E Null'altro Importa): Si comincia con un malinconico tema di chitarra, dolce, suonato da Kirk senza l'ausilio del plettro, soltanto con le dita, mentre piano piano Lars inizia ad entrare sula scena, colpendo delicatamente i piatti con le bacchette. Ad un suo accenno di tom, entra anche James, che inizia a cantare, ma stavolta con voce nettamente suadente, ormai i verdi prati del suo essere un frontman graffiante ed affilato come la lama di un coltello sono finiti, il nuovo Hetfield sa anche essere morbido e setoso, come dimostra in questo frangente. Il pezzo prosegue in un progressivo crescendo, sempre con il refrain della chitarra di James e Kirk che si inalbera in note sempre più melanconiche, stringendoci letteralmente il cuore fra le mani. Ovviamente l'intero brano, così come la performance dei Metallica stessi a Webley, è incentrata sulla voce di James, con un sonico tappeto di batteria ad opera di Lars che non pesta duro, ma anzi, sembra quasi accarezzare le pelli del suo set; verso la metà del brano il pezzo sembra accennare ad un rigonfiamento delle proprie note, ma invece di alzare il petto, si lascia spazio ad un altro assolo strappalacrime di Kirk, stavolta incentrato sulla pizzicata ancor più lieve delle corde, che lasciano spazio ad un turbine di emozioni, salvo qualche lieve accenno di note elettriche che compaiono qui e la. Finito il momento solo, si torna al main theme del brano, con James che continua la sua sessione di vocalizzi sempre più alti e profondi, Jason e Lars che dettano il tempo, mentre Kirk ricama con la sua sei corde. Si chiude il cerchio tornando a quell'accenno di muscolatura musicale che avevamo già sentito in precedenza, prima del breve assolo di Hammet, ma stavolta pare che l'esplosione arrivi sul serio, ed infatti l'intera sezione ritmica scoppia in un fragoroso sentore di piatti e tom, una schitarrata acida di James apre le porte a Kirk stesso, che stavolta si cimenta in un lungo assolo dalle forti tinte Heavy Metal, che si protrae per diversi secondi, sempre con quel groove basso di fondo che caratterizzava i Metallica in quel periodo della loro carriera. L'assolo, così come era esploso in tutta la sua interezza di duro metallo, diventa una flebile sessione di chitarra elettrica, accompagnando la voce di Hetfield che ci traghetta verso il roboante finale, in cui con la suadente linea vocale il pezzo viene chiuso intonando le parole del testo, Ulrich da dietro da un'ultima scarica ai piatti, e Kirk lentamente va in dissolvenza con la propria sei corde, fermandosi al momento opportuno. La canzone, perfettamente in linea con la musica che ascoltiamo, è un vortice in cui infilarsi fino a perdere la cognizione di chi o cosa siamo; si parla di amore, amicizia, di quei rapporti talmente viscerali da potersi condensare in un respiro, fino davvero a pensare che nient'altro importa, se non che quella mano così importante per noi non lasci mai la nostra. E ci barcameniamo fra i sentori dell'animo umano, convinti che il viaggio da noi affrontato sarà il più bello del mondo, al diavolo le conseguenze, tutto ciò che facciamo, avrà un senso ed una ricompensa in fondo, costi quel che costi. Navighiamo senza bussola, ma sappiamo benissimo dove andare, se quella persona per cui prenderemmo letteralmente a calci il mondo ed i suoi re sarà al nostro fianco, niente è più importante di lei. Ma è anche una canzone che va contro il sistema stesso del mondo, quello che gioca coi sentimenti, quello che si diverte a schiacciare gli animi delle persone e farne brandelli o coriandoli sanguinolenti da spargere sulla strada; i Metallica ci dicono che a loro poco importa anche di questo, tutte queste dinamiche non gli competono, loro andranno avanti con la loro musica, facendo esattamente quel che vogliono, alla stessa maniera di chi, secondo loro, deve andare a passo fiero nel mondo sentendosi rimbombare nella testa le profetiche parole "null'altro importa". Una canzone che è al passo col periodo che i Metallica traversavano nel 1992; il Black Album aveva spaccato in due i fan, già abbastanza provati da And Justice?, per alcuni fu un colpo di genio, per altri l'ultimo baluardo della band che furono agli inizi degli anni '80. Per chi vi sta scrivendo è più valida la seconda ipotesi, i Metallica con il Black Album hanno chiuso il cerchio, abbracciando una fetta di pubblico più ampia, ma al contempo perdendone anche un'altra abbondante sezione, quella che li vedeva ancora come Speed/Thrasher incazzati ed al contempo geniali, coloro che si, potevano scrivere anche canzoni come One, ma che poi sapevano prenderti a schiaffi con Motorbreath o Call of Kthulu. Rimane il fatto che Nothing Else Matters è una composizione di altissimo livello, ben strutturata, e che non stanca al primo ascolto, ed il pubblico di Webley, come si può evincere dalle urla e dai cori che si sentono in sottofondo, ha dato ragione alla band californiana ed al suo percorso.
Conclusioni
Che dire, nel nostro percorso biografico e viscerale di una delle band al tempo stesso più belle e controverse di sempre, ci sembrava doveroso soffermarci anche su questo piccolo EP live, l'ennesima prova di quanto, alla fine dei conti, i Metallica siano immortali. Ricordo una dichiarazione molto simpatica e contemporaneamente pregna di significato su questa formazione, che recitava "i Metallica li odiano tutti, ma alla fine tutti li ascoltano", ed è maledettamente vero. Niente toglie di considerare gli errori fatti durante la loro carriera, ma altrettanto diventa considerabile la caratura che hanno avuto nella storia musicale, il loro peso e la loro importanza sono scritti nel fuoco. Per quanto riguarda questo EP in particolare, è una piccola chicca per i veri collezionisti, per coloro che vogliono vedersi i loro beniamini in una atmosfera particolare come quella che fu quel grande concerto del 1992; l'omaggio ad uno dei più grandi artisti della storia è stato epico, e vi consiglio ovviamente di recuperarvi sia l'home video (anche se le parti pomeridiane mancano), o ancor meglio il triplo CD/LP prodotto qualche anno dopo, che racchiude quella mirabolante cavalcata sui toni del Rock. James Hetfield poi, come accennavamo in introduzione, si è esibito con i Queen cantando Stone Cold Crazy, brano energico, veloce, ritmata, due minuti di pura e cristallina composizione inglese al massimo della propria forma. E James, dal canto suo, non poté che omaggiare il grande frontman con un tributo mai sopra le righe, ma sempre nel pieno rispetto. E' un live che verrà ricordato per sempre, ed i Metallica ne sono stati una delle vertebre, hanno saputo scaldare il pubblico prima dell'ingresso delle regine inglesi, nel nome di Mercury, nel nome del Rock stesso. Dunque, cari fan del gruppo, se vi siete persi questa piccola perla della discografia di Ulrich e soci, recuperatela, sentirete i vostri beniamini suonare alcuni dei brani che, negli anni successivi, li avrebbero resi ancor più famosi di quanto già non fossero agli inizi dei '90, il tutto inserito in una cornice aulica e meravigliosa come fu quell'enorme evento. Freddie Mercury è stato, e lo sarà per sempre, uno dei fari della musica mondiale, la sua vena artistica, la sua incredibile voce, ma soprattutto la sua umiltà, rimarranno sempre stampati a caldo nelle menti di qualsiasi ascoltatore che si rispetti, come probabilmente al buon James erano rimasti impresso quando, da ragazzo, barcamenandosi fra Motorhead e Venom, udì questa meravigliosa voce che riusciva senza problemi a passare dalle ballad a frizzanti composizioni Hard Rock, senza perdere neanche una virgola della sua beltà. E dunque, quando ahimè è stato il momento, i nostri californiani hanno ben pensato di rendere omaggio con questa piccola sessione della loro seconda parte di carriera, infiammando gli animi, e probabilmente facendo sorridere da lassù anche quel sontuoso uomo con i baffi.
2) Sad But True
3) Nothing Else Matters