METALLICA

Live At Grimey's

2010 - Universal Music Group

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
05/07/2016
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Per quanto i Metallica fossero finalmente ritornati sulla cresta dell'onda dopo il periodo tempestoso e pieno di difficoltà avuto agli inizi degli anni Duemila, ed in tal senso ci basterà ricordare i risultati non proprio eccelsi riscossi dai quattro con il controverso "St. Anger", i Four Horsemen, a seguito della rivalsa riconquistata con il decisamente migliore "Death Magnetic", riscoprirono al tempo stesso il fascino di quell'atmosfera intima che si prova a suonare in una location dalle dimensioni ridotte, di fronte a pochi ma buonissimi fan la cui esaltazione compensa perfettamente quella delle grande arene. Il live album "Live at Grimey's" consiste proprio in questo: non si tratta infatti della registrazione di uno show del gruppo tenuto in chissà quale mega struttura, ma di una esibizione "alla buona" tenutasi il 12 giugno del 2008 nel negozio di dischi "Grimey's Records Store" di Nashville, nel Tennessee , masterizzato agli Universal Master Studio di New York ed edito successivamente, il 26 novembre del 2010. Non aspettatevi perciò i boati sovrumani delle grani platee a cui i 'Tallica sono ormai abituati, né tanto meno i muri di amplificatori faraonici o gli impianti stratosferici che da sempre hanno caratterizzato la backline della band americana. Per questa pubblicazione si fa tutto molto più "in piccolo": spazio ridotto, dotazione ridotta, ma in compenso un'attitudine underground sovradimensionata che riporta Hetfield e soci direttamente agli albori della loro carriera, quando i locali erano il loro campo di battaglia principale e le grandi arene dovevano ancora essere conquistate. Per certi versi, un concerto di questo tipo consiste comunque in una vera e propria prova del nove per i Metallica; quando si è soliti avere migliaia di persone di fronte a sé mentre si suona, si è anche abituati alla comodità di una crew pronta a sopperire a qualsiasi imprevisto tecnico, dalla corda dello strumento che si rompe al guasto più complesso, ora invece i quattro cavalieri del Thrash se la giocano faccia a faccia coi "pochi" presenti, potendoli guardare direttamente negli occhi uno per uno senza l'elevata distanza tra le spie del palco e le transenne; questa performance dunque è tutta nelle loro mani ed ogni minimo particolare, positivo o negativo che sia, sarà immediatamente notato dal pubblico senza toppe provvisorie di sorta. Tale peculiarità però non è da viversi come un fattore d'ansia, anzi, per James Hetfield, Lars Ulrich, Kirk Hammet e Robert Trujillo, questa occasione assume i veri connotati di una festa, alla quale si viene invitati a seguito della profonda amicizia con l'organizzatore ed alla quale si partecipa più che volentieri anche se le condizioni sono ben diverse dalle normali "clausole standard" di lavoro. Quell'enorme massa di fan in delirio il cui enorme numero fa apparire ognuno di loro quasi come una amorfo senza volto, ora si mostra in maniera molto più nitida: il musicista vede davanti a sé chi lo ascolta potendone osservare ogni minima movenza, facendogli rivivere quel romantico flashback verso gli inizi della carriera, quando concluso un pezzo ogni istante di silenzio prima dell'applauso risultava eterno. Per l'occasione, i 'Tallica hanno preparato una scaletta succosa ed accurata per i loro fan, nella tracklist sono infatti presenti solo grandi classici che non varcano la soglia di "Reload" come uscita (la più recente delle nove infatti è "Fuel", opener del disco pubblicato nel 1997); trovandoci in un negozio di dischi, si vuole quindi metaforicamente omaggiare gli album che nel grande passato dell'era discografica venivano bramati dagli appassionati venendo ricercati direttamente sugli scaffali. Non bisogna essere troppo avanti con l'età infatti per ricordare il periodo d'oro in cui il nostro negozio di fiducia veniva preso letteralmente d'assalto in concomitanza con una nuova uscita, il cui campionario veniva accuratamente scandagliato fino a trovare ciò che era l'oggetto della nostra ricerca. Dal punto di vista grafico, Hetfield e soci si riallacciano direttamente allo stile old school per questo prodotto: l'idea concettuale del soggetto è semplice, ma al tempo stesso efficacissima per farci quasi sentire l'odore dello store riconvertito a sala concerto ed il sudore dei presenti intenti a scatenarsi: logo del gruppo in bianco, rigorosamente ispirato alla primissima versione, titolo scritto in font imitante il tratto grafico a mano e, agli angoli del quadrato dell'immagine, uno scatto di ognuno dei quattro musicisti, sostenuta da un registro cromatico dalle tonalità prevalentemente calde sul modello delle illuminazioni di uno show. Un'immagine particolarmente forte e diretta dunque, così come altrettanto forti e diretti devono uscire gli accordi ed i tempi di quei pezzi. I Metallica di questo disco si scindono in due: da un lato troviamo il lato leggendario della band, il cui nome ha toccato ogni angolo della terra con i suoi storici tour, dall'altro, quello più espressamente fisico, troviamo invece quattro musicisti che, se non conoscessimo bene il loro curriculum, potrebbero essere i componenti di una band come tante, che si sta preparando ad iniziare la propria serata "nel localino sotto casa" con solo una batteria, tre amplificatori, un impianto voce ed i loro strumenti, vediamo dunque come se la cavano.

No Remorse

Ad aprire le danze troviamo "No Remorse" ("Nessun Rimorso"), estrapolata direttamente dal full lenght d'esordio "Kill 'Em All". Fin dai primi istanti si avverte subito che l'atmosfera generale del live è molto più casalinga: Hetfield testa rapidamente il volume della sua chitarra con una schitarrata veloce e gli schiamazzi del pubblico non sono più quei boati enormi dei live storici del gruppo, ma si presentano come rumori più netti e riconoscibili, facendoci capire che i presenti sono meno e molto più vicini alla band. Anche il modo di porsi del frontman verso di loro è molto più colloquiale ed immediato; non sappiamo di preciso quanti fossero i presenti a questo concerto, ma sicuramente non siamo di fronte ad una massa oceanica, ergo nel presentare il pezzo il musicista di Downey si pone come se stesse parlando a degli amici di vecchia data, conferendo al momento anche un tocco più esclusivo. Nonostante i quattro scherzino sulla "novità" del pezzo che andranno ad eseguire, agli astanti basteranno le prime note per capire che si tratta di un grande classico e non si può far altro che alzare le corna al cielo. Il pezzo parte serrato ed immediato, pur avendo una dotazione strumentale minore, la resa generale è molto compatta e potente, i Metallica suonano infatti molto meglio di tanti altri estrapolati live che abbiamo ascoltato, grazie anche ad un soundcheck ben curato e ad una strumentazione che seppur limitata è stata settata al meglio. Il main riff di chitarra, una sequenza di note che ogni metalhead che si rispetti non può non conoscere, suona infatti ben definita e piena di tiro, facendo scorrere in maniera gradevolissima il pezzo, gli stacchi precedenti al ritornello poi sono serrati e precisissimi, ciò è dovuto anche al fatto che i musicisti, trovandosi in uno spazio ridotto più simile come conformazione ad una sala prove, riescono a sentirsi meglio ed a suonare di conseguenza. La batteria infatti, pur non avendo il set di amplificazione solito delle grandi esibizioni, esce comunque limpida e ben riconoscibile, anche se di volume più basso del solito, e le sei corde ci arrivano compatte e solide, amalgamate in un unico muro sonoro il cui impatto è da headbanging sicuro. La scelta di aprire con un pezzo come "No Remorse" sicuramente avrà subito dato il giusto fuoco alle polveri, trasformando questa estemporanea performance in un evento uguale agli altri concerti per la band in fatto di adrenalina e potenza live, il tutto però assume un tono più rilassato, ben lontano dalla serrata programmaticità che uno show consueto dei Metallica possa avere. Durante l'esibizione infatti i quattro si concedono qualche libertà in più, come ad esempio un passaggio di batteria di Ulrich la cui durata più estesa prima della ripartenza conclusiva lo trasforma in un mini assolo, dove il batterista è fulmineamente annunciato al pubblico da Hetfield. Il pezzo giunge così alla conclusione, momento nel quale i quattro si abbandonano alla proverbiale "caciara" facendo fischiare i loro strumenti per far vibrare ancora un po' le pareti del negozio, il pubblico non può che essere soddisfatto, e questo è solo l'inizio. Conformemente alla verve guerriera che i Four Horsemen avevano all'epoca dell'uscita di "Kill 'Em All", questo testo, assieme alle altre liriche di quell'album, consiste in una vera e propria dichiarazione di guerra lanciata dai quattro al mondo intero: loro sono la furia assassina della musica Metal, quattro esseri indemoniati pronti ad intorcinare le budella del mondo a forza di suoni distorti e vibranti; la prima frase parla già chiaro, i Four Horsemen stanno per compiere un vero e proprio atto di sfida verso i benpensanti che li tacciano di essere dei buoni a nulla e non avranno alcun rimorso in seguito. Ci troviamo negli anni in cui la musica Hard N' Heavy va facendosi strada fra le masse come un qualcosa di assolutamente nuovo che non resterà inosservato, questa nuova energia, riff dopo riff, si scaverà una breccia nel muro dei pregiudizi eretto dalle menti più conservatrici ancora legate a dei brand ormai obsoleti e destinati a morire. Il punk aveva lanciato la sfida, ma il suo essere rimasto arginato ad una breve ma intensa durata lo aveva relegato a fenomeno estemporaneo già divenuto oggetto di satira da parte della critica. Il Metal invece stava preparando la propria avanzata forte della basi gettate dalle gesta di Black Sabbath, Led Zeppelin, Deep Purple ecc; i grandi maestri hanno indicato la via, ma ora spetta ai guerrieri più accaniti come i thrasher di San Francisco potenziare ulteriormente l'arsenale musicale per portare a compimento un qualcosa di assolutamente leggendario. Per i quattro metalhead che si apprestavano a diffondere la loro musica nel mondo, si tratta di una guerra senza fine, le cui note alimenteranno senza sosta una macchina da guerra pronta a far scuotere teste in tutto il globo, la rivoluzione musicale è prossima ed i quattro americani non avranno alcun rimorso verso ogni loro singola mossa.

Fuel

In seconda posizione troviamo "Fuel" ("Benzina"), canzone che, nonostante la sua lontananza stilistica da quelle appartenenti ai grandi classici, si dimostrò tutto sommato una delle migliori prove dei dischi "hard rock" dei 'Tallica. Poche storie, quella celebre apertura "Gimme fuel, gimme fire, gimme that wich i desire" ("Dammi benzina, dammi il fuoco, dammi ciò che desidero") proferita dalla sola voce di Hetfield basta da sola a preparare il terreno per la successiva partenza esplosiva. L'incipit infatti è energico come ce lo si prospettava, ed il main riff ha così modo di uscire solido e corposo come giusto che sia. L'ingresso della batteria avvia la strofa in maniera molto fluida, il quattro quarti eseguito da Ulrich si pone infatti come sostegno di una composizione nata dalla fantasia dei Metallica più "modaioli" che i fan abbiano mai potuto, a loro malgrado vedere, eppure, questa canzone si rivela come un faro isolato nelle tenebre creative in cui brancolavano i Four Horsemen nella seconda metà degli anni Novanta. Stiamo infatti parlando di due dischi rappresentanti un'era particolarmente discussa tra i seguaci della band, ma fortunatamente tutti i sofismi vengono posti nel limbo non appena questa traccia inizia ad uscire dagli impianti. L'atmosfera più casalinga della location ci lascia quasi immaginare, in maniera abbastanza pindarica, che la canzone sia eseguita da una band casualmente omonima ai Metallica ma estranea alla loro grande leggenda: se i due controversi "Load" e "Reload" fossero stati composti da una band completamente svincolata dalla storia dei dischi precedenti, di sicuro la critica li avrebbe reputati dei validissimi dischi hard rock; ma chiudiamo il viaggio estemporaneo per tornare sul pezzo. Il tempo è decisamente più sostenuto della versione in studio, ma si sa, dal vivo si tende sempre ad accelerare e ciò molte volte è dovuto all'adrenalina che spinge a dare il tutto per tutto su ogni esecuzione. Nonostante i bpm più elevati tuttavia, la resa è assolutamente convincente, l'unica pecca, che però è anche giustificabile, si riscontra nella voce di Hetfield, che in certi passaggi, tendenzialmente i pre ritornelli, si vede costretto ad inseguire il collega danese lasciando sul campo qualche stecca. Siamo tuttavia ben consci che suonare e cantare non sia cosa semplicissima, fermo restando che il vocalist di Downey vanta una disinvolta abitudine naturale affinata in anni di carriera, ma quando si vuole far rombare il proprio motore ci può stare che il ruggito non sia sempre potente come lo vogliamo. La traccia giunge alla conclusione e l'apprezzamento del pubblico fa sentire nuovamente i presenti molto più vicini di quanto normalmente non si sia abituati a sentirli sulle registrazioni dal vivo dei Metallica; il biondo frontman appare molto eloquente ed "amichevole" (siamo ben lontani dalla sferzata di insulti con cui apostrofava i presenti negli anni d'oro") ed in maniera molto spontanea chiede al suo pubblico se essi vogliono che si continui a far tremare il sottoscala del negozio che li ospita, la risposta, ovviamente e positiva, e la band si accinge dunque a partire col brano successivo. Benzina e motori, come è noto, sono i protagonisti indiscussi del testo: immaginiamo di salire in qualità di passeggeri su un'auto sportiva che sta per lanciarsi a tutta birra in una gara automobilistica abusiva. Le sgasate fanno letteralmente schizzare in aria la lancetta del tachimetro ed i giri si fanno sempre più alti, ed una volta partiti, immediatamente la velocità ci fa percepire il paesaggio come un fluido di colori fusi che ci scorre affianco. Il conducente è letteralmente in delirio, le sue manovre sono quanto di più azzardato si possa immaginare, ogni sua rotazione al volante infatti fa compiere al veicolo le manovre più contestate nei manuali di scuola guida e, presi anche un po' dalla paura, lo invitiamo a rallentare in quanto sul nostro tragitto si trova un semaforo rosso. Il mezzo però non decelera, l'adrenalina in circolo si fa sempre più alta ed immediatamente la sentiamo premere contro il nostro cervello quasi come se ce lo volesse far schizzare fuori dalle orbite. L'auto continua a viaggiare e le vibrazioni del motore ci fanno sentire il nostro intestino come se fosse scosso da un terremoto, il macchinario continua a pompare ed anche noi iniziamo ad andare a fuoco sostenuti dalla spinta di quei pistoni truccati che fanno scorrere via l'asfalto sotto di noi. Ormai sentiamo che le nostra membra stanno diventando un tutt'uno con la macchina, le nostre gambe, insieme a quelle del conducente, dai pedali arrivano a collegarsi direttamente con gli ingranaggi, le braccia si fondono con il volante, diventando le ali di un'aquila meccanica che compirà delle virate mozzafiato sulla strada e nei nostri polmoni ormai non vi è più ossigeno ma solo gasolio: da esseri umani siamo diventati un insieme di bulloni, cavetti e rondelle che tiene insieme una belva meccanica in corsa, lanciata a velocità sovrumane sulla strada di una vita troppo breve. Parlando di gare automobilistiche, la fragilità della vita e gli incidenti stradali non possono non venire in mente, l'azzardo e la sete di emozioni, purtroppo sfociano nell'incoscienza di una delle tante bravate da cui ci scappa il morto, ed il finale netto del pezzo, in maniera molto metaforico, lascia spazio all'immagine dell'auto che si schianta dopo aver percorso la sua rocambolesca planata verso l'inevitabile.

Harvester Of Sorrow

Torniamo ora al 1989 con un tuffo direttamente nella tracklist di "...And Justice For All", dal quale i Metallica eseguono per l'occasione "Harvester Of Sorrow" ("Mietitore di Dolore"), uno degli estratti migliori del quarto disco del gruppo. Gli schiamazzi dei presenti sono sempre più riconoscibili, ognuno dei quali lancia delle richieste ai musicisti perché eseguano determinati pezzi, ma Hetfield sorvola ed in maniera molto criptica annuncia unicamente la parola "harvester". Pochi istanti dopo ecco iniziare la arcinota serie di stacchi accentati, dove sul passaggio di Ulrich si stendono le pennate serrate degli strumenti a corda e l'energia della distorsione va provvisoriamente a spegnersi per lasciare il campo all'arpeggio in pulito, tornando solo per la fine delle varie battute. La parte successiva, sempre scandita dalle martellate del batterista danese, creano il giusto crescendo per l'avvio successivo ed i cori del pubblico a scandire i passaggi sono inevitabili. La strofa è ufficialmente partita e grazie alla pulizia dei suoni i vari collegamenti chiarristici si possono ascoltare ben definiti e chiari; anche le pause intermedie vengono eseguite in maniera eccelsa ed il bilanciamento non troppo carico delle chitarre consente ai due axemen di suonare potenti e limpidi senza che la loro strumentazione ne eclissi il tocco. La batteria di Ulrich suona molto naturale, gli artifici di amplificazione sono qui ridotti al minimo per poterci regalare la resa il più naturale possibile delle varie esecuzione: i Four Horsemen stanno infatti suonando per un pubblico ristretto ed il tutto deve apparire come una festa tra pochi intimi, dove anche i quattro suonano le loro canzoni con un atteggiamento molto più rilassato, completamente agli antipodi rispetto all'immagine "scenica" che invece va sfoggiata durante gli show ufficiali. Poco dopo la metà della canzone, nel punto in cui ormai i 'Tallica sono abituati ad eseguire il canonico break improvviso per lasciare spazio al boato del pubblico, Hetfield, quasi come per avvertire degli ascoltatori non abituati a questo espediente, li avvisa di stare zitti, onde evitare eventuali interruzioni al silenzio calcolato. Nei pochi secondi di quiete, gli schiamazzi sono inevitabili, ma l'esecuzione dello stop è comunque impeccabile e nel complesso l'intera struttura cadenzata della composizione ha modo di essere completata con una precisione a cui non si può imputare nulla. Purtroppo ad avere qualche incertezza è ancora la voce di Hetfield, probabilmente l'assenza dei vari monitor presenti invece sugli stage di ben più ampia dimensione non consente a vocalist di sentirsi pienamente, dovendo fare affidamento su poche spie, ma a convincere poco sono i cori di Trujillo nei ritornelli: la voce del bassista di Santa Monica infatti appare spenta e priva di mordente, in alcuni tratti anche stonata, del tutto contrastante invece con la verve energica della principale, ma per il resto non si può certo dire che la performance sia deludente. Il pezzo giunge così alla conclusione, dove l'arpeggio in fade in viene seguito da un finale studiato appositamente per l'esecuzione dal vivo, con un ultimo passaggio di batteria e successiva chiusura delle chitarre. Sugli applausi del pubblico spicca in maniera molto nitida una richiesta di eseguire "Damage Inc." e nel mentre si sente Hetfield chiacchierare al volo con un fan; quella traccia di "Master Of Puppets" non verrà eseguita in questa sede, ma per i presenti sono in programmazione chicche altrettanto esaltanti. A livello lirico siamo di fronte ad uno dei testi introspettivi facenti parte del campionario delle composizioni del gruppo: il soggetto narrante, espresso tramite la voce del musicista americano, racconta in prima persona la sua metamorfosi da essere vivente ad anima defunta destinata successivamente ad assumere il ruolo del celebre cupo mietitore. Anch'egli dunque era un essere umano prima di vestire la nera toga ed imbracciare la falce e, quasi in un momento di improvvisa nostalgia, rompe la sua freddezza e la sua impassibilità emotiva per raccontarci la sua storia. La sua vita, come quella degli altri umani è giunta al termine spegnendosi in un rantolo soffocato, l'incomprensibile macchinario cosmico però ha voluto che la sua anima non raggiungesse la sua destinazione come le altre ma che in essa iniziassero a germogliare i semi dell'odio creando qualcosa di assolutamente lontano ad un qualunque concetto di fede religiosa. La vita è un qualcosa che viene fornito dal padre eterno e che viene tolto dal mietitore, l'essere umano è una pedina impotente posta nel mezzo di questo gioco oscuro, la cui esistenza consiste in un rovescio di emozioni negative che ne attanagliano l'essenza, passando continuamente dalla rabbia all'odio concedendo sempre sprazzi limitatissimi da riservare alle sensazioni positive. Egli ora ha il compito di raccogliere dunque le vite prossime allo spegnersi intese unicamente come un bagaglio compatto di dolore: ogni uomo che muore è unicamente fatto di dolore e come una spiga giunta al momento della mietitura essa verrà falciata, la lama si isserà in alto a caricare il fendente ed il colpo sarà talmente rapido che il trapasso avverrà in pochi secondi. Il tempo scorrerà inesorabile e sulla lista del mietitore compariranno di volta in volta i nomi di coloro che dovranno intraprendere l'ultima parte del loro cammino, quella che dalle soglie del regno mortale li condurrà a prendere posto nell'Oltretomba. Non ci sono scuse o suppliche che reggano, il nome dei dannati è scritto indelebilmente sulla pergamena e nonostante le suppliche siano disperate, il mietitore di dolore svolgerà il suo sporco lavoro per tutta l'eternità. 

Welcome Home (Sanitarium)

Giungiamo ora ad un pezzo immortale dei Four Horsemen, una canzone la cui epicità rivive ogni volta dal vivo splendendo di una solennità indiscutibile live dopo live, "Welcome Home (Sanitarium)" ("Benvenuto A Casa (Manicomio)"); bastano infatti semplicemente gli armonici iniziali per far sì che le voci dei presenti si mutino lasciando che una delle migliori cavalcate del Metal prenda il suo maestoso avvio. Le chitarre si muovo delicate e sinuose, la partitura eseguita infatti è una delle più avvincenti ed epiche che i quattro cavalieri ci abbiano mai regalato; non può fare a meno di scendere dagli occhi una lacrimuccia nostalgica in memoria del mai troppo compianto Cliff Burton, ahimè scomparso proprio nel tour promozionale di questo disco facendo quindi di esso involontariamente il suo epitaffio. La batteria di Ulrich inizia la sua marcia scandendo il tempo con un quattro quarti, esattamente pochi istanti prima che l'arpeggio eseguito da Hetfield venne ricalcato dalla parte solista di Hammet con lo strumento distorto. Questa sessione in particolare è talmente espressiva che il testo, seppur bellissimo e suggestivo, potrebbe anche tranquillamente non esserci. A mano a mano dello scorrere dei secondi, le distorsioni acquistano sempre più tono, diventando sempre più imponenti in quel crescendo che di li a poco ci poterà al primo ritornello, dove una serie di accordi cadenzati sosterrà il benvenuto al manicomio natio. Passato questo primo scoppio, il tutto ritorna alla calma, venendo guidato dal suggestivo arpeggio iniziale, il batterista danese si limita a seguire il collega inserendo unicamente i contrattempi che occorrono con cassa e rullante, giusto i necessari a dare un tocco di dinamismo ma non troppo; anche la seconda strofa è stata cantata ed è giusto crescere ancora per il secondo ritornello, a cui seguirà la famosa ripartenza dal tiro tagliente ed incisivo. Ora sono i powerchords a dominare la scena, le sei corde sono infatti diventate delle vere e proprie aquile maestose sorrette dal drumming lineare ed imponente; ad amalgamare ulteriormente il tutto poi troviamo il basso di Trujillo, fino ad ora rimasto leggermente indietro ma perfettamente riscattatosi su questa perla estratta dal terzo disco della band. Strutturalmente parlando, questa canzone si rivela particolarmente nella norma, ma a renderla speciale sono le singole scelte melodiche: l'arpeggio, di per sé, consta di quelle classiche note che vanno a pizzicare il nostro set emotivo suscitando in noi un alone di malinconia alternato però ad una voglia di riscossa, la parte in distorto, anch'essa non particolarmente complicata, vanta però quell'energia e quella decisione che la rendono un vero e proprio sviluppo da cardiopalma, bastano infatti poche e "semplici" note per comporre un pezzo grandioso, la tecnica e l'elaborazione compositiva possono, eventualmente, farne solo il seguito. Il testo, come accennato, è uno dei più caratteristici del gruppo; il biondo vocalist si fa portavoce si una riflessione inerente alla follia che, bene o male, affligge tutta l'umanità senza escludere nessuno, imprigionandoci in quello che, a conti fatti, è il nostro manicomio quotidiano. In questa metaforica clinica che è la nostra vita il tempo si ferma pur continuando a scorrere, nessuno degli altri pazienti è mai stato dimesso e di sicuro nessuno lo sarà in futuro. Non ci sono medici a seguirci, non possiamo far altro che restare chiusi nella nostra cella, avvolti dalla camicia di forza tessuta con tutta l'ipocrisia e le false illusioni che noi stessi ci siamo creati; guardando fuori dalla grata della nostra finestra vediamo la luna risplendere nel cielo, essa è sempre bellissima e sembra che non cambi mai da una volta all'altra. Ogni notte facciamo sempre lo stesso sogno, un'illusione di libertà solamente provvisoria prima di ritornare alla chiusura della gabbia in cui siamo rinchiusi da una monotonia esistenziale sempre più soffocante. Eppure, ci alziamo alla mattina come sempre, andiamo al lavoro e viviamo la nostra inconfondibile routine, che cosa dovremmo temere? Non ci sono fisicamente gabbie o lucchetti che ci dovrebbero far sentire dei prigionieri, tuttavia, non ci sentiamo nemmeno liberi; il nostro cervello avverte comunque che c'è una forza superiore che ci sottomette e ci rende schiavi, un'energia talmente vasta ed insormontabile il cui solo tentare di comprenderla pienamente ci fa uscire di testa. Siamo inermi e siamo al tempo stesso elementi di sogno e realtà di altri degenti come noi, lasciateci quindi tranquilli nel nostro manicomio, in questa gigantesca costruzione mentale che è in grado di farci veramente esprimere per ciò che siamo, dei pazzi che non conosceranno mai realmente la sanità.

For Whom The Bell Tolls

Facciamo ora un ulteriore passo indietro nella discografia dei 'Tallica con "For Whom The Bell Tolls" ("Per Chi Suona La Campana"), celebre marcia solenne del Metal omonima ad un romanzo dello scrittore americano Ernest Hemingway datato 1940 e tratta dal secondo album "Ride The Lightning". Il pezzo viene introdotto dalla cassa di Ulrich intenta a tenere il tempo, colpo su colpo, lo sviluppo servirà di li a poco per far sì che Hetfield possa presentare Trujillo poco prima della sua improvvisazione al basso, le cui note escono distorte e compresse per mezzo di un potente multi effetto. I cori del pubblico sono immancabili, ed in men che non si dica le note eseguite andranno a costituire il celebre fraseggio introduttivo della traccia. Le chitarre, come d'obbligo, scandiscono l'incedere del frangente con i loro power chord decisi e solenni e dopo un rapido passaggio ritmico ecco arrivare anche il fraseggio solista eseguito da Hammet, sempre accompagnato dal basilarissimo quattro quarti della batteria. La struttura di questo brano è talmente semplice che non è raro che i giovani musicisti rockettari alle prime armi si siano cimentati a studiarla come esercizio, eppure, questi semplici accordi costituiscono uno dei pezzi più imponenti di sempre. Il ritornello è uno di quei classici frangenti esecutivi che, vista la sua storica importanza, non può far altro che essere cantato a squarciagola da chi quell'album lo ha consumato nel proprio impianto. Il drummer danese continua inarrestabile la sua esecuzione ed i vari contrattempi e stop and go vengono suonati con la pulizia e la precisione tipica dei musicisti che quel pezzo lo composero nel lontano 1984. Le pause sono allungate volutamente di qualche quarto in più, giusto il necessario per sentire le urla dei presenti e senza quasi rendercene conto si arriva al maestoso finale, ma tuttavia non finisce qui: concluso il pezzo, sulla coda delle chitarre, il gruppo ringrazia per gli applausi e si concede un momento di pausa, istanti nei quali si sente Hetfield dialogare con gli astanti. Dopo aver improvvisato un riff dalle tinte bugie, è poi Ulrich a prendere la parola, ringraziando i loro fan per l'eterno supporto dimostrato loro nel corso degli anni e ribadendo che per loro è sempre un piacere suonare, ci si trovi in uno stadio oppure in uno storico negozio i dischi. Da qui inizia un siparietto comico divertente ma anche emozionante, il biondo frontman "accusa" i suoi sostenitori di non sapere assolutamente cosa si provi a stare su un palco e li "sfida" a dar prova del loro valore. I quattro musicisti dunque invitano un manipolo di supporter con loro e dopo qualche scatto di accenno si avvia una estemporanea jam sulle note di "The Frayed Ends Of Sanity", brano poco contemplato nelle setlist e contenuto in "...And Justice For All", i vocalist, "provocati" da Hetfield si dimostrano tuttavia e preparati, e questo fuori onda dunque assume i connotati di un momento ludico in cui un gruppo leggendario, i cui musicisti sembrano ormai diventati irraggiungibili data la loro fama, rivelano il loro volto umano giocando con chi li ha resi una leggenda. Si tratta di una cosa assolutamente insolita per i live "ufficiali" del gruppo, ma questo tocco di goliardia allontana anche l'accusa di snobbismo che si può muovere nei confronti di quattro star della musica. Il testo di "For Whom The Bell Tolls" riprende la visione del mondo della guerra vista con gli occhi del combattente che si trova in prima linea: se Hemingway lo fece attraverso il suo alter ego Robert Jordan per raccontare un'esperienza autobiografica (che dopo l'esperienza del primo conflitto mondiale come volontario lo vide impegnato nella guerra civile spagnola in qualità di corrispondente), Hetfield approfondisce il discorso regalandoci una prospettiva molto più cinica e fragile della vita nel mezzo del combattimento. Una battaglia può iniziare in qualsiasi momento, ed ogni soldato ormai vive la sua precaria esistenza attraversato dal freddo sentore della morte, che gli gela l'animo come un vento invernale; il locus amenus della collina in mezzo al verde diventa adesso il teatro di una mattanza scandita dai colpi delle mitragliate, il cui piombo dei proiettili staglia delle assordanti urla meccaniche che devastano i timpani disorientando chi vi si trova in mezzo. Ogni militare combatte per "il bene", ma in guerra chi può veramente giudicare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato? Questa è una delle riflessioni più spinose sulla guerra, un quesito che lascia eternamente divisi i pacifisti dai più accaniti guerrafondai. In azione infatti, un essere umano ne uccide un altro solo per conquistare cose oggettivamente inutili, che da un avamposto si riducono ai più scarni pochi metri di terra nell'avanzata, e mentre vi è ancora chi sostiene il paradosso che "la guerra porta la pace", echeggia in questo ritornello l'unica vera certezza, per coloro i quali la campana del dovere suona il tempo scorre via inesorabile ed il destino è tutt'altro che certo.

Master Of Puppets

Passiamo così ad un altro pezzo di storia del Thrash Metal, "Master Of Puppets" ("Signore delle Marionette"), arcinota titletrack del terzo album in studio dei Metallica. Gli stacchi iniziali di questa canzone non hanno certo bisogno di presentazioni, il vocalist non proferisce parola, ma si sente solo il quattro dato sul charleston prima che quelle note stoppate facciano nuovamente crescere l'attenzione del pubblico. Ci troviamo di fronte ad un pezzo talmente importante della storia della musica Hard n'Heavy, che ogni volta che lo si sente non si può fare a meno di canticchiarlo dall'inizio alla fine. Il sentirlo eseguire in una location di dimensioni ridotte potrebbe far pensare che esso perda un po' della sua energia, dato che è negli show più monumentali che i 'Tallica lo hanno fatto diventare un evergreen, nulla di più sbagliato: anche se il tutto ora si svolge in una ambientazione più "terra terra" i quattro suonano il loro brano con il tiro e la verve di sempre. Giunti al break, dove la chitarra rimane in solitaria ad eseguire l'inciso, l'adrenalina non può far altro che crescere, mentre la batteria entra direttamente a gamba tesa, lanciando una delle strutture più dinamiche e da headbanging garantito che siano mai state scritte. Chiaramente, potendo contare solamente su degli amplificatori testata e cassa ben più semplici degli impianti live, la resa è comunque più "piccola" di come ce la si aspetta ma tuttavia efficace e coinvolgente: le due asce infatti risultano sempre compatte e ben amalgamate, ed il pubblico non sembra certo risentire di questa semplicità organizzativa dell'evento, anzi, il biondo vocalist è affiancato in più passaggi nella parte vocale fino ad essere totalmente rimpiazzato dai fan per il pre ritornello, oltre che nel ritornello stoppato ovviamente. Il tiro complessivo non scende nemmeno per un secondo, la linearità della canzone al contrario acquista sempre più energia a mano a mano che si avanza nella seconda strofa, dove a livello ritmico possiamo apprezzare Ulrich intento a lanciarsi in passaggi più elaborati del solito, che lo impegnano anche sui tom e sul timpano del suo set. Giunti alla nota pausa centrale della struttura, in assenza delle sequenze pre registrate, Hetfield si lancia nella prosecuzione della parte che nel disco va a dissolversi elaborata dal pitch della tonalità recitando direttamente lui la voce. Siamo giunti al silenzio, interrotto, come auspicabile dagli apprezzamenti del pubblico, e tra applausi ed incitamenti ecco iniziare l'arpeggio intermedio, i cui accenti sono scanditi dalla batteria e dal basso. Conformemente alla storicità live che ha riscosso questo pezzo nel corso degli anni, il fraseggio eseguito dalle due chitarre armonizzare viene seguito nella propria melodia dalle voci dei fan con un coro deciso ed energico. Stiamo per arrivare ai famosi stacchi accentati, sede delle martellate di Ulrich che anticipano il crescendo precedente alla ripartenza che sosterrà poi l'assolo di Hammet. Appena Hetfield pronuncia il decisivo "laughting at my cries" ("ridendo alle mie urla"), il moro axeman si lancia nella sua famosissima colata di note, eseguita qui con precisione impeccabile ed una velocità di shredding sorprendente, suonata dalle stesse mani che, anche dopo vent'anni, continuano a mitragliare come se fosse la prima volta. Il solo viene eseguito in maniera quasi accademica, senza variazioni di genere, ed il successivo riallaccio verso la strofa conclusiva si mantiene sempre alto in fatto di energia. Se in passato questo pezzo veniva eseguito con una lunga pausa del mezzo, anche per far respirare i quattro autori che, volente o nolente, risentono anche l'oro dell'età, qui i Metallica la suonano tutta di getto, anche se l'escamotage per riprendere un attimo di fiato compare comunque: l'ultimo bridge infatti viene eseguito unicamente da Ulrich e Trujillo, senza le chitarre, dando modo ai fan di cantare quell'ultimo pezzo di testo per poi ritornare con le chitarre per il finale esplosivo. Anche in conclusione mancano le voci registrate ed il biondo vocalist, insieme ai compagni di ventura, si lancia nella serie di risate folli che sull'album portavano il pezzo al fade out definitivo, l'eseguire quelle risate dal vivo non solo esprime l'euforia degli autori, ma in questo particolare caso offre al frangente una maggiore follia aggiuntiva. La metafora del signore delle marionette diventa un'immagine quanto mai eloquente per esprimere il rapporto di assuefazione che intercorre tra la droga e chi ne è completamente assogettato; non è un caso che questa lirica sia stata scritta in un periodo in cui i Metallica stessi non si potevano certo ritenere degli asceti e la serie di messaggi criptici contenuti nelle diverse frasi, in realtà, descrive come le sostanze stupefacenti, in particolar modo la cocaina e l'eroina, all'epoca le più diffuse sul mercato di questo immondo male, devastassero rapidamente tutti coloro che iniziassero a farne uso. Al momento dell'assunzione, l'euforia e l'improvvisa botta di energia fanno sentire il tossicodipendente come un guerriero invincibile ed inarrestabile, ma in realtà, molto subdolamente, quello stato di grazia altro non è che il preludio che lentamente ed in maniera sempre più inesorabile conduce verso l'autodistruzione. Le vene vengono sovra stimolate dall'elevata pressione del flusso sanguigno e nello stesso tempo la penna del fato inizia a descrivere quello che è a tutti gli effetti il manuale perfetto dell'autoannientamento. Come delle marionette infatti, chi è dipendente dalle droghe non può far altro che seguire il richiamo sempre più forte di questo male, l'astinenza inizia infatti a produrre sintomi sempre più devastanti ed ogni minimo grammo, reperito nel più squallido modo, diventa un balsamo lenitivo per tutta quella serie di brividi e contrazioni muscolari a cui il nostro stesso corpo ci sottopone per la carenza di quello che è diventato a tutti gli effetti il bene di prima necessità. Il pre ritornello della canzone lascia parlare direttamente la sostanza, che invita l'ignaro assaggiatore a provarne il gusto per vedere concretamente come quello stato di benessere supremo in realtà non sia altro che l'incipit di un lento e massacrante suicidio. Il male della droga si insinua nella vita quotidiana come un viscido serpente, le cui spire avvolgono immediatamente ogni istante della nostra giornata per costringerci ad obbedire a quel padrone che ormai ha la nostra esistenza in pugno. Il comandamento ormai è uno ed uno solo, obbedire al padrone, quel sadico burattinaio che è la droga, i cui fili vengono tesi sempre di più intorno al nostro collo fino a farci esalare l'ultimo respiro, ormai annegati in un mare di degrado fisico e morale che lascerà di noi solo un'immagine consumata agli occhi di un mondo ormai diffidente e passivo verso una piaga sociale incontrollabile.

Sad But True

Tuffiamoci ora nel black album, lavoro dal quale i nostri scelgono di eseguire "Sad But True" ("Triste Ma Vero"), altro brano la cui struttura marziale lo rende particolarmente adatto per la riproposizione on stage. Questa traccia però non viene introdotta dai semplici quattro colpi dati da Ulrich per dare il tempo, ma dalla voce del vocalist, e con la partenza del pezzo sono ora le chitarre a condurre il tutto. Il main riff consta infatti di un alternanza fra delle pennate in palm muting secche e pesanti ed un fraseggio melodico ed incisivo, sempre intervallato dagli stop and go, nei quali la batteria è l'unica a procedere imperterrita. Il dinamismo della struttura è ottenuto attraverso l'alternanza di una strofa marziale e stoppata a sua volta contrapposta ad un ritornello dalle note piene, aperte e continue; dopo un incedere abbastanza "zoppicante" i cui silenzi sono scanditi dai colpi secchi sul rullante, la composizione acquista poi ampio respiro con l'arrivo della parte successiva, dove anche la linea vocale ha modo di passare dalla serie di frasi contratte ed incise iniziali ad una soluzione più melodica e distesa. Primo giro di boa dopo il ritornello è un nuovo stop, dove prima troviamo la chitarra alternare due note con una semplice alternanza di pennate e poi, successivamente, una basilare rullata del drummer danese ad avviare la seconda parte della marcia. La struttura si ripete seguendo il modulo ritmico da poco concluso, creando ovviamente il consueto crescendo per quello che sarà poi l'elemento di cambio rispetto alle coordinate principali. A seguire infatti troveremo l'assolo di Hammet, una soluzione la cui continuità e fluidità di tocco fanno da contraltare all'andamento sempre stoppato della ritmica: da un lato infatti vi è l'accompagnamento dritto e lineare scandito sempre dalla stessa distribuzione delle pause, dall'altra troviamo invece una cascata di note fluidamente arricchite mediante l'uso del wah wah, che insieme al dirt picking dell'allievo di Joe Satriani, ovvero della pennata con cui si fanno fischiare le corde semplicemente facendole toccare anche dal polpastrello del pollice che tiene il plettro, conferiscono alla parte un tocco più grezzo ma comunque convincente. Grazie al buon settaggio di suoni questo particolare riff, sostenuto dalla potenza del basso ribassato di Trujillo, esce particolarmente granitico, giungendo alle nostre orecchie come un unico monolite sonoro compatto e solido. Il suonare questo pezzo con le dita, a differenza di Newsted che lo suonava col plettro, regala una performance più limpida e funky oriented dell'ex bassista dei Suicidal Tendencies, conformemente a quello che è il suo background. Per questo brano i Four Horsemen si mantengono fedeli alla registrazione in studio, senza avventurarsi in variazioni di sorta, l'unica pecca di questa esecuzione però risultano essere nuovamente i cori, che nell'affiancamento alla voce primaria si rivelano poco energici e grintosi, un vero peccato, dato che l'ex bassista dei Flotsam & Jetsam in tal senso si è sempre rivelato una seconda voce eccezionale (e che attualmente abbiamo modo di apprezzare in qualità di frontman della sua nuova band, i Newsted). Del resto, se non si è abituati a svolgere il ruolo di corista, a cimentarsi in tale funzione alla buona può dare più problemi che vantaggi. Le parole di questa lirica costruiscono un dialogo in forma di botta e risposta, quasi a creare uno schizofrenico dialogo tra due componenti della stessa personalità, oppure, per dare un'interpretazione differente, ad esprimere un discorso tra una persona mentre ribadisce la sua importanza ad un altra. Gli scambi infatti ruotano intorno alla necessità del principale a scapito del secondo, in altre parole, il soggetto narrante è il protagonista, il vero conduttore della scena, mentre l'interlocutore, che non prende mai parola, svolge un ruolo secondario, vale a dire, in questo particolare caso, quello di destinatario delle sempre più incalzanti dichiarazioni dell'altro. Le continue apostrofi, espresse con l'energico richiamo "Hey", lasciano intender che il protagonista si stia rivolgendo ad un soggetto distratto e quasi sconnesso, una bella mancanza di rispetto, se si considera che senza il contributo della voce narrante egli non vivrebbe una vita così tranquilla. La voce narrante arriva definirsi la vita stessa dell'altro, il nocchiere che lo guida nell'immenso meandro di tenebre che il mondo e che senza la guida del quale non saprebbe nemmeno compiere un passo. Egli è l'unico vero amico che gli sia rimasto, la situazione qui si fa molto meno metaforica e decisamente più attuale: dopo la nostra ennesima azione sbagliata e dopo che le immediate conseguenze ci abbiano travolti, lasciandoci soli e screditati agli occhi degli altri, ecco comparire quell'amico fraterno che ci aiuta non con stucchevoli consolazioni, ma facendoci sbattere la testa contro il muro, dandoci quello scossone di cui abbiamo tanto bisogno; le ramanzine da corso di psicologia sono inutili, alle volte facciamo delle cavolate talmente grosse che l'unica cosa di cui abbiamo bisogno per riprenderci è un qualcuno che ci shakeri a dovere per farci riconnettere il cervello. Passata metà del testo i ruoli si invertono, ora il deciso protagonista, dopo aver dominato la situazione, mantiene il controllo, questa volta però evidenziando come l'altra parte gli sia assolutamente necessaria: in maniera molto reciproca anche lui ha bisogno di un riparo su cui poter contare in caso di bisogno, questa lirica dei Metallica, quindi, non fa altro che descrivere il vero senso di fratellanza che si può avere solo con pochi e selezionati soggetti, quegli amici con cui si litiga furiosamente e ci si insulta senza veli di ipocrisia, ma con cui al tempo stesso siamo pronti ad affrontare ogni imprevisto della vita.

Motorbreath

Torniamo ora a "Kill' Em All", dal quale i 'Tallica ora scelgono di suonare la famosissima "Motorbreath" ("Respiro Di Motore"). A dare fuoco alle polveri ora è Lars Ulrich attraverso il proverbiale passaggio sui fusti che fornisce l'avvio per l'ingresso delle chitarre; con questa traccia i Four Horsemen compiono a tutti gli effetti un tuffo all'interno del loro glorioso passato, quando le lunghe cavalcate strumentali non erano ancora state composte e l'unico intento che si prefiggevano quei giovanissimi metallari era semplicemente quello di spaccare tutto. Abbiamo per le orecchie una canzone strutturalmente semplicissima, costruita sulla basilare alternanza di strofa e ritornello, eppure, con queste poche e semplici cose, i Metallica sono riusciti a gettare le basi di quella che sarebbe diventata la loro illustre carriera. Le chitarre spingono sull'acceleratore grazie ad un riff tagliente e che non lascia scampo, le cui pennate sostenutissime seguono fedelmente il drumming lineare creando così uno sviluppo da pogo garantito. All'avanzata dritta della strofa si contrappongono poi i diversi stop and go del ritornello, i cui quarti di pausa smorzano provvisoriamente il tiro per conferire una maggiore mina alla ripartenza successiva; il break di sola chitarra che precede la seconda parte di canzone, nonostante non sia eseguito con il massimo della pulizia, viene scandito dai colpi di cassa e dagli energici cori del pubblico, un istantaneo momento per riprendere fiato prima di ricacciarci nuovamente nella mischia. Dovendo i 'Tallica suonare qui con una strumentazione live più ristretta del solito, si sentono anche le piccole sporcizie esecutive, ma tutto ciò è comunque prontamente ricompensato dall'attitudine old school dell'intero evento, dove i quattro californiani dimostrano ampiamente che possono mischiarci le ossa giusto con lo stretto necessario per suonare. Anche il secondo ritornello non manca di far cantare a squarciagola i presenti, e dopo lo stop conclusivo ecco partire il serratissimo assolo di Hammet, una vera e propria raffica di pennate mitragliate sulle corde dalla mano destra, mentre la sinistra si lancia in un saliscendi funambolico di scale cromatiche sulla tastiera, a differenza degli assoli più tecnici del moro axeman dunque, ci troviamo ora ad ascoltare un'esecuzione più cruda e diretta, perfettamente conforme agli anni in cui non si parlava ancora "dei Metallica" ma di un gruppo di metallari scatenati che senza saperlo avrebbe nel giro di qualche anno conquistato le vette della musica mondiale. La conclusione è netta ed improvvisa, gli apprezzamenti immancabili, ed Hetfield dopo uno sbuffo di ammirabile e divertita stanchezza annuncia che siamo giunti in prossimità del brano conclusivo e che bisogna dare il tutto per tutto. Il testo ci racconta della vita vissuta attimo dopo attimo senza nemmeno un attimo di respiro: gli eventi si susseguono inevitabilmente al di fuori del nostro controllo e proprio per questo bisogna godersi intensamente ogni istante come se fosse l'ultimo, si vive e si muore, si ride e si piange ed una volta che avremo scoperto questa triste verità non saremo più gli stessi, la nostra spensieratezza infatti subirà un'inevitabile tracollo, venendo stravolta dall'impatto con una realtà che sulla strada della vita ci travolge come un camion scagliato a tutta velocità. La vita quindi si mostra impregnata di tutto il suo oscuro e sporco significato, un messaggio che per quanto logoro e disgustoso, non può far altro che essere accettato. Scegliendo una metafora meccanica, ogni nostro respiro dunque deve essere intenso ed agguerrito come un rombo di motore, per sopravvivere all'ineluttabilità del gioco in cui siamo inseriti dobbiamo vivere secondo questa filosofia, ritenuta l'unica chiave per sfuggire ad un senso di depressione e vuoto esistenziale che altrimenti schiaccerebbe ogni nostro slancio emozionale. Il motore sbuffa sempre con più decisione ed ogni nube di vapore o la si coglie al volo vivendo al massimo o ne si resterà intossicati, fino a quando le sue esalazioni non porteranno via anche la nostra ultima bava di fiato lasciandoci esanimi. Il vortice dell'esistenza tuttavia continua a roteare, scaraventandoci da una parte all'altra, l'unica alternativa che abbiamo e cercarne di seguire le spire correndo più veloce del senso di rotazione: velocità o annientamento, questo è quindi il bivio inevitabile di fronte al quale ci troviamo ed il segnale della vita trascorsa con funambolica rapidità presto ci porterà via, spazzando ogni minimo residuo della nostra essenza fino a ridurci in cenere, ma se avremo vissuto appieno il tempo a noi concessoci ce ne andremo senza rimpianti.

Seek & Destroy

A chiudere questo live di appena nove tracce troviamo un colossal della band, sempre estratto dal debut album, la devastante "Seek & Destroy" ("Scova E Distruggi"), in questa occasione ulteriormente incattivita dall'esecuzione mediante le accordature ribassate di un tono rispetto alla accordatura standard in mi con cui fu registrata sul disco. Sono le battute finali del massacro, ed il frontman invita ora tutti i presenti ad aiutarli a sudare in vista dell'ultimo colpo di coda di questa belva inferocita. Del brano viene urlato il titolo ed dopo il vocalizzo e la successiva ovazione ecco partire il main riff, uno dei più incisivi della band californiana; l'essere suonato un tono sotto rispetto al solito, come accennato, lo rende decisamente più aggressivo proprio al maggiore impatto delle basse frequenze, del resto, se le band death metal suonano con accordature ancora più gravi ci sarà ben un motivo, che trova il proprio fondamento proprio nella maggiore "pacca" data dai bassi delle note. Sul tempo lineare della strofa, Lars Ulrich, pur non variando dal tema, spinge il tutto con una maggiore velocità, le chitarre ed il basso tuttavia non si fanno certamente cogliere impreparati, ma anzi seguono il batteria sempre con delle pennate precise e compatte, rendendo la struttura della traccia potente e cristallina allo stesso tempo in ogni suo passaggio. Per l'occasione, all'interno del testo la parola "city" ("città") viene sostituita con "basement" ("fondamenta"), piccolo escamotage per contestualizzare l'esecuzione della band, svoltasi nel piano inferiore del negozio di dischi del Tennessee. Anche da un sottoscala quindi, i 'Tallica riescono a far tremare la terra con la loro musica, il tiro infatti cresce sempre di più a mano a mano che ci si avvicina al ritornello. Sul bridge infatti la tonalità sale e la tensione aumenta immancabilmente, ma è con il ritornello che il pubblico può lanciarsi a squarciagola nell'urlare il motto operativo dei marines che da il titolo a questo pezzo. Passata questa prima tappa, gli "hey" di incitamento del pubblico continuano anche durante la parte seguente e la seconda porzione del testo cantata da Hetfield, al quale si aggiungono ora degli agguerriti coristi, continuamente incitati dalle domande del frontman. Siamo arrivati al momento martellante del pezzo, la ripartenza finale su cui risiedono gli assoli, dopo un rapido break infatti troviamo infatti la batteria lanciarsi in un tempo sostenuto ed incalzante dove il basso esegue una linea costante e solida per consentire alle chitarre di affrontarsi in singolar tenzone con le proprie colate di note; sembra tutto finito, ma dopo un nuovo silenzio ecco ripartire l'ultima strofa del pezzo, momento che viene preceduto da una piccola divagazione improvvisata prima di allacciarsi nuovamente al tema principale. Ormai la tensione nell'aria si taglia con il coltello, ed il ritornello finale suona nell'intero Grimey's come un vero e proprio urlo di guerra metallico. Per il finale i Four Horsemen scelgono di intervallare con degli stop and go gli accordi in modo che Hetfield abbia modo di interagire con il pubblico coinvolgendolo ancora una volta per il finale corrosivo del concerto, dove i quattro si abbandoneranno ad una inconfondibile caciara conclusiva prima di congedarsi definitivamente, un'ultima ripresa di un riff old shool prima di staccare gli strumenti e lasciare lo spazio ai complimenti, agli schiamazzi ed al casino generale che fa seguito ai concerti, in particolar modo quelli nelle piccole location, dove i musicisti iniziano immediatamente a smontare la propria roba. La singolarità e l'importanza esclusiva di questo concerto nel negozio è ribadita dalla dichiarazione finale di Hetfield verso i suoi fan, che dice "Metallica loves you even in the basements" ("I Metllica vi amano anche dopo aver suonato nelle fondamenta di un negozio"), segno che per quanto in alto si possa arrivare, ogni tanto è sempre divertente tornare "nei bassifondi" e riscoprire l'atmosfera in cui tutto ha avuto principio. Come molti degli altri testi contenuti in "Kill 'Em All", anche quello di "Seek & Destroy" è una dichiarazione di guerra che i giovani Metallica lanciavano al mondo: sta per iniziare un loro concerto e questa sera sono pronti a mettere fuoco l'intera scena, intesa quest'ultima come marmaglia di persone presenti e non all'avvenimento. I quattro guerrieri stanno cercando proprio noi, che veniamo additati nel mezzo della folla, proprio noi siamo attesi per assistere all'inizio di quella che è la battaglia dei metalhead contro l'intera massa di bigotti ben pensanti che non fanno altro che bacchettarli. In contrapposizione alla benevolenza ed alla carità di Cristo che animano la vita di ogni buon cattolico e patriota americano, i cervelli dei 'Tallica sono volutamente dominati da un demone verso il quale essi non pongono alcun tipo di resistenza, ma anzi, si lasciano possedere in qualità di adepti della musica metal e non c'è nulla di nuovo sotto il sole, poiché sappiamo benissimo che ciò li manderà completamente ai pazzi. Correte dunque poveri perbenisti stolti in giacca e cravatta, arrancate sulla via della loro avanzata e tentate di trovare rifugio per nascondervi dalla potenza penetrante della musica, tanto i quattro guerrieri avanzano imperterriti con l'unico imperativo di stanarvi e distruggervi senza alcuna pietà, facendovi morire di una morte violenta quanto migliaia di decessi subiti tutti assieme in una volta sola. Non c'è quindi possibilità di fuga, questo è garantito, questo è il momento della fine a cui presto sarete tutti condotti, dite dunque addio al mondo in cui avrete sempre vissuto in quanto verrete finalmente puniti per aver trascorso la vostra lurida esistenza a prendere e prendere dagli altri senza dare nulla in cambio, ma adesso vi si presenta il conto e sarà salatissimo. I cervelli dei quattro musicisti ormai sono infuocati dall'adrenalina che si prova nell'uccidere, ed essa non sarà saziata fino a quando non saranno soddisfatti i loro sogni inneggianti alla conquista del mondo, ormai c'è solo una cosa al centro della loro testa e non provate a fuggire, maledetti bigotti, perché quella cosa siete proprio voi e verrete catturati, stanati e distrutti. Un atteggiamento spavaldo ed egocentrico? Forse, ma per una musica aggressiva come il Thrash non ci sono vie di negoziazione che si possano percorrere.

Conclusioni

Con "Live At Grimey's" i Metallica quindi si "decontestualizzano" dalla loro solita situazione, fatta di stadi, teatri e grandi arene, per tornare direttamente all'archetipo della loro leggenda; prima di ogni grande palco infatti, ogni musicista, anche quello più noto, è passato per quei localini di provincia dove ad ospitarlo vi erano giusto quattro tavole leggermente rialzate dal pavimento. Per i 'Tallica suonare nel sottoscala di un negozio di dischi quindi ha rappresentato un passo indietro? Assolutamente no, anzi, accettando di esibirsi in questa sede, con questo entusiasmo e questa energia, hanno dimostrato al contrario che loro, sotto sotto, sono ancora profondamente legati a quelle piccole location da cui tutto ebbe inizio. L'idea poi di registrare l'esibizione e farne un prodotto di vendita rappresenta anche una novità dal punto di vista esclusivo del marketing: poiché anche le registrazioni di questo show vennero post prodotte in maniera professionale, che però li ritrae in un locale più piccolo del solito. Questo live album di nove tracce rappresenta dunque la giusta via di mezzo tra un disco dal vivo ed un bootleg, apparendo però non come una versione di scarsa qualità del primo bensì come una vera e propria chicca super curata del secondo. I fan della band si trovano ora per le mani una testimonianza non solo della sempreverde splendida forma del gruppo sul palco, ma anche di quell'umiltà che dall'alto dei loro conti in banca milionari li ha visti per una volta lavorare a cottimo e sottopagati, non però con la spocchia di chi lo fa tanto per farlo, bensì con l'allegria di chi, pur avendo una gran carriera alle spalle, non disdegna mai un'esibizione alla buona in un piccolo club di fronte ad un gruppo di amici. Al di là della qualità effettiva con cui i pezzi vengono suonati, che come ci si poteva immaginare vengono proposti in maniera impeccabile, giusto con qualche piccola ma perdonabile imperfezione, il pregio di Hetfield e soci consiste nell'aver dato alle stampe un prodotto che letteralmente infrange la proverbiale quarta parete: è vero che in tutti i concerti il biondo vocalist dialoga con la folla oceanica che è li a sentirlo, ma in questa particolare occasione ciò avviene in maniera del tutto diversa dalla solita routine. Il cantante di Downey si pone infatti ai presenti in maniera molto più diretta e confidenziale, quasi come se conoscesse uno per uno i presenti, e ciò ci offre un'ottica del tutto rivoluzionaria del rapporto tra musicista e fan, fino ad arrivare al definitivo superamento di quella "barriera" con la jam eseguita sulle note di "The Frayed Ends Of Sanity" fulmineamente abbozzata dopo "For Whom The Bell Tolls", in cui i Metallica si "riducono" unicamente a base musicale per la voce principale costituita da un gruppo di presenti al concerto. Molte volte gli artisti vanno alla ricerca di chissà quale artificio per rinnovare l'esclusiva di un determinato live, i Four Horsemen questa volta si può dire abbiano beffato tutti ricorrendo all'espediente delle cose semplici: il sottoscala di un negozio ri arredato alla buona per l'occasione, una batteria, un impianto voce e tre amplificatori, niente di più, eppure, questo spettacolo non ha nulla di invidiare a quei faraonici live che i Metallica sono abituati a svolgere normalmente. 

1) No Remorse
2) Fuel
3) Harvester Of Sorrow
4) Welcome Home (Sanitarium)
5) For Whom The Bell Tolls
6) Master Of Puppets
7) Sad But True
8) Motorbreath
9) Seek & Destroy
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