METALLICA

Francais Pour Une Nuit

2009 - Warner Bros. Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
30/08/2016
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

"Francais Pour Une Nuit", "Francesi per una notte", così si sono sentiti i Metallica in occasione del loro concerto tenutosi il 7 luglio del 2009, in occasione del Festival di Nimes, nel sud della Francia, per poi essere pubblicato in dvd il novembre successivo. Purtroppo, a seguito degli attentati al Bataclan di Parigi, parlare di un live metal svoltosi in questo stato ha assunto una connotazione non troppo felice per certi aspetti, ma non è questa la sede per far la politica, ci piace dunque pensare che l'amore dei Four Horsemen per i propri fan francesi si sia ulteriormente rafforzato negli ultimi mesi e rivivere le emozioni di uno show risalente a sette anni fa sia comunque un piacere. La band a quell'epoca era finalmente uscita dallo stato di torpore che ne aveva minato la salute nei primi anni Duemila: forte di una formazione rinnovata e di una conseguente stabilità ritrovata, i passi falsi commessi erano ormai già archiviati. L'anno appena precedente a questo dvd infatti veniva alla luce "Death Magnetic", l'album che dopo le false promesse del predecessore finalmente rispettava (o per lo meno si avvicinava maggiormente all'obbiettivo, in base ai vari punti di vista) il desiderio dei quattro californiani di tornare al glorioso sound delle origini. Quelle dieci tracce inedite finalmente riportavano alla mente le epiche cavalcate di "Ride The Lightning", le graffianti mitragliate di "Master Of Puppets" e le lunghe ed al contempo travolgenti suite strumentali di "...And Justice For All", finalmente i fan del gruppo potevano dunque ben sperare circa il futuro di una delle band fondamentali dell'intero panorama Heavy Metal. Ma la prova in studio, per quanto fosse la più difficile da sostenere, non era l'unica sfida che i 'Tallica dovettero affrontare: la magia e la grinta dimostrati in sala d'incisione mettendo su disco il frutto delle sessioni di composizione dovevano trovare riscontro anche dal punto di vista live, ma sappiamo bene che se si tratta di schiaffeggiare col guanto James Hetfield, Lars Ulrich, Kirk Hammet e Robert Trujillo perché si facciano valere su un palco siamo ben consapevoli che la nostra stizzosa fiducia risulta tritata e passato sotto uno schiacciasassi già in partenza. I quattro americani, da sempre, non hanno mai sbagliato un colpo quando si trattava di portare on stage la loro musica, anzi, alle volte alcuni dei loro brani ritenuti più "mediocri" se non "orribili" ascoltati dai vari album venivano completamente rivalutati una volta ascoltati suonati in concerto; non sbaglieremmo a dire che una "King Nothing", per fare giusto un esempio, ascoltata da "Load" possa aver fatto storcere il naso al thrasher il cui gilet puzza ancora della birra rovesciata nel pogo durante lo show del tour promozionale del terzo album della band (se ha avuto la fortuna di assistervi chiaramente) ma una volta che quel pezzo sia iniziato durante un esibizione successiva a cui egli era presente, magari, il pregiudizio venne accantonato per gettarsi nuovamente nella mischia. L'anfiteatro di Nimes si rivela una location particolarmente adatta per ospitare i concerti metal (pensate ai Rammstein e dovrebbe venirvi in mente qualcosa), senza contare che l'architettura romana della struttura avvolge l'evento in un'atmosfera decisamente epica e solenne; la band omaggerà i propri seguaci francesi con uno show di due ore in grande stile, come solo i Metallica sanno fare e la patria di Baudelaire risulterà l'ennesimo campo di battaglia su cui i quattro cavalieri del Thrash Metal compieranno una loro nuova epica impresa. Il packaging stesso del prodotto si presenta come un qualcosa di assolutamente "classico" (nel senso accademico del termine) rendendo dunque il dvd un oggetto da possedere e conservare sul proprio scaffale quasi come fosse una pregiata edizione di un'opera della letteratura antica. Il nero della scena di copertina, oltre richiamare ovviamente la notte in senso lato, offre al tutto una classe indiscussa; ad emergere su tutto, ovviamente, è il logo della band, che finalmente è tornato a comparire con lo stile classico ed old school delle primissime grafiche dei Metallica, il titolo compare in una epigrafe dal gusto tipicamente romano, attorniato dalle M stilizzate messe a mo di cornice e dulcis in fundo, l'immagine aerea dell'Arena di Nimes regala subito un'istantanea particolarmente eloquente di quanta gente fosse presente a questo nuovo e trionfale show dei 'Tallica. Le malelingue sulla band sono state, e sono tutt'ora diverse, ma ai quattro californiani non occorre nemmeno rispondere, basta semplicemente mostrare quanti, allo stesso tempo , siano i seguaci accaniti che non perdono occasione di poter presenziare ad un loro concerto. Nella setlist sono presenti ben diciotto brani per oltre un ora e mezza di musica, un menù decisamente faraonico ma al tempo stesso una passeggiata per degli artisti che hanno fatto dei live di durata estesa le loro "passeggiatine sotto casa". In scaletta immancabilmente sono presenti i grandi classici, e cada il mondo se ne venga omesso anche solo uno, ma sono presenti anche diversi estratti dall'ultimo lavoro, del quale i Metallica sono particolarmente fieri e non vedono l'ora di presentare nei concerti che svolgeranno in ogni dove.

The Ecstasy Of Gold

I quattro entrano in scena preceduti dalla arcinota introduzione "The Ecstasy Of Gold" ("L'estasi Dell'Oro") celebre composizione del maestro Ennio Morricone realizzata come colonna sonora del film western "Il buono, il brutto e il cattivo" di Sergio Leone con cui i 'Tallica sono soliti farsi presentare fin dal 1983. Il pubblico fa sentire il proprio calore fin dalle prime note della sequenza, andando a seguire con il battito delle proprie mani e con un coro all'unisono la melodia principale in attesa che i quattro cavalieri facciano il loro trionfale ingresso. Il momento è quanto mai solenne, è con l'aumentare dell'elettricità nell'aria si percepisce che il gruppo sta arrivando.

Blackned

Ad aprire lo show troviamo "Blackned" ("Oscurato"), brano estratto dal disco "...And Justice For All" del 1988; la predominanza cromatica tendente al blu delle luci viene spezzata da un faro ad occhio di bue diretto sulla batteria, dove Lars Ulrich giunge per primo accolto dalle immancabili ovazioni, il drummer incita ancora un po' i presenti mentre i suoi colleghi si apprestano ad arrivare e senza indugiare ulteriormente ecco partire la canzone; Hetfield si piazza al centro del palco con le gambe divaricate quasi in assetto da combattimento ed è proprio la sua sei corde a partire con il main riff, prontamente seguita a sua volta dagli altri strumenti. Con l'ingresso delle pelli, la composizione si lancia in un quattro quarti serrato dal retrogusto tipicamente old school, una sequenza di note immancabile che ben si pone come opener di uno show dei Metallica; trattandosi di un colosso del Metal, i quattro suonano compatti e precisissimo su ogni stacco, il quarto lavoro in studio del gruppo è particolarmente noto per possedere delle strutture assai elaborate ma nonostante ciò essi scorrono potenti e fluidi in ogni frangente, lanciando la folla in un pogo immancabile. L'introduzione strumentale viene prendendo forma e con l'ingresso della voce, Hetfield si dimostra carico e tonico, il ritornello del pezzo viene cantato dal pubblico e dopo il primo bridge, la seconda parte di testo mantiene sempre alto il tachimetro, ma è con la pausa centrale prima del cambio ritmico che i Four Horsemen chiamano il loro esercito all'adunata: l'accordo viene tenuto e prontamente Ulrich scandisce con la cassa i quarti del tempo subito seguiti dagli "hey" energici del pubblico, la pausa in questione dura circa un minuto, dopodiché il biondo vocalist richiama subito l'attenzione con un "Are you out there Nimes?" ("Ci sei Nimes?") che mette subito in chiaro le cose. La chitarra di Hetfield riapre nuovamente il gioco lanciandosi nell'esecuzione in solitaria del riff che introduce la porzione successiva della traccia, il tempo resta sempre in quattro quarti ma viene ora dimezzato in favore di uno sviluppo più cadenzato e catchy, la parte di Ulrich consiste ancora in un quattro quarti, modellato unicamente su cassa, rullante e charleston sull'esempio dell'epica "Orion", tuttavia sono le chitarre ed il basso nel loro complesso a creare l'impatto monolitico che travolge i presenti; gli incisi vocali, oltre ad essere prontamente doppiati dai cori di Trujillo, vengono intervallati ad un'esecuzione compatta del riff che crea una buona mescolanza di melodia e potenza. La durata del brano è particolarmente estesa, ma grazie a questa accurata scelta di riff i minuti scorrono via senza che quasi ce ne si possa rendere conto e con l'arrivo dell'ultima cavalcata eseguita dalle chitarre armonizzate l'atmosfera diventa ancora più epica. Per l'assolo di Hammet, mentre il moro axemen si pone staticamente di fronte al pubblico, Hetfield va a piazzarsi in faccia al co fondatore del gruppo e Trujillo, il più dinamico scenicamente, gira per lo stage con il suo proverbiale fare scimmiesco. Chiusa la sessione solista, la terza strofa riprende con il tempo sostenuto iniziale, riallacciandoci infine al ritornello conclusivo con cui i Metallica sigillano questa prima canzone. Con il sopraggiungere della morte tutto si oscura, un gelo invernale avvolge le nostre membra mentre il nostro ultimo soffio vitale va a dissolversi nell'eterno, tutto ciò che vediamo è gettato nell'oscurità, mentre la madre terra muore funestata dai colpi delle guerre e dell'inquinamento causati dall'uomo. L'essere umano, con il suo progresso, sta lentamente uccidendo la natura ed il pianeta su cui cammina, ed a noi poveri mortali non resta altro che iniziare la nostra danza macabra dei morti nell'attesa che tutto giunga alla sua epica fine. Una volta che tutto sarà consumato intorno a noi, dopo che avremmo succhiato tutto ciò che è possibile dal sottosuolo ed averne rigettato i rifiuti tossici nell'ambiente non ci sarà più nulla, nemmeno l'aria da respirare; i profitti saranno diventati stratosferici ma c'è poco da gioire, i nostri organismi hanno bisogno dell'ossigeno da respirare non della carta dei soldi, quindi a meno che l'evoluzione non ci consenta di nutrirci dell'inchiostro delle banconote, noi esseri umani siamo destinati a spegnerci in un epico seppuku che noi stessi ci siamo inferti.

Creeping Death

La successiva "Creeping Death" ("La Morte Che Avanza") viene semplicemente introdotta da Hetfield con un "are you ready for this?" ("siete pronti per questa?"); la celebre canzone contenuta in "Ride The Lightning" è infatti diventata nel corso degli anni un indiscusso evergreen che non ha bisogno di presentazioni. Gli stacchi iniziali fanno letteralmente esplodere la bolgia tra il pubblico, le rullate del drummer danese sui fusti scandiscono in maniera molto precisa le pennate delle chitarre e del basso per poi giungere agli accenti a powerchord aperti; è con l'inizio del break di chitarra che Hetfield annuncia il titolo della canzone, come se ce ne fosse bisogno del resto, per poi dare avvio alla strofa dal tempo leggermente più sostenuto rispetto alla versione del disco; siamo tonati indietro al secondo disco della band, quando le loro composizioni erano ancora standard ma tuttavia in grado di farci scuotere la testa fin da subito. Alla linearità del tempo di batteria si contrappone un riffing graffiante ed energico, un classico shredding in puro stile thrash metal che fa esaltare i seguaci oltranzisti ad ogni ascolto facendo tornare alla mente i bei tempi andati degli albori dei 'Tallica. Il lungo preludio strumentale viene poi ad aprirsi con una sterzata prima dell'ingresso della voce per poi tornare a stingersi su un incedere travolgente da mazzate nei denti, con la chiusura della prima porzione di strofa si arriva distensione del bridge, in cui un accordo tenuto consente al vocalist di spezzare in due le frasi introduttive, anche se in questo particolare show le suddette frasi sono cantate dal pubblico, prima di giungere al ritornello vero e proprio, in cui le due parole del titolo vengono eseguite tenendo l'ultima sillaba allungata. La seconda parte della traccia riprende la struttura iniziale, svolgendosi con la stessa alternanza delle varie sessioni per poi confluire nella parte dell'assolo di Hammet. La ritmica procede sempre fluida e lineare mentre il moro axemen ci regala una cascata di note in shredding salendo e riscendendo lungo una fitta serie di pentatoniche e scale cromatiche. Ma è finita la parentesi esclusiva del riccioluto musicista che inizia la parte più epica del pezzo: il tempo si spezza, vertendo ora verso una serie di stacchi scanditi mediante i fusti della batteria, dove le chitarre intraprendono un nuovo riff stoppato dalle sonorità marziali coinvolgendo così il pubblico in un incitamento sfrenato. Gli accordi delle chitarre si estendono in corrispondenza dell'imperativo "die!" ("muori!"), dando così all'intero passaggio un tono solenne che ci pone davanti agli occhi l'immagine del cupo mietitore mentre avanza verso di noi indicandoci. Il pubblico sugli spalti è tutto in piedi a seguire con i propri pugni al cielo gli accenti corali, quando improvvisamente le sei corde si fermano per lasciare il basso di Trujillo eseguire il riff in solitaria con la batteria per un paio di giri prima che i quattro riprendano a suonare insieme per la terza ed ultima strofa. Come accennato, ci troviamo di fronte ad un pezzo abbastanza schematico, composto da tre alternanze di strofa e ritornello con l'inciso nel mezzo, ma tuttavia siamo tutti concordi sul fatto che questo resti uno dei migliori pezzi dei Metallica in assoluto, a chiudere la canzone troviamo ancora una volta i due chitarristi eseguire un fraseggio con le sei corde armonizzate, un ultimo momento da mano sul cuore prima che il tutto vada a chiudersi un finale da cardiopalma lasciato alle dita sfrenate di Hammet, che rapidissime precedono gli ultimi stacchi a ripresa ciclica. Come si evince dal titolo, è la morte la protagonista della lirica, ma l'atmosfera va ad affondare la propria narrazione all'interno della narrazione biblica: il popolo ebraico è stato schiavizzato dagli Egizi e questi schiavi vengono costretti con la violenza costruire le piramidi che onorino il faraone, re/dio del popolo del Nilo che viene omaggiato con questo enorme monumento. Ma un "ignoto" messiah, non menzionato esplicitamente del testo ma riconducibile alla figura di Mosè, che dopo aver ricevuto la chiamata di Dio viene ora a reclamare la libertà del popolo d'Israele: l'iniziale rifiuto del sovrano fa sì che l'ira divina funesti il popolo egizio attraverso dieci piaghe, le quali iniziano con la trasformazione dell'acqua in sangue per poi proseguire con le invasioni delle rane, delle mosche e delle zanzare; le disgrazie vanno via via ad acuirsi, giungendo successivamente ala moria del bestiame, alle ulcere che massacrano bestie ed esseri umani per poi passare alla pioggia di fuoco e ghiaccio e all'invasione delle locuste che infestano e distruggono i raccolti. Ma è nel finale che si ha il vero e proprio colpo di grazia, preannunciato dal calare delle tenebre perpetue. La profezia si conclude con la morte dei figli primogeniti, tra cui è compreso anche quello del faraone stesso. Fuggito con il suo popolo verso il Mar Rosso, con l'aiuto di Dio, Mosè ne aprirà miracolosamente le acque, consentendo al popolo ebraico di fuggire per poi richiudersi immediatamente al passaggio dei soldati egizi. Il tutto è narrato da Hetfield in prima persona, facendo quindi del thrasher un interprete del personaggio biblico, così è scritto e così sarà fatto ed il faraone vedrà la morte avanzare verso di lui.

Fuel

I Metallica adesso ci portano qualche anno più avanti, precisamente al 1997, l'anno in cui venne pubblicato "Re-Load", da cui è tratta "Fuel" ("Benzina"), il terzo pezzo in scaletta nel live di Nimes. Prima di iniziare, Hetfield si rivolge nuovamente al pubblico, chiedendo se al concerto siano presenti "i guerrieri" dei Metallica, o meglio, i gladiatori, essendo il concerto all'interno d un teatro romano. Trascorso qualche secondo ecco il celebre incipit vocale "gimme fuel, gimme fire, gimme that wich i desire" ("dammi la benzina, dammi il fuoco, dammi ciò che desidero") e con lo start della traccia si elevano anche delle fiamme rosse ai due lati del palco, un effetto pirotecnico più che azzeccato per il brano in questione. Fin dai primi secondi, il pezzo è suonato decisamente più veloce rispetto alla versione in studio, il che ne aumenta immancabilmente il tiro, ed anche se il disco da cui è tratto non è annoverato fra i migliori lavori dei quattro californiani non si può certo dire che "Fuel" non abbia un'ottima resa dal vivo. Il main riff viene letteralmente sfoderato da Hetfield e con l'ingresso della batteria la traccia assume la sua piena forma; il quattro quarti sostiene un incedere serrato e travolgente, ma nonostante la velocità più sostenuta i Four Horsemen sono decisamente all'altezza della situazione. Ad introdurre il pre ritornello è una rapida rullata di Ulrich, sapientemente piazzata per correggere un momentaneo errore, ma tutto sommato la "pecca" passa inosservata e l'esecuzione può proseguire fino al primo break, dove il biondo vocalist può riprendere la frase di apertura. Il drummer danese si porta a recuperare punti proprio sul bridge, dove i suoi disegni ritmici sui fusti della batteria sostengono in maniera perfetta la parte di chitarra; giunti all'intermezzo, i Metallica non si tirano certo indietro dal far scatenare un po' i fan presenti con dei cori sostenuti, dove Hetfield è a sua volta accompagnato da Trujillo. Siamo ora nella parte finale, Hammet ha appena concluso la sua parte solista, che a differenza di tante altre esecuzioni ha esulato leggermente da quella che è la composizione originale del solo, rimanendo comunque perfettamente centrata con la tonalità della ritmica; ora è la volta dell'ultimo colpo di coda, l'ultimo rombo di motore, giusto per restare in tema, ed i 'Tallica vogliono chiudere questa canzone in grande stile: il main riff continua ad essere suonato a bmp più alti e questo consente alla sterzata finale di essere ancora più di impatto, il finale è infatti netto e conciso, Hetfield urla ai suoi ammiratori "burn, babe burn" ("brucia, piccola, brucia") come se metaforicamente stesse parlando con una bella auto sportiva fiammante, ed in realtà un motore c'è, quell'immensa macchina da guerra composta dai numerosi fan presenti nell'arena che bruciano la loro benzina urlo dopo urlo e spallata dopo spallata. Il tema della lirica riguarda appunto i motori, immaginate di salire su una bella puledra meccanica ruggente pronta a lanciarsi in una gara clandestina, siete assetati di adrenalina e non c'è modo migliore di una bella sfida su strada per farsela entrare in circolo. Siete carichi al punto giusto, i pistoni stanno ruggendo ed immediatamente prendete posto nell'abitacolo per attendere che la fighetta di turno abbassi il fazzoletto per dare il via alla sfida fra voi e gli altri concorrenti. Giunto il fatidico momento, le marce slittano una dopo l'altra sul vostro cambio, il tachimetro sale rapidissimo di giri e senza che nemmeno ve ne rendiate conto la vostra vettura viaggia già oltre i cento chilometri orari, il vostro navigatore però vi intima di frenare, in fondo alla strada spicca infatti un semaforo rosso a cui le auto presenti in strada si fermano come vuole il codice della strada, ma voi siete in gara e ve ne infischiate, indi per cui volete aggirare l'ostacolo passando per il vicolo immediatamente prima, la manovra per entrarci però richiede una brusca svolta e lo spazio ormai è minimo ma non importa, il volante ormai gira da solo e per chiudere l'angolo della vostra curva andate pure a sbattere, bestemmiando per i danni riportati, ma bisogna vincere la sfida. Ormai state diventando un tutt'uno con la vostra macchina, dai pedali le vostre gambe iniziano a fondervi con il motore facendovi quasi sentire l'odore della benzina nei polmoni, eletta ora a vostro nuovo ossigeno; il traguardo è vicino, vedete ormai la linea all'orizzonte e state continuando a bruciare, andando a schiantarvi contro quel maledetto camion che vi ha tagliato la strada. Prima di passare al brano successivo, anche per avere occasione di respirare un attimo, Hetfield ringrazia nuovamente tutti i presenti, anticipando subito che saranno suonati dei brani tratti dall'all'epoca recente "Death Magnetic", il cui annuncio viene accolto con un primo boato, ma anche con un po' di "roba vecchia", la cui ovazione è ancora più concitata; nonostante il full lenght del 2008 fosse stato bene accolto dai fan è inevitabile che siano i grandi classici a destare ancora oggi maggior interesse tra i seguaci dei Metallica e siccome il cliente ha sempre ragione bisogna dare ai presenti ciò che chiedono.

Harvester Of Sorrow

Il biondo americano si gira senza proferire parola, Ulrich dà il quattro sul charleston e parte un altro evergreen del gruppo, "Harvester Of Sorrow" ("Mietitore Di Dolore"), anch'essa contenuta in "...And Justice For All". Anche in questo caso, gli stacchi introduttivi sono rapidi e netti, immediatamente spenti per dare modo all'arpeggio di Hetfield di prendere forma attraverso un suono pulito e limpido, in sottofondo restano comunque dei powerchord distorti a dare maggior corpo a questo avvio, e con la ripresa dei passaggi sui fusti del drummer danese il pubblico immancabilmente si fa sentire più forte che mai. Il riff principale di questa sessione è particolarmente cadenzato, tanto che il frontman del gruppo e Trujillo non possono fare ameno di mettersi ad ondeggiare seguendo il movimento delle braccia degli astanti; si sta creando così il crescendo ideale per la partenza della strofa, momento nel quale la canzone mantiene costante la propria atmosfera marziale e solenne. Il tempo in quattro quarti infatti scandisce i passi di una monumentale e trionfale marcia thrash, dove le chitarre svolgono il ruolo di fieri condottieri attraverso un riffing pesante in palm muting; particolarmente interessante è il contrasto tra la contrattura della parte ritmica strumentale e le distensioni della voce, questo particolare "scontro" conferisce infatti allo sviluppo un dinamismo variegato ed energico che oltre a far scuotere la testa consente alle parole di Hetfield di uscire molto decise e convinte senza che egli debba per forza seguire in tutto e per tutto la melodia delle chitarre. Ogni cesura è prontamente scandita dai passaggi di Ulrich, ma a spezzare completamente il ritmo è la ripresa dell'arpeggio iniziale, che apre provvisoriamente l'incedere prima di ripartire con la successiva variazione del ritornello; in questo passaggio però emerge l'enorme differenza vocale tra Hetfield ed Hammet, il primo carismatico ed elettrico, il secondo spento e privo di mordente, il rincalzo testuale di "language of the mad" ("linguaggio del folle") viene appena appena accennato nel microfono dal moro axeman, il quale, seppur non sia mai stato un gran corista, in questo particolare frangente risulta davvero poco convinto. La struttura del pezzo, pur restando sempre molto cadenzata, ruota attorno all'alternanza della strofa con la successiva apertura del ritornello, l'elemento di distacco però è costituito unicamente dalle parti degli strumenti elettrici, in quanto la batteria continua lineare e costante sempre con il medesimo tempo. Nel bridge immediatamente prima dell'assolo, Hetfield sfodera alcuni dei suoi proverbiali "yeah" in corrispondenza degli accenti dati sui crash, verso che ha reso il vocalist di Downey particolarmente famoso proprio per questo suo sfoggio di carisma, il pubblico risponde vivamente, ed in men che non si dica ecco iniziare la sciabolata di Hammet, una colata di note fluide e sentite, provvisoriamente più lenta rispetto ai suoi stilemi ma sempre infarcite da una buona dose di bending ed hammer on, che vanno a spegnersi sulla ripresa del passaggio ritmico iniziale. Si giunge così all'inciso particolareggiato, un rapido assalto dove le chitarre si inseguono a vicenda suonando armonizzate per poi giungere allo stop che fa calare il silenzio. In questa pausa il gruppo si ferma per più tempo, lasciando che l'assenza di musica sia colmata dal boato della folla, il vocalist resta con gli occhi chiusi ed improvvisamente la band riparte dandoci la proverbiale mina nei denti, anche l'ultima strofa ed il ritornello conclusivo, volutamente allungato, vengono suonati per poi chiudere con un ultima rapida stoccata ritmica ed il pubblico si lascia andare nella propria ovazione di apprezzamento. Le parole di questa canzone raccontano la metaforica trasformazione di un essere umano nel cupo mietitore, una sorta di genesi della raffigurazione della morte per antonomasia che si aggira per il mondo a mietere come spighe di grano le anime di coloro i quali hanno raggiunto il definitivo termine della loro esistenza. La vita di questo individuo si spegne come un fuoco che ha esaurito la materia da ardere, piantando all'interno di sé i semi dell'odio che germogliando gli faranno vedere gli altri uomini unicamente come erbacce da disboscare; tutto l'amore che era presente in lui è scomparso, generando l'astio verso la vita umana che nonostante i vari proclami di superiorità è anch'essa misera e destinata a spezzarsi come un ramoscello piegato dall'enorme peso del tempo. Il protagonista ora prende la parola, egli ha dato tutto e la vita lo ha derubato di ogni suo bene, svuotandolo di ogni essenza e lasciandolo in vita solo come una forma ormai priva di ogni contenuto, la sua giovinezza è finita nell'oblio ed ogni verità ai suoi occhi appare come una menzogna, in lui vivono solo rabbia e miseria, quelle uniche due sensazioni che faranno di lui il mietitore del dolore, che per l'eternità lavorerà in qualità di mezzadro nello sconfinato campo della vita terrena.

Fade To Black

Giunge il momento di un altro pezzo immortale dei Metallica, "Fade To Black" ("Dissolvenza In Nero"), il primo pezzo "morbido" che il gruppo abbia mai regalato ai propri fan; con l'iniziare dell'arpeggio iniziale è come se sull'Arena di Nimes l'aria si facesse più leggera, quasi a saturare i polmoni dei presenti grazie alla suo nuova forma conferitale dalla morbidezza di quelle poche ma toccanti note. Hetfield si blocca sul posto, lasciando che le sue mani corrano sulle corde cercando invano di prevaricare su un'ovazione di un pubblico ormai rapito. Grazie al design del palco, i quattro possono muoversi a 360 gradi, volgendosi anche verso i presenti collocati sugli spalti retrostanti al palco ed anche a loro il biondo gigante si rivolge suonando la propria creazione; appena la tonalità dell'arpeggio sale di tono arriva anche il fraseggio solista di Hammet, una sequenza di note talmente celebre da essere intonata dagli astanti pennata dopo pennata quasi fosse un inno nazionale. Ulrich scandisce i finali di battuta con la sola cassa perché le protagoniste assolute sono le chitarre, anche quando esse si lanciano nella successiva sessione stoppata, momento nel quale la batteria farà il suo ingresso effettivo, l'atmosfera resta sempre epica e solenne. Con questa canzone i quattro thrasher incazzati fino alla morte potevano sembrare essersi ammorbiditi, ma in realtà, la loro vena creativa andò a guardare le più introspettive note dell'anima e data la vastità dell'argomento anche le sonorità dovevano essere toccanti fin da subito. Il vocalist del gruppo inizia a cantare con un tocco leggero e vellutato le prime frasi del pezzo, gli strumenti sono ormai tutti ufficialmente partiti ed il disegno ritmico contrattempato si coordina perfettamente con la distensione canora del musicista di Downey, ogni sincope eseguita dal drummer danese funge da cesura anche per i capoversi del testo, la cui linea melodica molto malinconica non può avvolgerci e trascinarci dall'inizio alla fine della sessione. La traccia scorre, il nostro corpo ondeggia cullato da quelle dolcissime note, ma immediatamente giunge dritto come un treno il cambio che farà passare le chitarre dal pulito al distorto, muovendosi ora su un riff cadenzato strutturato su una successione di powerchord, il blocco viene ripetuto per intero due volte, scandito dalle diverse rullate di Ulrich, il quale, si cimenta ad ogni giro in una costruzione differente sui tom e sul timpano per variegare la propria esecuzione; sembra che stia arrivando un qualcosa di "più grosso", ma conosciamo bene la traccia e sappiamo che si tratta di una falsa partenza: la seconda strofa si riallaccia alla struttura arpeggiata iniziale, rendendo dunque lo scopo appena citato solo un inciso. A differenziarsi è unicamente Hammet, che ora porta il suo fraseggio solista su tonalità ancora più alte; per il resto, anche questo secondo blocco si ripete identico al primo, sviluppandosi anch'esso su un crescendo che sfocerà in un nuovo ed esplosivo cambio. Svolto questo nuovo giro di boa ecco arrivare la svolta vera e propria, i quattro si fermano, dando modo al pubblico di sfogare tutta la propria energia accumulata, Hetfield, da buon showman, instaura un nuovo dialogo con i presenti, chiedendo loro "do you feel it?" ("la sentite?") riferendosi alla tensione ormai elettrica nell'aria e aggiungendo "do you feel like I do?" ("mi sentite come mi sento io?") ma a questa seconda domanda non c'è il tempo di rispondere, poiché il frontman dei Metallica si lancia nell'esecuzione del nuovo giro di chitarra, una nuova serie di accordi accentati intervallati tra loro da una scala discendente eseguita in terzine. Sarà proprio questo il motivo conduttore dell'ultima porzione di pezzo, nel quale intervengono anche i fraseggi solisti di Hammet ad aumentare l'epicità generale. Con l'ultimo "goodbye" proferito da Hetfield, la traccia volge così al suo epico finale: la batteria marcia imperterrita in quattro quarti, cimentandosi anche in un raddoppio di cassa, la chitarra ritmica esegue con il basso il main riff della sessione ed il moro solista può finalmente scaricare tutta la sua verve attraverso una cascata di note saturata dal proprio wah wah, la cavalcata si è compiuta ed i Four Horsemen possono scendere dai loro destrieri sigillando tutto con un finale lasciato andare a cui segue l'immancabile ovazione. La lirica si presenta come una delle più introspettive scritte da Hetfield, il soggetto principale è infatti un io narrante intento a raccontarci la sua marcia verso il suicidio, definito come fine liberatoria da un'esistenza opprimente e vessata da mali privi di ogni cura. Di fronte ai suoi occhi la vita sembra scorrere inevitabilmente via, sbiadendo a mano a mano che essa si allontana dal campo visivo, come una nube di fumo che dopo essere uscita densa dalla ciminiera si disperde inesorabilmente nell'aria. Ogni istante trascorso è vissuto come un passo nel buio di una foresta esistenziale in cui il narratore è disperso, non vi sono indicazioni o eventuali riferimenti da seguire per uscire da quella foresta di tenebre ed il protagonista è così destinato a dissolversi anch'esso nel buio. La voglia di vivere stessa si è spenta ed egli tanto non ha più nulla da dare il mondo, non c'è nient'altro per cui vivere ormai e la fine autoinferta sembra essere l'unico sistema per liberarsi da questo disagio. Su di sé egli prova unicamente un vero e proprio inferno, non ci sono altri modi per descriverlo ed il vuoto esistenziale sta riempendo a tal punto il suo corpo da spersonalizzarlo fino quasi a renderlo irriconoscibile persino ai suoi occhi. La soglia d'agonia e vicina e le tenebre stanno gradualmente oscurando la timida alba della solarità e dell'attaccamento alla vita, l'io che lui stesso ha sempre percepito ormai se n'è andato, lasciando sul campo solo una sagoma prima di tratti riconoscibili. Solo un suo gesto di riscossa avrebbe potuto salvarlo dall'intraprendere quest'ultima marcia, ma ormai è troppo tardi e non può far altro che congedarsi per l'ultima volta per poi svanire per sempre in un oceano di oscurità.

Broken, Beat & Scarred

 Di seguito troviamo il primo dei brani estratti da "Death Magnetic", "Broken, Beat & Scarred" ("A Pezzi, Pestato e Sfregiato"). Per spezzare l'attesa richiesta dal gruppo per riprendere fiato e per cambiare la propria strumentazione, l'inquadratura ora si sposta su una panoramica dei presenti, mentre in sottofondo si sente una piccola improvvisazione di chitarra atta a testare il settaggio dello strumento; Hetfield mantiene il rapporto con i fan, complimentandosi con loro per come hanno cantato con lui sulla canzone appena conclusa ed invitandoli a mantenere questa verve per tutto il resto dello show, dedicando loro inoltre l'esecuzione che sta per iniziare. A dar fuoco alle polveri è il chitarrista e cantante della band, recitando il motto nietzschiano "what don't kill ya make ya more strong" ("ciò che non ti uccide ti rende più forte"), frase peraltro contenuta nella chiusura delle prime due strofe del testo, per poi lasciare che il pezzo esploda con la classica mazzata. Dopo una prima serie di stacchi stoppati, il main riff si sposta su un fraseggio melodico dalle tonalità, scandito da un lungo passaggio sui fusti della batteria il cui fine è creare un crescendo quasi tribale prima di lanciarsi nel tempo vero e proprio. La marcia di guerra è iniziata, c'è ancora il tempo per un ultima rullata e poi via sul quattro quarti della strofa, il quale, sostiene un main riff dinamico ed energico che concretizza un lungo preludio strumentale prima dell'ingresso della voce. Il cantato di Hetfield si presenta subito squillante e deciso, accompagnato anche da Hammet e Trujillo nella frase di chiusura succitata che viene ulteriormente scandita da Ulrich con una serie di accenti ritmici. Così facendo l'iniziale linearità della strofa va così a "scontrarsi" con dei bruschi stop and go, che però non minano assolutamente l'idea iniziale, anzi, conferiscono all'incedere del pezzo una maggiore varietà ed un forte dinamismo. Il passaggio viene poi chiuso con un'estesa rullata del drummer danese, conclusa la quale viene ripreso il main riff, le cui quattro note sono suonate ora con maggiore precisione grazie all'apporto della batteria, siamo però di fronte solo ad un inciso, sigillato dai colpi del batterista sui crash, ora infatti la struttura varia nuovamente accelerando notevolmente i bpm con l'ausilio della cassa raddoppiata. A giocare il ruolo predominante è sempre l'accostamento di parti serrate e momenti di "pausa" in cui il fraseggio ritorna ciclicamente, alle volte armonizzato per dare quel tocco di varietà in più che non guasta mai all'interno di un arrangiamento. Dopo una ulteriore variazione prende così forma la nuova strofa, il cui tempo lineare lascia alle variazioni tonali della voce di Hetfield l'onere di condurre il tutto, l'iniziale lentezza di questo passaggio è prettamente funzionale alla successiva ripartenza, la quale, concluso l'ennesimo bridge con il raddoppio di cassa, verte ora su un quattro quarti dallo stile puramente old school che affonda le proprie radici direttamente negli spunti di "Kill'Em All": la sessione solista infatti poggia le proprie basi su un accompagnamento molto lineare, che consente ad Hammet la piena libertà di movimento con la sua sfuriata di scale, una vera e propria stoccata in pieno addome prima che i dirt picking sigillino questa parentesi e riconducano i quattro verso il nuovo sviluppo. Siamo ora di fronte ad una di quelle sfuriate a tupa tupa sfrenato che farà eccitare tutti i thrasher più conservatori, i continui stacchi di batteria inseriti a mo di inciso inoltre fanno di ogni bacchettata di Ulrich una vera e propria mitragliata in fronte e nel mentre il gruppo continua a martellare intento a portarci l'ultimo glorioso assalto. Essendo un pezzo estrapolato dal full lenght del 2008, nel complesso la struttura appare notevolmente lunga ed articolata, la chiusura dunque sembri "non arrivare mai" ma proprio per questa singolarità, la conclusione, al suo sopraggiungere, si rivela ancora più d'effetto, un'interruzione brusca che come un carro armato che ci è appena passato sopra si allontana facendo svanire il proprio rumore nel vento. Il fulcro concettuale del pezzo è la continua lotta che ognuno di noi affronta contro le avversità della vita e, come si può intuire dal titolo, la prospettiva del gruppo si focalizza unicamente sul lato negativo dalla faccenda, evidenziando come ogni singolo giorno ci lasci a terra vistosamente segnati dalle botte che abbiamo preso. Immaginate dunque l'esistenza espressa dalla metafora di un combattimento di arti marziali miste; parlare di pugilato, per quanto la nobile arte sia particolarmente suggestiva, sarebbe tuttavia riduttivo, dato che gli ostacoli della nostra routine non esitano anche a prenderci a calci nelle parti basse qualora la nostra guardia risulta scoperta. Di fronte a noi c'è un avversario composto da tutto ciò che si presenta puntualmente a rovinarci i piani, colleghi e superiori incapaci e rompiscatole, le bollette da pagare, tutto insomma, assemblato in un armadio a quattro ante prontissimo ad ingaggiare il match con noi. Appena uscite di casa "con la guardia alzata" provate a portare un colpo, ma il vostro oppositore risulta particolarmente abile non solo a schivarlo ma a reagire prontamente, come se già sapesse quale sarà la vostra prossima mossa e senza che lo vediate il primo pugno vi giunge al volto facendovi vedere rosso come non mai. Il primo jab è incassato, ancora storditi provate a cambiare tattica tentando ora con un calcio, ma appena fate per impostare la rotazione del bacino ecco che il vostro assalto è bloccato e la vostra gamba d'appoggio prontamente sbarrata, privi di equilibrio non potete far altro che cadere con l'avversario sopra di voi, il quale inizia a riempirvi di botte senza manco darvi tempo di reagire, miracolosamente riuscite a liberarvi (metaforicamente pensate ad una piccola vittoria ottenuta sul lavoro) ma immediatamente finite di nuovo per terra ko. L'incontro è chiuso e la vita vi ha lasciati sul tappeto a pezzi, pestati a sangue e con lo sfregio di avervi vinto con estrema facilità. Hetfield annuncia che la prossima traccia sarà anch'essa estrapolata da "Death Magnetic" ed avranno bisogno dell'aiuto di tutta la "famiglia Metallica" per farla venire al meglio.

Cyanide

Il prossimo pezzo è "Cyanide" ("Cianuro"), la sesta canzone della tracklist del full lenght. Ad avviare la canzone è una serie di stacchi in terzine, dove le pennate delle chitarre e del basso sono seguite fedelmente dai piatti di Ulrich, un inizio decisamente esplosivo che getta le basi per un successivo sviluppo; per smorzare però la nostra attesa creando un effetto di spiazzamento voluto, le sei corde si fermano, consentendo così alla sessione ritmica di avanzare poderosa attraverso gli immancabili "hey" di incitamento del pubblico, Trujillo ora è il protagonista della scena, le sue dita zappano letteralmente le corde del suo strumento per conferire a questo avvio un incedere decisamente marziale. Dopo qualche battuta di preparazione, le asce fanno il loro trionfale ingresso, sfoderando un main riff ormai divenuto indelebile nella mente dei fan, le note si muovono in maniera ascendente per poi scendere nuovamente una volta raggiunto l'apice e chiudere con degli stoppati. Con questa struttura possente e di impatto la band avanza unicamente in maniera strumentale, lasciando che sia unicamente la musica a far saltare i presenti dal primo all'ultimo secondo; conformemente alla filosofia "sperimentale" dell'ultimo full lenght i Metallica si muovono su una serie particolarmente articolata di riff, mostrandoci al meglio il lato "progressive" della loro arte. La voce sopraggiunge dopo due minuti buoni di canzone, nel filmato si vede Hetfield avanzare lentamente verso il microfono per poi iniziare a distendere le prime parole delle sue frasi sull'idea iniziale, ripresa ora come sostegno del cantato; a differenza di altre creazioni dei quattro, la melodia vocale qui risulta particolarmente distesa: se in altri pezzi infatti il testo veniva contratto in maniera molto netta ora sono invece i vocalizzi monotonali ad essere l'elemento principale della performance del biondo cantante, anche arrivando al bridge infatti egli sale di tonalità sempre mantenendo allungate le sillabe iniziali delle parole per poi comprimerle successivamente nel ritornello, questo è senz'altro un espediente nuovo per gli standard dei Four Horsemen che si rivela particolarmente avvincente ed inoltre possiede una buona resa grazie alle doti canore del chitarrista e cantante di Downey. In questo live francese possiamo anche apprezzare una ritrovata forma di Ulrich con la doppia cassa: negli ultimi anni il drummer danese appariva un po' carente in tal senso ma nell'esibizione di Nimes i suoi raddoppi sono sempre precisi ed efficaci, pronti ad aumentare il tiro dei vari sviluppi ritmici. Giunti alla fine di questa sterzata, il ritmo ora volge verso un mid tempo, le pelli suonano molto più dritte ed anche le chitarre ed il basso si muovono ora su un riff decisamente più standard. Il vero punto di svolta si ha però a metà della traccia, dove dopo una serie di incisi di batteria le sei corde si spostano su un arpeggio in pulito, che sostiene la voce di Hetfield questa volta molto più bassa di tonalità e vicina al parlato stilisticamente; anche in questo caso però siamo di fronte ad un tassello di un più variegato mosaico, chiusa questa parentesi infatti i quattro ritornano a martellare con l'assolo di Hammet, decisamente orientato ai fasti del loro glorioso. Siamo ormai arrivati alla chiusura del brano, ma i quattro vogliono sparare il pezzo da novanta, riprendendo il modulo iniziale in tutta la sua completezza per poi sfociare in un ultimo e decisivo ritornello allungato. Anche questa canzone dunque possiede una struttura particolarmente elaborata ma l'eventuale monotonia va letteralmente sbiadendosi se si osserva la resa che essa acquista dal vivo. L'argomento del testo è l'anione derivante dalla dall'acido cianidrico o di un suo sale, noto ai più come cianuro. Come sappiamo esso risulta essere un veleno potentissimo per l'organismo umano e la storia ci ha diverse volte insegnato la sua comodità di impiego per suicidarsi, basta infatti romperne una piccola capsula in bocca che dopo pochi ed estenuanti minuti di agonia il dovere della sostanza è compiuto. La lirica si presenta quindi come una descrizione particolarmente suggestiva di questo processo chimico: la vita del suicida va lentamente spegnendosi, facendogli sentire sulle labbra il freddo bacio della morte; di fronte ai suoi occhi vi sono ormai solo visioni di angeli intenti a portarlo oltre le soglie del regno ultraterreno, ma qualcosa sembra non andare per il verso giusto: il passaggio dall'altra parte infatti sembra non essere così semplice, il suicida sente ancora la tenue mano della vita mentre lo afferra per tentare di tenerlo ancora al di qua della soglia. Il corpo di quest'uomo viene quindi ad essere un tocco di carne conteso tra le due dimensioni umane, la vita e la morte, ma alla fine la nera signora sembra prevalere e l'anima di colui che con il cianuro pone volontariamente fine alla sua esistenza viene finalmente gettata nel buio dell'oltretomba senza poter più tornare indietro. La morte stessa sembrava attendere trepidante il funerale del protagonista, al fine di potervi presenziare ed archiviare così la faccenda una volta per tutte, il veleno ha fatto effetto, il suicidio è compiuto, un supremo atto di egoismo destinato però a restare nell'anonimato di migliaia di esseri umani la cui esistenza continua frenetica giorno dopo giorno.

Sad But True

Dopo due "inediti", viene è però d'obbligo per i Metallica riportarci indietro nel tempo, andando a scavare ulteriormente nella loro discografia, il flashback però si ferma ad anni più recenti, più precisamente al 1991 sul Black Album, dal quale i nostri sparano senza alcuna pietà "Sad But True" ("Trieste Ma Vero"); Hetfield chiede nuovamente l'aiuto del pubblico nel canticchiare un estratto introduttivo della canzone ventura, sottolineando che cantando tutti insieme sia più d'effetto, e non appeana il biondo vocalist accenna la frase storica del pre ritornello "I'm your dream, make you real, I'm your eyes when you must steal, I'm your pain when you can't feel" ("Sono il tuo sogno, fattene una ragione, sono i tuoi occhi quando devi rubare, sono il tuo dolore quando devi sentire qualcosa") i presenti lo seguono immediatamente. Il siparietto però si conclude, ed immediatamente Ulrich da il quattro per intonare il pezzo forse più marziale scritto dal gruppo. Dopo una iniziale accelerazione, nella quale gli stacchi di apertura sono eseguiti con dei bmp più elevati il batterista danese si riporta sulla velocità iniziale, rendendo l'esecuzione molto più allineata con la versione del disco. Il main riff del pezzo si basa su un iniziale accordo tenuto seguito immediatamente dopo da due pennate in palm muting ed un fraseggio in pull off, sostenuto dal tempo delle pelli in quattro quarti; sono infatti gli strumenti elettrici a procedere in maniera sincopata eseguendo i vari stop and go mentre le percussioni restano sempre dritte ed inarrestabili, è proprio sul riff principale che Robert Trujillo ha nuovamente modo di sfoderare la sua camminata scimmiesca mentre il biondo collega si appresta ad iniziare la sua parte in cantato:la sua voce è decisa e potente ed è rinforzata dall'effetto delay sull'ultima parola di ogni verso, in modo tale da creargli un controcanto automatico utilizzando la sua stessa voce. La parte cadenzata si apre successivamente nel ritornello, dove alla parte ritmica di Hetfield si accosta il fraseggio sulle alte di Hammet, anche la parte canora si distende ele due sei corde si rintrecciano successivamente poco prima del break che precede l'assolo. In quest'ultima parte il riccioluto axemen si concede qualche libertà, modificando leggermente la composizione originale e sovrabbondando il tutto con il suo proverbiale wah wah; con l'arrivo dell'esitation e della successiva ripartenza i quattro si riallineano nuovamente per riprendere con l'ultimo blocco del pezzo, una strofa seguita ancora da un ritornello secondo lo schema principale per poi andare a concludere con un ultimo "Sad But True" più esteso; sembra finito, ma c'è ancora la parte conclusiva del main riff, il fraseggio in pull off, a comparire ancora una volta prima che arrivi la chiusura definitiva scandita dalla batteria di Ulrich. La fine della traccia è letteralmente esplosiva ed il pubblico può così sollevare al cielo il suo boato di apprezzamento. La struttura incalzante del brano si rende perfetta per il botta e risposta su cui si basa il testo: immaginate due soggetti, posti uno di fronte all'altro intenti a guardarsi negli occhi; uno dei due è il dominante della coppia, mentre l'altro è il soggetto "passivo", il "maschio alpha" parte immediatamente a riprendere l'altro con una serie di invettive rapide ed incisive, egli fa semplicemente notare all'altro come egli sia di fondamentale importanza per l'esistenza di tutti e due, di come sia l'unico a provvedere realmente alla sopravvivenza della loro amicizia e di come invece l'altro, in maniera quasi simbiontica gli resti attanagliato alle costole per venire fuori dalle situazioni di difficoltà: "sono la tua vita e sono colui che ti conduce attraverso essa, sono l'unico a cui importa qualcosa di te e sono il tuo unico amico quando tutti gli altri ti hanno tradito", con queste parole il soggetto arrabbiato si riversa sul suo interlocutore per poi arrivare a proferire la succitata frase cantata da Hetfield durante l'intermezzo con il pubblico, questo dialogo poi è continuamente spezzato dai vari "hey" con cui chi sta parlando tiene desta l'attenzione dell'altro, che sembra stare a sentire con lo sguardo un po' spento. Passato il primo ritornello si inverte la prospettiva: a parlare è sempre il personaggio di prima ma la lente di ingrandimento si sposta sull'altro per darne una prospettiva attiva, ora infatti viene evidenziato come quest'ultimo sia al tempo stesso utile al narratore dominante; nonostante la sua mancanza di verve egli è pur sempre un riparo, una figura di riferimento stabile su cui contare, il classico amico che nonostante i suoi mille difetti rimane al nostro fianco anche quando la nostra nave sta affondando. Così facendo Hetfield traccia il quadro delle caratteristiche che solo le amicizie solide hanno, quei rapporti sbilanciati dove ci sarà sempre uno a detenere la leadership e l'altro a seguire ma che nonostante questo squilibrio si aiuteranno sempre vita natural durante. È una situazione trite, ma è la cruda realtà. Ora le luci si fanno più soffuse sul palco; la sera è ormai calata sulla città francese e con l'abbassarsi dei riflettori il pubblico ha modo di intuire che sta arrivando un pezzo davvero imponente del repertorio; Trujillo saluta il pubblico con un piccolo assolo di basso per poi ritirarsi nel buio creato dai tecnici delle luci in attesa che venga introdotto il nuovo capitolo della setlist.

One

Grazie all'inquadratura aerea si intravedono i quattro andare dietro le quinte, un piccolo intervallo per riposare qualche secondo e per cambiare gli strumenti mentre nel buio si sente partire intanto la sequenza dei rumori bellici che tutti i fan dei Metallica conoscono, io non l'ho ancora scritto, ma è chiaro si stia parlando di "One" ("Uno"), quarta traccia del lato A del vinile di "...And Justice For All". Le mitragliatrici infuriano, i boati delle cannonate invadono l'aria, delle fiammate infrangono le tenebre sceniche ed il pubblico fa sentire sempre più vigoroso il suo calore fino a quando non parte il famosissimo arpeggio introduttivo suonato da Hetfield. I presenti lo seguono con i loro cori, e dopo appena due giri di esecuzione ecco arrivare Hammet ad eseguire la parte solista in una suite chitarristica da cardiopalma. Successivamente anche la batteria ed il basso entreranno a sostenere i colleghi, da una serie di stacchi accentati si passerà piano piano al tempo regolare della canzone, la parte ora viene assumendo sempre di più una forma compatta e dopo il lungo preludio strumentale la voce entra finalmente in campo, con una luce dal basso ad illuminare il vocalist dei 'Tallica. L'atmosfera è distesa e quieta, spezzata solo dai contrattempi della batteria, il tutto procede morbido e fluido grazie ai puliti delle sei corde ma appena il nostro orecchio ha fatto a tempo ad abituarsi a questa leggerezza ecco arrivare il primo stacco: le chitarre passano al distorto, eseguendo dei powerchord decisi e d'effetto ma è solo un momento, poiché con la supplica proferita a Dio dal thrasher di Downey tutto ritorna alla quiete iniziale, come l'acqua di uno stagno che dopo essere stata agitata dalla caduta di un sasso torna alla tranquillità di prima. Ad aggiungersi ora è un piccolo intervento solista di Hammet, giusto un ricamo prima che venga svolta la seconda strofa, moderata come la prima se non per un improvviso scatto di furia di Hetfield subito smorzato per riprendere la performance melodica. Ormai siamo pronti alla sterzata e puntualissima infatti giunge la seconda impennata, dove le chitarre ritornano monolitiche e cadenzate, il tutto però ora poggia le basi per il crescendo che ci condurrà alla sequenza successiva della struttura, gli stacchi in palm muting si fanno sempre più frenetici, scanditi dai fraseggi di Hammet e la batteria pesta sempre di più fino al momento fatidico: le chitarre ed il basso mantengono lunga la nota conclusiva della battuta e sulla scena resta solo la batteria di Ulrich a tenere il tempo; anche in questo frangente il drummer danese si fa trovare in splendida forma ed il celebre passaggio di doppia cassa in trentaduesimi viene eseguito in maniera ineccepibile (cosa che purtroppo non si può estendere anche ad altri show del gruppo); li strumenti elettrici rientrano dopo quattro giri di percussioni, le pennate ora ricalcano fedelmente i battenti dei pedali e a rendere ancora più teatrale il passaggio sono gli effetti pirotecnici, delle fiamme alimentate in corrispondenza degli accenti che rendono questo punto del pezzo una mitragliatrice a tutti gli effetti. L'adrenalina ora è altissima e la canzone procede secondo il modello stoppato scandita dal doppio pedale, il cantato è decisamente più contratto ed incisivo e l'unico momento di distensione si trova con l'intermezzo eseguito dalle chitarre per poi tornare nuovamente a mitragliare. Con l'arrivare dell'assolo di Hammet, eseguito in maniera fedele alla versione presente nell'album, il tempo si fa più disteso, nonostante l'incedere sia sempre martellante ed incalzante, trattandosi di una brano del quarto album della band la lunga cavalcata che ci accompagna nel finale è ricca di campi e riprese ma il crescendo fa aumentare alla tensione fino alla raffica di mg 42 finale con il quale l'esecuzione si chiude improvvisamente come una scarica di arma automatica giuntaci contro da una trincea nemica. E proprio in trincea che il testo trova il suo protagonista, affondando i piedi nel fango dei camminamenti così come fecero i soldati durante il primo conflitto mondiale. Il soggetto della canzone si rifà direttamente alla pellicola cinematografica "E Johnny prese il fucile", film del 1971 di Dalton Trumbo del quale sono presenti alcuni estratti anche nel videoclip della canzone. Il protagonista è un soldato ricoverato in ospedale che si risveglia dopo essere stato colpito da un colpo d'artiglieria nemica, egli non ricorda assolutamente nulla e non riesce nemmeno a dire se si tratti di un sogno o della realtà. Nella sua testa sente ancora le urla della battaglia ma il silenzio percepito durante un istante di lucidità lo riporta tra le mura della sua stanza, pian piano egli riacquista coscienza ma si accorge di non vedere, non c'è più nulla per lui, solo un insopportabile dolore, il suo corpo è dilaniato dalla deflagrazione ed ormai al combattente non resta altro che chiedere a Dio di porre fine alle sue sofferenze, tutto il mondo, per l'esattezza il suo mondo, è andato perduto:la casa, la famiglia, gli amori sono solo un ricordo, ormai resta soltanto lui, racchiuso in quella prigione di carne martoriata che è il suo corpo, quindi o Signore, se davvero ci sei, ascolta le sue preghiere e liberalo dal suo supplizio. Il momento di raccoglimento religioso però è improvvisamente spezzato dal sopraggiungere di un ricordo: pur essendo cieco ed immerso nell'ombra egli rivive gli orribili attimi della battaglia scorrendo una dopo l'altra le scene più raccapriccianti a cui ha assistito, un suo compagno infilzato nei reticolati, un altro disintegrato da una bomba ed un altro ancora crivellato dalle raffiche di mitragliatrice, una mina lo ha colpito al fianco prendendosi la sua vista, la sua capacità di parlare e di sentire, si è presa anche le sue braccia e le sue gambe, lasciandolo come un orribile storpio mutilato e gettandolo nell'Inferno. 

All Nightmare Long

Cala nuovamente il buio sul palco e fra gli applausi scroscianti si sente partire l'introduzione registrata di "All Nightmare Long" ("Per Tutto L'Incubo"), la quinta canzone nella tracklist di "Death Magnetic". Sul finire della sequenza sono direttamente i Four Horsemen a scandire gli accenti della base, illuminati ad intermittenza dai fari in coordinato con le loro pennate, fino allo stacco in cui si sente Ulrich dare il quattro. Con l'avvio del pezzo torna la luce, i quattro musicisti sono illuminati dai rispettivi fari ad occhio di bue mentre tengono il re iniziale attraverso una serie di pennate serrate, la cassa ed il charleston tengono il tempo, creando così la carica per la successiva partenza vera e propria. Le plettrate si fanno più scandite ed il drummer danese esegue adesso un giro sui fusti da vera e propria preparazione alla guerra; Trujillo è piegato sulle gambe in posta da combattimento come un combattente di lotta greco-romana, puntando il suo strumento come se fosse un fucile, l'energia cresce sempre di più mentre tutta l'audience attende lo start ufficiale, che, una volta giunto, avvia il pezzo su un classico tupa tupa thrash da manuale. Il riffing è sostenuto ed incalzante e trattandosi di un brano estratto dal full lenght più recente non facciamo fatica ad immaginare quanto esso sia strutturato in maniera variegata ed articolata: le prime parti di testo sono infatti cantate su una dinamica serie di riff concatenati tra loro per poi assumere un incedere più lineare solo nel ritornello, dove anche il cantato assume una linea più distesa ed orecchiabile. Dopo un intermezzo successivo al primo ritornello viene recuperata l'esitazione dell'inizio, su cui però ora troviamo un crescendo condotto dalla voce di Hetfield che diventa via via più aggressiva fino alla ripartenza in quarta con un nuovo ritornello; quest'ultima parte, pur essendo la più standard, si rivela al tempo stesso anche la più fruibile, nel complesso infatti il brano consta di una fittissima trama di riff suonati senza pietà uno dopo l'altro sopra un drumming ricco di rullate, stop and go, raddoppi e rallentamenti; nel complesso dunque il pezzo è forse un po' zoppicante, ma allo stesso tempo le parti lineari come la lunga avanzata successiva al primo assolo, dove troviamo le sei corde armonizzate, risulta essere davvero avvincente. Con la seconda parentesi solista eseguita dal riccioluto axemen allievo di Joe Satriani la porzione di traccia sembra assumere i tratti di una suite progressive ma ributtarci sui binari del Thrash e lo sviluppo successivo: la batteria martella pesantemente con il rullante in ottavi prima di giungere ad una nuova esitazione il cui scopo è anticipare il terzo assolo di chitarra. La carne al fuoco è davvero moltissima e adesso arriva un nuovo capitolo, i quattro ora riprendono a triturare il re per creare la base ritmica dell'ultimo assalto testuale, poi un break, giusto per vedere che i presenti fossero ancora vivi, e poi via con un ultimo ritornello, la mazzata decisiva con cui i Four Horsemen chiudono un'altra delle loro solenni cavalcate. La lunghezza delle canzoni è la stessa dei brani contenuti nel full lenght dell'88, ma come si è avuto modo di sottolineare, "Death Magnetic" rappresenta l'evoluzione ad ennesima potenza di quello stesso concetto: alcune delle tracce contenute in esso infatti mirano a recuperare la varietà dei brani di vent'anni prima ma alle volte l'obiettivo sembra essere centrato con forse troppo zelo, fatto sta che i Metallica finalmente stanno risalendo la chiglia e questi brani, anche se lunghi, ne sono la prova. La lirica va a recuperare il tema onirico, sul modello di quanto fatto con "Enter Sandman" nel 1991: ora però ci troviamo all'interno di un vero e proprio incubo, avanziamo alla cieca, brancolando nel buio ed illuminati unicamente da un faro su di noi che ci rende ancora più visibili alle creature mostruose da cui siamo braccati. La fortuna scorre via, siamo un bersaglio facile ed il nero impenetrabile intorno a noi ci impedisce di cercare un riparo, siamo le prede di un qualcosa di più grosso che si è lanciato nella caccia, non siamo più il cacciatore ma la preda e come tale siamo costretti a fuggire venendo inseguiti senza alcuna pietà. Nell'oscurità sentiamo il ruggito di questi mostri ma non abbiamo modo di capire da dove vengano questi versi, non possiamo far altro che correre, sperando di non trovare improvvisamente un ostacolo che ci faccia cadere, alle nostre spalle non vediamo nulla, ma loro invece riescono a vedere ogni nostro singolo movimento e non c'è via di fuga, siamo braccati per tutto l'incubo, il risveglio sembra essere la nostra unica possibilità di salvezza, ammesso che ci si arrivi vivi, cerchiamo rifugio nelle tenebre ma è tutto inutile, la fortuna scorre via, inevitabilmente. I quattro si preparano ad entrare nuovamente in scena, ma prima che ciò avvenga ecco arrivare solamente Hammet con in braccio la sua Gibson Flying V bianca e rossa intento ad eseguire un assolo: è solo lui "contro" tutti i presenti; per scaldarsi le mani il riccioluto esegue prima una serie di accordi ritmati con una cadenza funky ma appena le dita sono pronte eccolo lanciarsi su una serie di scale velocissime, il plettro della mano destra sciabola le corde senza pietà mentre la sinistra sceglie accuratamente le note da inanellare con una fluidità ed una precisione che solo un membro dei Metallica può avere, lo shredding e sempre più conciso e concluso questo intermezzo il chitarrista saluta i suoi fans per tornare nuovamente dietro le quinte.

The Day That Never Comes

L'ovazione del pubblico è immancabile, una vera e propria osanna, ma appena si spengono nuovamente le luci ecco Hetfield iniziare l'arpeggio iniziale di "The Day That Never Comes" ("Il Giorno Che Non Arriva Mai") chiudendo così gli estratti dall'ultimo full lenght uscito. Dopo un primo piano delle mani del musicista, la successiva inquadratura lo ritrae seduto sui diffusori del palco, intento ad eseguire la propria parte con un atteggiamento quasi malinconico; dopo alcuni giri in solitaria fanno il loro ingresso anche gli altri strumenti, la batteria scandisce i vari passaggi, mentre Hammet esegue la sua parte solista con il proprio fraseggio. Con il cambio, l'arpeggio principale ha preso definitivamente forma, accompagnato dal tempo lineare di Ulrich ed arricchito dai ricami del quattro corde di Trujillo. Delle tracce nuove, questa è sicuramente una di quelle che maggiormente guarda al passato, lo stile generale infatti ricorda vagamente il pathos di "Fade To Black", dato che l'arpeggio si muove con la stessa scelta di suoni e di tocco. Anche il primo cambio verso il distorto ricorda molto il brano contenuto in "Ride The Lightning", l'inspessimento delle chitarre compiuto con la scelta dei powerchord scanditi dalla rullata del drummer danese segue lo stesso stilema del pezzo dell'84 riprendendone il modello, passata questa prima sterzata, la suite riprende il pulito per continuare, seguendo un topos ormai caratteristico nel songwriting dei Four Horsemen. A differenza del grande classico però questa variazione assume una sua identità più definita prima di tornare alla modalità precedente, l'estensione del frangente è notevolmente maggiore ed al suo interno sono contenuti un numero maggiore di spunti ritmici. La parte seguente, pur restando orientata sulle toniche del primo arpeggio, si sviluppa ulteriormente andando a prendere sempre più velocità grazie al drumming di Ulrich che a mano a mano si è fatto più serrato fino al primo apice della traccia, una serie di stacchi scanditi dal rullante del set per poi sfociare in una nota lasciata andare, la quale funge da lancio per l'avanzata successiva. I due accordi sostenuti anticipano un avvio lineare che riporta alla mente la grandissima "Orion": il tempo è un quattro quarti e le pennate si susseguono in una serie di cinque secondo una cadenza che ricorda molto la canzone di "Master Of Puppets", con la differenza che su questa sessione troviamo anche una parte cantata. La tonalità sale, aumentando così l'attesa del crescendo che si arresta con il "giuramento del testo", Hetfield infatti nel cantare la frase "this I swear" ("lo giuro", appunto), aggiunge i presenti di Nmes come destinatari di questo patto tra i Metallica ed il loro pubblico, prima di lanciarsi in una cavalcata dove a condurre il tutto sono le due chitarre armonizzate, in una suite che ricorda molto gli Iron Maiden dei capolavori più celebri. Il passaggio, come di consueto in queste nuove composizioni, è immediatamente funzionale all'assolo di Hammet contenuto nella parte successiva, le sue note sono sempre rapide ed orientate sulle alte tonalità, nel mentre, sotto di esse gli strumenti ritmici continuano la loro corsa inarrestabile fino alla chiusura, che avviene grazie ad un accordo lasciato andare su cui si stende il boato dei presenti; gli strumenti sguinzagliano il loro fischio fino ad un nuovo quattro con cui i 'Tallica preparano l'avvio per il brano successivo. La guerra è ancora una volta il tema fondante della lirica, nel videoclip realizzato non si tratta più di una guerra mondiale ma del molto più recente conflitto in Medio Oriente, dove sono presenti anche dei contingenti statunitensi. Il testo si avvia attraverso la descrizione dell'arrivo di un proiettile a bersaglio raccontato secondo le "dicerie" dei vari soldati, esso infatti non si vede arrivare con gli occhi ma lo si sente arrivare anticipato da un fischio, sentito il quale, come consigliano anche gli istruttori alle reclute, è meglio gettarsi a terra. Sono molte le testimonianze che raccontano come i soldati, a forza di prendere parte ai combattimenti, sviluppassero una specie di orecchio assoluto in grado di decretare, in base al suono, se un proiettile li avrebbe colpiti oppure no. Ma non ci sono storie, quando un nemico ci bersaglia ci si rende conto della fatalità del suo sparo solo quando il colpo ci penetra nella carne e ci caccia a terra, nella nostra bocca ci sono solo parole flebili, che a malapena riescono ad invocare l'aiuto di un compagno mentre gli occhi lentamente si chiudono. Quello è il giorno che (si spera) non arriva mai: i militari in guerra sanno bene di essere impotenti di fronte al destino bellico ed essendo continuamente esposti al pericolo, il fatidico proiettile non arriva mai. Ma nonostante questo, ognuno sente tuttavia che quel giorno ha numerose possibilità di arrivare e, proprio perché fa parte del gioco, quasi lo si aspetta; i motivi sono diversi, perché esso può rappresentare un biglietto per il ritorno a casa, se si è fortunati ed esso non è letale, oppure giunge come un evento liberatore dalla spersonalizzante routine della guerra. Ogni giorno che si parte in azione si è consapevoli che il trucco per portare a casa la pelle, o almeno di avere le maggiori probabilità di farlo, è quello di tenere bassa la testa, ma quando si vede un compagno colpito immediatamente non si può fare a meno di pensare che può succedere a tutti, e subito si chiede aiuto a Dio, che ci dia la forza di poter fare il nostro lavoro e vendicare chi non ce l'ha fatta. Ogni istante libero viene sfruttato per riflettere su se stessi e trarre un bilancio del proprio vissuto, si pensa ai cari e alla propria casa, sperando di poterci tornare, consapevoli che finché si è al fronte si è sempre in attesa del giorno che non arriva mai.

Master Of Puppets

Il pezzo anticipato sopra a cui i Metallica si stavano preparando è "Master Of Puppets" ("Burattinaio"), un brano che non ha certo bisogno di presentazioni, tanto che i quattro lasciano che siano i famosissimi stacchi ad introdurlo al pubblico. Con i primi accenti scanditi dalla batteria di Ulrich non può che sollevarsi il putiferio e la tensione inizia a salire immediatamente dopo con il break di chitarra eseguito da Hetfield. Siamo di fronte ad uno dei riff più leggendari mai partoriti nella storia del Metal e come è giusto che sia, i suoi autori lo suonano all'impazzata per rendere ancora più corrosivo il momento. Fin dalle prime note si riscontra come i Four Horsemen abbiano deciso di riproporre questo loro evergreen mediante un'accordatura più bassa, che conferisce al riff un maggiore tiro ed un impatto più immediato. La batteria avanza in quattro quarti, ed anche se il ritmo è più sostenuto i quattro californiani non sembrano assolutamente sentire la fatica. Come è noto la struttura del pezzo non lascia un attimo di respiro, le pennate si susseguono in shredding fino allo stacco in cui si sale di tonalità, introducendoci così al primo bridge; la linearità viene ora spezzata dagli stop and go presenti nella sequenza, i quali separano i powerchord tra loro offrendoci un frangente maggiormente incentrato, si crea così un crescendo verso il rallentamento definitivo che giunge con il ritornello, dove la prima parola del titolo viene ripetuta per due volte su un break per poi estendersi nella successiva ripartenza, ora gli accordi sono distesi e le note possono diffondersi in tutta la loro pienezza consentendo ad Hetfield di distribuire meglio la parte vocale, per poi smorzarsi nuovamente con un ultimo stop and go. Passata questa prima porzione, la seconda strofa riparte immediatamente con il tachimetro sempre elevatissimo. Il tempo resta invariato e le chitarre restano immancabilmente le protagoniste della scena; dopo un primo giro interamente strumentale la voce di Hetfield irrompe nuovamente sulla scena, come nella sezione di traccia precedente, il biondo vocalist annuncia solo il primo verso di ogni strofa, dato che la parte complementare viene prontamente cantata a gran voce dai presenti. L'adrenalina è sempre sostenutissima, specialmente nel secondo ritornello, dove i tre musicisti in piedi si vanno a disporre su entrambi i lati del palco per "fronteggiare" il pubblico dell'arena a trecentosessanta gradi. Si giunge al momento clou, il break centrale: la nota dell'ultimo accordo va a smorzarsi in un fade out ottimamente reso grazie anche all'aiuto dei fonici e dei tecnici delle luci, i quali ricreano perfettamente l'effetto di black out elettrico che getterà la penombra sul palco prima che inizi il famoso arpeggio. Le sei corde ora passano al pulito, ad iniziare la nuova sessione è la chitarra di Hetfield, che prontamente si allaccerà a quella di Hammet per il fraseggio in sincro per poi nuovamente dividersi appena giunge il momento dell'assolo del moro axemen. La melodia ora è decisamente l'ingrediente principale della sessione, il fraseggio poc'anzi citato viene ripreso prima che prenda forma il seguente crescendo; la batteria ora esegue un giro sui fusti, scandendo ogni accento con il rullante, mentre le chitarre ed il basso eseguono una serie di pennate cadenzate. La parola "master" ("padrone", componente per la traduzione alla lettera di "padrone dei burattini" cioè "burattinaio") viene scandita a gran voce mentre la musica in sottofondo continua a crescere, la fiamma sta crescendo sempre di più, quand'ecco arrivare lo start successivo: il tempo ritorna sui quattro quarti iniziale ed il moro axemen sfodera ora il suo assolo dal gusto tipicamente speed metal, la cui fedeltà all'incisione originale è pressoché totale. Sappiamo bene che la titletrack del terzo album dei Metallica è un brano che non lascia un attimo di respiro e dopo un rapidissimo bridge dove le dita de chitarristi scorrono frenetiche sui loro strumenti giunge il nuovo stop che precede la terza ed ultima strofa. Concluso questo epico spezzone centrale, ecco comparire nuovamente il break di chitarra che rilancia la terza ed ultima strofa; l'adrenalina è sempre altissima ed Hetfield ormai è il vero condottiero di un'armata di fans che risponde fedelissima ad ogni suo incitamento. L'ultima porzione di testo è stata cantata, si passa ora al ritornello, i presenti sono sempre più caldi e l'apice giunge con gli ultimi stacchi, un vero e proprio colpo di coda prima del finale al vetriolo, ancora un'ultima mazzata e poi i famosi stop and go ne quali si sente la risata malefica del frontman dei Metallica. Il burattinaio in questione è la droga, in particolare l'eroina, particolarmente diffusa all'epoca in cui il brano fu scritto; essa ci controlla come se fossimo le sue marionette inducendoci letteralmente a fare quello che vuole. All'inizio, quando ce la spariamo in vena, ci fa sentire dei leoni, appena premuto lo stantuffo della siringa infatti sentiamo immediatamente il fuoco percorrere le nostre vene; i nostri muscoli immediatamente si quadruplicano in forza e la nostra mente ci fa percepire la realtà come un qualcosa di assolutamente favoloso, ma mentre continuiamo a sballarci, dose dopo dose, lentamente questo mostro ci divora e ci dilania dall'interno. A mano a mano che va avanti il consumo infatti le nostre vene collassano e dentro di esse il sangue insozzato scorre a fatica come se fosse pece densa e priva di un qualsiasi lubrificante che ne faciliti lo scorrimento. Il burattinaio ormai si è impossessato di noi, ma le nostre membra sono talmente debilitate che non riescono nemmeno ad eseguire le movenze più semplici ed il nostro padrone, ormai esausto di sopportare la nostra mollezza, preso dalla collera ci imbriglia con i nostri stessi fili fino a strangolarci, la nostra vita quindi arde in fretta mentre noi ignari ci sentiamo invincibili, dopo esserci fatti possiamo gettarci in un rissa anche contro dieci avversari sentendoci indistruttibili ma intanto siamo sempre più assoggettati al nostro padrone bianco a cui non possiamo far altro che ubbidire. La parte dell'intermezzo immediatamente successiva all'arpeggio rappresenta il momento in cui il tossico si rivolge al proprio padrone chiedendo pietà, quei sogni promessi dall'estasi stupefacente ormai sono svaniti e dopo che cosa c'è? L'astinenza ormai è insopportabile ed anche quella scarica di fuoco nelle vene ormai non riesce più a placare l'appetito, era tutta una menzogna con la quale si è stati ingannati ma ce ne si è resi conto solo una volta varcata la soglia oltre la quale non si torna più indietro. Noi siamo a terra contratti dai dolori muscolari e dai brividi e non sentiamo altro che le risate del burattinaio, che si diverte nel guardarci autodistruggerci, urliamo disperati, ma ciò che riceviamo come risposta è una risata perfida quanto il ghigno di Satana in persona.

Dyers Eve

Il concerto prosegue con un altro tuffo nel passato, questa volta più recente, della discografia della band, tornando nuovamente ad "...And Justice For All" con "Dyers Eve" ("La Vigilia Dei Tintori"), traccia conclusiva del full lenght del 1988. La nutrita serie di rimandi al quarto album lascia intendere come il gruppo lo ritenga metaforicamente il predecessore concettuale di "Death Magnetic": entrambi i dischi infatti vantano tracce che oltre ad essere particolarmente lunghe sono altresì dinamiche ed elaborate, basate su una variegata serie di riff, stacchi e riprese che le rendono, per certi aspetti, le creazioni più progressive dei Metallica. Dopo il periodo non propriamente felice che i 'Tallica vissero ad inizio anni Duemila, l'intento ora è quello di riallacciarsi al passato, se e quanto effettivamente i quattro californiani abbiano centrato l'obiettivo sta ad ognuno di noi deciderlo, fatto sta che con la nuova impresa in studio Hetfield e soci vollero gettare un metaforico ponte tra i due lavori, mirando a "saltare" che cosa ci fosse al di sotto di esso. Ad aprire nuovamente le danze è una sequenza registrata dell'introduzione, dove il rullante scandisce in maniera molto marziale gli accenti delle chitarre; il palco di Nimes viene nuovamente avvolto dalle tenebre, lasciando solo dei tenui fasci di luce blu puntati verso le casse degli amplificatori per lasciare una minima guida. I fari in alto iniziano a seguire le pause della musica grazie ad un disegno luci appositamente studiato, ma con l'arrivo dell'ultimo powerchord si sente la rullata di Ulrich che va scemando verso il silenzio; la pausa è però immediatamente interrotta dai quattro colpi sul charleston dati in tempo reale che lanciano i Four Horsemen in un assalto all'arma bianca. La strofa infatti è serratissima, le chitarre mitragliano il riff attraverso uno shredding deciso e preciso sulle corde mentre la batteria tiene il tempo con un quattro quarti linearissimo, un semplice tupa tupa che non guasta mai. Siamo di fronte ad una delle tracce più old school mai composte dai Metallica, concettualmente parlando infatti possiamo apprezzare un unico main riff variegato unicamente attraverso delle variazioni di tempo: l'incedere martellante viene infatti puntualmente interrotto dagli stop ang go, in modo da creare un forte dinamismo ed inoltre spiazzare l'udito con la variante della prima parte cantata; la voce di Hetfield infatti subito si stende su degli accordi lasciati andare, sotto i quali invece il drummer danese continua ad avanzare, mentre nella parte seguente i quattro vireranno verso un mid tempo più lento ma molto efficace per tenere sempre desta la nostra attenzione. L'intera struttura del pezzo dunque si basa sulla semplice alternanza di questi tre elementi: tempo lineare, tempo dimezzato e passaggio con accordi distesi; abbiamo però anche detto che questo è uno dei brani più vecchio stile mai composto dai Metallica, ergo, la parte dell'assolo consiste in un semplice assalto lineare senza stacchi, ma unicamente scandito dai piatti in corrispondenza della chiusura di battuta, sul quale Hammet ha modo di sfoderare una lunga colata di note serratissime. Conseguenza quasi automatica dopo questa carica di fanteria è una successiva sterzata compiuta attraverso la ripresa del mid tempo prima, dove Hetfield può cantare l'ultima parte di testo e del bridge dopo, dove gli accordi sono lasciati andare sul drumming costante, tale espediente consente ai 'Tallica non solo di riprendere un attimo fiato ma anche di gettare le fondamenta del finale del pezzo, dove i musicisti tornano ad eseguire gli stacchi con cui si era aperto il pezzo tramite la sequenza registrata e congedandosi così in maniera ciclica con il pubblico. Il testo rappresenta il disperato dialogo di un figlio con i propri genitori, che dopo averli entrambi definiti cari passa immediatamente a chiedere loro in che razza di Inferno lo abbiano costretto a venire al mondo mettendocelo di forza; la stoccata contro lo squallore della realtà di tutti i giorni, fatta solo di violenza, vessazioni, umiliazioni e degrado, viene lanciata direttamente attraverso la visione compiuta dagli occhi di un'innocente, un giovane piazzato in quel mare di miseria contro la sua volontà. All'interno delle varie strofe inoltre, il giovane evidenzia la dicotomia imperanti fra diverse coppie di entità dalle quali si viene puntualmente cooptati: inizialmente vi sono i credenti e i truffatori; i primi ci assillano con il loro falso dogmatismo religioso e, in senso più laico, con la loro superficialità, spingendoci a loro volta a seguirli nel credere a dei falsi miti, i secondi invece ci insidiano con i loro inganni sfruttandoci puntualmente. L'esistenza umana dunque è vissuta come un frangente labile tra l'incudine ed il martello, dove gli innocenti sono sempre il bersaglio principale. In seconda battuta troviamo i curatori ed i dittatori, i primi ci illudono con un falso buonismo per poi in realtà soggiogarci al loro volere e lo stesso fanno i secondi con fare molto più diretto e violento, anche in questo caso però, l'innocente è sempre costretto a subire il gioco di qualcun altro. Dopo questa cinica ed amara analisi della realtà, il figliolo si congeda dai propri genitori, definiti sempre cara madre e caro padre, rinfacciando loro di come le parole con cui è stato amorevolmente istruito per crescere ed intraprendere la propria strada si siano rivelate delle inutili menzogne per un mondo così corrotto. Proseguendo con la setlist, l'inquadratura si sposta ora su Kirk Hammet, verso il quale anche Hetfield ha invitato i presenti a porre il loro sguardo, egli sta entrando in scena imbracciando la sua Gibson Les Paul nera, che sappiamo tutti essere usata specialmente per le parti in pulito. Il riccioluto chitarrista saluta i fans con un semplice cenno del braccio destro, mentre con la mano sinistra scalda l'ambiente eseguendo un rapido pull off. Egli si è posto al centro della scena, illuminato dall'occhio di bue, e poco dopo egli inizia ad eseguire una piccola improvvisazione arpeggiata, suggestiva ed al tempo stesso funzionale per preparare le proprie dita alla prossima suonata. Il brano di intermezo si fa sempre più serrato ma con l'interrompersi netto di quest'ultimo, il musicista si porta il plettro alla bocca per usare le dita di entrambe le mai.

Nothing Else Matters

Ecco partire l'incipit di "Nothing Else Matters" ("Nient'Atro Importa"), celebre ballad del Black Album. L'introduzione viene tutta suonata dal chitarrista solista della band, a differenza di altri live, dove le parti risultavano invertite facendo quindi in modo che fosse Hetfield a partire, qui sarà il biondo axemen a subentrare al collega in corrispondenza del primo cambio, dove le chitarre si intrecciano per eseguire la parte conclusiva del preludio. Hammet esce momentaneamente di scena, lasciando ora il leader del gruppo in solitaria a suonare e cantare il pezzo. Come già riproposto in altri show, la prima strofa viene eseguita interamente con la sola chitarra, utilizzando unicamente la sei corde, la propria voce ed il caloroso rinforzo nel pubblico in corrispondenza della ricorrenza del titolo del pezzo. Le diverse panoramiche sull'audience mostrano come questa ormai sia diventata "la canzone da accendino" dei Metallica, la moltitudine di braccia ondeggia sospesa in aria, molte delle quali usando appunto gli accendini, le macchine fotografiche ed i telefonini per immortalare il momento. Ulrich, Trujillo ed Hammet rientrano in corrispondenza della seconda strofa, dove dopo un quattro dato sul charleston la batteria entra con il suo tempo morbido e lineare suonato solo con cassa, rullante ed il piatto citato poc'anzi. Da qui in avanti, il pezzo viene eseguito in maniera fedele alla registrazione sul disco, utilizzando quel groove avvolgente che fa di questa canzone una delle più suggestive del gruppo. Una delle caratteristiche principali di questa suite, a livello compositivo, è il lentissimo crescendo che va creandosi per poi esplodere nel finale, ogni strofa infatti viene cantata da Hetfield con un impeto sempre più sentito ma che sarà "smorzato" di volta in volta per lasciare spazio agli intermezzi strumentali. Il primo di essi a risultare di pathos particolarmente toccante è il fraseggio centrale eseguito dai due chitarristi, le note si spostano verso le tonalità alte per regalarci un inciso semplice ma di forte presa che non manca mai di stupirci ad ogni ascolto. Per meglio rendere l'atmosfera etera del momento, anche le inquadrature si fanno più delicate, scorrendo lentamente nel riprendere i vari soggetti per poi intervallarsi con le panoramiche. Anche il secondo blocco di canzone ormai è trascorso, la voce di Hetfield passa ora dalla melodia all'energia fino alla famosissima esplosione finale, dove il thrasher di Downey si lancia nell'esecuzione del suo breve ma intenso assolo che va a concludere la canzone. A differenza di Hammet, il chitarrista e cantante della band è molto più quadrato nell'esecuzione delle parti soliste, difficilmente infatti egli si lancia in variazioni di sorta, preferendo invece la massima fedeltà a quanto ha inciso in studio, d'altra parte il collega, rivestendo il ruolo di solista, possiede anche una maggiore esperienza e perizia che gli consente di avventurarsi in territori inesplorati lasciandolo jammare sulle sue composizioni. Il pezzo giunge così alla fine, l'ultima nota viene lasciata andare fino a farla disperdere nel vento, Hetfield si inginocchia di fronte alla batteria, abbandonandosi ad un ultimo ricamo solista per poi lasciare che i pick up della sua chitarra creino un feedback di frequenze, il classico fischio per intenderci, in attesa del brano successivo. A livello lirico, come abbiamo più volte evidenziato, "Nothing Else Matters" rappresenta forse il testo più eroico e romantico mai scritto dal pugno di Hetfield: il protagonista parla in prima persona, espediente spesso utilizzato dal vocalist nella scrittura delle proprie canzoni, egli è solo contro il mondo ma nonostante la prospettiva sia totalmente sfavorevole, rappresentandolo come uno sconfitto in partenza, egli si piega ma non si spezza. Come la ginestra leopardiana, pur nella sua fragilità di fronte alle calamità naturali, egli troverà sempre la forza per rialzarsi in piedi. Il narratore infatti ci parla con il cuore confessando ad un ipotetico tu il suo sentimento di lealtà ed amicizia fraterna. La vita non è altro che una guerra di cui ogni giorno rappresenta una battaglia, ma finché i due potranno contare l'uno sul sostegno dell'altro le varie sfide non saranno poi così impossibili. La loro descrizione emerge per il forte contrasto tra la loro apparenza e quella "degli altri": loro sono i reietti, gli outsider, gli esterni sono invece tutti coloro che si sono omologati alla massa, che li squadrano e che non perdono occasione per additarli come rifiuti della società. Il soggetto principale però cercava qualcuno di cui fidarsi e l'ha trovato nell'altra persona, a lui occorreva unicamente questo, del resto non gli importa nulla; che cosa gli altri dicano, o facciano non ha alcuna importanza, i giochi subdoli ed i maneggi che loro possono mettere in atto per sabotare i due sono solo ulteriori prove dell'invidia per la loro libertà, ma finché il legame sarà saldo può succedere qualunque cosa, loro saranno sempre pronti a gettarsi nuovamente nella mischia, per il resto, non importa nient'altro.

Enter Sandman

I Metallica restano sempre nel Black Album, andando a ripescare "Enter Sandman" ("Entra, Omino Del Sonno"), brano che come sappiamo è in apertura del disco omonimo al gruppo. Hetfield resta in ginocchio per eseguire l'arpeggio iniziale, tra questo brano ed il precedente infatti non vi sono presentazioni vocali ma il passaggio avviene in maniera diretta, in media res, come se fosse un pezzo unico di cui l'interruzione rappresentava solo una pausa voluta. La serie di sette note viene eseguita per mezzo di una sincope prima delle ultime due, il charleston di Ulrich tiene il tempo per i primi giri, passati i quali inizierà il crescendo sostenuto dai colpi sui fusti del set. Trujillo si piega nuovamente sulle gambe poggiandosi il basso sulla coscia destra, per poi iniziare a saltellare a muso duro con le movenze scimmiesche per le quali è diventato famoso. Le chitarre ora passano al distorto, in un cambio che ci colpisce dritti come una martellata nei denti mentre le bacchette del drummer danese continuano incessanti a colpire le pelli i quella che è ancora l'introduzione del pezzo. Il vero colpo di scena arriva con la partenza della strofa, in corrispondenza dello start; conoscendo i Metallica, siamo propensi ad aspettarci un altra fiammata proveniente dal palco come quella vista durante l'esecuzione di "Fuel", ma i quattro vogliono stupire e gli effetti pirotecnici questa volta esplodono in alto, sulla parte finale degli spalti dell'arena di Nimes, ovviamente preclusa alla presenza di persone, che gettano nell'aria un vero e proprio lampo di fuoco mentre la traccia ha ormai preso forma. A costituire la strofa è il main riff dell'introduzione, eseguito ora in distorto senza le due note conclusive per essere ancora più lineare, a chiudere i giri infatti è un nuovo fraseggio di tonalità più bassa, tre note suonate sempre in successione di sette per rispettare la metrica ma che diversificano ulteriormente il passaggio. Con l'ingresso della voce il pezzo si regolarizza ulteriormente, le frasi di Hetfield vanno infatti ad inserirsi nella parte centrale dell'esecuzione, sulle pennate in palm muting, per poi usare il fraseggio succitato come chiusura tra un verso e l'altro. Con il sopraggiungere del pre ritornello, l'arpeggio iniziale viene suonato un tono più alto, consentendo anche al vocalist di elevare la sua linea melodica per il successivo ritornello, dove i powerchord tenuti, eseguiti con le toniche del main riff, gli consentono di allungare anche le due parole principali del frangente lirico. Dopo la contrattura iniziale quindi il pezzo ora è arrivato ad aprirsi in tutta la sua interezza per poi tornare a chiudersi in corrispondenza della seconda strofa. Il blocco viene ripreso in maniera identica al primo, dopo il break in cui il fraseggio di chiusura è suonato dalla sola chitarra, con la successiva ripartenza della batteria i quattro si riallineano; il primo giro completo viene eseguito senza il cantato, dando modo a Kirk Hammet di eseguire il suo celebre intermezzo solista, una piccola parentesi di note in bending ed effettate in wah wah prima che riparta la parte cantata. Passata anche questa nuova strofa, si susseguono bridge e pre ritornello, il brano fin qui si dimostra particolarmente standard, ma dopo il secondo ritornello tocca ora all'assolo di Hammet entusiasmare il pubblico: la parte ritmica resta lineare sul quattro quarti di batteria, eseguendo le note principali del riff, mentre il riccioluto musicista suona il suo famoso solo dallo stile più hard rock che thrash ma comunque decisamente d'effetto. Conclusa la parte solista, ecco arrivare l'intermezzo: la batteria torna di nuovo a modularsi sul giro di tom dell'intro ed anche le sei corde riprendono l'arpeggio dell'incipit. In questo frangente i Metallica utilizzano un'altra sequenza, la voce del bambino che prega ed il controcanto di Hetfield sono presi direttamente dal disco mentre i quattro continuano a suonare. Il biondo frontman riprenderà a cantare per il successivo crescendo, giunti all'apice del quale i fuochi sulle gradinate dell'arena daranno nuovamente avvio all'ultima sferzata del pezzo, un ultimo ritornello cantato a gran voce prima che il pezzo vada a chiudersi in fade out con la ciclica ripresa dell'introduzione; questa chiusura, come auspicabile, è utilizzata dai Metallica per incitare il proprio pubblico a dei cori di incitamento, passati i quali la traccia giunge alla sua epica fine, alla quale non può far altro che seguire un'ovazione. Il protagonista del testo di questa canzone è il popolare omino del sonno, la figura che secondo la tradizione si aggirerebbe nelle camere da letto dei bambini a versare sugli occhi degli infanti la polvere per dormire e fare bei sogni. La lirica si apre con un padre che esorta il proprio figlio a dire la sua rituale preghiera della sera prima di mettersi a dormire, ricordandogli di non escludere nessuno nell'elenco di famigliari per i quali richiedere protezione a Dio. Assolto questo dovere, il piccolo di mette sotto le coperte aspettando che l'omino del sonno compia il suo dovere ormai ripulito dai peccati dopo essersi purificato con l'atto del pregare. Il timore dei mostri del subconscio però è forte ed il bambino è costretto a dormire con un occhio aperto per verificare che non esca nulla dall'armadio o da sotto il letto, ma fortunatamente l'infante crolla tra le braccia di Morfeo. Qualcosa però non va secondo i piani: i suoi non sono sogni a incubi, nelle immagini della sua mente non ci sono la neve o i momenti felici trascorsi verso l'isola che non c'è ma solo mostri e draghi che sputano fuoco e sono pronti a morderlo. Tuttavia ecco arrivare l'invito di Hetfield al bambino, che lo richiama al silenzio e a non curarsi dei rumori che sente, saranno solamente i mostri che vivono nel suo armadio, o meglio, che il piccolo ritiene siano nel mobile della sua camera, ma in realtà sono solo nella sua testa. La luce scompare, arriva il buio ed il sonno riprende, sempre con un occhio aperto per controllare che il suo subconscio non gli giochi dei brutti scherzi. Prima di passare alla canzone successiva, i Metallica si godono qualche minuto gli applausi dei presenti, time out necessario anche per respirare un attimo e cambiare la strumentazione per poter proseguire. Ulrich abbandona momentaneamente il suo set per un rapido giro di palco nel quale salutare i vari lati del pubblico prima di recarsi dietro le quinte; sembra che il concerto sia finito, ma il siparietto è svolto volontariamente per poi poter tornare ed eseguire il proverbiale encore alla scaletta. In questo momento il dvd ci offre diverse panoramiche del pubblico, che dalla platea si spostano sui vari late delle gradinate; la diversa posizione geografica però sembra essere irrilevante, se non nell'offrire una minore o peggiore prospettiva del palco, ovunque si trovi un fan è letteralmente in delirio per quanto si è appena goduto ed il coro "Metallica" si fa sempre più vigoroso.

Stone Cold Crazy

A smorzare l'attesa è un rapido testi di volume di una chitarra, la breve schitarrata lascia intuire che non siamo ancora giunti alla fine e dopo qualche altro istante ecco nuovamente i quattro cavalieri tornare "sul campo di battaglia". Con questa sequenza di accordi i 'Tallica scaldano ancora un po' il loro pubblico, Hetfield chiede se i presenti abbiano ancora un po' di energia e la risposta positiva è immediata. Il californiano dunque continua aggiungendo che si è arrivati al punto della scaletta in cui i Four Horsemen sono soliti omaggiare a rotazione una band che è stata di fondamentale importanza per loro e per il live di Nimes sono i Queen ad essere tributati, i quattro si lanciano infatti nella riproposizione di "Stone Cold Crazy" ("Completamente Pazzo"), brano risalente al lontano 1974 dal terzo album in studio della band britannica "Sheer Heart Attack". Se già la versione originale possedeva un che di "thrash metal" grazie al suo tempo sostenuto ed al suo riffing serrato, l'evoluzione in questo senso può definirsi compiuta con la rielaborazione dei Metallica: i Four Horsemen si sono dimostrati astuti nello scegliere, all'interno del vastissimo repertorio della band di Freddy Mercury, il pezzo pezzo più adatto per essere suonato dai loro strumenti proprio per le sue caratteristiche. Beninteso, per quanto Hetfield sia un vocalist dotato di talento e carisma, difficilmente lo avremmo potuto vedere a proprio agio nel cimentarsi in un pezzo più complesso come, per esempio, "A Kind Of Magic" o "Show Must Go On". Rispettando dunque la "crudezza" della versione del 74, i 'Tallica partono unicamente con un quattro dato sul charleston per poi lanciarsi a velocità sfrenata sul main riff, che adesso ci giunge alle orecchie con un sound più compatto e travolgente grazie sia al tocco dei musicisti sia alla strumentazione ed ai settaggi a disposizione. La batteria di Ulrich suona infatti molto più spessa ed energica di quella di Roger Taylor, anche se il batterista danese si mantiene fedele alla partitura scritta dal collega inglese, regalandoci così una performance standard e lineare ma al tempo stesso perfetta per l'esecuzione della traccia. Anche Trujillo resta fedele a quando elaborato per il basso, lo stile di John Deacon e particolarmente istrionico e variegato ma tutto sommato egli trova con il suo "allievo" d'oltreoceano una comune affinità nell'amore per lo stile funky, che in questa sessione emerge giusto in qualche accento per arricchire una parte di quattro corde calda e scandita. Il vero "distacco" dalla versione di "Sheer Heart Attack" lo si riscontra per quanto riguarda le sei corde: immancabilmente la presenza di due chitarre a discapito dell'unica di Brian May non può far altro che far guadagnare al tutto un maggiore muro, in secondo luogo, lo stile raffinato e scolastico del riccioluto musicista inglese viene ora omaggiato attraverso un tocco più deciso e metallico dei due americani, che però si mantengono anch'essi allineati con la composizione originale. Per quanto riguarda la performance vocale non possiamo permetterci un confronto tanto dettagliato, in quanto il vocalist dei Queen è all'unanimità riconosciuto come assolutamente inarrivabile in fatto di bravura e carisma sul palco; è proprio qui che possiamo apprezzare l'intelligenza ed al tempo stesso l'umiltà di Hetfield, egli infatti è consapevole della vetta inarrivabile di fronte alla quale si trova ed astutamente decide di cantare qualche tonalità più bassa, regalando alle sue corde vocali una performance più confortevole che non scada nel banale, ed inutile, tentativo di imitare Mercury, che avrebbe rischiato di affondare enormemente nel patetico, ma con questa soluzione gli americani ci regalano invece un omaggio sentito e personale alla band scelta. A differenza di altre cover realizzate dai Metallica, su "Stone Cold Crazy" non vengono aggiunte varianti o modifiche strutturali, la sequenza resta identica all'originale, suonata però con la proverbiale grinta dei Four Horsemen che rende questo omaggio un momento estemporaneo con il resto della scaletta per certi aspetti ma allo stesso tempo conforme e ben allineato con le altre tracce della serata. Con questa prova i Metallica confermano ulteriormente la loro maestria nel rivisitare i brani scritti da altro pugno, rispettandone l'attitudine ma facendole al tempo stesso suonare come brani in stile Bay Area. Protagonista di questo testo è un personaggio bohemienne che incarna perfettamente lo stile di vita eclettico e mondano del giovane Freddy; dopo una serata di baldoria egli trascorre il sabato mattina a dormire sonoramente fino a tardi, sognando di essere il famoso gangster Al Capone che possiede ai suoi piedi l'intera città. Improvvisamente, tra i rumori della città che accompagnano la sua dormita, egli sente la polizia che sfonda la porta del suo appartamento per portarlo nuovamente in galera, egli però non vuole assolutamente tornare in gattabuia e si lancia quindi in una fuga rocambolesca riuscendo così a salvarsi, per questa volta. A questo punto vi è un cambio di scena; siamo sempre a New York durante un pomeriggio piovoso, mentre una donzella suona il trombone egli sente dentro di sé un brivido per il quale non può più star fermo ed esce improvvisamente dalla stanza, scendendo in strada e sparando all'impazzata sulla folla con il suo Tommy Gun fresco di caricatore. Immancabilmente gli sbirri si lanciano al suo inseguimento, dando così inizio ad un altro fuga avventurosa, che questa volta però si conclude con la cattura del mafioso che viene sbattuto in cella, egli ormai osserva il mondo attraverso le sbarre della finestra e conclude eroicamente con il desiderio di farlo andare all'inferno qualora giunga il suo momento di andare in paradiso, in quanto il regno dei cieli risulta essere di una noia mortale per un esteta come lui, mentre negli Inferi sì che potrà vivere infinite ed appassionanti avventure, in quanto ormai è diventato completamente pazzo.

Motorbreath

Come si è notato al rientro dei quattro sul palco, Hetfield ha indosso il suo gilet sfrangiato; chi conosce bene la band sa che quell'indumento rappresenta il ritorno del musicista alla sua giovinezza, in particolare al primo album della band "Kill'Em All". La supposizione si rivela corretta, in quanto, senza che nemmeno venga annunciata, parte serratissimo il riff iniziale di "Motorbreath" ("Respiro Di Motore"), uno dei brani più celebri del debut album della band. Mentre Hammet sfodera lo shredding alcalino, il vocalist chiede ai presenti se possiedono quell'album, la risposta è ovviamente positiva, dato che con l'iniziare della canzone esplode nell'arena una vera e propria bolgia. La batteria infatti intraprende subito un tupa tupa che solo i veri thrasher apprezzano volta dopo volta nonostante la sua magnifica monotonia, immancabilmente parte il pogo tra le prime file ed ogni spallata sancisce così un segno di apprezzamento per una parte di sei corde semplice ma al tempo stesso affascinante. I powerchord sono intervallati dal palm muting mentre la tonalità scende in volta in volta per poi riprendere a salire nel ritornello, dove la voce si distende mentre le chitarre restano serrate. La seconda strofa riprende a macinare ossa, mantenendosi uguale alla precedente ed aizzando così i guerrieri della platea ad assaltarsi l'uno con l'altro. Siamo di fronte ad una delle primissime composizioni dei Metallica, quando i quattro musicisti non conoscevano forse ancora pienamente le loro potenzialità compositive ed i loro componimenti si basavano unicamente sull'alternanza di strofa- ritornello e bridge architettate utilizzando dei riff impregnati dell'influenza dell'Heavy Metal più primordiale. A dare un attimo di respiro è il break dopo la chiusura del secondo blocco, le dita di Hammet scorrono velocissime sostenute dalla cassa di Ulrich atta a tenere il tempo, Hetfield incita i presenti con dei decisi e rapidi "hey", c'è giusto il tempo di respirare un secondo e caricarsi per l'ultima mischia, che puntualmente esplode con la nuova ripartenza, dove l'assolo di Hammet consta di una semplice esecuzione delle note toniche del riff suonate più alte di tonalità e stracariche di wah wah prima che si riprenda con la terza strofa. Il terzo ritornello è arrivato e dopo di esso arriva la sciabolata solista vera e propria, una vera e propria Gatling di note che falcidia le nostre teste in attesa della botta finale, lanciataci addosso con degli stacchi netti e potenti per poi lasciare andare gli strumenti alla classica caciara voluta con cui Hetfield ringrazia nuovamente Nimes per aver sopportato con cosi tanta enfasi la band. Come accennato, questo pezzo fu scritto da dei 'Tallica ancora giovani ed inesperti, indi per cui il testo affonda a piene mani il proprio spunto nell'immaginario Heavy Metal per eccellenza: i quattro musicisti sono assetati di potenza e di energia, nutrimento che solo la musica che amano e per cui morirebbero può dar loro, quale migliore immagine per rendere l'idea se non quella di un motore rombante che sgasa furioso ad ogni pennata di chitarra elettrica? Tuttavia, in queste parole vi è un che di filosofico, quasi un metaforico riferimento a Schopenhauer: si è giovani e spensierati nella prima fase della propria esistenza ma non appena sarà scoperto il velo di Maya attraverso il quale ci giunge una visione della realtà scopriremo che esistere è solo un labile lasso di tempo tra il vivere e morire: i sorrisi e gli entusiasmi saranno disintegrati appena comprenderemo che ad attenderci al varco c'è la fine di tutto non saremo mai più gli stessi. Vi è tuttavia un metodo di fuga a questa sconvolgente rivelazione, o meglio, vi è un balsamo lenitivo per questo dolore, vale a dire quello di vivere ogni istante come se fosse l'ultimo; il tempo infatti scorre inesorabile e bisogna dunque esistere cogliendo l'attimo e vivendolo al massimo, ruggendo e vibrano come il motore di un'auto sportiva fiammeggiante. Ma non basta comportarsi come un motore, bisogna essere un motore, facendo in modo che ogni nostro singolo respiro trasudi energia e che i nostri bronchi diventino come dei pistoni metallici. La vita terrena dunque va percorsa alla massima velocità non curandosi degli ostacoli che si parano sulla nostra strada, perché l'inesorabile non aspetta e bisogna essere davvero vivi in ogni istante, correre a folle velocità è pericoloso ed è risaputo, ma vivendo in questo modo si vince in entrambi i casi: o si arriva in fondo alla pista tagliando il traguardo da vincitori oppure, se ci si dovesse schiantare lungo il tragitto si morirà prima ma comunque contenti di non aver sprecato un solo briciolo di vita concessoci dal cosmo. Siamo ormai arrivati alla chiusura: i quattro salutano lieti i loro supporters con degli affettuosi cenni delle mani, ma ai presenti non basta ed il loro boato fa capire ai musicisti che ne vogliono ancora una; eppure Ulrich ha abbandonato il set ed i suoi colleghi si sono ormai sfilati di dosso gli strumenti, tutto lascia intendere che ormai sia davvero finito il concerto. Le inquadrature del volto del batterista lasciano trasparire non solo la sua grande soddisfazione per la risposta enormemente positiva al suo show ma anche un leggero cenno di sfida, come se volesse dir loro "ok, vi siamo piaciuti e ne volete ancora, ma se vi spariamo in faccia un ultimo pezzo da 90 riuscirete a resistere?". Hetfield torna sul palco dopo aver cambiato chitarra e con fare freddo e quasi superiore, come quello di un combattente che sa di aver vinto, esclama fiero "we have not finished" ("non abbiamo finito") ed il pubblico non può far altro che apprezzare. Il biondo vocalist si dimostra ancora una volta non solo il proverbiale animale da palco che è ma anche un vero signore, in quanto ringrazia i suoi fan per averli ospitati in una location suggestiva qual'è il teatro romano di Nimes e per averli fatti lottare con dei veri e propri gladiatori. Egli conferma inoltre che quello che andranno a suonare è davvero l'ultima canzone ma allo stesso tempo chiede agli astanti di aiutarli a fare in modo che quelle mura antiche possano ricordare che i Metallica sono stati li.

Seek & Destroy

Ad ognuno dei presenti è quindi richiesto di buttare fino all'ultima goccia di energia in corpo perché così faranno anche i quattro thrasher e solo in questa maniera si potrà chiudere davvero in bellezza la serata. All'urlo di "Seek & Destroy" ("Scova E Distruggi") l'esecuzione si trasforma in una vera e propria dichiarazione di guerra, del resto tale motto non a caso era usato anche dai Marines durante le operazioni di ricerca delle postazioni dei Vietcong. Ecco partire il famosissimo riff d chitarra, prontamente seguito dall'audience con i propri cori, l'utilizzo dell'accordatura ribassata offre all'esecuzione un tiro ancora più travolgente. Non si fa nemmeno in tempo a partire con la strofa che l'arena viene subito invasa da dei palloni gonfiabili griffati Metallica con i quali il pubblico inizia a giocare mentre si gode questo must del Thrash. Il palco viene invaso dalle sfere, tanto che suonando i tre musicisti in piedi approfittano per rispondere al pubblico ricalciandole al mittente. Con l'inizio della parte cantata, Hetfield non esita a sostituire la parola "city" ("città") con quella di Nimes per attualizzare la frase "we are scanning the scene in Nimes tonight" ("stiamo andando a caccia Nimes questa sera"), mentre il tiro generale resta sempre elevatissimo. Con il cambio nel quale la tonalità sale, il tachimetro si alza di giri fino al primo ritornello, dove la presenza del pubblico quasi eclissa a livello di volume la voce principale. La foga è tale che Ulrich compie qualche piccolo ritocco per sistemare le improvvise sfasature di tempo, ma per un batterista d'esperienza come lui basta un piccolo passaggio per ritornare in carreggiata. Si arriva così al secondo ritornello, anch'esso preceduto dal fraseggio di chitarra ed interamente cantato dal pubblico, il biondo vocalist deve solo pronunciare la parola "searching" ("cercare") per far sì che i fan francesi completino il motto con la loro presenza. Siamo così arrivati al momento centrale della traccia, il drummer danese viene lasciato in solitaria a suonare il suo intermezzo di batteria, ovviamente suonato molto più veloce rispetto alla versione dell'album, ma si sa, dal vivo si è soliti spingere sempre un po' di più ed il risultato è comunque trascinante. Dopo appena due giri ecco le chitarre ritornare in pista con il nuovo fraseggio, la tonalità ora è più alta e presto i powerchord tenuti si intervalleranno alle quattro stoccate soliste di Hammet, collocate tra un inciso e l'altro. Trattandosi di un frangente di puro Thrash Metal in vecchio stile i presenti non possono sottrarsi da un ultimo girone di pogo, le note del riccioluto axemen vengono così nuovamente accompagnate dalla bolgia appena sottostante a lui. Giunge ora un nuovo break, nel quale le chitarre fischiano ed Hetfield incita ancora i presenti con un "oh yeah?"prontamente doppiato dalla fiumana di gente che ormai si è accalcata nelle prime file. Il fraseggio iniziale fa nuovamente la sua comparsa, ormai resta solo un ultimo terzo di canzone prima del finale ed i Metallica vogliono che Nimes dia il tutto per tutto; la ripartenza è nuovamente incandescente ed il blocco si sussegue con la stessa struttura dei precedenti due, facendo sì che i cannoni dei Four Horsemen continuino a sputare adrenalina, la batteria riprende a martellare, il tempo è sempre in quattro quarti fino a quando le sei corde non inizieranno la strofa, Ulrich cambia improvvisamente esecuzione lanciandosi in un mid tmpo estemporaneo prima di ritornare sul percorso principale. I powerchord del ritornello ora sono più intensi e vibranti e la sinergia tra gruppo è pubblico è ormai completa facendo suonare le due entità come una cosa sola. Per coinvolgere il pubblico per l'ultima volta, i 'Tallica suonano il finale della traccia infarcendolo di stop and go, di modo che i presenti possano continuare ad urlare tutta la loro estati fino al fraseggio conclusivo, al quale segue la chiusura definitiva, composta da un piccolo ultimo riff prima dell'urlo definitivo di Hetfield "Metallica loves you friends!" ("i Metallica vi amano amici!"). Il testo di questo pezzo rappresenta una vera e propria dichiarazione di guerra dei Four Horsemen al mondo: i quattro cavalieri sono infatti al galoppo in città alla ricerca dei loro nemici, i benpensanti che non fanno altro che bacchettarli ed indicarli come rifiuti della società, ma loro sono belve il cui cervello è pervaso dalla musica e presto troveranno ciò che stanno cercando. Scovare e distruggere, devono fare solo questo, come i soldati in guerra, i 'Tallica perlustreranno ogni anfratto per tirar fuori anche il più rintanato dei bigotti e dargli finalmente ciò che si merita, una bella mazzata a colpi di metal che gli farà contorcere le budella fino a fargliele esplodere. Per quanto questi vigliacchi corrano e tentino invano di cercare rifugio la furia dei thrasher li troverà e li ucciderà tutti uno dopo l'altro. Non hanno possibilità di fuga, questo è poco ma sicuro, la loro fine sta arrivando e la loro misera esistenza non si protrarrà tanto a lungo, non gli resta quindi che dire addio al mondo in cui vivono perché presto subiranno la punizione che gli spetta: dopo aver sempre preso e preso ancora svuotando la società con il loro fare da parassiti anche per loro verrà il momento nel quale gli sarà presentato il conto e dovranno dare anch'essi. I cervelli dei quattro ormai sono infuocati ed entusiasmati dalla sete di uccisioni e non si fermeranno finché il loro appetito non sarà pienamente soddisfatto, nella loro mente c'è un solo ed unico obiettivo, quindi perché questi imbecilli provano ancora a scappare, tanto saranno scovati e distrutti dalla furia esplosiva dei Metallica.

Conclusioni

Lo show è definitivamente concluso, posati gli strumenti i quattro vanno a bearsi delle ovazioni a loro rivolte con l'usuale lancio dei plettri marchiati e delle bacchette di Ulrich come ricordo della serata, ai quali vengono offerti in cambio gli striscioni realizzati dai fan. Le ultime panoramiche sul pubblico si rivelano la chiusura ideale per il dvd e l'immagine dei quattro americani con la bandiera francese recante il logo del gruppo ed i ringraziamenti di quest'ultimi in lingua al proprio pubblico evidenziano ancora come il Metal unisca i popoli di diversi paesi senza barriere geografiche; non ci sono distinzioni, quando si è metallari si è tutti uniti sotto il simbolo delle corna al cielo e tutte le varie controversie politiche, culturali e sociali tra i vari popoli vengono definitivamente spazzate via dal suono delle chitarre distorte. Quello di Nimes è senza dubbio uno dei migliori show tenuti dai Metallica in anni recenti non solo per come essi hanno suonato, dato che le esecuzioni in sé e la scelta dei brani ha sicuramente accontentato tutti, ma anche per il sentimento di stima che i quattro americani hanno trovato nel loro pubblico francese. Sappiamo bene che i Four Horsemen sono ancora reduci da un periodo non propriamente felice della loro carriera ma l'entusiasmo ed il calore dei presenti verso i loro idoli ha fatto sentire i quattro statunitensi, come recita il titolo del live, francesi per una notte. Le varie dicerie e calunnie nei confronti dei venduti, che nonostante perdurino ancora oggi a sette anni di distanza dallo show, sembrano tuttavia essersi eclissate in favore del ricordo dei bei vecchi tempi, quando il gruppo era indiscutibilmente il migliore nell'olimpo del Metal. La stizza dimostrata all'epoca di "St. Anger" ha finalmente lasciato il posto alla sempreverde energia della band sul palco: come ho scritto più volte, se i 'Tallica in studio hanno dato, nel corso della loro carriera, prove altalenanti tra la qualità sopraffina e l'essere decisamente fuori forma è nel salire su un palco che il nome dei Metallica ha sempre brillato di un bagliore splendente tanto quanto quello di un diamante. Poche storie, on stage gli autori di "Death Magnetic" sono sempre delle macchine da guerra e chi non ha mai smesso di credere in loro avrà sempre questa riprova qualora si rechi ad un loro spettacolo, chi invece li ha snobbati in qualità di venduti al business invece resterà sempre a casa sua a malignare perdendosi a suo discapito uno spettacolo unico. Se poi ci si trova di fronte ad uno scettico nostalgico egli stringerà sempre a sé i cari vecchi vinile del gruppo rimpiangendone la magia, se invece si parla del solito tuttologo egli non farà altro che additare i Metallica come falliti autoescludendosi da un concerto che sarà sempre impareggiabile. Vista la nutrita ed azzeccata scelta dei brani messi in scaletta, che salvo il caso di "Fuel" salta a piè pari il periodo più ostico dei quattro, vale a dire "Load", "Re-Load" e "St. Anger", si evince come Hetfield, Hammet, Ulrich e Trujillo stessi siano consapevoli del fatto che quegli album sono i più spenti ed al tempo stesso scelgono di puntare invece sui grandi classici. Se il periodo di convalescenza dopo la "malattia" è stato lungo e difficoltoso, "Francais Pour Une Nuit" ci offre invece una splendida prova di un combattente completamente rimessosi in salute e pronto per tornare nuovamente a combattere.  

1) The Ecstasy Of Gold
2) Blackned
3) Creeping Death
4) Fuel
5) Harvester Of Sorrow
6) Fade To Black
7) Broken, Beat & Scarred
8) Cyanide
9) Sad But True
10) One
11) All Nightmare Long
12) The Day That Never Comes
13) Master Of Puppets
14) Dyers Eve
15) Nothing Else Matters
16) Enter Sandman
17) Stone Cold Crazy
18) Motorbreath
19) Seek & Destroy
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