METALLICA
Die Die My Darling
1999 - Vertigo
MICHELE MET ALLUIGI
01/06/2016
Introduzione Recensione
Proseguiamo il viaggio all'interno del catalogo promozionale di "Garage Inc." Dopo "Whiskey In The Jar", i Metallica diedero alle stampe nel 1999 il singolo di "Die Die My Darling", continuando così a cavalcare l'onda del mega progetto dell'album cover fin quanto fosse possibile. Mai prima d'ora infatti, una band aveva dedicato così tanta attenzione, e conseguentemente così tante energie, nella realizzazione di un album che fosse costituito interamente da rivisitazioni di brani altrui, i Four Horsemen invece tentarono in tal senso il tutto per tutto, trattando questi loro tributi ai grandi artisti da loro ammirati come se quei pezzi fossero stati scritti da loro, a differenza di loro altri colleghi, come Anthrax e Slayer, giusto per fare due nomi, che riarrangiarono degli altri pezzi con un approccio meno mirato e più estemporaneo. In un periodo in cui i quattro californiani si erano già guadagnati il disprezzo dei loro fan della vecchia guardia ma avevano altresì attirato l'attenzione dei palati più morbidi, e mi riferisco alla seconda metà degli anni Novanta, "Garage Inc." si andava a collocare sugli scaffali come una provocazione, una spavalda risposta altezzosa data ai seguaci che ormai li ritenevano dei venduti guardandoli dall'alto in basso: i quattro metallari vissuti sulla strada e cresciuti a forza di birre e cibo da asporto senza un soldo in tasca non c'erano più, essi erano stati completamente rimpiazzati dai quattro uomini d'affari che scesi dal palco dei loro show andavano a sedersi dietro le scrivanie dirigenziali della grande macchina da business che il marchio "Metallica" era diventato. Lo scopo di questi singoli però, in maniera forse involontaria forse no, era anche quello di ribadire che nonostante gli anni passati ed i miliardi intascati, James Hetfield e soci rimanevano comunque saldi a quei gruppi che li hanno fatti diventare quello che erano all'epoca (nel '99) e che sono tutt'ora, un compito comunque assai arduo, dato che questo messaggio di speranza andava ad inserirsi in una polemica che accostava il nome Metallica, autori dei poco amati e tanto odiati "Load" e "Reload", all'aggettivo di "venduti". Eppure, la scelta stessa dei brani con i quali assemblare questi piccoli prodotti promozionati (una traccia in studio e due estratti live, come nel caso del singolo precedente), segue la filosofia del prodotto collezionabile per il fan oltranzista pur essendo appetibile per l'ascoltatore neofita della band; scomponendo infatti la tracklist per una prima e generale analisi, si nota come i thrasher di San Francisco abbiano voluto in qualche modo rendere questi singoli simili a delle demo tape underground: la cover registrata in studio, in questo caso, rende omaggio ad una delle band più note e storiche del panorama punk statunitense e mondiale, i Misfits, un gruppo che, nonostante la travagliata carriera, vessata da cambi di formazione, scioglimenti e ritorni, fino alla recente notizia della reunion con la line up storica, si è affermata quale capostipite di un intero genere. Questa scelta quindi vuole far sì che i Metallica possano avere anche l'attenzione degli ascoltatori del genere di origine inglese, usufruendo però non di una fredda riproposizione del brano ma bensì di una rivisitazione in chiave personale. Le due cover dal vivo invece, si rivolgono proprio alle orecchie del metallaro più fedele alla tradizione: gli omaggi qui contenuti vengono resi infatti ai Black Sabbath, con la cover di "Sabbra Cadabra" ed ai Mercyful Fate, di cui i 'Tallica hanno addirittura assemblato un mega medley di oltre dieci minuti di durata, due nomi che chiunque si dica fan del Metal non può non annoverare all'interno dei propri ascolti. Chi però venne deluso da questa svolta "hollywoodiana" intrapresa dal gruppo ebbe vita difficile a cogliere questo richiamo agli albori, dato che la copertina stessa di questo singolo sembrava invece ribadire tutt'altro: l'immagine infatti ritrae i quattro membri della band vestiti in abito elegante, con lo stesso stile con cui Frank Sinatra e la sua orchestra di supporto erano soliti esibirsi negli anni d'oro, in primo piano di fronte ad un sipario di lustrini; un look quindi ammirevole ma decisamente cacofonico se paragonato alle origini dei quattro fatte di jeans strappati, canotte e giacche di pelle, eppure eccoli lì, i Metallica, che all'interno del booklet di "Garage Inc." comparivano in una locandina col nome di "Metallicats" band per suonare "tutti i nostri classici preferiti". Gli autori di album capolavoro come "Kill 'Em All" e "Ride The Lightning" ora si autoproclamavano una cover band, dei musicisti quindi che i quattro thrashers dei primi anni ottanta magari avrebbero pestato a sangue in quanto simbolo di una omologazione e conformità al volere della massa a cui, purtroppo, a livello di atteggiamento si erano adeguati anche loro. Se tale scelta invece era da interpretarsi come un semplice ridere di sé stessi, diciamo che tale chiave di lettura sarebbe parsa, ai più, troppo sottile per essere colta, ma restiamo comunque fiduciosi e fedeli al detto che un libro non va giudicato dalla copertina.
Die Die My Darling
In apertura parte subito senza tanto indugiare "Die Die My Darling" (trad. "Muori, Muori, Mia Cara"), cover di uno dei pezzi più noti dei Misfits. In questo caso particolare, le differenze con la versione originale sono pressoché totali: questa è infatti una delle tracce in cui si riesce a percepire completamente la vena personale che Hetfield e compagni hanno aggiunto ad un pezzo che loro stessi adorano. Quanto contenuto in "Earth A.D", album pubblicato dalla band di Glen Danzig nel 1984, è marcatamente più crudo e scarno rispetto alla "raffinata" revisione svolta dai Metallica; stiamo parlando di un brano punk, indi per cui toglietevi immediatamente dalla testa la qualità sonora curata nel dettaglio, i Misfits infatti registrarono in presa diretta suonando tutti assieme, ergo, il risultato che ci giunge è una unica amalgama di suoni prodotti da una band che riversa la propria rabbia urlando tutto ciò che ha in corpo. Il brano inizia con una serie di stacchi netti, dove la batteria, di cui si sentono praticamente solo il charleston ed il rullante e sporadicamente i fusti nei break intermedi, taglia letteralmente gli accordi della chitarra; il sound è quello del punk più crudo e grezzo, la sei corde infatti suona con una distorsione che distorsione non è se in essa vi ricerchiamo i canoni moderni, essa infatti consta di un pulito stracarico di gain che rende leggermente più cattive le note suonate (immaginate, giusto per avere un'idea, la chitarra di Pete Townshend degli Who), reso ancora più rumoroso da un'accordatura che possiamo ritenere anche non del tutto perfetta. Il powerchord è quindi l'unica diteggiatura che Doyle sembra conoscere durante l'esecuzione e le stesse identiche note sono a loro volta ricalcate dal basso di Jerry Only, o meglio, così siamo in grado di immaginare, dato che nella registrazione il volume del basso è brutalmente eclissato dalla voce e dalla chitarra. La canzone dunque è modellata su una struttura lineare senza compromessi, intervallata unicamente dagli stacchi e dal break del pre ritornello, ma per il resto, il drumming di Robo non perde di vista l'obiettivo nemmeno per un secondo. La voce di Danzig è infine altisonante e graffiante ed è messa in prima luce anche dalla verve con cui il frontman interpreta questo testo stracarico di violenza. Letta così sembra una canzone che un qualsiasi accademico della musica schiferebbe in quanto aberrazione di ogni teoria di solfeggio ed armonia, ma teniamo ben presente che è grazie alla rottura delle regole che sono nati i generi che noi oggi adoriamo. "Die Die My Darling", insieme a tantissimi altri brani punk, è dunque un simbolo di una musica fatta prima col cuore che con la testa, un qualcosa di assolutamente primitivo e scarno nato nei bassifondi e che, urlo dopo urlo, si è fatto largo nella storia delle sei note diventando addirittura un capitolo imprescindibile di tutti i manuali e libri inerenti all'argomento. La versione dei Metallica è invece "migliore" sia dal punto di vista tecnico, in quanto suonata con maggiore precisione e pulizia, visto anche il divario netto fra i due gruppi, sia da quello della post produzione, dato che i 'Tallica potevano usufruire di studi di registrazione sicuramente migliori di quelli utilizzati dai Misfits, ma attenzione, l'intento della cover è quello di rendere omaggio a degli artisti che per i Metallica hanno significato (e significano tutt'ora) moltissimo. Il risultato più fruibile non va quindi interpretato come una presa in giro a danno degli ignoranti autori del pezzo, ma come un omaggio che a loro rendono dei musicisti oggettivamente più bravi che però si "abbassano" volentieri al loro livello. La versione metallica inizia con il charleston a dare gli otto colpi per lo start, e sul finire di essi un rutto (elemento inserito volutamente per rendere più punk il tutto) da ufficialmente il via alle danze; il tiro è decisamente più alto, le accordature ribassate e la batteria pompata di Ulrich avanzano con un incedere molto più solido e pesante, conferendo alla canzone un tocco più à la Metallica. Nel pieno rispetto dell'originale, i Four Horsemen non si distaccano dalla struttura primaria, ed anche i californiani marciano imperterriti fino alla meta scandendo però decisamente meglio le singole pennate dei riff ed eseguendo gli stop and go con una precisione maggiore, la nitidezza con cui le mani dei thrasher soverchiano quella di Doyle fanno sì che la canzone suoni più cristallina ed anche Hetfield si dimostra un vocalist migliore di Danzig, di cui viene cantato il testo sì con una attitudine stradaiola ma comunque con una maggiore intonazione ed impostazione; le doti canore del biondo vocalist californiano sono molto quindi più impostate del frontman dei "disagiati" ma ciò non toglie che sia la crudezza a caratterizzare questa rivisitazione. Anche se si sente che i Metallica si sono seduti a tavolino per studiare la maniera migliore per realizzare questa cover, a conti fatti, il pezzo suona comunque molto naturale e disinvolto, quasi come se gli autori di "Ride The Lightning" durante una pausa durante le prove si fossero semplicemente guardati negli occhi e fossero partiti a jammare su questo brano dei Misfits, con un'intesa ed un entusiasmo tale da farli arrivare fino alla fine con una disinvoltura eccezionale. Sul piano lirico ci troviamo di fronte ad una quantomai romantica e brutale dichiarazione d'amore, ovviamente interpretata secondo la filosofia della horror punk band americana. Prendete la vostra amata, accarezzatele il viso, guardatela dritta negli occhi ed iniziate a pugnalarla senza pietà, sì avete letto bene, basta con i soliti mazzi di fiori e le solite moine; per quanto una ragazza sia bella ed intrigante sicuramente vi avrà dato diversi motivi per farvi desiderare che finisse sotto un treno, anzi, è possibile che ci abbiate litigato che non è tanto e discussione dopo discussione la vostra pazienza abbia anche raggiunto un limite, quindi perché stare a perdere tempo a cercare di chiarire la situazione? Imbracciate un coltello e datevi alla più sanguinaria furia omicida. Il testo è scagliato contro la malcapitata donzella attraverso una prima persona quanto mai furente, l'imperativo unito al successivo vocativo "mia cara" lascia intendere come la follia assassina e la venerazione amorosa si incontrino in una sublime sinergia schizofrenica; le coltellate si susseguono mentre invitiamo la dama a chiudere i suoi bellissimi occhi in attesa di poterla rivedere mentre bruceremo tra le fiamme dell'Infermo, una volta finiti nel regno di Satana per il nostro peccato commesso contra una povera ed innocente creatura di Dio. Le sue urla vengono immediatamente placate con un dolce invito, proferito con la voce calda e soave di un amante che zittisce la sua donna mentre le dilania il ventre con un assalto all'arma bianca, non proferisca più una parola e si lasci abbracciare dal sonno eterno, la rincontreremo ancora, nella splendida cornice del regno dei dannati.
Sabbra Cadabra
Conclusa la parte dedicata alle tracce in studio, giunge adesso il momento degli estratti live, primo dei quali è "Sabbra Cadabra" (traducibile come una storpiatura della celebre formula magica "Abra Cadabra"), celebre cover dei Black Sabbath tratta dal quinto album della band "Sabbath Bloody Sabbath" del 1973. Su "Garage Inc." abbiamo avuto modo di apprezzare questa rivisitazione registrata in sala d'incisione, adesso invece, i Four Horsemen ci dimostrano che quello che sentiamo sul disco è tutta farina del loro sacco, senza maneggi o modifiche digitali. Del sound tipicamente seventies creato dal leggendario gruppo di Tony Iommi i 'Tallica recuperano il groove coinvolgente ed energico, risuonando questo brano con la proverbiale attitudine che da sempre ha contraddistinto la band californiana; l'audio si apre con il boato del pubblico in visibilio, James Hetfield, in qualità di frontman ormai rodato, è intento a scaldare i presenti annunciando la prossima canzone con il fare un po' vago che non fa altro che aumentare la tensione degli astanti, l'ovazione si fa sempre più calda, e non appena viene pronunciato il nome di Ozzy Osbourne, l'osanna al madman è inevitabile. Immancabilmente, il cantante e chitarrista americano non può far altro che sottolineare quanto la band di Birmingham sia stata importante per la loro formazione artistica, quale altro modo migliore che rendergli omaggio se non rivisitare uno dei loro pezzi più noti? La chitarra di Hammet si lancia nell'esecuzione del main riff senza tanti indugi, il tocco del more axeman allievo di Joe Satriani ricalca fedelmente il pathos caldo e blues oriented di Iommi, ed in men che non si dica, con l'entrare della batteria, la macchina dei Metallica crea immediatamente un impatto devastante già dalla prima strofa. La canzone scorre ricca di energia anni settanta, ma allo stesso tempo il sangue thrash metal dei Four Horsemen fa sì che il brano suoni naturalissimo, quasi non sembra si tratti di una cover (ammettendo ipoteticamente di non conoscere la versione originale). Se nella versione in studio l'assenza delle tastiere non minò assolutamente la resa finale della traccia, dato che sull'album del '73 i Sabs ebbero come guest il grandissimo Rick Wackeman degli Yes, lo stesso si può tranquillamente confermare anche per la versione dal vivo. Ovviamente, la mancanza dei sintetizzatori rende la cover dei Metallica meno "psichedelica", ma ciò è prontamente compensato dalla potenza sonora che le due chitarre riescono a creare grazie alle accordature ribassate, che danno al tutto una struttura decisamente più solida. La linearità del drumming di Ulrich viene qui arricchita dai passaggi posti nelle varie cesure, del resto il drummer danese deve confrontarsi ora con un batterista dall'impronta jazz come Bill Ward, ma ad avere il maggior dinamismo sono proprio le sei corde, continuamente impegnate tra riff e passaggi in hammer on e powerchord. Come nella versione in studio, anche sul palco i Metallica spezzano improvvisamente l'esecuzione del brano per inserirvi un medley strutturato sul riff di "A National Acrobat", brano che su "Sabbath Bloody Sabbath" seguiva di posizione "Sabbra Cadabra" nella tracklist, una soluzione non nuova per i Metallica ma che comunque si rivela efficacissima per dare al pezzo un'impronta assolutamente originale. Dopo questo inciso, Hetfield ha così modo di cantare la seconda porzione di testo, naturalmente modellandola sulla diversa metrica, ancora una volta, i quattro ci dimostrano le loro qualità di musicisti esperti e sempre pronti a muoversi su qualsiasi tipo di situazione; il mix di groove settantiano e grinta tipica dei californiani rende questa cover una della più trascinanti mai realizzate dai Metallica, ed anche i Black Sabbath, dal canto loro, possono ritenersi degnamente tributati. Quasi in contrasto col testo di "Die Die My Darling", anche questa lirica è sì una dedica amorosa, ma a differenza della scarica d'odio di Danzig e soci, qui l'amore diventa una sorta di avventura psicotropa che coinvolge tutti i sensi e le percezioni dell'essere umano. Il narratore è nuovamente in prima persona, e centro della sua dedica è appunto la donna amata, descritta attraverso gli effetti che produce sull'innamorato: egli si sente benissimo, in uno stato di salute fisica e mentale assolutamente perfetto, e l'amore per lei è ormai il centro di ogni suo pensiero; lei gli da il suo affetto notte e giorno e quando fanno l'amore è qualcosa di assolutamente fuori dal mondo per quanto sia estatico. Fin dai primi versi della strofa si intuisce che Hetfield, ed originariamente Ozzy Osbourne, sta tentando di illustrarci che cosa provi quando è in compagnia della sua donzella utilizzando le parole umane, ma esse tuttavia sono insufficienti per descrivere la condizione sublime creata da questa creatura quasi divina. L'avere qualcuno che ama il protagonista con questo sentimento così forte lo rende mette in pace con se stesso e sapere che c'è qualcuno che ha sempre bisogno di lui e che lo pensa, fa sì che anche tutte le sue energie siano convogliate nel tentare di appagare questa proverbiale donna angelo di cui si narra. Per lui, la donna è semplicemente qualcuno per cui vivere, trascorrendo ogni secondo in uno stato di assoluta devozione ed amandola fio alla fine dei tempi. Conclusa questa stilnovistica prima parte di testo, ecco che le liriche del madman si catapultano in una dimensione assolutamente psichedelica; l'uomo, elevato ad una condizione superiore dall'amore diventa così essenza primigenia di tutte le cose, creazione e dissoluzione della materia, con il sentimento amoroso egli ha infatti trovato il proverbiale senso dell'esistenza che ha reso il suo corpo materiale un puro spirito perfetto, il quale, è in grado di percepire più dimensioni allo stesso tempo, siamo passati dunque dal materiale allo spirituale, quasi come se l'acido che ci siamo calati abbia iniziato a farci effetto per arrivare all'apice dell'apertura della nostra mente. Conclusa questa esperienza mistico-totalizzante si ritorna alla dimensione terrena, riprendendo ciclicamente a raccontare di come questa donzella faccia perdere letteralmente la testa al nostro amante.
Mercyful Fate
Giungiamo adesso alla traccia conclusiva del singolo, un medley che i Metallica hanno realizzato assemblando insieme ben cinque pezzi dei "Mercyful Fate", band omonima alla traccia riproposta dai 'Tallica on stage. Il brano si caratterizza infatti di porzioni, di breve e diversa durata, dei brani "Satan's Fall" (trad. "La caduta di Satana"), "Curse Of The Pharaohs" (trad. "La Maledizione Dei Faraoni"), "A Corpse Without Soul" (trad. "Un cadavere Senza Anima"), "Into The Coven" (trad. "Nella Setta") e "Evil" (trad. "Malvagio"). Tutti questi pezzi vanno a ripescare nei primissimi lavori della band capitanata da King Diamond: salvo infatti "A Corpse Without Soul", estratta dall'ep del 1982 con cui esordì il gruppo di Copenhagen, le altre canzoni sono estrapolate dal primo album della band, "Melissa", pubblicato l'anno seguente. Nuovamente troviamo il pubblico in delirio a dare il via alla traccia, trattandosi di un estratto live tale espediente si rivela fondamentale per tentare di ricreare in noi ascoltatori a posteriori, almeno parzialmente, la tensione elettrica di quel particolare concerto; Hetfield indugia nuovamente nel presentare il pezzo lasciando intuire che è una cover degli autori danesi ed i presenti al concerto, ormai preparati dall'uscita di "Garage Inc." l'anno precedente, hanno immediatamente capito di cosa si tratta. Come abbiamo più volte sottolineato, i Metallica trattano queste cover esattamente come se fossero brani scritti da loro, e vista la personalità con cui le risuonano si può dire che i Four Horsemen abbiano creato la proverbiale via di mezzo tra canzone propria e riproposizione, indi per cui sul palco questo omaggio ai Mercyful Fate suona esattamente come realizzato sul disco: stessa successione dei pezzi e stessi cambi negli stessi punti; l'assemblaggio è infatti stato curato nel dettaglio per far si che live questo pezze si potesse suonare come una unica mega traccia di oltre dieci minuti. Il primo pezzo ad essere risuonato è "Satan's Fall", uno dei brani più noti di Melissa il cui riff si presta perfettamente ad una rivisitazione da parte di Hetfield e soci. La struttura terzinata rende infatti possibile la "thrashizzazione" della composizione senza alcun problema e con l'ingresso della batteria, leggermente più sostenuta della versione originale, ecco che un pezzo storico dell'Heavy Metal diventa ancora più corrosivo. Mentre il quattro quarti sostiene solidamente la chitarra ritmica, Kirk Hammet si lancia in un assalto solista breve ma intensissimo prima che inizi il cantato, riportandoci così alla mente i fasti gloriosi del primo album della band, quando con un fare simile i quattro ci sparavano addosso la grandissima "Hit The Lights". L'estratto dura giusto un minuto, il tempo necessario per consentire ad Hetfield di stendervi sopra la prima porzione di testo prima che gli stacchi accentati di Ulrich concludano il tutto sulla nota di un powerchord tenuto in modo da sembrare una finta chiusura. Queste poche righe narrano di un gruppo di adepti che durante una notte gelida, in cui la luna stende il suo bagliore azzurro nel cielo, si recano sul luogo destinato all'evocazione di Satana per il suo nuovo ritorno sulla Terra. Improvvisamente scoppia un temporale tetro e sinistro, e questi discepoli sono riparati dalla pioggia solo dai cappucci delle loro tonache; al loro passaggio, i pipistrelli abbandonano il loro giaciglio per intraprendere il proprio volo, accompagnando questi profeti sul luogo designato per il mistico rituale, i sette sigilli sono pronti per essere bloccati e grazie al versamento del sangue di un innocente, Lucifero potrà finalmente riprendere possesso del regno terreno. Dopo la prima pausa provvisoria ecco le chitarre iniziare con il riff di "Curse Of The Pharaon", il quale, anch'esso si mantiene terzinato ma più lento e ricco di groove del precedente. A variare è il tempo di batteria, che da un quattro quarti lineare passa ad un sincopato, ricalcando così lo stoppato delle chitarre; si crea così una dinamica davvero interessante e coinvolgente che fa della metrica dispari il suo elemento principale. Viene inoltre lasciato molto più sazio agli assoli di Hammet, qui usati in veste di inciso tra una porzione di strofa e l'altra del cantato di Hetfield: alle parole del biondo animale da palco, si intervallano così le sferzate in bending del chitarrista solista dei Metallica, facendo di questa sezione una delle più dinamiche del medley. Alla struttura serrata della strofa si alternano infatti le aperture del ritornello, che conferiscono un dinamismo che in sede live raddoppia la sua resa, confermando così l'attitudine dei 'Tallica nel reintepretare brani di altri artisti. La durata di questo passaggio è leggermente più estesa del precedente, ma per passare al frangente successivo sono nuovamente gli stacchi ad intervenire in funzione di cesura. Dal punto di vista tematico passiamo letteralmente di palo in frasca: se l'argomento principale delle liriche dei Mercyful Fate è l'occultismo concentrato sulla figura del diavolo, la band danese passa ora a narrare dell'esoterismo caratterizzato dal culto dell'Antico Egitto, anticipando così quanto costituirà il main concept dei Nile. Nella Valle dei Re, dove sono sepolti e riposano i grandi sovrani della civiltà egiziana, gli esploratori si sono ormai dati al furto dei tesori con i quali i regnanti defunti venivano sepolti nelle piramidi. Il comandamento è quindi rivolto ai cosiddetti predatori di tombe, i quali, verranno colpiti dalla maledizione dei faraoni. Basterà che un solo monile venga anche solo toccato dalle mani di un profanatore per farlo incorrere nella eterna maledizione proveniente dall'Oltretomba che maledirà lui e tutta la sua progenie fino alla fine dei tempi, non si tratta quindi di una morte fisica istantanea, per quello vi sono i tranelli nascosti nei vari cunicoli, ma di un qualcosa molto più a lungo tempo, che divorerà l'anima del malcapitato per poi passare alla sua discendenza, dannandone la stirpe per sempre fino alla fine dei tempi. Dopo l'ennesimo stacco il tiro aumenta notevolmente; adesso è la volta del riff di "Corpse Whitout Soul", il cui tiro si mostra immediatamente molto più rock n'roll e ballabile, una sweet breve ma intensa in pieno stile Motorhead per capirci. A differenza delle estrapolazioni fatte finora, questa è la più breve ma a conti fatti anche la più intensa, trattandosi di una canzone contenuta nell'EP d'esordio della band di King Diamond questo passaggio è riservato ai veri cultori del Metal ed in particolare ai fan accaniti del gruppo danese, non tutti infatti conoscono questa brano tanto quanto gli altri, eppure, grazie alla notorietà conferitagli dai Metallica, i presenti lo riconoscono subito fin dalle prime note, proprio perché i Four Horsemen stessi, a loro tempo, quel vinile lo avranno consumato in qualità di fan sfegatati. Grazie alla maggiore velocità, aspetto assai comune nelle cover realizzate dai 'Tallica, specie quando sono fatte dal vivo, il tiro ci da proprio la proverbiale mazzata nei denti che ogni metalhead va cercando; il riff principale stesso, modellato su un hammer on sincopato, fa sì che il pezzo viaggi serratissimo sostenuto dal quattro quarti di batteria, mentre il basso si muove costante sulle note toniche in maniera molto più lineare. È la voce ad avere il maggior risalto, impegnando Hetfield in diversi cambi di tonalità sulle note tenute non certo semplici da eseguire. Fortunatamente il thrasher americano è ben consapevole di non essere in grado di toccare le tonalità in falsetto raggiunte da King Diamond, ecco quindi che la parte vocale è ribassata insieme alle accordature ed arricchita ulteriormente dai cori di Newsted, in modo tale non solo da far suonare il tutto molto più organico, ma anche da tutelare il vocalist dalle classiche stecche che renderebbero la cover assolutamente inascoltabile, nel complesso dunque la band può fare un'altra tacca sul fucile. A parlarci questa volta è il morto stesso, il protagonista del testo, che ci invita ad ascoltarlo mentre ci narra la sua originalissima genesi: egli stava infatti riposando nel suo giaciglio, all'ombra della sua lapide recante il suo nome e le sue date, quando Satana stesso si è impossessato di lui. Quell'ammasso putrido di carne morta che una volta era un uomo torna ora a rivivere senza che un'anima ne costituisca l'essenza, è infatti il verbo di Lucifero ad incatenarlo per sempre in questa sua condizione, egli ne è completamente schiavo e questa notte raggiungerà il suo signore all'Inferno in qualità di adepto del male. Durante la serie di stacchi che ci condurrà alla nuova porzione di questo monumentale medley, Hetfield "ammonisce" il pubblico che avranno ancora di che esaltarsi, ed immediatamente si passa all'introduzione armonizzata di "Into The Coven", la parte più doom ed esoterica dell'intero omaggio ai Mercyful Fate; il riff si fa ora più pesante ed il tempo diventa dimezzato, scandito da una serie di rullate, così da fornire al tutto un momento di respiro prima dell'ultima ripartenza. Ulrich infatti si cimenta in un mid tempo mentre il basso di Newsted scandisce gli accenti del rullante, le chitarre invece si muovono su una parte costruita su delle ghost notes in palm muting seguite dai powerchord aperti. La voce di Hetfield si fa adesso più bassa e solenne e l'utilizzo dei cori armonizzati, elemento a cui i 'Tallica non sono proprio avezzi, rende il tutto decisamente più atmosferico. Anche in questo ambito, alle parole del cantante californiano si alternano gli incisi chitarristici di Hammet, molto più caldi e fluidi rispetto alle sferzate speed metal per il quale lo conosciamo. Il testo è ambientato nuovamente in uno scenario notturno, un ululato di un lupo evocherà una strega che immediatamente spalancherà la pota del nostro fatiscente rifugio, nel quale abbiamo trovato momentaneo riposo dal freddo e dalla pioggia, per condurci alla corte della sacerdotessa che ci inizierà al culto di una antica setta. Ella ci invita ad unirci a questa schiera di adepti, diventando cosi dei bambini votati al demonio, ora dobbiamo spogliarci, mostrandoci nudi ed impotenti all'oscuro signore, ci viene fornita una casacca bianca ed una croce da tenere in mano prima di recarci al centro esatto del pentacolo che è stato disegnato sul terreno con il sangue; tutto è pronto, il rito inizia e presto anche noi saremo dei bimbi di Lucifero. A chiudere questo imponente omaggio alla band danese è l'ultima e più estesa incursione in "Evil", uno dei classici dei Mercyful Fate. Dopo il rallentamento attuato su "Into The Coven", i Four Horsemen sono ora pronti a lanciarsi nuovamente in una esecuzione dalla velocità alcalina, la batteria di Ulrich riprende infatti a martellare, mentre le chitarre ci sfoderano con tutta la loro violenza il main riff che ha reso questo brano uno dei migliori di tutta la tradizione heavy metal. Ad inaugurare questo ultimo assalto è solo la chitarra scandita dagli accenti dei piatti, ma con l'ingresso del cantato non ci si può esimersi dal lanciarsi nell'headbanging più sfrenato; la chitarra di Hammet si inserisce ancora una volta tra le varie porzioni di testo, ma lo stile del moro axeman americano è assai più veloce e fluido di quello di Hank Shermann, orientato invece verso lo stile hard rock. Al crescendo tonale della strofa si susseguono poi diversi stop and go con le successive riprese, tutti elementi che rendono quest'ultima estrapolazione finale la più diretta ed immediata di quelle inserite nel medley. I quattro californiani sembra stiano letteralmente improvvisando, eppure, tutto fa parte di un progetto ben più ampio strutturato in modo tale da far parlare prima di tutto la musica; trattandosi di una esecuzione dal vivo, il numero di giri raddoppiati in alcuni frangenti non appesantisce assolutamente il pezzo, anzi, offre ai presenti la possibilità di scatenarsi ancora di più. Concluso l'ultimo capoverso del testo cantato da Hetfield, i Four Horsemen si abbandonano infatti all'ultima spinta conclusiva prima del finale netto, una conclusione che arriva quasi improvvisamente per lasciarci sull'onda sonora creata dal pubblico in estasi dopo aver assistito a questa teatrale opera di venerazione per una delle band simbolo del Metal. Per quanto riguarda il testo, esso consiste in pratica nella presentazione che l'Anticristo fa di sé stesso al mondo: egli infatti racconta di come sia avvenuta la sua genesi ed al tempo stesso descrive minuziosamente come intenderà vessarci in qualità di figlio del male puro. Questa creatura è venuta al mondo in un cimitero, durante una notte di luna piena; una carcassa marcia gli ha fatto da culla mentre il suolo gelido è stato la sua coperta pre natale; egli è il legionario capitano delle schiere dell'Inferno, colui che guiderà i dannati nella definitiva marcia di conquista del regno terreno, luogo da cui Satana venne esiliato con l'avvento del bene. Il suo nutrimento sono la follia ed il dolore, ecco perché egli si compiacerà della sofferenza di cui egli stesso sarà l'artefice, le nostre urla saranno il suo pane ed il nostro sangue la sua acqua, vessandoci continuamente fino al nostro decesso, supremo apice della sua malvagità. Il nostro supplizio infatti non finirà con la morte, anzi, egli sarà in prima fila durante i nostri improvvisati e sconsacrati riti funebri, in modo tale da poterci funestare ancora e ancora come eterno castigo per tutta la vanità e l'ipocrisia in cui è degenerata l'esistenza umana, le nostre menti saranno divorate assieme ai nostri ricordi, cancellando così ogni minima traccia del passaggio umano nel mondo, questo è il male puro.
Conclusioni
Con "Die Die My Darling" si chiude il ciclo promozionale che i Metallica escogitarono per "Garage Inc." andando così ad arricchire la vasta mole di cover realizzate in studio con alcune versioni di esse dal vivo (registrate durante il live a NewYork del 1998). Se il disco principale si può considerare l'opera omnia con cui i 'Tallica rendono omaggio ai loro gruppi preferiti, questo singolo ed il precedente "Whiskey In The Jar" in qualche modo decontestualizzano la parentesi degli omaggi per riportare sotto la lente di ingrandimento i Metallica. Pur trattandosi di brani scritti da altro pugno, la verve dei Four Horsemen tuttavia ha reso queste tracce molto personali e la scelta delle versioni dal vivo affiancate a quelle in studio consente di apprezzare ancora di più l'enorme lavoro svolto dalla band di San Francisco per il progetto di "Garage Inc.". Quanto fatto in quelle ventisette tracce rappresenta il doppio onere di cui si sono fatti carico i quattro americani: prima di tutto, come abbiamo detto, quello di riarrangiare ex novo dei pezzi già esistenti, lavoro facile solo a prima vista, dato che il confine che separa una cover rivista in maniera personale da una fotocopia è molto sottile, in seconda battuta, e questo emerge dai due singoli pubblicati l'anno seguente, l'impegno di far suonare bene quelle stesse rivisitazioni anche durante gli show. Se il discorso si fosse fermato al lavoro di ricomposizione in sala prove, una volta terminate le registrazioni queste versioni si sarebbero tranquillamente potute porre nel dimenticatoio; il volerle portare anche dal vivo inserendole nella propria setlist conferma ulteriormente l'importanza che i Metallica danno a queste tracce, vedendole non solo come cover ma piuttosto come pezzi altrui che però i Four Horsemen avrebbero voluto metaforicamente scrivere se non fossero stati anticipati a livello di tempistiche e la venerazione per questi brani emerge lampante soprattutto per come essi suonano una volta portati on stage. Alcuni gruppi preferiscono fare in modo che sia la versione in studio di una cover a parlare, curandola nei minimi dettagli per poi pubblicarla su disco unicamente come bonus track senza mai portarla dal vivo, se non sporadicamente, i Metallica invece fanno l'inverso, al di là della pubblicazione sull'album, che è la parte con cui le rendono note al pubblico, è poi nelle diverse esecuzione live che questi artisti vengono realmente omaggiati. Inoltre, a rendere questi prodotti interessantissimi, nonostante la loro portata "limitata" di pezzi, è sicuramente una post produzione limata in ogni suo minimo aspetto: a ridosso degli anni che hanno visto il boom delle sonorità grunge, la cui crudezza aveva in qualche modo abituato le orecchie dei fan a dei canoni più standard in fatto di qualità audio, i 'Tallica si imposero sul mercato sempre con prodotti di altissima caratura, registrati e mixati nei migliori studi disponibili e sempre sotto la supervisione di produttori tra i migliori del settore. D'altra parte, i Metallica di fine anni Novanta erano a tutti gli effetti dei vip del panorama musicale ed i loro portafogli erano senz'altro in grado di sostenere queste spese imponenti, proprio per queste possibilità quindi, ogni loro pubblicazione, dal punto di vista strettamente tecnico, non doveva mai stonare con le altre. Nel caso dei due dischi precedenti a "Garage Inc.", che come abbiamo visto non brillano certo della lucentezza dei loro predecessori, i singoli si sono rivelati un prodotto molto più accattivante degli album a cui fanno da contorno: da essi infatti vennero estrapolati i brani migliori (ed in tal caso la scelta fu anche abbastanza facile) per poi aggiungervi delle interessanti tracce live; quelli invece dedicati alla macroraccolta di cover, pur utilizzando lo stessa filosofia commerciale, si pongono sullo stesso piano del full lenght, creando così un vero e proprio pacchetto completo di promozione, dove però queste piccole appendici puntano a dare più risalto ai brani registrati on stage. "Die Die My Darling" e "Whiskey In The Jar" infatti contengono sì due titletrack a loro modo interessanti, ognuna per le rispettive caratteristiche, ma l'efficacia di questi due singoli è preminentemente data dalla presenza delle versioni dal vivo. Per omaggiare i gruppi di cui i Metallica hanno riproposto queste cover, più che sentirle dallo stereo, bisogna unirsi ai Four Horsemen nella celebrazione di esse durante gli show.
2) Sabbra Cadabra
3) Mercyful Fate