METALLICA

Beyond Magnetic

2011 - Warner Bros Records

A CURA DI
MICHELE ALLUIGI
15/07/2016
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Essendo stato "Death Magnetic" il disco che ha rappresentato il ritorno ufficiale sulle scene dei Metallica, successivo al passo falso di "St. Anger", Hetfield e soci capirono che questa nuova gallina dalle uova d'oro andava sfruttata fino in fondo. Nel full lenght del 2008, il quale fu supportato anche da un totale di sei singoli, lanciati sul mercato rispettivamente quattro prima e due dopo la pubblicazione dell'album, sarebbero comparse altre quattro tracce, le quali non furono però incluse nel lavoro di post produzione effettiva dell'album, ma andarono poi a costituire una pubblicazione successiva a due anni di distanza: l'ep intitolato "Beyond Magnetic". Con esso, i Four Horsemen continuarono a cavalcare l'onda della loro rinascita compositiva, quell'entusiasmo artistico ed intellettuale con cui i quattro californiani poterono finalmente ritenere concluso uno dei loro periodo più bui per tornare finalmente a dominare i palchi di tutto il globo con lo scettro del comando che gli è sempre spettato. Nonostante si tratti comunque di una tracklist ridotta, all'uscita  di questa pubblicazione i risultati furono enormemente positivi: le vendite infatti raggiunsero le trentaseimila copie solo nella prima settimana, e questo nuovo prodotto della band si piazzò al trentaduesimo posto della Billboard 200. I thrasher di San Francisco erano di nuovo su piazza, confermando il loro riscatto dopo un full lenght che esaltò i fan con il diretto rimando ai grandi lavori del passato; la salute del gruppo poteva dirsi ristabilita sotto tutti i punti di vista, dall'aspetto creativo a quello esecutivo, freschi del consolidamento del nuovo bassista Robert Trujillo, ex Suicidal Tendencies ed ex quattro corde di Ozzy Osbourne, che andava a prendere il posto lasciato vacante Jason Newsted. In studio come dal vivo la macchina da guerra dei 'Tallica non trovava più ostacoli sul proprio cammino, o se li trovava, ci passava sopra senza alcuna pietà; in passato le critiche ed i pettegolezzi vari attorno ai quattro musicisti furono diversi e sfacciati, basti ricordare che il loro moniker venne storpiato in "Alcoholica" a causa della loro dedizione ad alzare il gomito, ma questo fu ancora durante i fasti della loro carriera, per non parlare delle ben più pesanti accuse portate agli americani durante l'era "Load" e "Reload", dove vennero tacciati di "tradimento" dai loro fan della vecchia guardia a cui venivano voltate le spalle in favore del più seducente denaro, fino ad arrivare al 2003, l'anno in cui la lama insinuatasi nell'addome della band arrivò a dilaniare la carne più vicina agli organi vitali, bollando i Metallica come ormai prossimi allo scioglimento e ritenendo quest'ultimo come la migliore eutanasia per una carriera ormai giunta al massimo apice di degrado. I Four Horsemen non si diedero per vinti invece: agguantato il nuovo bassista, essi si chiusero in sala prove con ben presente davanti ai loro occhi il bivio che si parava sul loro cammino: rinascere o morire. Gli intenti di quello che sarebbe uscito con il nome di "Death Magnetic" erano ben chiari: o il materiale in esso contenuto avrebbe davvero recuperato le sonorità degli album che avevano elevato Hetfield e compagni verso l'empireo del Metal o l'ennesimo buco nell'acqua avrebbe costretto il gruppo a separarsi mandando tutti a casa. Fortunatamente, il nuovo album superò il test, scagliandosi letteralmente a gomiti alti verso quei sostenitori oltranzisti che "minacciarono" di aspettare i 'Tallica al varco; grazie ad una campagna promozionale più organica e meglio strutturata, i singoli che anticipavano l'arrivo del nuovo lavoro gettarono già le basi per una futura osanna definitiva: finalmente, in quelle tracce si potevano tranquillamente ritrovare gli echi di "Ride The Lightning", di "Master Of Puppets" e soprattutto, secondo il modesto giudizio di chi scrive, di "...And Justice For All". Dopo questo grande successo, i Metallica vollero ancora calcare la mano, mostrando ai loro seguaci tutto, ma proprio tutto, il lavoro che venne svolto per tornare in pista. Lì per lì, quando venne svolto il mastering del nono album in studio della band, il 28 marzo del 2008, questi quattro brani contenuti nell'ep vennero scartati poiché non ritenuti "all'altezza" del compito richiesto, tuttavia, i quattro avevano per le mani dei pezzi registrati, mixati e pronti per essere messi sul mercato, ma la decisione fu quella di tenerli da parte per il futuro, in attesa del momento giusto per spararli sugli scaffali sbalordendo ulteriormente il pubblico. Quel momento giunse nel dicembre 2011, quando "Beyond Magnetic" venne inizialmente pubblicato sugli stores digitali, poi venne avviata la distribuzione fisica, arrivando in formato cd il 31 gennaio del 2012 e nell'aprile successivo anche in formato 33 giri per i collezionisti più accaniti. Con questo espediente, i Four Horsemen vollero concludere in grande stile una parabola compositiva iniziata ben due anni prima sigillando definitivamente la loro salute ritrovata. Di questo ep devono essere le canzoni le vere protagoniste: la grafica dunque è particolarmente semplice, ma tuttavia incisiva a livello iconografico: fondo nero, quattro M stilizzate del logo con le punte rivolte verso il centro, a formare una suggestiva figura geometrica, e la semplice scritta di logo old school e titolo in bianco, a spiccare totalmente sulla tonalità scura. Il messaggio è chiaro e lampante: "Vi è piaciuto Death Magnetic?" Bene, godetevi anche queste quattro canzoni". L'averle composte durante quelle sessioni per essere pubblicate in seguito le rende così delle vere e e proprie bonus track, imperdibili per tutti coloro che consumarono "Death Magnetic" nel loro impianto.

Hate Train

La prima traccia della tracklist è "Hate Train" ("Il Treno Dell'Odio"), un brano il cui inizio serrato e deciso non poteva rivelarsi migliore per aprire le danze. L'incipit è infatti costituito da una serie di rullate secche di Ulrich seguite da un riff accentato di Hetfield ed Hammet, l'energia è subito altissima, e dopo pochi giri di preparazione la batteria si lancia su un quattro quarti eletto ora a sostenitore della sequenza di note principale. Già da questo sviluppo si sente chiaramente che l'intento dei quattro è recuperare quel Thrash di matrice old school che tutti i fan vogliono sentire; basta quindi con i riff hard rock che uscendo dalle dita dei Metallica convincevano relativamente, finalmente ci troviamo di fronte ad un ritorno al passato in piena regola. La prima strofa è priva di linea vocale, a condurre il tutto è un assolo speed eseguito dal moro axeman del gruppo, che non si sottrae dal farcire la serie di note serratissime in shredding con una abbondante porzione di wah wah; i 'Tallica con questa prima sessione mettono subito in chiaro le cose, facendoci capire che le camicie di seta sono finalmente riposte nell'armadio per poter tornare ad indossare i gilet ricolmi di toppe ed i jeans strappati. Conclusa l'introduzione giungiamo ad un break, dove il quattro sul charleston ci pone momentaneamente in attesa, ma la successiva ripartenza si rivela un vero e proprio assalto all'arma bianca. Il main riff ora è infatti raddoppiato, la batteria spinge con il rullante in ottavi e, con un urlo introduttivo, Hetfield lancia l'evoluzione successiva, un mid tempo carico di groove ideale per sostenere la metrica del suo testo, caratterizzata da un'iniziale distensione della prima parola per poi contrarsi e formulare la frase di senso compiuto in maniera più serrata. Il tiro è altissimo, ma eccoci di fronte ad una variante "simil prog", con la quale i quattro californiani ci lasciano piacevolmente sorpresi: non ci troviamo di fronte ad un crescendo ritmico, bensì, al contrario, il pezzo viene improvvisamente rallentato. Ulrich passa adesso ad un tempo dimezzato molto lineare, suonato con un'enfasi minore in modo tale che tutto il frangente si sviluppi in maniera più dolce, la chitarra esegue ora un arpeggio in pulito, dando modo al biondo frotman di modulare la propria voce su una linea più melodica, mentre il basso di Trujillo insegue il tutto attraverso una serie di note calde e d'effetto. Di colpo siamo passati ad ascoltare una ballad, una sterzata strutturale netta di quelle come i Metallica erano soliti fare proprio nel disco del 1988, la struttura ora si è addolcita, e di colpo ci sembra di essere passati ad un altro pezzo, ma è proprio questo aspetto che renderà ancora più incisiva la ripartenza successiva. La strofa ritorna adesso sul mid tempo precedente, dove gli accordi si rendono ancora più incisivi. L'alternanza di parte decisa e parte melodica, dove nella seconda si sente un fraseggio di Hammet, ci conduce in una maniera volutamente zoppicante alla prima sessione solista del brano, un assolo veloce e serrato in pieno stile vecchia scuola che non lascia scampo a dubbi sulla ritrovata attitudine; la parte interessante arriva immediatamente dopo, dove possiamo ascoltare una parte di chitarra armonizzata a fare da ponte tra una parte di assolo e l'altra. Giunta alla conclusione la sessione appena ascoltata, il pezzo cambia registro di netto ancora una volta, questa volta il tempo è spezzato e cadenzato, e sugli stop and go si collocano delle frasi soliste incisive e volutamente abbondanti di dirt picking. L'impalcatura di questa traccia quindi si dimostra molto articolata, ed il bridge finale serve come riallaccio all'ultima sferzata lanciata sul tema della strofa iniziale, vi è dunque molta carne al fuoco per un solo pezzo, ma i Metallica dimostrano ampiamente di essere all'altezza della situazione, ribadendo di avere ancora quella concentrazione mentale che consentiva loro di lanciarsi in lunghe suite strumentali, ma con sempre la capacità di ritornare sui loro passi, evitando così di uscire troppo dal seminato. L'ottica con cui è stato creato questo pezzo è dunque la stessa dei brani contenuti nel full lenght, ed anche se questo ep è stato pubblicato successivamente, i Four Horsemen lasciano intendere di avere comunque le idee chiare. La lirica descrive in maniera molto personale il rapporto che ognuno di noi ha con la rabbia: Hetfield, utilizzando sempre l'espediente della narrazione in prima persona, descrive questo stato d'animo, elemento principale dell'odio, come un treno che improvvisamente ci travolge mentre siamo intenti a camminare sui binari della quiete. Non a caso infatti si parla di scoppio collerico, data l'imprevedibilità e l'immediatezza con cui l'ira ci può cogliere in qualunque momento senza il benché minimo preavviso; essa tuona incessantemente nella nostra testa, soggiogandoci ad uno stato di totale assenza di logica e ragione in ciò che facciamo e diciamo e rendendoci quindi inchiodati inesorabilmente alla ruota di un più complesso ingranaggio mentale, che girerà incessantemente fino a quando non ci avrà disintegrato le ossa.  La rabbia è una fiamma talmente istantanea e devastante, che potrebbe far bollire i mari e la torcia che si accenderà, coadiuvata con la vendetta, sarà quel falso lume che crediamo di poter usare nei meandri tenebrosi del risentimento. Dal momento che veniamo offesi, in qualunque maniera, pensiamo subito alla vendetta come soluzione immediata, il poterci prendere la rivincita su chi ci ha fatto un torto è la prima cosa a cui pensiamo, spesso dimenticando che non sempre l'istinto si rivela essere la soluzione migliore per arrivare ad una soluzione. La rabbia ci porta via in qualunque momento, e ci troverà sempre, giungendo velocissima come un treno sui binari senza nemmeno annunciare la sua prossimità con un fischio, alla minima scintilla scoppieremo e basta, animati solo dall'odio, e dopo l'iniziale soddisfazione che ci farà sentire bene per ciò che abbiamo fatto dovremmo metterci l'animo in pace ed affrontare le conseguenze delle nostre azioni.

Just A Bullet Away

In seconda posizione troviamo "Just A Bullet Away" ("Ad Un Solo Proiettile Di Distanza"), pezzo la cui struttura si dimostra subito più lineare e meno complessa del precedente. La canzone è avviata dai sei colpi sul charleston di Ulrich, dopo i quali vi è un quarto di pausa per poi concludere la battuta con la sequenza iniziale del brano, una serie di cinque note accentate che danno l'avvio per uno sviluppo in terzine. Siamo di fronte ad un lancio che ricorda molto i lavori dei Testament più moderni, dove il riff principale di chitarra si pone in fronte a tutti in qualità di motore trascinante; sono infatti le pennate di Hetfied ed Hammet, seguite dal basso di Trujillo, a spingere avanti l'intera sequenza. Il drummer in questione infatti vanta uno stile decisamente più standard rispetto a quelli che a turno sono stati in forze agli autori di "Souls Of Black" (ed affermare che il batterista dei Four Horsemen sia meno tecnico di un Dave Lombardo o di un Gene Hoglan sarebbe come scoprire l'acqua calda), tuttavia questo avvio, pur "cozzando" con la filosofia complessa ed elaborata del full lenght, si presenta con una buona resa. L'introduzione vede infatti la sequenza terzinata esser scandita per ben dieci volte, più cinque ulteriori in cui viene rimarcata solo la prima parte del riff, prima che la batteria intraprenda il tempo principale. Sulla strofa l'incedere è molto più marziale, ed i Metallica sperimentano ora un espediente relativamente nuovo per il loro songwriting, ossia quello di procedere inarrestabili a livello strumentale per far sì che siano le varianti melodiche della linea di Hetfield a conferire il giusto dinamismo: ogni porzione di testo infatti possiede degli sbalzi tonali diversi, per poi riallacciarsi sempre sulla frase conclusiva "in the shine of the midnight revolver" ("nel bagliore del colpo di revolver a mezzanotte"). Verso il centro della struttura tornano nuovamente gli stacchi presenti in apertura, ma su questo bridge  le chitarre si muovono in maniera più rapida e schizofrenica, rendendo questo particolare passaggio molto serrato e quasi stritolante per la nostra soglia d'ascolto, che viene sottoposta a dura prova nel cercare di seguire lo sviluppo in ogni suo punto. Poi vi è una pausa improvvisa; un break netto e spiazzante di cinque secondi che quasi ci lascia pensare erroneamente che il pezzo sia finito, tanto da restare alquanto basiti, ma ecco che troviamo la sterzata stilistica spiazzante che caratterizza la canzone: la batteria passa ad un midtempo a sua volta introdotta da un arpeggio in pulito dalla struttura ciclica, con l'ingresso di Ulrich, la parte priva di distorsione assume il ruolo di contorno insieme al basso, per lasciare lo spazio agli assoli dei due chitarristi, eseguiti in perfetta sinergia l'uno con l'altro ed allacciandosi perfettamente tra loro nell'insieme delle varie take. La batteria dai fusti passa ora ad una serie di colpi accentati sul rullante, i quali serviranno da introduzione per la successiva ripartenza della canzone, viene ripreso qui il riff principale della strofa, con relativa struttura terzinata, sul quale viene eseguita un'ultima parte solista prima che Hetfield si lanci a cantare l'ultima sequenza di testo, sostenuto da una base strumentale identica a quella posta nella prima metà della struttura. In questo frangente infatti si susseguono gli stessi schemi del primo blocco di traccia, che dalla linearità della fase iniziale si innalza in un crescendo di tonalità nel quale aumenta anche la velocità della batteria. In ultima analisi quindi, l'impalcatura di questo pezzo consiste in una successione alternata di tre blocchi, dove il primo ed il terzo sono uguali tra loro, mentre quello centrale risulta completamente diverso, nonostante si allacci abbastanza uniformemente con il resto della composizione. Certo, occorre una discreta apertura mentale per definire "ben scorrevole" questa canzone, ma tutto sommato, analizzandone le singole componenti, possiamo apprezzare una buona performance nel gruppo, che specialmente nella parte tirata sfrutta molto bene il tiro del riff principale. L'odio rimane il filo conduttore delle liriche finora analizzate, con la differenza che se nella canzone precedente il disprezzo si orientava verso gli altri, ora è il soggetto narrante stesso a riflettere su di sé questo sentimento: tutte quelle strade che conducono alla vergogna per qualcosa che abbiamo fatto, tutti i tentativi che facciamo per annegare nell'oblio le nostre colpe e le riflessioni stesse che facciamo in merito alla nostra esistenza trovano la stessa risposta nello scintillio di un revolver che illumina il buio di una notte in preda all'inquietudine. Le speranze ormai sono diventate talmente sottili da nascondersi sotto la nostra pelle, mentre ci troviamo nuovamente di fronte alla porta della nostra esistenza la cui pressione della maniglia equivale alla pressione del grilletto: il suicidio dunque non viene mai citato apertamente, ma solo velatamente lasciato intendere attraverso una serie di immagini suggestive ed eloquenti. La minaccia stessa di un pericolo vitale infatti non risulta più così terrificante se posta di fronte alla canna di un calibro 45, metafora quanto mai chiara per indicare chi si infila una pistola in bocca per poi sparare, diventa quindi l'unica fonte di certezza in un esistenza sempre più travagliata. Le varie riflessioni vengono di volta in volta risolte attraverso lo scintillio della canna a mezzanotte fino a quando lo sparo non viene infine definito come l'unico rimedio per il dolore esistenziale, le droghe e l'alcool non sono serviti a niente, e sparare è quindi l'unico sistema per zittire quelle voci che ci attanagliano la testa. La liberà eterna dunque si trova ad un solo proiettile di distanza.

Hell And Back

Terza canzone dell'ep è "Hell And Back" ("Inferno E Ritorno"); l'apertura è lasciata ad un fraseggio di chitarra leggermente distorto dalle tinte sinistre, una serie di note incentrate sui semitoni atte a ricreare l'inquietudine che solo chi sta per recarsi nel regno degli Inferi può provare. La parte poi si sviluppa in un mid tempo stoppato, dove alla linearità della batteria fanno da contrasto gli accordi stoppati delle sei corde, con questa soluzione i Metallica riprendono ancora una volta i loro stilemi maggiormente hard rock. A sentire questo main riff infatti, siamo più portati a pensare ad una composizione inclusa in "Load" o nel suo successore piuttosto che nei lavori degli anni Ottanta, ma d'altra parte, quando i 'Tallica si riproposero di recuperare il loro passato non specificarono esattamente a quale epoca si riferivano. Su questa composizione possiamo apprezzare con maggiore chiarezza il lavoro svolto dal nuovo bassista del gruppo: il basso di Trujillo infatti gode di un maggior risalto, che evidenzia non solo il tocco deciso e funky del musicista, ma offre anche il giusto campo alla malleabilità del suo stile su un terreno nuovo come quello del gruppo californiano. La prima strofa viene cantata sulla base melodica, dove le chitarre pulite seguono il quattro corde fino ad arrivare al bridge, costituito da un apertura a powerchords aperti dalle penate serrate; per il ritornello viene ripreso invece il modulo a stop and go, soluzione utilizzata anche per riallacciarsi alla parte successiva, dove la seconda parte di testo è preceduta da un intreccio di stacchi intervallati da Ulrich. Con l'inizio del cantato viene recuperata invece la parte in pulito, dove le note della chitarra seguono la voce di Hetfield per aprirsi successivamente secondo il modello del bridge precedente, il dinamismo e la varietà viene fornita dalla batteria, che sull'incedere lineare degli strumenti a corde tenta di svolgere contrattempi ed incisi sempre diversi. Il limite del batterista danese però è quello di lavorare in questi casi unicamente con la cassa, il rullante ed il charleston; va bene che un minor uso di pezzi del set consente una maggiore rapidità esecutiva, ma forse, anche per differenziare un po' dal tema, un utilizzo dei tom e del timpano attraverso degli shake rapidi e serrati avrebbe conferito maggior tiro ai diversi passaggi, restando invece relegato ai tre pezzi fondamentali della batteria, si riduce quindi anche il range di soluzioni che il drummer dei 'Tallica possa utilizzare. Tutto sommato comunque fin qui il brano scorre abbastanza compatto, nonostante il divario stilistico tra la varietà delle sei corde e del basso a confronto con la batteria. A metà canzone si arriva al cambio decisivo: la strofa in pulito lascia ora il posto ad una ripartenza completamente votata alla distorsione, la quale viene lanciata dopo il secondo ritornello dopo una serie di colpi stoppati. Ad avviare il tutto sono le percussioni, che partono con un mid tempo in quattro quarti, purtroppo con l'arrivo dei powerchords e degli incisi, siamo costretti a riscontrare come questa soluzione rappresenti una ripresa facilitata del famoso stacco intermedio di "One": sul brano di "...And Justice For All" però, il doppio pedale viaggiava in trentaduesimi, i cui colpi erano fedelmente ricalcati dagli altri musicisti attraverso delle rasoiate in shredding taglienti e di impatto, in questo caso invece, la batteria continua a procedere con un pedale solo seguendo un disegno ritmico molto più semplice ed anche i musicisti in piedi non possono fare altrimenti, un vero peccato, dato che quel particolare frangente poteva rappresentare un esempio lampante di ritorno alle origini. La traccia va quindi a concludersi sulla ripresa della soluzione stoppata, con la quale si crea il crescendo di tensione grazie all'aggiunta dell'assolo ed una parte vocale di Hetfield ancora più energica e tagliente, per poi arrivare all'ultima nota lasciata andare in fade out. Fin qui il pezzo risulta buono, ma visti i risultati ottenuti con altri brani di "Death Magnetic" non si fatica a comprendere come mai all'epoca questo brano fosse ritenuto sottotono rispetto agli altri. Il fulcro tematico della canzone ora è rappresentato dalla personale discesa all'Inferno dell'io narrante: Hetfield si fa ancora una volta portavoce di quel calvario esistenziale che ognuno di noi vive durante la propria esistenza, quella spirale di eventi negativi che ci conduce letteralmente nelle fauci infernali per giungere al vero proprio apice del dolore e del risentimento, dopo il quale non si può far altro che risalire la superficie e tornare indietro. Quando non c'è nessun altro a cui possiamo rivolgerci, il biondo vocalist introduce ora una metaforica figura femminile, che a seconda delle interpretazioni può essere la donna amata, la droga, la bottiglia, la rabbia, la depressione o qualsivoglia altro elemento, la quale viene eletta ad unico farò di speranza in questo oceano di tenebre. Quando il sole tramonta, questa lei diventa l'unico nostro rifugio, la abbracciamo e ci immergiamo in essa, ma nonostante sia per noi un balsamo solo lenitivo del nostro dolore tuttavia non esce da noi granché di buono. Quando anche questa unica consolazione prende congedo da noi e ci lascia da soli, quello è il momento esatto in cui inizia la nostra marcia verso l'Inferno, i demoni della nostra anima ci stritolano e ci divorano ed ormai non siamo più in grado di ricorrere nemmeno a quell'unica e superficiale soluzione. Ecco compiersi così la nostra toccata e fuga verso il regno del male, solo che la rapidità con cui ci arriviamo è poi compensata con l'eternità della sofferenza che ci affliggerà in qualità di pena per la nostra redenzione. Si tratti di uno stato depressivo o di una crisi di astinenza, quelle poche ore che effettivamente sono trascorse in quella condizione sembrano per noi un'eternità tanto è grande il disagio che proviamo e solo appena il destino riterrà di averci dilaniati a sufficienza potremo finalmente tornare indietro, in attesa del futuro ritorno. L'esperienza del viaggio all'Inferno infatti non è certo cosa che si vive una sola volta nella vita, anzi, la nostra condizione esistenziale farà in modo da fare di noi dei veri e propri pendolari verso il regno della malvagità.

Rebel Of Babylon

L'ep si conclude con "Rebel Of Babylon" ("Il Ribelle Di Babilonia"); la traccia il cui minutaggio risulta il più esteso della tracklist, arrivando ad otto minuti e due secondi di durata. L'apertura è affidata ad una serie di accordi di chitarra pulita, le cui pennate sono letteralmente rassegnate e costituite dalla pesantezza di una mano che cade ormai battuta dalla superiorità degli eventi. L'atmosfera infatti è marcatamente drammatica, e ci sembra quasi di trovarci di fronte più ad una composizione dei Nirvana che non dei Metallica, se non udissimo la voce calda ed avvolgente di Hetfield comparire su questo frangente iniziale. Improvvisamente fanno il loro ingresso le sei corde distorte, in simultanea con il basso e la batteria, e come se metaforicamente si andasse cercando un riscatto verso la malinconia della parte precedente, la sezione intrapresa ora verte su un mid tempo molto più deciso e cadenzato. Alla linearità della batteria, fa da contralto la serie di pennate serrate delle chitarre, le cui battute sono a loro volta suddivise in una prima metà lineare e mono nota per poi lasciare la seconda porzione metrica ad un fraseggio più dinamico. In questa lunga apertura strumentale vi è ancora lo spazio per un'improvvisa e serrata accelerazione, prima che Hefield entri con la voce dando il via alla strofa a tutti gli effetti, sostenuta da un quattro quarti lineari dalle tinte heavy. Mentre le pelli viaggiano in ottavi, la chitarra ed il basso muovono le loro pennate sui trentaduesimi, in modo da conferire al tutto un alone maggiormente granitico e contratto prima di arrivare all'apertura del bridge, dove una successione di accordi aperti sulle tonalità più alte offriranno al cantante una maggiore distensione per estendere anche le sue parole seguendo la tonalità crescente. Concluso questo passaggio il tempo viene dimezzato, ed il groove creato dal mid tempo rientra ora su un incedere maggiormente contratto grazie agli stoppati eseguiti dagli strumenti a corde sul tempo di batteria. Per lanciare l'avvio successivo, il ritornello viene pronunciato da Hetfield per i primi due terzi sostenuti dalla musica, per poi lasciare la parola "Babylon" ("Babilonia" appunto) in solitaria, detta per esteso nel silenzio di una pausa immediatamente precedente alla ripresa seguente, la cui dinamica si presenta come un ritorno al Thrash degli esordi.  La seconda strofa è strutturata in maniera più organica, e l'avanzata complessiva prima del nuovo bridge è molto più compatta e d'effetto. Ascoltando questa traccia notiamo che i Four Horsemen vogliano riprendere la loro progressività ottenuta negli album storici, nella seconda metà della canzone viene infatti avviato un nuovo sviluppo, più lento e marziale, la cui lentezza farà da ponte poi per la ritmica solista, in cui il tempo verrà ridotto ulteriormente di complessità fino a ridursi ad un quattro quarti elementare eseguito con solo cassa, rullante e charlston. Gli stoppati della ritmica si allacceranno così alla fluidità dei vari assoli che verranno ora ospitati in questa sezione di pezzo, nei quali sono anche presenti degli allacci delle due sei corde armonizzate. Dopo Hetfield ed Hammet è ora il turno di Trujillo di cimentarsi in un'esecuzione in solitaria: passato il break successivo agli assoli è ora infatti il quattro corde a dettar legge, sostenuto unicamente dalla batteria ed intervallato solo a degli accenti di chitarra netti e precisi. I quattro stanno letteralmente jammando tra loro, dandoci quasi l'impressione che la realizzazione di questo pezzo sia avvenuta unicamente schiacciando rec sul registratore e lasciando che la musica scorresse, sarà poi con il successivo bridge che avremo modo di riconnetterci all'idea generale che avevamo avuto modo di farci della traccia. Anche su questa canzone quindi le idee sono tante, ma forse il loro concatenamento non si presenta come uno dei migliori realizzati dal gruppo; in certi passaggi, nonostante presi singolarmente i vari riff siano accattivanti, si fa fatica a digerire una mole così pesante di idee, alcune di esse, anzi, sono talmente particolari in questo contesto che avrebbero potuto rappresentare l'avvio per dei nuovi pezzi diversi. Evidentemente Hetfield e soci erano particolarmente ispirati, ma "Rebel Of Babylon" ci fa passare da zero a cento in pochi istanti in fatto di impegno e di soglia di attenzione nell'ascolto. Un buon brano senza dubbio, ma non era necessario giungere ad otto minuti per trarre questa conclusione. Il testo scritto dal biondo frontman affronta questa volta la tematica religiosa, la cui prospettiva però, con una sconvolgente svolta avanguardista, non è incentrata su Gesù Cristo, ma possiamo ipotizzare essere incentrata su Barabba. Il prigioniero, appartenente al gruppo degli zeloti, noti per essere i fautori di diversi tumulti nei quali uccidevano romani ed ebrei traditori, che Ponzio Pilato mise di fronte alla scelta definitiva del popolo in ballottaggio con il figlio di Dio stesso, ma la folla sceglierà si salvare la vita a lui, condannando Gesù alla crocifissione. Il dialogo che il biondo frontman instaura è proprio con il ribelle stesso, che viene invitato ad annegare i suoi dispiaceri in una bottiglia ed a dissolversi così in una spirale di autodistruzione come punizione auto inflitta per le sue colpe, con un inchiostro avvelenato egli è destinato a firmare la sua stessa condanna morte e con un misero cucchiaio dovrà altresì scavarsi la fossa in un vero e proprio atto di umiltà estrema. L'oscurità di questa dannazione è al tempo stesso la luce che avvolgerà il ribelle nell'oblio della propria condanna, egli deve lasciare che brilli, in quanto è consapevole di aver fatto uccidere Gesù corrompendo la folla. L'invito lanciato da Hetfield al ribelle è quello di ucciderlo una volta per tutte, e fare in modo che il figlio di Dio, interpretato dal vocalist dei Metallica, possa morire giovane, ascendere al cielo ed essere ricordato in eterno, mentre l'uccisore sarà destinato a morire nell'anonimato. In qualità di rinnegato, il ribelle combatte una lotta già persa in partenza e la corona di spine che gli sarebbe fornita non è uno strumento di tortura che ne amplifica il martirio, bensì unicamente un oggetto che dilanierà ulteriormente la sua carne, mentre Gesù, in un atto di bontà estrema, sfrutta i suoi ultimi respiri per chiedere perdono a Dio dei peccati dell'uomo; il ribelle ritiene stupido questo gesto, ma mentre il crocifisso sarà ricordato in eterno lui sarà destinato a soccombere dilaniato dalla damnatio memoriae. Siamo di fronte ad un testo particolarmente criptico, ma tuttavia suggestivo, in quanto si offre a diverse chiavi di lettura, ognuna differente dall'altra, che ne rendono le parole ancora più affascinanti.

Conclusioni

Con "Beyond Magnetic" quindi, i Metallica vollero lanciare sul mercato qualcosa che, già dal titolo, andasse oltre il full lenght del 2008: pur trattandosi di canzoni che vennero composte e registrate durante il periodo di lavorazione del nuovo album, i Four Horsemen intuirono già che queste tracce in particolare, pur essendo legate al filo conduttore generale da diversi elementi, possedevano un qualcosa che le poneva in una posizione leggermente avanzata rispetto alle dieci tracce incluse nella tracklist del disco. In esse infatti è presente sia il richiamo agli stilemi degli album storici sia la voglia di sperimentare ed innovare, che su questo ep viene riflessa attraverso una maggiore ricerca delle strutture elaborate, elemento che rende queste quattro tracce lunghe, ricche e, alcune di più altre di meno, scorrevoli e di facile presa. Oltre all'idea complessiva, questi pezzi vanno analizzati mediante una scomposizione dei loro tasselli costituenti; in questo ep di poco meno di mezz'ora di durata è infatti presente una mole spropositata di riff ed idee che singolarmente valutate risultano convincenti; il vero terreno di test diventa dunque come esse siano allacciate tra loro ed il risultato del lavoro dei quattro musicisti, con risultati diversi, risulta tuttavia buono. Evidentemente, in fase di mixaggio, Hetfield e soci scelsero di rendersi ancora un po' di tempo per trarre le loro conclusioni circa queste tracce: lì per lì, appena composte e registrate, ognuna di esse sembrava valida per essere inclusa in "Death Magnetic", ma possiamo comunque supporre che queste, dopo un ascolto successivo svolto a mente fresca, siano state ritenute "diverse" dal resto e quindi avrebbero rischiato di stonare con la compattezza generale dell'album. Meglio quindi optare per la soluzione dell'ep, in modo da dare a queste quattro composizioni la giusta collocazione che consentisse non solo di avere un prodotto in più nella propria discografia, ma anche di salvare dal macero delle idee precedentemente scartate che alla fine risultarono buone. Prima della messa in vendita su Itunes, i Metallica chiesero anche il parere dei membri del loro fan club esclusivo, mandando queste tracce separate per e mail e cambiando ad ogni brano il colore del logo, quasi come se fossero dei nuovi singoli: "Hate Train" aveva il logo verde, "Just A Bullet Away" giallo, "Hell And Back" bianco e "Rebel Of Babylon" rosso, una piccola chicca di marketing che però rendeva a suo modo singolare ognuna di queste quattro composizioni. Probabilmente, se queste fossero state incluse nell'album del 2008 senza nemmeno porsi il minimo dubbio in merito, l'impressione che avremmo avuto di esse sarebbe stata quella dei classici filler inseriti unicamente per occupare più spazio (cosa peraltro inutile visto già l'ampio minutaggio del disco con le sole dieci tracce della tracklist) oppure di brani che, pur risultando buoni, emergevano come troppo complessi ed ulteriormente elaborati. L'averli pubblicati informa di ep invece ne offre una visione d'insieme bilanciata all'interno della quale ogni pezzo può esprimersi attraverso le proprie peculiarità. Il formato ridotto, in conclusione, si è rivelata la mossa più azzeccata che i Four Horsemen potessero fare.

1) Hate Train
2) Just A Bullet Away
3) Hell And Back
4) Rebel Of Babylon
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