METALLICA

...And Justice for All

1988 - Elektra

A CURA DI
LORENZO & SANDRO
04/10/2015
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

"Prima o poi capita a tutti", ecco, questa potrebbe essere la frase perfetta che farà da "linea rossa" durante tutta questa recensione. A tutti i gruppi, prima o poi, succede di fare un mezzo passo falso, di produrre qualcosa di apparentemente idilliaco, altrettanto in linea con le proprie forze musicali, ma che dal pubblico per alcuni aspetti viene criticato ferocemente, quasi bollato come una bestia nera. Il mondo è pieno di dischi controversi, alcuni per motivi stilistici, altri per motivi di sound, altri ancora per scelte commerciali che dai fan non sono state assolutamente accettate. Nel caso dei Metallica, più che di un disco, di una scelta o di una virata strategica verso lidi inesplorati, la loro spada di Damocle fu un anno, uno solo, un maledetto anno in cui il loro castello di sabbia iniziò ad incrinarsi, mangiato dalle onde del mare. Quell'anno era il 1986: i Metallica all'epoca erano decisamente sulla cresta dell'onda, sembravano inarrestabili. Dopo l'enorme successo di Kill'Em All, ufficialmente riconosciuto dal mondo come il primo disco Thrash Metal della storia, dopo soprattutto aver bissato in maniera ancor più stilistica e matura quel successo grazie a Ride the Lighting, sugli scaffali dei negozi di dischi arriva l'album che completa il trittico, croci sormontate da fili burattinaie, con quelle mani apparentemente non visibili, ma che tirano le fila del mondo, ovviamente stiamo parlando di Master Of Puppets. Con questo disco i Metallica ufficialmente, ancor più che con i due album precedenti, entrano nella storia: riff veloci, taglienti, incisivi come lame d'acciaio, si alternano a brani complessi, altisonanti, anche pretenziosi da un certo punto di vista, ma sempre e comunque nel segno del Thrash Metal. Questa punta di diamante che Hetfield e soci avevano scoperto, era dura, lucida e preziosa, nessuno poteva portargliela via, proprio nessuno. Tranne ovviamente la maledetta morte, quella signora in falce e mantello nero che vaga per le strade del mondo, raccogliendo anime come un cercatore d'oro farebbe con le sue preziose pepite. E la bastarda signora, di tutti coloro che in quel momento nel mondo poteva soggiogare sotto la sua lucida e acuminata lama, decise che il giovane e capelluto bassista dei Metallica, aveva le ore contate. Eravamo nel 1986, Cliff morì, come tutti sappiamo, in un incidente stradale proprio durante un tour di promozione a Master Of Puppets; il colpo per la band fu enorme, avevano perso, oltre che un valido elemento della band, anche un fraterno amico, colui attraverso il quale avevano iniziato il tutto, la macchina da guerra aveva definitivamente perso un ingranaggio. Non solo, come se non bastasse, Cliff era anche il suonatore di quello strumento che tanto lustro e fama aveva dato al sound dei Metallica, quelle spesse corde di basso il nostro Burton le amava come non mai, dolcemente menava la loro superfice, donando all'intera musica del gruppo un gusto unico, tutto questo ovviamente senza contare l'estro compositivo di Cliff stesso (le sue testimonianze sono molteplici, da Pulling Teeth a Call of Kthulu). Dunque, Burton non c'era più, e l'intero mondo della musica alternativa si strinse attorno ai Metallica (gli  Anthrax, giusto per citare qualcuno, probabilmente aiutati da quello spirito di comprensione e dolore, entrarono in studio e decisero quell'anno di dedicare proprio a Cliff Burton l'album che, nel tempo, venne poi considerata un'eccellenza nella loro discografia, Among the Living), condoglianze piovvero da tutte le parti, ma ormai non era più tempo per le lacrime, era tempo di rivalsa, era il momento di andare avanti e camminare per le strade del mondo, anche con il ricordo di Cliff ben vivido nella mente. Fu così che i Metallica si misero di buona lena a cercare un sostituto, ma non era facile, i quaranta e più bassisti che furono provinati nel corso del 1986 non sembravano minimamente essere all'altezza di colui che era venuto a mancare, c'è a chi mancava l'estro, chi invece suonava il basso come se fosse una cosa normale, ma nessuno, nessuno pareva riuscire a riprodurre quel sound, mancava l'uomo il cui strumento fosse una semplice estensione di sé stesso, e che lo suonasse con disarmante scioltezza e disinvoltura. Quando le speranze sembravano ormai perse, si presenta alla porta un capellone biondo, occhi chiari, e tanta voglia di suonare; questo ragazzo era stato, dal 1981 al 1986, braccio armato di un'altra eccellenza del Thrash, anche se nettamente più underground, i Flotsam and Jetsam  di Eric Knutson ed Ed Carlson, di cui peraltro Jason era stato fondatore. Con i Flotsam Jason fece in tempo a registrare solo il celebre album di debutto della band, Doomsday for the Deceiver, uscito nel 1986 (oltre ovviamente alle due demo primordiali del gruppo, Iron Tears e Metal Shock). Quando però Newsted seppe della morte di Burton, e la conseguenziale nuova ricerca da parte dei Metallica di un nuovo bassista, anche se a malincuore, lasciò la propria band per provinare in quella che probabilmente era una delle sue leggende (come chiunque si sia messo a suonare Thrash Metal dal 1983 in poi). Jason, dicevamo, vinse alla fine il provino fra i quaranta e più bassisti che i Metallica si erano visti suonare  davanti, evidentemente Newsted aveva qualcosa in più, c'era nel suo modo di suonare, qualche meccanismo che lo rendeva unico (e nei Flotsam, vi assicuro, si sente discretamente bene, specialmente le sue influenze Funk, quel sincopato dei suoni che è parte integrante dei bassisti provenienti da questa scuola, come, in misura ancora maggiore, era Burton stesso), e così Ulrich ed Hetfield gli cedettero lo scettro di Cliff. Jason si sentì onorato, ma al tempo stesso responsabile di qualcosa davvero gigantesco, come se ti venisse affidata la guardia armata di un silos nucleare. Formazione rinverdita dal nuovo elemento, il gruppo pubblica nel 1987 la prima testimonianza con Jason al basso, un EP, chiamato "The 5,98 Ep?Garage Day Re-Revisited", una raccolta dei pezzi gloriosi dei primi anni, racchiuse in un piccolo disco dal sapore molto old school. Se si va a sentire questo EP, le differenze fra i due sound appaiono evidenti già dalle prime battute: Cliff era molto tecnico quando suonava, ma al tempo stesso era naturale, morbido e setoso come una tenda invernale, le sue note erano pulite, dirette, e al tempo stesso pregne di una violenza inaudita. Jason, dal canto suo, ha quel sincopato Funk che da verde e gloria al suono generale, ma rimane in disparte, sembra quasi che non si voglia mai esporre più di tanto, forse per paura di essere giudicato, o almeno questa fu l'impressione di chi comprò questo primo esempio del suo sound. Uscito l'EP, non rimaneva molto tempo per comporre il nuovo full lenght, e quindi via, sparati direttamente in sala prove; era difficile bissare ulteriormente il successo dei tre album precedenti, visto l'accaduto e visto l'enorme successo accumulato in quei tre/quattro anni, i Metallica dovevano puntare in alto. Fu così che Hetfield ed Ulrich optarono per una composizione dalle tinte complesse, oscure ed articolate, quasi Progressive Metal sotto certi aspetti, che sfruttavano le scale di chitarra all'inverosimile, togliendo un po' di velocità e sporco dalle corde, ed anche dalla voce di James stesso, mescolando tutto questo con le nuove linee di basso. Con queste idee in testa, i nostri padrini del Thrash entrano in studio, e forgiano la loro nuova creatura, donandole anche una copertina iconica, ed anch'essa dal gusto certamente non scanzonato; era la volta di ?And Justice For All, quarto album in studio della band. Apparve sugli scaffali dei negozi il 25 Agosto del 1988, alle porte degli anni '90, e l'ultima testimonianza dei Metallica nel fiore del metal ottantiano; quando gli ascoltatori poggiarono il vinile sul piatto, pubblicato dalla Elektra records, rimasero certamente stupiti dalle linee che il gruppo aveva tirato fuori dal cilindro. A livello di composizione stilistica, sembrava che i Metallica avessero messo a segno un altro colpo vincente, quelle linee così ramificate donavano all'intero album un sapore davvero maturo, e forse la degna conclusione di un quartetto iniziato tanti anni prima con quel martello insanguinato. Tuttavia, e neanche ad un ascolto più attento, quasi "da critico", i fans notarono un difetto enorme, un macigno che pesò in futuro sulla storia del gruppo come una vampa incendiaria nella foresta, la quasi totale assenza del basso. Ma come, si chiesero i fan storici del gruppo, tutto questo gran casino per scegliere il nuovo bassista (che peraltro, almeno noi che conosciamo i Flotsam, neanche ci dispiace così tanto), e poi non lo fate suonare come si deve? Tutti, e ripeto, tutti, si chiesero il perché di quella scelta, ed ancora oggi, dopo ventisette anni dall'uscita di quell'osannato/maledetto disco, nessuno ancora lo ha capito fino in fondo. Newsted negli anni successivi si è difeso più volte, accusando Hetfield ed Ulrich di aver operato atti di nonnismo nei confronti della sua persona, ma anche verso il povero operatore del suono Flemming Rasmussen (che per i Metallica aveva già prodotto Ride nei suoi Sweet Silence Studio, e che negli anni avrebbe poi dato vita a creature come Covenant dei Morbid Angel, e Iron degli Ensiferum). Pare che Ulrich abbia espressamente ordinato a Flemming di abbassare le linee del basso, così come sembra che abbia ringhiato a Jason di accostare le proprie corde a quelle della chitarra ritmica, rendendo di fatto qualsiasi forma di estro completamente inutile. In ?And Justice Jason ha messo le mani su un brano solo, l'apertura del disco stesso, e sarà anche una delle sue poche testimonianze come compositore all'interno della band. Quelle linee mancanti comunque non impedirono ad ?And Justice For All di piazzarsi al quarto posto nel Regno Unito, ed al sesto in America, probabilmente posizioni aiutate da quella complessità nel sound che dona lustro al disco stesso. Tutti noi, fan atavici della formazione, ci siamo in parte stretti attorno a Newsted, sia per il suo non essere un bassista mediocre, sia per quello che negli anni (pare) abbia dovuto passare; lo rispettiamo e lo amiamo ugualmente, anche perché conosciamo bene le sue abilità come musicista, ed anche come compositore. Dunque, bando agli ulteriori indugi del caso, è il momento di estrarre il vinile dalla sua eburnea busta di carta, appoggiarlo sulla lucida base del giradischi , la puntina che scorre verso il solco vuoto, e vediamo di armarci a dovere per affrontare questa bestia nera targata Metallica.

Blackened

Si inizia con i toni della notte, ed un pregno riff di chitarra ci fa da nave scuola per aprire le porte di Blackened (Oscurato); il riff di chitarra si dipana piano piano, finchè non si trasforma in un sound aggressivo dalle tinte assai ritmiche, con la batteria di Ulrich a fare da sfondo a questo intro così cadenzato. Si prosegue finchè non entra in scena anche la seconda chitarra, a fare da ulteriore aiuto a Kirk Hammet, supportando ancor più la voce di James che fa il suo ingresso poco dopo. Qui il tono di James è ancor più maturo dei tre album precedenti, ha conservato quella vena di cattiveria che è propria della sua ugola (almeno fino a questo album, e a una buona metà del successivo), ma ha decisamente abbandonato quel graffiato da tigre in gabbia che lo aveva contraddistinto in tenera età, specialmente nei primi due album. E' diciamo un tono "alla Master of Puppets", ma ancor più affinato come tecnica canora generale. Dopo un'altra sessione ritmica che prende i colori dell'intro, in cui però i toni sono ancor più alti perché aiutati dalla voce di James, il brano prende una piega inaspettata: abbiamo dopo circa due minuti, alla terza strofa, una poderosa accelerata dei toni, il clangore delle chitarre cozza l'uno con l'altra sparando scintille, mentre i tom ed i piatti di Ulrich diventano incandescenti. E' fra l'altro molto particolare vedere la lunghezza dei brani di questo disco, nessuno al di sotto dei quattro minuti, e questa Blackened iniziale ne occupa quasi sette in tutta la sua interezza; dopo un ennesimo cambio di tempo, arriviamo ad un ritmo nettamente Thrash alla metà del brano, sincopate di chitarra si legano come rovi all'estro della batteria, mentre la voce di Hetfield fa da cassa di risonanza al tutto, vessando il pubblico con le sue parole, ed intonando questa marcia funebre di distruzione. E' un brano il cui titolo dice tutto, ed infatti l'intera struttura del pezzo è buia, colorata dei toni che possiamo scorgere in una brughiera al calare della notte, con la sola luna piena di foschia ad illuminarci. C'è anche tempo, nella seconda metà del brano, per un assolo di chitarra, ma non come ci hanno abituato i Metallica, niente note/rasoio che tagliano il viso, è un solo dal sapore Thrash senza dubbio, ma con forti tinte Heavy classiche, le note si legano fra loro per formare intrecci senza fine.  Anche l'assolo però muta, e nella sua parte secondaria, assume lo scettro di thrasher a tutti gli effetti, sparando note a destra e sinistra senza freno, prima di una brusca stoppata ed il ritorno, come un cerchio che si chiude, al main theme del brano. James continua a prenderci a schiaffi, mentre la sua mano ossuta e muscolosa ci afferra e come in un vortice, grazie ai suoi ormai celeberrimi "Never!", traghetta la nostra anima al finale del brano, dove troviamo sempre la dinamica principe di questo pezzo, che si chiude esattamente come era iniziato, in dissolvenza con la combo chitarra/batteria a farla da padrone. Se proprio vogliamo trovare un difetto al brano, ed è qualcosa che ripeteremo svariate volte nel corso della recensione, è la totale assenza del basso: ed in questo intro dell'album è ancor più grave, visto che Newsted ha co-composto il pezzo assieme a Lars e James. E' inutile, possiamo sforzarci quanto vogliamo, ma quelle maledette corde spesse non si odono, il che però raggrinzisce l'energia del brano, rendendolo davvero piatto, bellissimo nella sua composizione (ha una vena di volo pindarico musicale davvero enorme), ma piatto come una tavola, manca quel morbido giro di strumento che rende ritmico ed ancor più roboante l'intero sound. E' proprio il caso di dire che qua il basso è stato "oscurato", non c'è, ne mai ci sarà, almeno nella sua versione classica: il testo è una enorme denuncia socio/ecologica all'inquinamento del pianeta,  a quanto gli uomini non riescano a capire che se continueremo ad inondare la nostra bella terra di liquami e fiumi tossici (considerando l'anno del disco, vi è anche una enorme paura delle conseguenze di una guerra nucleare), presto il sole sarà oscurato, e non potremo far altro che vivere per sempre all'ombra di una stella nera come la pece. Si parla di distruzione, morte, di quella giustizia per la terra che ci ha generato, e che ormai sembra diventato soltanto l'ennesimo modo per vessare le sue membra, dilaniare la carne di chi ha permesso la nostra nascita, e che non ci vieta di calpestare il suo suolo. Così come la musica, anche il testo ha tinte forti e complesse, perfettamente in linea con gli strumenti, si ha davvero la sensazione (specialmente nella seconda parte), di venire trascinati verso l'apocalisse, di non saper assolutamente cosa fare per risolvere il problema, ci ritroviamo impotenti e stanchi, consapevoli però di essere la principale causa di quello che ci sta succedendo intorno. Mai più tornerà il sole sulle nostre teste se non faremo qualcosa per risolvere il problema, vi sarà soltanto la putrefazione della nostra carne, ormai dilaniata dalla mancanza di luce, a farci compagnia mentre piano piano ce ne stiamo andando da questo mondo.

..And Justice For All

I successivi dieci minuti sono occupati da una delle due tracce più lunghe di tutto l'album, ed in questo caso è colei che al disco da anche il titolo, ..And Justice For All (..E fu Giustizia per Tutti): un morbido intro di chitarra ci fa quasi pensare ad una ballad melanconica e piena di sentimento, finchè alcune frustate di chitarra elettrica e batteria non irrompono, prima quasi accennate, poi esplodono tutto insieme nelle nostre orecchie, ed inizia la danza di morte. Si prosegue con un crescendo sempre più incalzante, pomposo e alto, con la chitarra di Hammet che in disparte ricama note e riff senza freno, la batteria in primo piano assieme alla chitarra ritmica, mentre del basso ancora nessuna traccia, forse qualche piccolo sound impercettibile, ma niente di più. Considerando la lunghezza totale del brano, i nostri californiani ne hanno di tempo per dimostrare la loro forza compositiva, ed infatti le aspettative non vengono per niente deluse: si passa da momenti di puro sincopato Thrash Metal, ad altri molto Heavy, specialmente nella prima parte del brano, in cui la voce di Hetfield assume un tono nettamente meno graffiato, a vantaggio di un cantato pulito e al tempo stesso incisivo come un calcio nei denti. Ricami arabeggianti fanno da fondale alla parte centrale del brano, in cui le due asce chitarra e batteria duellano come antichi guerrieri su un campo di battaglia, cozzando le armi fra loro (pare infatti, almeno ad un ascolto primordiale, che in questo disco a prevalere siano Hetfield ed Ulrich, il primo con voce e chitarra ritmica, il secondo con le botte da fabbro sulla batteria). Prezzi da pagare anche per i Metallica, che proseguono nel brano infittendo ancor più il sound con delle infiorettature davvero niente male, e quelle dinamiche quasi orientali di fondo, specialmente nella chitarra di James. Alla metà del brano abbiamo una mitragliata di batteria e poi un lungo ritmo di chitarra melodico e pungente, prima di una pioggia di note da parte di Kirk, che in questo disco diciamo che "si sente bene solo quando ce n'è bisogno", viene tenuto calmo, e poi fatto scatenare quasi a comando. Il brano si concentra sull'aspra pesantezza dei suoni, specialmente della batteria, che qui compie voli senza paracadute mai sentiti nei precedenti dischi, in cui si limitava a dettare il tempo; si arriva alla fine esausti e privi di ogni forza, con quell'intermezzo melodico che spezza l'incedere del brano stesso, ormai anche questo un marchio di fabbrica nella musica dei Metallica. James punta molto sulla voce anche in questo brano, come avevamo già accennato, e quella pesantezza di fondo del sound funge da cassa di risonanza per le sue tonalità, è un brano difficile da digerire, considerando lunghezza, stile compositivo e cambi di tempo, per chiudere il discorso, diciamo che se anche il basso fosse stato presente, magari con qualche intermezzo personale solo a lui dedicato, sarebbe stata una delle migliori tracce mai composte dai Metallica. Nel testo James ironizza in maniera assai dissacrante sul sistema giudiziario americano, quella frase "la legge è uguale per tutti", che campeggia in ogni buona aula di tribunale, è probabilmente una delle più grandi conquiste e contraddizioni del nostro tempo; nel brano si tende molto a coverizzare in maniera nera e con humor quel che accade nei tribunali americani, mondi a parte in cui le parole "organizzazione", ed "ascolto", assumono un nuovo significato, diventando alla fine completamente dissociate dai toni originali. E' un'accusa principalmente al sistema quella che troviamo nel brano, mondo corrotto e a vantaggio dei ricchi ("basta aprire i cordoni della borsa per avere giustizia, ci ammonisce James in uno storico passaggio del brano), la giustizia per tutti permane solo se uno ha i mezzi, altrimenti è il fato o il corrotto sistema stesso a decidere. Siamo agnelli sacrificali in balia delle sanguinolente mani di uomini senza scrupoli, il cui unico scopo è mangiare ed ingrassare a colpi di banconote, finché lo stomaco non scoppia in un tonfo sordo. E' interessante vedere come, nei dischi precedenti, i Metallica, come tante altre formazioni Thrash, abbiano dedicato brani alle analisi sociali, ma sempre con quella leggerezza (profonda, sia chiaro) da humor nero che li contraddistingue da sempre; qui invece si tende ad essere cinici, cattivi e oscuri, è un disco che non si fa problemi ad arringare le folle dal pulpito della vita, e che neanche si vergogna di gridare in faccia a coloro che sono responsabili dello scempio, tutto lo schifo che hanno fatto venire a galla con le loro azioni. La giustizia non avrà mai giustizia, sarà "per tutti", quando tutti quanti ci renderemo conto che il sistema va cambiato (e dopo ventisette anni da queste parole, a che punto siamo? Forse ad uno ancora più basso dell'epoca), i veri responsabili di questo cancro siamo noi, abbiamo fatto ammalare la giustizia guardando dall'altra parte, distogliendo lo sguardo per pensare alle nostre piccole vite, senza accorgerci della bomba che ci stava esplodendo fra le mani, e che adesso ormai ha provocato il suo cerchio di distruzione.

Eye Of the Beholder

Dopo questa botta da quasi dieci minuti, i successivi sei sono occupati da Eye Of the Beholder (L'Occhio dello Spettatore): si preannuncia in viatico assai serio in questo caso, con un lento e costante climax degli strumenti che vanno man mano a completarsi in un ritmo ossessivo e psicopatico, in cui prevale la chitarra solista di Hammet, resa ancora più aggressiva ed alta da quella ritmica di Hetfield. Non appena la forgia della distruzione si è completata, incede con violenza la voce di James, che qua assume un tono quasi gutturale, profondo e funereo, come se ci trovassimo di fronte ad una marcia celebrativa di annichilimento sociale. Il pezzo è fondamentalmente suonato nel classico 4/4 tanto caro ai Metallica della prima era, fatta eccezione per il roboante ritornello, in cui il ritmo si trasforma in un ingente 12/8 dalle tinte ancora più forti, e che ci martella la testa senza lasciarci andare via. Il ritmo compulsivo che fa da base armata del pezzo non sembra volerci abbandonare per nessuno dei sei minuti che compongono il brano, fatta eccezione chiaramente per il ritornello, in cui la brusca accelerata dei tempi si fa sentire ed arriva senza preavviso, modificando anche la voce di Hetfield, che diventa ancor più Heavy. Ulrich qua abbandona per un attimo quei salti che avevano contraddistinto il suo sound nei due precedenti pezzi, per dedicarsi ad un ritmo da guerra lasciando il giusto spazio alle chitarre. A soffrirne ovviamente, ma ormai abbiamo capito che è la prassi di questo intero lavoro, è il basso, che in un brano del genere avrebbe alzato ancora di più il tiro, scandendo il ritmo assieme alla batteria e alla chitarra ritmica; ed invece il nostro Jason si ritrova a copiare spudoratamente il ritmo offerto da James, eclissandosi quasi del tutto, a volumi udibili probabilmente solo da chi sa ascoltare gli ultrasuoni. Kirk invece, dal canto suo, si concede il lusso di qualche micro assolo di chitarra, anch'egli abbandonando le tematiche e le dinamiche Thrash, a fronte di un sound pulito ed Heavy classico, fornendo lo scettro del metallo percosso alla ritmica di Hetfield. Pezzo dalle strutture assai ripetitive, ma mai completamente banali, questo occhio dello spettatore si poggia su di noi con fare benevolo ed al tempo stesso arcigno, ponendoci in una posizione di osservatori di ciò che sta accadendo sotto i nostri piedi, aprendoci gli occhi sul mondo intero. Se fosse stato presente anche il basso con la sua carica ritmica, magari, come era accaduto per Blackened, lasciandogli qualche spiraglio di fantasia per potersi esprimere al meglio (e credetemi, magari risulta ripetitivo, ma Newsted è perfettamente in grado di farlo), questo pezzo, come questo intero disco, sarebbero un album da 9 pieno, purtroppo la mancanza di certe strutture che hanno fatto letteralmente il successo di questo gruppo, lo penalizza senza pietà, togliendogli svariati punti. Per quanto riguarda le liriche, beh, James qua indossa i panni nuovamente dell'arruffa popolo, mettendosi sul pulpito dell'analisi sociale ed inveendo contro coloro che minano una delle libertà personali più importanti, quella di espressione. Quante volte in questi decenni abbiamo sentito lotte senza quartiere in nome della libertà di espressione? Non basterebbero le dita di migliaia di mani per contarle tutte; in Beholder si tende molto ad ironizzare nuovamente, come era accaduto per la title track, su quanto questo mondo riesca ad essere un calice ricolmo di contraddizioni, molte delle quali neanche visibili a tutti. Si dice sempre "guarda, ma non toccare, leggi, ma non imparare, ascolta, ma non memorizzare", come se fossimo un immenso branco di automi che obbediscono ad ordini impartiti da uomini in doppiopetto e cravatta lucente, nascosti dietro la loro cupidigia senza limiti. L'Occhio dello spettatore attento però, e da qui il significato del titolo, sa vedere oltre i limiti imposti, sta lì ad osservare come un corvo con la preda tutto ciò che accade, pronto a fornire gli artigli giusti per combattere e rialzarsi, senza curarsi delle conseguenze; perché la vera natura umana è ciò che rende questo mondo quello che è, la capacità di non avere paraocchi di fronte al proprio sguardo, ma superare i limiti imposti dando vita e gloria alla verità che circonda noi stessi e tutti gli altri, come la consapevolezza di far parte di un sistema corrotto, marcio ed inaffidabile, già solo avere coscienza di questo, fa di noi persone vive e vegete. La grande importanza testuale e musicale di questo pezzo (nonostante la sua struttura assai lineare), ha fatto si che abbia fatto parte (sempre per intero) di molti setlist dei Metallica suonati negli anni '90, è un brano che si, forse non brillerà mai per voglia compositiva, ma è trascinante, è una coppa d'oro a cui bere a piene mani, e con il significato del testo, entra nella nostra mente in maniera ancor più diretta.

One

Colpi di mitraglia sempre più incessanti, le pale di un elicottero da guerra, mentre una cupa chitarra fa il suo ingresso sulla scena, firmando alcune note leggiadre e dal caldo sapore. Tutto ciò finché delicati colpi di tom e piatti non iniziano a dare il tempo, e la chitarra ritmica si fonde alla solista in un ritmo da scatola chiusa, che ci avvolge in una spira di dolore. Questo è ciò che si sente quando ascoltiamo la prima canzone in assoluto prodotta dai Metallica dalla quale sia estratto un videoclip, presente in ormai tutti i setlist dal vivo della band, ed osannata da mezzo mondo (vinse anche il Grammy Award per la miglior interpretazione Metal del 1988), composta da Ulrich ed Hetfield insieme, stiamo ovviamente parlando di One (Uno); il brano è un inizio lento e sempre ricolmo di funebre marce di terrore, la voce di James qui abbassa la violenza per dare libero sfogo alla sua devastante dolcezza, per quanto il tono graffiato ancora permanga nelle sue corde vocali. L'incedere del brano dura diversi minuti, più di due, in cui il ritmo continua la sua con la sua setosa forza distruttiva, tranne per qualche raro sprazzo di violenza dato da alcune accelerate dell'intero drumset e delle due asce da guerra con le corde. Si prosegue in ordine sempre grazie a questo ritmo claustrofobico, le scintille da battaglia sono un lontano ricordo, ed anche il celebre ritornello non è altro che una composizione di alcune violente plettrate di chitarra, ma mai eccessive, accompagnate dalle corde acustiche che fanno da morbido cielo stellato a tutto. La beltà di questo brano risiede probabilmente in questo, nella sua capacità di risultare avvolgente e cattivo, senza ricorrere a mezzi nettamente incisivi o grezzi, conservando una vena stilistica senza precedenti. Verso il quarto minuto e mezzo, triggerate di batteria danno il via alla seconda parte del brano, in cui la violenza invece, pur mantenendosi sempre sulle linee che abbiamo udito all'inizio, si scatena in tutta la sua potenza, con James che martella il nostro cranio grazie a linee vocali che colpiscono duro, e la presenza costante della batteria, che qua torna ad essere estroversa e poliedrica, come mai Lars ci aveva abituato in questi anni di ascolto e Thrash. Una incessante cascata di note dal sapore quasi Speed funge da bridge fra l'accelerata e la parte finale del brano, in cui Kirk si diletta in una serie di assoli uno dietro l'altro, collegati dal fil rouge della velocità, ma non fine a sé stessa. Colpi di grancassa e piatti rendono il tutto ancora più vorticoso, siamo in preda ad una vera e propria tempesta sonora mentre ci apprestiamo a sentire l'ultimo minuto di canzone, un ciclone di distruzione che improvvisamente si stoppa bruscamente, lasciandoci quasi interdetti, perché avremmo voluto altri minuti di sound. E qui, su questa One, così osannata, così amata da tutti (a titolo giusto),è bene spendere due parole ancora più pressanti sull'assenza delle spesse corde di Jason; se vi ricordate, specialmente i più aficionados della formazione, di brani come Fade to Black, ricorderete bene quanto in tali Metal ballad composte dalla formazione americana, il basso donasse quel qualcosa in più che ce li faceva amare al primo ascolto; Cliff era in grado di rendere tutto questo realtà sotto i nostri occhi, dando sia colpi dolci, che sommesse botte al suo basso, procreando un demone che ci artigliava le caviglie. Ecco, qua invece, il povero Newsted, è stato relegato al niente più assoluto, se non alla solita fotocopia della chitarra ritmica; sparisce nel calderone di suoni come se non esistesse, e la conseguenza totale è che ad ogni ascolto sembra che ci manchi un tassello fondamentale, pare quasi che siano pezzi incompleti, nonostante, e questo lo riconosciamo in ogni brano del disco, il livello di composizione e missaggio delle altre parti e dei brani in sé, sia quanto di più alto probabilmente abbiano fatto i Metallica assieme a Master Of Puppets (in cui la produzione era ottima). Dispiace anche grandemente dirlo, perché se non avessero commesso questa imprudenza, ?And Justice sarebbe diventato motivo di vanto fra i fan, specialmente quelli storici, che avrebbero subito notato l'ancor più alta maturazione della band, il crescere ed il divenire del loro estro, ma così non fu, venne apprezzato grandemente solo da coloro che lo comprarono come primo disco, ma si ricredettero andando a ritroso nella carriera della band. Immaginate un uomo, senza braccia e gambe, intrappolato nella propria gabbia di carne ed ossa, senza neanche poter parlare a nessuno, ecco, avete una vaga idea di chi sia "L'Uno", di questo brano; un uomo la cui anima ormai è in pezzi, tanto è il dolore provato per ciò che ormai è solo un lontano ricordo. Discorsi, sentimenti, voce, parole, tutti ricordi labili e bruciati da quel maledetto incidente, la giustizia non ha trionfato, doveva farlo direttamente morire, invece che ridurlo ad un tronco umano; ed è così che l'uomo vessa, si lamenta, piange lacrime amare di dolore verso quel Dio che tutti osannano, ma che non ha risparmiato lui, ha deciso che l'inferno doveva viverlo direttamente sulla terra, invece che nelle cremisi fiamme del sottosuolo. Parafrasando le sue stesse parole, quel Dio maledetto lo ha lasciato in vita all'inferno, una frase emblematica che rende assai bene la sofferenza di questo individuo, costretto a permanere in un corpo che non gli risponde più da tempo, i suoi occhi sono vacui e privi di ogni emozione, ed anche se il suo viso non lascia trasparire niente, dentro, la sua anima grida di disperazione, si contorce di dolore, ed è un dolore dal quale non si guarisce. E' divenuta famosa questa traccia, oltre che per il celebre videoclip, anche per la sofferenza che riesce a sprigionare; quando viene suonata dal vivo vi sono giochi pirotecnici e di luce a coadiuvare il tutto, rendendo ancora meglio il dramma che vive il nostro protagonista, alzando il tiro e facendoci scendere lacrime amare come il fiele. Si tratta probabilmente di una delle migliori ballad mai composte dal gruppo, con quel finale così scoppiettante ed alto, sarebbe stata ancor più perfetta con l'ingente presenza del basso, che avrebbe dato ancor più risalto a questa straordinaria composizione.

The Shortest Straw

Dopo la scarica di emozioni sparata dalla precedente traccia, siamo giunti al brano numero 5, intitolato The Shortest Straw (La Pagliuzza Più Corta). Immediatamente siamo investiti da un potente unisono che apre le porte ad uno dei riff più potenti del platter. Lars Ulrich per alcune battute ci martella con la doppia cassa, abbandonandola poi in seguito, rendendo ancora più potente il wall of sound metallico. Successivamente il riff sparato dalla chitarra di Hetfield si alterna con un tema di chitarra propostoci dal collega Hammett, annunciando la strofa. Sotto i potenti accordi di chitarra, James Hetfield ci graffia con una linea vocale incazzata. Dopo un breve bridge strumentale incentrato sulle chitarre, arriva l'inciso, nato apposta per essere cantato a squarciagola in sede live. Altri intarsi di chitarra annunciano la seconda strofa, ancora più grintosa grazie all'aumento di BPM e all'uso del doppio pedale. Un altro breve bridge strumentale dal sapore epico e ritorna l'inciso, stavolta Hetfield viene ricamato da un accattivante coro. E' il brano che più sia avvicina ai precedenti lavori, lo dimostra l'assolo di chitarra, che viene introdotto da un bel tema melodico che sembra provenire dall'album Ride The Lightning. Nella seconda parte la melodia viene spazzata via dalla tecnica, con un turbinoso susseguirsi di scale eseguite ad una velocità impressionante. Hammett chiude con un funambolico tapping che si riallaccia al melodico fraseggio di inizio assolo.  Pesa come un macigno la totale assenza di una linea di basso che avrebbe reso il tutto più potente e raffinato. Tempo di assaporare il ritornello e Kirk Hammett riprende la dimostrazione di chitarra con un nuovo assolo, meno graffiante e assai più breve del precedente. Ritorna la strofa, dove emerge prepotentemente la doppia cassa di Lars Ulrich. Altro interludio strumentale e per l'ultima volta torna l'inciso. Chiude Kirk Hammett con la serie di fraseggi dal sapore retrò che avevano aperto l'assolo centrale. Le liriche prendono ispirazione dalla storia di Julius ed Ethel Rosenberg, i due coniugi condannati a morte per cospirazione negli anni della guerra fredda. In un'epoca dove negli Stati uniti imperversava il maccartismo, la coppia fu accusata di aver passato ai sovietici alcune informazioni segrete sulle armi nucleari, accusa che li proiettò irreparabilmente sulla sedia elettrica del famoso penitenziario di Sing Sing, senza curarsi degli svariati appelli di persone influenti, fra le quali spiccano Papa Pio XII e Pablo Picasso, che ne chiedevano la grazia. Come spesso accade in queste situazioni, non è mai stata fatta chiarezza sulla realtà dei fatti, nonostante i vari appelli dei figli che per decenni hanno più volte richiesto le documentazione originali dell'epoca, senza ovviamente riceverle. Hetfield paragona la guerra alle spie che cospiravano con gli odiati sovietici alla caccia alle streghe del XVI secolo, che troppo spesso metteva ingiustamente sul rogo giovani donne accusate di essere in combutta con il Demonio. La Dea Bendata stavolta ha estratto la pagliuzza più corta, decidendo il destino dei due coniugi, dipingendoli come traditori difronte all'occhio pubblico che sovente è ammaliato dai luoghi comuni. La pesca della pagliuzza è quella spietata lotteria, tanto in voga durante la guerra del Vietnam, che decide colui a cui spetta il compito più ingrato. Solo che questa volta non sono stati i coniugi a pescare nel mazzo delle pagliuzze, ma c'è chi per loro ha estratto la più corta decidendone il terribile destino. Comunque sia pare che l'Unione Sovietica abbia confermato un coinvolgimento dei due coniugi, costringendo il cacciatore di streghe dei tempi moderni ad estrarre la pagliuzza più corta. The Shortest Straw è uno dei brani più "old thrash" dell'intero album, incentrato su potenti e serrate cavalcate di chitarra che ci riportano inevitabilmente con la mente ai fasti di "Ride" e "Master"; il significato del brano si staglia sulle ritmiche così ricolme di vecchia scuola, dando vita ad un brano dalle tinte forti e dal sangue che scorre a fiumi per tutta la sua durata, incisivo e devastante, si riesce bene a percepire l'orrore ed il dolore di chi ha avuto la sfortuna di pescare quella maledetta pagliuzza.

Harvest Of Sorrow

La successiva Harvest Of Sorrow (Mietitore di Dolore) è primo singolo estratto dall'album, si apre nella stessa maniera del precedente brano, ma stavolta il potente unisono è seguito da un epico arpeggio di chitarra, che possiamo immediatamente ricanticchiare come il più melodico dei ritornelli. L'ammaliante melodia dell'arpeggio viene riproposta in versione distorta, poi siamo investiti da un potentissimo wall of sound dai sentori doom, dove Lars Ulrich massacra energicamente le pelli, riducendo drasticamente il numero dei BPM rispetto agli standard della band. Un bel tema di chitarra di sabbatthiane memorie prende il sopravvento. La ritmica cadenzata della strofa mette in risalto la potenza degli accordi di chitarra, che si sposano meravigliosamente con l'energica linea vocale. Un fraseggio di chitarra dal sapore epico apre le porte al bridge, le cui poche parole cantate da James Hetfield sembrano essere nate apposta per essere imparate immediatamente a memoria. L'epico fraseggio di chitarra ci viene riproposto sia in apertura che in chiusura del breve inciso, dove trasportato da un potentissimo unisono, Hetfield annuncia con verve il titolo del brano, seguito da un suggestivo coro che pare provenire da un lontano abisso. Ritorna la strofa, seguita dal punto di forza del brano, il bridge, che come prima annuncia il breve inciso. Da buon singolo, il brano segue una struttura abbastanza canonica, è quindi il turno dell'assolo di chitarra, che sinceramente non è fra i migliori proposti dal chitarrista di San Francisco. Una cavalcata sui tom annuncia un interludio strumentale che fa leva su un bellissimo intreccio fra i potenti accordi ritmici di Hetfield e gli avvolgenti fraseggi sparati dalla chitarra di Kirk Lee Hammett. Una fugace apparizione della strofa precede il ritorno dell'inciso, che viene ripetuto ad oltranza. Nella parte finale, l'arpeggio iniziale si intreccia a meraviglia con le potenti trame dell'inciso, chiudendo elegantemente il brano. Le liriche sembrano prendere spunto da uno dei tanti terribili fatti di cronaca nera, che in America sono quasi all'ordine del giorno. Narrano di un uomo avvolto in una spirale di follia, che vede la sua vita soffocata da un odio generale verso tutti e tutto. In passato era riuscito ad amare, ma ora nel suo corpo alberga solo l'odio, dovuto ad una infanzia difficile ed alimentato dall'abuso di alcool e droga. Perso ogni barlume di lucidità ed in preda alla pazzia totale, è convinto che un sinistro Mietitore di Dolore sia entrato in comunicazione con lui e lo stia esortando ad uccidere. Un giorno la famiglia dell'uomo viene rinvenuta massacrata. Guardandosi negli occhi, in uno dei pochi attimi di lucidità, l'uomo capisce dove si nasconde l'assassino. Le sue perdite sono diventate il guadagno del Mietitore di Dolore, che si nutre della sofferenza degli uomini. Placata la sua fame, ora il mietitore se ne va, in cerca di una prossima vittima che possa soddisfare la sua cupidigia di dolore; è interessante vedere come anche qui le musiche si intersechino in maniera perfetta col significato del testo; quelle dinamiche così lente e sommesse fanno si che davvero sentiamo il fiato del mietitore sul nostro collo, pronto a ghermirci come un predatore affamato. Nonostante le ritmiche lente e cadenzate, fino ad ora inusuali per il combo di Frisco, il brano ci cattura immediatamente, diventando uno dei più acclamati dell'album, specie in sede live.

The Frayed Ends Of Sanity

La serie di "ooh eeh ooh" (all'unisono con le chitarre) che apre la successiva The Frayed Ends Of Sanity (Le Logore Estremità Della Ragionevolezza) ci lascia un po' perplessi, per fortuna gli improbabili cori vengono immediatamente spazzati via da un potente riff di chitarra dai sentori masteriani. A causa dei livelli infinitamente ai minimi termini delle linee di basso, la batteria risulta spoglia ed incompleta. Il difetto emerge notevolmente quando i nostri ci propongono ritmiche semplici e riff più banali. La linea enigmatica di Hetfield è l'elemento migliore di queste prime strofe. Un bridge strumentale di Anthraxiane memorie introduce il ritornello, una bella progressione di accordi aperti lascia il campo libero a James Hetfield. Con una linea di basso assai più presente, i nostri sarebbero riusciti a rievocare le crude ed ingenue sonorità del debut album. Un paio di battute strumentali della strofa e poi incontriamo un interludio dove le chitarre si intrecciano con una melodica progressione di fraseggi che si sposta sulle toniche. Il duello a distanza fra i due chitarristi prosegue seguendo una linea meno melodica e più aggressiva, interludio che apre le porte all'assolo di chitarra, dove Kirk Hammett alterna una serie di tecniche, passando dal tapping alla melodica progressione di fraseggi, non disdegnando l'uso del vibrato, finendo con una serie di scale funamboliche. Ancora un paio di schitarrate e poi fa capolino la melodica progressione di fraseggi sentita poco prima dell'assolo. Ritorna la strofa, seguita da bridge e ritornello, si chiude con gli aggressivi riff old style. James affronta una profonda crisi esistenziale, non sono in grado di stabilire se si riferisce ad un periodo che in passato ha vissuto realmente, oppure ad un altro personaggio reale o di fantasia che sia. L'uomo è caduto nella spirale del fallimento, ha perso l'appetito ed è circondato da una opprimente negatività totale. Insicuro, combatte con la paura dell'aver paura, ormai ha quasi perso del tutto la ragione. Le cattive abitudini alle quali con fatica era riuscito a sfuggire, tornano prepotentemente e lo catturano di nuovo. Il suo mondo è pervaso dal terrore, prigioniero della paura. L'uomo ha talmente perso il senno della ragione che si crede vittima di una cospirazione, è convinto di essere braccato e che tutte le disgrazie che gli capitano non siano dovute al caso, ma facenti parte di un piano ben congeniato. Ormai la sua vita è un inferno e le estremità ormai logore della ragionevolezza stanno pian piano evaporando lentamente, portandolo alla pazzia totale. In brani più semplici ed immediati come quello appena ascoltato, che rievocano le taglienti sonorità del passato, si percepisce fortemente l'assenza di una bella trama di basso che pompa e tira su la canzone.  Ovviamente non ho nulla contro il povero Jason Newsted, mi scuserò con lui in chiusura di recensione, affrontando in maniera dettagliata il problema. La prossima traccia è per quanto mi riguarda il mio brano preferito e il più importante del platter, non tanto per la sua bellezza, che può essere soggettiva, ma perché contiene le ultime testimonianze compositive del compianto Cliff Burton. E' composta prevalentemente da riff scritti da Cliff poco prima che il tragico incidente durante il tour europeo del 1986 ce lo portasse via.

To Live Is To Die

Il titolo To Live Is To Die (Vivere è Morire) è una frase a cui Cliff era particolarmente affezionato, titolo che in seguito è stato dato anche ad una splendida biografia scritta da Joel McIver, libro che mi permetto di consigliare vivamente a tutti i fans della band e agli estimatori di uno dei più grandi bassisti nell'ambito metal. Uno struggente intreccio di arpeggi acustici emerge lentamente in fader, accompagnato dalla fredda batteria di Lars Ulrich. Dopo circa un minuto, l'arpeggio inizia ad evaporare in dissolvenza come era venuto, sostituito sempre gradualmente dai lamenti del povero rullante che viene violentemente massacrato dal Lars Ulrich. Successivamente un potente riff prende le redini del gioco, accompagnato dalla potente ritmica cadenzata. Il riff dai sentori doom viene alternato con uno più brioso e tagliente. Al suo ritorno viene impreziosito da un bel tema di chitarra che ne riprende in grandi linee la melodia. Successivamente subentra un altro maestoso riff di chitarra, ma dopo una fugace apparizione lascia nuovamente il campo al suo predecessore, sulla cui base Kirk Hammett tesse un pregevole e prolungato assolo che punta tutto sulla melodia. Al minuto 04:37 l'assolo si fa ancora più melodico, ma stavolta è James Hetfield a farci venire la pelle d'oca con uno degli assolo più struggenti ed emozionati mai scritti dai Four Horsemen, assolo che sembra uscito dai solchi di uno dei primi lavori dei Marillion. Successivamente Hetfield ne riprende la melodia arpeggiando calorosamente con le mani, un effetto fa sembrare che l'arpeggio provenga da molto lontano. Kirk Hammett e Jason Newsted giocano con la manopola del volume, ottenendo malinconiche sonorità che ricordano molto da vicino uno struggente violoncello. Successivamente entra anche Lars Ulrich, con un classico 4/4 da "lentone" strappalacrime, a cui fa il paio Kirk Hammett con un melancolico assolo. La struggente melodia viene poi proposta in una versione più grintosa, con un bellissimo intreccio di chitarre distorte. Dopo un paio di battute Ulrich aumenta i BPM, sulle orme della medesima melodia si prosegue con un assolo che evapora lentamente, venendo rimpiazzato dal riff portante, sulla base del quale vengono recitate le poche liriche, che mi permetto di citare per esteso: "When a man lies he murders some part of the world These are the pale deaths which men miscall their lives All this I cannot bear to witness any longer Cannot the kingdom of salvation take me home"  (Quando un uomo mente egli uccide qualche parte del mondo. Queste sono le morti pallide con cui gli uomini mistificano la loro vita. Tutto questo non posso sopportare di assistere più a lungo. Non esiste il regno della salvezza, portami a casa) Nelle note di copertina tutte le frasi sono attribuite a Cliff Burton, che però in realtà ha scritto solo la parte finale, mentre i primi versi sono stati estrapolati da un'opera scritta dal poeta tedesco Paul Gerhardt. Cliff Burton non si sente a suo agio in un mondo dove dominano la falsità e la menzogna, ogni bugia detta dall'uomo equivale ad un colpo mortale inferto nel cuore del mondo. Dopo averci riproposto in linea di massima la grintosa parte iniziale, il brano sfuma lentamente, lasciando il campo allo struggente intreccio arpeggiato dell'introduzione. Il brano, fra i più lunghi scritti dal quartetto californiano, è ovviamente dedicato al carismatico bassista di Castro Valley e va a continuare la tradizione che vede un brano strumentale su ogni album (i pochi versi parlati non fanno testo). Durante l'articolata struttura, attraverso le note i nostri ci trasmettono la rabbia, la tristezza ed il dolore che dal quel maledetto 27 Settembre 1986 albergano nei loro cuori ed in quelli dei loro fans; il vuoto che ha lasciato la morte di Cliff sarà per sempre incolmabile, e non solo nei Metallica, ma anche nella musica alternativa stessa, il suo carisma, la sua simpatica ed il suo estro non saranno mai dimenticati, e senza ombra di dubbio con queste note abbiamo assaporato il brano migliore dell'album.

Dyers Eve

Siamo giunti all'ultima traccia del platter, intitolata Dyers Eve (La Vigilia Del Tintore). Come gran parte dei brani, anche nella traccia conclusiva i Metallica non badano tanto a raffinate soluzioni introduttive e ci attaccano con l'ennesimo unisono, con la batteria di sua maestà in evidenza. Dopo qualche cavalcata dove predominano le chitarre un accordo distorto in dissolvenza ospita una interminabile rullata, che annuncia un aggressivo riff di "killemalliane" memorie. Lars Ulrich inizia a pestare come ai vecchi tempi, e presumo lo faccia anche Jason Newsted muovendo velocemente il plettro sopra le corde del basso. La cavalcata in thrash old style perdura per oltre un minuto. La doppia cassa ci massacra ed epici accordi aperti accolgono l'ingresso di James Hetfield con una delle linee vocali più cattive e grintose dell'album. Una fugace apparizione della cavalcata iniziale ci separa dalla seconda strofa, che mantiene le massacranti ritmiche. Ritorna la cavalcata, che ormai i nostri usano come bridge, che stavolta annuncia l'inciso. Lars Ulrich molla il doppio pedale, mantenendosi comunque su ritmi elevati, graffianti accordi accolgono l'ammaliante linea vocale di James Hetfield. Di nuovo il tagliente bridge ad introdurre il ritorno della strofa, che come in precedenza viene proposta per due volte, seguita dal bridge e dal ritornello. Dopo essere stati massacrati dalla scontata successione di strofa-bridge-ritornello per oltre tre minuti, incontriamo finalmente una variazione ritmica, ma purtroppo non è niente di nuovo, i nostri ci ripropongono il riff iniziale, prima che Lars Ulrich riparta a velocità pazzesca supportando l'assolo di Kirk Hammett, che non poteva che essere molto vicino a quelli presenti sul mitico debut album. Sul finale dopo una fugace escursione melodica, il simpatico Kirk chiude con una serie di funamboliche scale. Un breve stacco ritmico e l'assolo riprende, prima con una serie di note sparate alla velocità della luce, poi riprendendo la precedente parte melodica, che con la mente ci riporta ai fasti di Ride The Lightning. Sul finale Hetfield canta sulla cavalcata killemalliana, per poi chiudere con la velocissima strofa. Nelle liriche James ripercorre la sua infanzia e ci parla del rapporto con i genitori, ai quali Hetfield rinfaccia di averlo privato di molte cose, di avergli tenuto nascosto molti aspetti del mondo, cercando di educarlo secondo le loro regole. Lo hanno indottrinato su cosa è giusto e cosa è sbagliato, tenendogli nascosto tutto quello che gli altri chiamano "vita". Sotto la rigida dittatura del padre, tutto ciò che faceva era sempre sbagliato. Viveva in un vero e proprio stato di proibizionismo, e spesso gli venivano tarpate le ali prima di imparare a volare. Tutto in nome di quello che secondo loro e la loro religione si chiamava "innocenza". Una volta fuggito da casa il nostro James, dove vigevano rigide e ferree regole, il povero ragazzo dai capelli lunghi si ritrova indifeso e spaesato in un mondo che i sui gli avevano tenuto nascosto, si trova in difficoltà ad affrontare le angherie della vita, senza il supporto dei genitori, cercando rifugio nel mondo di cartapesta che gli hanno costruito. Hetfield è nel centro di una difficile battaglia, che da una parte vede l'amore verso chi lo ha messo al mondo e cresciuto, dall'altra l'odio verso coloro che hanno tenuto nascosto i reali aspetti della vita. Comunque sia Hetfield si è fatto una corazza ed è riuscito a sopravvivere in quell'Inferno che i suoi gli hanno sempre tenuto nascosto; tutta quella rabbia accumulata poi nelle vesti di "tintore" (una metafora probabilmente della sofferenza del giovane James), venne messa sotto forma di musica quando egli incontrò Lars ed iniziarono a provare e comporre insieme, i suoi demoni non lo hanno mai abbandonato. In chiusura di album i nostri ci deliziano con un brano che rievoca le vecchie sonorità degli esordi, come se volessero lanciare un emblematico messaggio che recita "questa è l'ultima volta che sentirete i Metallica suonare dell'energico e genuino thrash metal".

Conclusioni

Avevo promesso delle scuse nei confronti di Jason Newsted, a causa delle continue lamentele inerenti la sua "non presenza" sui brani di questo attesissimo ..And Justice For All. Che fosse un bassista molto preparato tecnicamente non credo che ci sia bisogno di sottolinearlo, basti vedere il mitico debut album dei Flotsam and Jetsam e le soddisfacenti prestazioni sull'EP "The $5.98 E.P.: Garage Days Re-Revisited", una raccolta di cover che originariamente svariavano fra l'hard rock ed il punk, rivisitate in chiave Metallica, pubblicato proprio per presentare al pubblico il nuovo bassista. Si poteva pensare al fatto che non sentiva suoi i brani, visto che per quanto riguarda le composizioni figura solo nel brano di apertura Blackened. Poteva soffrire di una possibile inferiorità psicologica nei confronti dell'immenso Cliff Burton, oppure un'altra possibile causa potrebbe esser il fatto che suona sempre all'unisono con le chitarre, dalle quali viene oscurato, o semplicemente che i Metallica non avessero fiducia nelle sue capacità. Ma niente, tutte queste ed altre svariate ipotesi non trovano un riscontro valido. E allora dove sta la verità? Mi chiederete voi. Che ci crediate o no, la colpa è tutta e esclusivamente di quel simpaticone di Lars Ulrich. Dopo aver lavorato gomito a gomito con Flemming Rasmussen, Steve Thompson era riuscito ad ottenere un ottimo prodotto, livellando in maniera ottimale le chitarre ed il basso e avvicinandosi al sound della batteria che desiderava sua maestà Ulrich. Dopo aver avuto l'ok dai due chitarrista, il povero Thompson si scontrò duramente con il batterista danese, che ovviamente non era contento del suono della batteria. Per enfatizzare il suono del drum set, ordinò che le linee di basso fossero abbassate al minimo sindacabile, ovviamente contro il parere dell'addetto al mixer. Una volta ascoltato il prodotto finale, Lars disse lapidario: "bene, ora abbassale di altri cinque decibel". Il tutto all'insaputa del povero Jason, che ha scoperto il misfatto solo al momento dell'uscita dell'album, ingoiando a suo malgrado il rospo, in fondo era pur sempre nei Metallica, anche se il suo ingresso è stato più che traumatico, dovendo sopportare gli scherzi e le ragazzate dei ragazzacci californiani, oltre ai continui paragoni con Cliff Burton, che fra l'altro è sempre stato considerato da Jason come uno dei migliori bassisti del Pianeta. E a testimoniare ciò che ho appena scritto esiste una prova reale e tangibile. Basta andare su You Tube, digitare nella stringa di ricerca "?And Justice For Jason" e come per magia vi apparirà il quarto album dei Metallica con le linee di basso come erano state partorite ed eseguite dal povero Newsted. Come per magia le sferraglianti sonorità del drum set tanto care a Lars Ulrich vengono spazzate via, confezionando un disco che si avvicina molto ai capolavori Ride The Lightning e Master Of Puppets. Logoro da ricevere per anni e anni le critiche a causa dell'assenza delle linee di basso sull'album, Steve Thompson ha deciso di remixare il disco come in realtà lo voleva lui, e di rendere pubblico il prodotto ottenuto. E non potete essere che concordi sul fatto che vi sembrerà di ascoltare un altro disco. La tribolata produzione ed i capricci del batterista e fondatore danese sono gli unici difetti che possiamo trovare nel successore di Master Of Puppets. In origine, vista la momentanea indisponibilità dello storico produttore Flemming Rasmussen, la scelta cadde su Mike Clink, che aveva attirato le attenzioni della band grazie all'ottimo lavoro svolto sul monumentale Appetite For Destruction. Ma sin dai primi giorni le cose non funzionavano ed i Metallica non erano contenti dell'operato del produttore statunitense. Decisero di aspettare, e contattarono nuovamente Flemming Rasmussen, che in passato aveva portato i Metallica nell'olimpo del metal con i capolavori Master Of Puppets e Ride The Lightning. Il primo compito del nuovo produttore fu quello di regolare le sonorità delle chitarre, ovvero il punto di discordia con Mike Clink, che alla fine risulterà comunque negli accrediti come tecnico del suono della batteria. Per confezionare un prodotto memorabile, Rasmussen e i Metallica si sono avvalsi della collaborazione di una nutrita schiera di collaboratori e tecnici del suono, fra i quali spiccano il già citato Steve Thompson e Michael Barbiero dietro al mix, Bob Ludwig in fase di masterizzazione. Durante le sessioni il povero Jason Newsted fu abbandonato solo a se stesso, addirittura lui registrava di giorno, seguito da un solo tecnico del suono, mentre gli altri registravano di notte con il produttore Flemming, Rasmussen e la sua folta schiera di tecnici. Nessuno si curava di cosa e in che maniera suonasse. Jason è convinto che se ci fosse stato Cliff, con il suo carisma le cose sarebbero state del tutto diverse, ma lui era l'ultimo arrivato e si limitava a fare ciò che gli era chiesto, cercando di farlo nel miglior modo possibile. Registrato fra il 28 Gennaio ed il primo Maggio del 1988, presso gli One on One Recording Studios di Los Angeles, ?And Justice Far All è venuto alla luce il 25 agosto del medesimo anno, distribuito dalla label Elektra. La copertina è stata disegnata da Stephen Gorman, sotto le direttive di James Hetfield e Lars Ulrich. Su uno sfondo in marmo troviamo la scultura che rappresenta la Dea Bendata, simbolo della giustizia, tenuta in piedi da una serie di tiranti, mentre dei dollari cadono dalla bilancia, sottolineando che la legge "dovrebbe" essere uguale per tutti, ma che purtroppo tende andare verso chi è in grado di comprarla con dello sporco denaro. In basso troviamo il titolo dell'album, a caratteri irregolari in stampatello che ricordano una scritta con la bomboletta spray. In alto gigantesca il logo Metallica, incastonato nel marmo e di un bel verde fluorescente. Dopo una fallimentare prima pubblicazione in un singolo vinile, che ne penalizzava le sonorità a causa dei ben 65:29 minuti di musica, è stato prontamente ristampato in una più consona versione a due vinili, senza portare modifiche alla track list originale. James Hetfield è il fautore di tutte le liriche ed il compositore principale, coadiuvato da Ulrich e Hammett. E' giunta l'ora di tirare le somme per quello che per chi scrive è l'ultimo album dei Metallica (ho ancora i brividi se penso che in occasione del Metallica By Request del 2014, un brano storico come The Four Horsemen fu surclassato da Fuel, con tanto di ironico commento da parte di Hetfield).  Raggiungere il fascino di Ride The Lightning o la perfezione di Master Of Puppets era un'impresa ardua. La combo californiana comunque riesce a confezionare un album degno di nota, miscelando tecnica, melodia e potenza, con qualche leggera venatura progressive che fa capolino su un paio di tracce. Uno dei brani migliori dell'album è One, una power ballad che cerca di ripercorrere i fasti di Fade To Black. Pur non raggiungendone la magnificenza, sin dai primi ascolti è entrata immediatamente nel cuore dei fans, ed ancora oggi raggiunge il massimo in sede live, bombardandoci di emozioni grazie agli splendidi giochi con i laser e le luci. One segna anche l'ingresso dei Metallica nel mondo dei videoclip. Altre tracce che emergono sono la mastodontica title track e l'ossessiva Harvest Of Sorrow, ma la vera perla è senza ombra di dubbio la melanconica strumentale To Live Is To Die, dove emerge la sapiente mano compositiva del immenso Cliff Burton. Come era facilmente immaginabile, l'album non riesce ad avvicinarsi alla magnificenza dei due precedenti capolavori, ma se Lars Ulrich non avesse messo il suo malefico zampino in fase di mixaggio, il gap sarebbe risultato sicuramente più ridotto.

1) Blackened
2) ..And Justice For All
3) Eye Of the Beholder
4) One
5) The Shortest Straw
6) Harvest Of Sorrow
7) The Frayed Ends Of Sanity
8) To Live Is To Die
9) Dyers Eve
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