MEGADETH

Train Of Consequences

1994 - Capitol Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
05/07/2018
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione

Dopo la pubblicazione dell'album "Youthanasia" nel 1994, i Megadeth intrapresero il consueto cammino promozionale di quel lavoro con una serie di singoli paralleli ad esso, il primo dei quali fu "Train of Consequences", in modo da instillare subito nei fan la sempre più convinta conferma che Dave Mustaine e soci, nonostante l'evoluzione stilistica intrapresa, fossero ancora non solo vivi e vegeti ma anche pronti a combattere nuove battaglie. Come abbiamo già avuto modo di appurare, gli anni Novanta rappresentarono per la band americana la decade dello snodo più marcato dal punto di vista stilistico: dopo un esordio corrosivo atto unicamente ad esprimere tutto l'astio del giovane thrasher il cui sangue ribolliva ancora per il licenziamento dai Metallica, il sound della sua nuova creatura passò gradualmente da un Thrash Metal old school ad un qualcosa di notevolmente più personale, tecnico ed assolutamente convincente (non è un caso se "Rust in Peace" del 1990 è ancora oggi considerato tra i migliori lavori dei Megadeth, se non addirittura il migliore in assoluto); esso cambiò ulteriormente, ammorbidendo leggermente il proprio marchio di fabbrica e facendo conseguentemente storcere il naso ai seguaci più rigidi, per arrivare ad un Thrash particolarmente intriso di Hard Rock che allo stesso tempo decuplicò il numero di fans della band simboleggiata da Vic Rattlehead. Medagave non è più un ragazzino, ma un uomo ben conscio del proprio vissuto e di ciò che vuole ottenere dalla vita e benchè il futuro si confermi sempre l'incognita per eccellenza, la sua musica ora parla non solo di lui ma anche del mondo che lo circonda e l'all'epoca nuovo album dei Megadeth ne era una prova lampante fin dal titolo: "Youthanasia", una efficace crasi che fonde la parola "youth" ("gioventù") con eutanasia, creando così quel suicidio assistito di cui ormai i giovani hanno bisogno, quasi come una cura preventiva al male e alla corruzione che funesterà le loro esistenze nel futuro prossimo. Un messaggio cinico, acre e volutamente cacofonico nelle orecchie dei ben pensanti, ma a Mustaine non importava di ciò; sulla sua musica i bigotti ne hanno dette di tutti i colori e se non si scoraggiò mai in precedenza non era certo quello il momento di iniziare. Quella donna intenta a stendere dei bambini quasi fossero dei panni da far asciugare al sole esprimeva senza tanti fronzoli il pensiero di un artista che nel corso della sua vita entrò ed uscì dall'inferno diverse volte ed il linguaggio non poteva essere più schietto: "la vita è uno schifo, ai nostri giovani il futuro non riserva altro che delusioni, tanto vale che richiedano l'eutanasia e smettano di vivere in quello stato di oblivio comatoso in cui li hanno messi le false speranze". Ora la marcia oltranzista del gruppo prosegue con il singolo "Train of Consequences", che uscì a ridosso del full lenght, esattamente nove giorni dopo. Esso contiene quattro brani, due registrati in studio e due ripresi dal vivo, mantenendo dunque la formula, ormai rivelatasi vincente, del connubio tra edito e bootleg per fornire ai fan una panoramica ad ampio raggio di che cosa fossero i Megadeth nel 1994. Il concetto della titletrack si conferma anch'esso come prova del cinismo imperante nella concezione del rosso thrasher, il treno delle conseguenze è un'immagine efficacissima per esprimere un concetto che possiede tanto di ovvio quanto di filosofico: l'uomo è responsabile delle proprie azioni e ad ogni gesto che compie egli si pone sui binari dell'esistenza, sta a lui agire in modo tale da sapersi spostare al momento opportuno oppure venire travolto dal treno delle consequenze di ciò che ha fatto e dalla sua folle corsa. Altrettanto eloquente è poi la copertina, in cui si vede un particolare di un vagone dai cui vetri traspaiono le sagome di tre passeggeri dai volti non chiaramente riconoscibili (uno di essi è proprio copert dal montante della carrozza ferroviaria), ma dalle cui espressioni si legge un senso di malsana follia e rassegnazione; essi sono infatti consapevoli di ciò a cui il loro operato li ha condotti ed una volta saliti sul treno si preparano ad intraprendere il loro ultimo viaggio, dato che il veicolo, una volta raggiunta la velocità massima, andrà a deragliare e schiantarsi rovinosamente, perchè è questo che in fondo fanno le nostre azioni: le bugie e le mosse subdole si concatenano tra loro, tessendo così la fila dei vagoni del treno delle nostre conseguenze; subito il nostro agire sembra muovere a nostro vantaggio ma si è anche soliti dire che le bugie hanno le gambe corte e proprio nel momento in cui i nostri misfatti vengono scoperti ecco che il treno si schianta facendoci sbattere ripetutamnte contro le pareti del convoglio per poi lasciarci esanimi a terra. Dave Mustaie non sarà certo un santo, ma a seguito del suo vissuto torna tra noi come un superstite di quel disastro ferroviario che è stata la parte più buia della sua esistenza: dopo aver abusato della droga e dell'alcool infatti è salito sul treno fino allo schianto e ha visto il suo sangue macchiare i vetri, ma non è morto, è riuscito a salvarsi e ora, con questo singolo, ci mette davanti agli occhi la velocità a cui può arrivare il treno delle conseguenze.

Train Of Consequences

Partiamo proprio con la titletrack, "Train Of Consequences" ("Il Treno Delle Conseguenze"), e lasciamo che sia il cinismo di Megadave a legarci sui binari. L'audio è avviato dai quattro colpi delle bacchette di Menza che tengono il tempo, attorniate da un silenzio straniante, e poi ecco partire immediatamente granitico il riff di apertura, una sequenza sincopata di palm muting che come un seghetto raschia sul metallo delle corde facendoci percepire subito la ruvidità della distorsione utilizzata. L'efficacia strutturale della composizione è ottenuta grazie ad un efficace crescendo, che dalla sola chitarra passa alla sei corde stoppata accorpata al basso e alla batteria lineare per poi aprirsi con un più ampio respiro. Questa successione non solo rende particolarmente suggestivo tutto lo scorrere del pezzo ma ci consente di immaginare il treno in partenza proprio davanti ai nostri occhi; non immaginate però un treno moderno, bensì uno di quelli trainati dalla locomitiva a vapore come andava in voga nell'Ottocento: la chitarra zoppicante rappresenta metaforicamente gli sbuffi di vapore che escono dalla ciminiera del mezzo, il motore lentamente si avvia e le ruote iniziano a girare, con la strofa il convoglio è ormai in marcia, seppur con qualche esitazione, ma è con l'arrivo del ritornello che possiamo ammirare questo magnifico mostro (per citare il Carducci) nel massimo vigore della sua possanza, che inesorabilmente avanza verso la sua tragica destinazione. Come auspicabile, il main riff, pur nella sua semplicità, mette in risalto tutto l'estro creativo e la perizia esecutiva dei due axemen, che sapientemente legano fra loro il palm muting ed il pull off al fine di rendere il tutto fluidissimo e scorrevole, ma il ruolo del leone lo gioca la sezione ritmica, con Ellefson e Menza che conferiscono al brano un groove decisamente catchy e di facile impatto. "Train Of Consequences" è una canzone che esemplifica perfettamente la svolta melodica intrapresa dai Megadeth negli anni Novanta; è vero, il Thrash Metal degli esordi resta un po' in sordina, ma la potenza e la qualità ci sono tutte, anche se in un brano che non ha fatto alcuna fatica a trovare lo spazio per i più commerciali passaggi in radio. Chi meglio di una persona con problemi di gioco d'azzardo potrebbe esprimere meglio la fatalità delle conseguenze trainate dal treno? Il protagonista del testo infatti, attraverso la sapiente narrazione in prima persona di Megadave, è pienamente consapevole di ciò che conseguirà al suo stile di vita ma non se ne cura, perchè la sua febbre del gioco è troppo alta. Egli va di porta in porta a chiedere soldi in prestito per poter scommettere, con la vana promessa che la fortuna gli consentira di decuplicare quella cifra e gli permetterà di restituire ai suoi creditori un importo più alto di quello iniziale, quasi fosse un bonus per il disturbo del prestito. Sembra quasi che questo malcapitato ci faccia un favore a prendere i nostri soldi e non sente il benchè minimo rimorso nel chiederli, dovrebbe essere dispiaciuto del suo comportamento, ma il mondo delle scommesse lo ha talmente abituato ad essere un doppiogiochista ipocrita che non si fida più nemmeno dei suoi pensieri. Non abbiamo più davanti agli occhi un essere umano, ma un avanzo di carne letteralmente divorato dai suoi stessi rimorsi e dalla sua assuefazione, è consapevole di essere salito a bordo del treno, ma non se ne preoccupa, lo schianto è inevitabile ma ne accetta le conseguenze. A svolgere il ruolo di filo conduttore di questa traccia resta il dinamismo, sia a livello musicale, con i quattro thrasher che suonano sempre compatti e decisi in ogni passaggio, sia a livello lirico, dove abbiamo modo di immaginarci questo reietto vagabondare in ogni dove ad elemosinare qualche soldo da poter scommettere e successivamente mentre fugge dagli strozzini. I soldi scorrono via velocissimi dalle sue mani, veloci come i cavalli su cui scommette, che però non corrono abbastanza per poterlo far vincere; il senso del pericolo lo assedia continuamente, ogni nuovo giorno porta con sé nuovi pericoli, con eventuali creditori che potrebbero presentarsi alla sua soglia per farlo fuori e questa scena di degrado viene cantata da Mustaine attraverso uno stile vocale particolarmente suggestivo: arrabbiato e digrignato nelle strofe, come se egli stesso rimproverasse lo scommettitore, più melodico e cantilenato nel ritornello, ulteriormente sostenuto da un efficace arpeggio di chitarra distorto, che rende questo passaggio una specie di filastrocca di rimprovero. I fondi si sono esauriti, i soldi sono a zero e le persone che lo cercano aumentano; il protagonista ha fatto i bagagli ed è salito sul primo treno verso Ovest, ma in realtà quel treno porta con sé anche tutte le conseguenze delle sue azioni e presto gli sarà presentato lo scotto da pagare.

Crown Of Worms

Di seguito troviamo "Crown Of Worms" ("Corona Di Vermi") a completare la metà del singolo riservata ai brani registrati in studio, essa rappresenta una vera chicca per i fan dei Megadeth in quanto è una bonus track contenuta nella versione giapponese di "Countdown To Extinction". Da questa scelta si vede anche l'astuzia della Capitol Records, che centellinava il materiale bonus ora in questa ora in quell'uscita destinata via via in diverse parti del mondo a scaglioni diversi, in modo che potenzialmente ogni contenuto potesse essere presente in tutto il globo su supporti diversi. Fin dall'apertura della canzone i fan della vecchia scuola del Thrash alzeranno al cielo le loro corna; Megadave e soci si lanciano in una suite ispirata puramente ai fasti del loro grandioso passato, aprendo il pezzo con un main riff che puzza di anni Ottanta in ogni suo passaggio: secco, sincopato e diretto, una creazione ideale per iniziare a dar spallate a destra e a manca senza pensarci troppo. Pur essendo, come abbiamo detto, nella decade della svolta stilistica per la band, Dave Mustaine e soci, con questo brano, dimostrano come la loro gloriosa tradizione sia sempre presente e vivida nella loro memoria, la canzone scorre infatti dritta e lineare senza particolari cambi, andando quasi a cozzare con la ricercatezza stilistica ed il lavori di fino nell'arrangiamento dei dischi più recenti, eppure ecco perchè i Megadeth sono una band immortale, perchè riescono sempre a stupirci. Questa traccia in partiolare sembrerebbe uscita da "Peace Sells..." se non addirittura dal debut "Killing is My Business..." e invece no, sono i quattro americani che ripercorrono la loro storia con un risultato che soprende e soddisfa tutti senza rimorsi, perchè in questi tre minuti e diciannove secondi c'è tutto ciò che un fan della band vuole: energia, linearità, tecnica e impatto. Fin dai primi istanti infatti il gruppo parte coeso e grintoso, dandoci la proverbiale mazzata in faccia che tutti noi vogliamo ricevere da un pezzo thrash ed il main riff, strutturato sulle alte tonalità, ci riporta indietro di dieci anni, a quando nel genere non venivano ancora usate le accordature ribassate. A spingere ulteriormente il tutto, oltre alle asce di Mustaine e Friedman è poi il basso di Ellefson, che puntualmente completa la gamma di frequenze sostenendo il tutto con un sound caldo e secco, lanciandosi anche in delle spettacolari armonizzazioni che escono provvisoriamente dai binari dello standard per dare un ulteriore tocco di colore alla composizione, ma qual'è il vero motore di questa macchina da guerra? Ovviamente la batteria di Nick Menza, un tupa tupa semplice ed inarrestabile che segue fedelmente i colleghi in ogni passaggio. Per quanto riguarda la voce inoltre, lo stile vocale di Megadave resta fedele al proprio trademark, spiccando per il suo timbro alto e nasale che rende immediatamente riconoscibile la voce del rosso thrasher per poi chiudersi in un digrignato sprezzante che sembra far esclamare al musicista che non gliene frega niente se il suo modo di cantare mina le fragili orecchiette di qualche ascoltatore dal palato morbido, questo è e questo si beccano. La struttura del pezzo, come abbiamo detto, si presenta molto lineare, il che significa che "Crown Of Worms" riuscurà a far breccia nel nostro cuore in poco tempo, restandoci subito in testa grazie al suo tiro coinvolgente e sempre ad altissimi giri di tachimetro. Il testo appare immediatamente spavaldo e diretto: Dave Mustaine veste ora i panni di un moderno Dioniso, un dio sceso in terra tra gli uomini ed immediatamente disgustato dalla loro inferiorità; egli decide di vivere la sua esistenza divina in disparte rispetto all'umanità, beandosi della sua superiorità che lo rende potenzialmente l'elisir attraverso cui curare ogni male umano. Regnando nella sua fortezza condurrà le sue giornate come il dio Bacco, ubriacandosi con i più dolci liquori fino al momento della sua trionfale caduta autoinferta. Siamo di fronte ad una lirica particolarmente criptica ed onirica per certi versi, nella quale è possibile cogliere un metaforico rimando al Mustaine dedito ai più malsani eccessi che consapevole del suo genio alimenta la sua vena artistica con alcool e droghe. Questo atteggiamento ribelle però nasconde una ferma consapevolezza che questo narcisismo sarà destinato a concludersi con un calvario finale, una passione che come quella di Cristo ridurrà questo dionisiaco individuo a soffrire fino all'ultimo della sua stessa eccelsa entità, con la fronte ferita da una corona che non possiede spine, come quella che fu messa a Gesù, ma vermi, accentuando ancora di più il senso di putrefazione verso il quale andrà in contro il protagonista. In un gesto di supremo orgoglio, nell'ultimo istante, sarà proprio lui a porgerci la sua corona prima di chiudere per sempre gli occhi, quasi compiendo una specie di penitenza per la sua unica colpa, quella di essere superiore a tutti. La consapevolezza di ciò che è si rivela quindi contemporaneamente la sua più grande gloria e la sua rovina, evidentemete questo Bacco non è ancora pronto per potersi integrare fra gli uomini.

Peace Sells... But Who's Buying?

Passiamo ora al versante dei brani live con "Peace Sells...But Who's Buying?" ("La Pace Vende... Ma Chi Compra?"), la titletrack del leggendario secondo album dei Megadeth qui presentata nella versione dal vivo, registrata durante lo show che la band tenne al Cow Palace di San Francisco il 4 dicembre del 1992. Come di rito per ogni registrazione dal vivo, ad avviare l'audio è l'ovazione del pubblico, Mustaine e soci hanno infiammato gli astanti con il loro Thrash e poiché stiamo parlando di una traccia che divenne subito fra le migliori del repertorio, Megadave non proferisce parola, ma lascia che sia il basso di Ellefson a parlare lanciandosi subito nel famoso giro di note. La reazione dei presenti ovviamente è a dir poco elettrica e dopo la gran cassa di Menza a tenere il tempo ecco che tutto il pezzo prende forma, trascinandoci letteralmente nella mischia di quel concerto. Stiamo parlando di un pezzo che ha fatto la storia del Thrash ed immancabilmente la band lo suona con tutta la grinta che si richiede, i quattro infatti eseguono la composizione a velocità decisamente maggiore rispetto al disco, ma ciò rende "Peace Sells..." un vero e rproprio carro armato in corsa. Con lo start della strofa possiamo subito apprezzare il tiro conferito da Menza alla sua parte, il quattro quarti che in origine fu suonato da Gar Samuelson rivive qui con tutta la potenza degli arti del batterista di origine tedesca; ci sono solo cassa, charleston e rullante a tenere il tempo, eppure ogni colpo emerge potente e deciso come lo sparo di un cannone, un espedinte perfetto per farci letteralmente godere con la potenza dei Megadeth. Ellefson nel mentre continua a dettare legge con il suo quattro corde, che si rivela un perfetto centro tonale del pezzo, nonché le fondamenta ideali per il lavoro delle chitarre di Mustaine e Friedman, tanto granitiche sulla strofa e sui vari passaggi quanto morbide e limpide nei frangenti solisti. A rendere particolarmente di pregio questa traccia live è la qualità della registrazione del pezzo: tutti gli strumenti sono stati ripresi sia sigolarmente tramite la microfonatura ad hoc per la necessità, regalandoci un audio pulito e compatto, che viene a sua volta sostenuto ulteriormente con quanto registrato poi dai microfoni panoramici; la somma di queste due fonti ci riporta dunque la canzone in tutta la sua potenza e pulizia a dir poco chirurgica, alla quale la post produzione seguente ha conferito poi la proverbiale ciliegina sulla torta. Non è certo una novità che i Mgadeth siano musicisti dall'altissima caratura tecnica, soprattutto negli anni Novanta, quando al fianco di Mustaine vi erano Ellefson, Friedman e Menza che sono rintenuti all'unanimità la formazione migliore mai avuta dalla band: la loro pulizia e precisione eseutiva viene ulteriormente valorizzata da un mixaggio finale che fa di questo brano live un prodotto ideale per un singolo, una diamante grezzo, ma nemmeno tanto, che finemente limato si presenta in tutto il suo splendore e lo rende in grado di trasportarci con la mente a quella sera del 92. Il testo di questa canzone rappresenta una delle critiche più aspre di Mustaine alla logica del governo statunitense: il rosso Thrasher, con queste frasi, si difende dalle critiche di un ben pensante ed attraverso una serie di risposte al vetriolo arriva poi ad evidenziare quella che è la grande ipocrisia degli Stati Uniti, quella di "vendere" la pace agli altri paesi attraverso le guerre, ma la pace di per sé non viene comprata da essuno, perchè ad alimentare le casse vi sono unicamente i proventi delle armi e delle operazioni militari. La prima porzione di pezzo, sostenuta da un quattro quarti incalzante con le chitarre in palm muting, si snoda attraverso un claustrofobico botta e risposta: "Che vuol dire che non credo in Dio?" ribatte Mustaine, "Se parlo con lui tutti i giorni", il fatto che non si creda nello stesso dio non significa che la società debba dividersi tra fedeli e miscredenti, Mustaine parla con un dio che però non necessariamente deve essere quello della fede cattolica; l'interrogatorio poi prosegue, gli viene detto che non supporta il sistema americano, eppure va in tribunale ogni volta che deve, viene accusato di non arrivare al lavoro in orario, peccato che non abbia nulla di meglio da fare perchè un disoccupato e perchè si pensa che non paghi le bollette? Deve essere necessariamente al verde? Ma ecco che arriva lo snodo tematico con il primo break della canzone. Se c'è un modo attraverso cui Mustaine possa cambiare le cose in meglio sarà felice di mettersi in prima linea per svolgere al meglio tutto il necessario, ma bisogna che gli venga detto cosa fare e soprattutto che non sia l'ennesima balla ma che sia una soluzione che funzioni. La critica si fa sempre più serrata, viene accusato di urtare i sentimenti, ma come può offendere persone come i bigotti, che sentimenti non ne hanno? "Non sei il tipo di persona ideale", si sente dire, "non sono il tuo tipo di eprsona ideale" risponde fermamente. Gli viene detto che potrebbe essere il nuovo presidente degli Stati Uniti, ma vediamo se chi lo afferma si ricorda ancora come si apre la Costituzione americana. Ecco come Mustaine mette in evidenza l'ignoranza dei governanti attraverso delle rapide stoccate, si sciacquano la bocca di tante belle parole, ma non conoscono nemmeno le basi di quelle idee che decantano e si evidenzia la loro ipocrisia. Si parla della pace, di quanto sia bello un mondo di armonia, ma quella che vendono è una pace falsa e malata, che nessuno comprerà mai.

Anarchy In The U.K (Sex Pistols Cover)

Il singolo si chiude con un altro brano dal vivo, la celebre cover di "Anarchy In The U.K." ("Anarchia Nel Regno Unito"), ed essendo i Megadeth americani, la loro versione venne ribattezzata "Anarchy In The U.S.A" per mantenersi ancora più coerenti. Il legame che lega il Punk al Thrash Metal è saldato da una catena che rende il primo una sorta di "predecessore" del secondo: se il livello tecnico fra questi due mondi è diametralmente separato, essi sono però riuniti ed accomunati da un grande elemento fondamentale: la rabbia. Tanto i Sex Pistols quanto i Megadeth infatti provavano un odio viscerale per i loro rispettivi governi ed il connubio nato attraverso la rivisitazione di questo celebre brano non può far altro che riprendere ed evolvere questo discorso. Siamo nella Londra del 1977, quattro ragazzi nichilisti e privi di qualsivoglia stimolo a conformarsi danno alle stampe un album destinato a fare la storia "Nevermind The Bollocks", nel quale spicca appunto "Anarchy In The U.K", una vera e propria dichiarazione di guerra verso sua maestà e la tradizione britannica che si guadagna immediatamente la censura e le più feroci critiche. All'epoca dietro al microfono vi era un poco dotato Johnny Rotten, che compensava le sue lacune canore con il celebre travaso di bile che lo rese uno dei frontman più ribelli di tutto il mondo della musica; ad accompagnare questo j'accouse dalle tinte stradaiole vi erano poi Steve Johnes alla chitarra, Glen Matlock al basso (sarà infatti lui a registrare materialmente il brano per poi essere sostituito da Sid Vicious solo in seguito) e Paul Coock alla batteria. Questa canzone è cruda, diretta e schietta tanto quanto i ragazzi che la suonano, e seppur nella sua scarsissima tecnica, sarà proprio questo brano a rendersi il simbolo universale dell'anticonformismo. Nella decade successiva, essa viene ripresa da un giovane altrettanto arrabbiato, Dave Mustaine, che pur appartenendo ad una scena musicale diversa decide di recuperare e far sue quelle note attraverso la sua personale rivisitazione; quello che ne esce è un'evoluzione all'ennesima potenza di quella traccia, il livello tecnico dei musicisti è superiore ed ecco che in fase di riarrangiamento i Megadeth letteralmente "ricreano" la canzone. Il tempo di batteria, i riff di chitarra e la linea di basso non vengono stravolti ma semplicemente arricchiti e migliorati, in modo che comunque non venisse snaturato quello che doveva essere il sapore di acido solforico che "Anarchy In The U.K." deve obbligatoriamente avere. La versione in studio di questa cover, contenuta nel terzo album dei thrasher americani intitolato "So Far, So Good...So What!" risultò pienamente riuscita, tanto da essere apprezzata anche dai metallari più esigenti che probabilmente ebbero lo stimolo per andare a rispolverare quel vecchio album dei Pistols, ma è dal vivo che essa ci travolge come un fiume in piena, colpendoci con la furia di tutti i ribelli che popolavano i sobborghi della Bay Area. Siamo sempre in quel di San Francisco, il 4 dicembre del '92, e i Megadeth decidono di chiudere la loro esplosiva performance con un omaggio alla storia del Punk. Megadave e soci naturalmente partono in quarta, decuplicando i bpm della vesione originale. Anche i suoni sono decisamente più grossi e potenti e l'immancabile dislivello tecnico consente agli americani di suonare molto più fluidi e precisi dei colleghi inglesi, ma pur essendo immancabilmente più ferrati, gli autori di "Youthanasia" riescono a farci percepire tutto il sudore e l'odore di birra calda che si poteva percipere ad un concerto di Johnny Rotten e compagni. Come il frontman inglese, anche Mustaine si immedisima nel celebre energumeno anarchico ed anticristo che già dall'apertura del testo conferma la grande contraddizione del Punk: "non so cosa voglio, ma so come ottenerlo", perchè i punk inglesi erano semplicemente arrabbiati con tutto, avevano bisogno di tirar fuori tutto l'odio che avevano dentro ma verso un nemico che non sapevano nemmeno come definire con precisione. La soluzione definitiva? L'anarchia, la massima espressione del rifiuto di ogni autorità. Se il governo fa schifo non bisogna cambiarlo, bisogna semplicemente eliminarlo ed ecco che l'anarchia un giorno verrà, in Inghilterra come negli Stati Uniti, e si diffonderà l'assoluta mancanza di leggi che condurrà il mondo all'autodistruzione, perchè è questo che in fondo i Sex Pistols volevano, l'autodistruzione della società come massimo apogeo del nichilismo che infiammava i loro cuori ed ecco che quel grido di autodeterminazione "voglio essere anarchico!" urlato prima da Rotten ed ora da Mustaine rivive attraverso questo estratto live da cardiopalma. Possiamo esser certi che se questa canzone fosse stata scritta dai Megadeth, avrebbe avuto un impatto ugualmente devastante, se non di più, di quanto non fece la versione originale contenuta in "Nevermind The Bollocks".

Conclusioni

Il singolo di "Train Of Consequences" si rivela senz'altro un prodotto accattivante per i fan dei Megadeth di tutte le epoche. La sua uscita a brevissima distanza dal full lenght a cui è legato lascerebbe intendere che i contenuti siano rivolti ai seguaci più recenti della band americana, eppure, in queste quattro canzoni anche gli ammiratori di vecchia data del gruppo possono trovarvi un contenuto succoso ed appetibile. Innanzitutto, la titletrack, che paradossalmente si rivela "il punto debole" della scaletta, ci offre un delicato assaggio di che cosa bolliva nel calderone dei Megadeth in quegli anni; ci troviamo per le mani un brano molto più leggero ed Hard Rock rispetto a quello a cui Dave Mustaine e soci ci avevano abituati, ma si tratta sempre di un qualcosa di fresco ed innovativo all'interno del sound complessivo della band. È pur vero che in un ambito come l'Heavy Metal o si ha il coraggio di sperimentare nuove soluzioni per rinnovare la propria arte, con il 50% di possibilità di avere successo e stupire i fan in positivo oppure di dare alla luce qualcosa di poco convincente se non pessimo, oppure si prende la via più facile, quella di non discostarsi mai da quanto fatto con il proprio esordio. Ma si sa, il pubblico è volubile ed anche in questo secondo caso si rischierebbe di essere criticati di fare sempre dischi tutti uguali. La verità sta quindi nel mezzo, in quello spiraglio che intercorre tra la fedeltà al proprio passato, e nel caso dei Megadeth la gloria passata è decisamente immensa, e la volontà di creare qualcosa di nuovo ed evoluto. Gli anni Novanta hanno rappresentato per i Megadeth la decade della svolta, ma più a fondo, si potrebbe dire che in quegli anni il gruppo si è giocato tutto, compiendo una scelta coraggiosa che può aver stupito come no, ma che merita comunque tutto il rispetto verso chi si è messo in gioco mettendo sé stesso sul piatto, quasi porgendo la testa alla ghigliottina della critica con fare spavaldo. Mustaine voleva cambiare, voleva dare ai fan una musica nuova e se la lama gli avesse mozzato la testa o si fosse fermata poco prima del so collo poco gli avrebbe importato, lui è fiero di ciò che ha pubblicato e questo ci deve bastare. "Train Of Consequeces" è un brano diverso, questo è sicuro, ma che comunque stupisce in positivo grazie alla sua geniale semplicità: una linea catchy ed una struttura orecchiabile, nulla di più, che subito sembra lasciarci indifferenti, ma che poi ci sprona ad ascoltarla ancora e ancora. Con "Crown Of Worms" il discorso si fa più semplice: un brano assolutamente convincente sotto tutti i punti di vista, anch'esso di facile approccio e diretto e proprio per questo un must per tutti i fan dei Megadeth.Come abbiamo detto, questa canzone potrebbe essere contenuta anche in uno dei primi dischi del gruppo, eppure Megadave e soci hanno fermamente ribadito che anche se il sound stava cambiando non hanno mai perso di vista quel Thrash genuino e squisitamente sanguigno che li ha lanciati nella mischia della grande ondata thrash della Bay Area insieme a Metallica, Slayer e via dicendo. Ma giungiamo ora ai due brani live, un giudizio schietto? Semplicemente devastanti. La scelta di includere "Peace Sells... But Who's Buying" e "Anarchy In The U.K" si rivela azzeccatissima per rendere il singolo interessante per i fan. Si tratta di due pezzi provenienti da due dischi diversi, che apparentemente quindi non sembrerebbero avere nulla in comune fra loro, eppure, anche a causa del fatto che sono presi dallo stesso concerto, essi si ascoltano uno dietro l'altro con assoluta disinvoltura, avendo poi modo di apprezzarne la squisita qualità audio. Anche in questo caso dunque, i Megadeth promuovono il loro album dando la priorità al prodotto più fresco, quasi come un audace antipasto, al quale si accompagnano però le successive portate, decisamente più succulente, che ci ribadiscono la fiera tradizione culinaria (e sonora) dal quale arrivano questi brani.

1) Introduzione
2) Train Of Consequences
3) Crown Of Worms
4) Peace Sells... But Who's Buying?
5) Anarchy In The U.K (Sex Pistols Cover)
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