MEGADETH
Symphony Of Destruction
1992 - Capitol Records

MICHELE MET ALLUIGI
14/11/2016











Introduzione Recensione
È risaputo che Dave Mustaine sia un musicista al quale non piace stare con le mani in mano, tanto che il 1992 fu un anno che vide i Megadeth prendere d'assalto i negozi di dischi di tutto il mondo con una dose ricca e variegata di pubblicazioni. "Rust In Peace" sta infatti ancora girando nei lettori dei fan di tutto il pianeta, ma onde evitare il rischio che essi rimangano senza la loro buona dose di musica, il gruppo americano diede alle stampe altre due pubblicazioni: innanzitutto il singolo di "Skin O' My Teeth", il cui contenuto nuovo, evoluto ed a tratti fin troppo eclettico gettò le basi per ciò che venne immediatamente dopo, il full length "Countdown To Exctincion", anch'esso recante l'immagine di una nuova band ormai cresciuta e pronta ad evolvere ancora di più la musica di Megadave e compagni. Gli apprezzamenti per il quinto full lenght del gruppo non mancarono ad arrivare, ed è proprio per questo che il ferro andava battuto finchè era caldo continuando a promuovere la nuova uscita con un altro singolo, quello di "Symphony Of Destruction", il cui formato cd uscì in due rispettive edizioni (le più importanti in catalogo), una destinata al mercato europeo ed americano, l'altra destinata agli scaffali giapponesi. Dal Thrash Metal old school nel corso della decade conclusa i quattro americani compirono una crescita non certo di poco conto: il songwriting venne infatti arricchito con gli spunti artistici dei nuovi arrivati in formazione, il batterista Nick Meza ed il chitarrista Marty Friedman, i quali portarono una ventata d'aria fresca nell'estro creativo del frontman e del suo fido scudiero David Ellefson; le stoccate al vetriolo del debutto "Killing Is My Business...And Business Is Good" hanno fatto il loro tempo, i musicisti californiani adesso sono cresciuti e compongono brani più coesi, limpidi e di assoluto impatto, dove la velocità non è più l'elemento fondamentale ma ha lasciato il posto a qualcosa di decisamente più strutturato. È nell'efficacia del singolo riff che ora i Megadeth puntano il tutto per tutto, e ne avremo prova in questo singolo, la filosofia compositiva ora mira ad andare più lenti sfoderando però una sequenza di note che si imprima immediatamente della mente dell'ascoltatore e che gli faccia scuotere la testa dall'inizio alla fine. Anche sul piano lirico, le canzoni scritte da Mustaine riportano ora il pensiero di un axeman più saggio e coscienzioso, che sembra aver seppellito l'ascia di guerra ed il risentimento verso i "traditori" Metallica e quindi, conseguentemente, aver messo da parte quell'odio e quella sete di sangue che furono il principale input di ispirazione del rosso thrasher. A Mustaine il mondo e tutte le sue contraddizioni continuano a far schifo, ma il messaggio adesso ci giunge non più verso una incalzante sequenza di insulti e minacce, bensì attraverso una raffinata serie di passaggi di logica attraverso la quale un determinato argomento viene preso e smontato pezzo per pezzo, si tratti di un viaggio introspettivo oppure di una schifata descrizione dei fatti di ogni giorno. Con una efficace pars destruens, il ragionamento compiuto dal musicista di La Mesa scompone la materia argomentativa della propria arte per poi esporre la propria pars costruens con un fare deciso, concreto e, a tratti quasi profetico. Viviamo in una società dove l'essere umano si atteggia da padrone del globo, ma altro non è anch'esso un ospite, soggetto alle stesse leggi naturali di un qualsiasi animale; ci vantiamo di essere superiori ai parassiti, quando la nostra brama di denaro, il nostro istinto di autoconservazione e la nostra paura di affrontare il pericolo preferendo sempre la fuga al confronto evidenziano invece come siamo assolutamente uguali ai microrganismi da noi tanto schifati. Il concept dell'album, e qui focalizzato sul titolo del singolo in una semplice ma altresì efficace immagine metaforica, mette in luce come l'essere umano sia schiavo di sé stesso, di come il suo stesso sfruttare fino all'ultimo tutte le risorse della Terra lo abbia reso un essere rachitico, ridotto all'osso ed ingabbiato in una prigione da lui stesso costruito, suonando appunto così la sinfonia della propria distruzione. Sulla copertina di "Countdown To Extincion" compariva in fatti un prigioniero magrissimo, trasandato e consumato dall'età, sospeso al centro della propria cella vuota (arredata semplicemente da un lurido lavello e con un piatto contenente solo delle ossa) in uno stato a metà tra l'estasi e l'ipnosi mentre attendeva di essere richiamato dall'ordine superiore del cosmo ed essere gettato nel caos dell'annichilimento totale dell'umanità; l'immagine del singolo sembra quasi ritrarre l'istante immediatamente successivo: questa entità spirituale ha appunto risucchiato violentemente il prigioniero che però, quasi come se avesse provvisoriamente riacquistato coscienza di sé, ha tentato in tutto e per tutto di resistere a questo sradicamento forzato, tentando di aggrapparsi con le unghie al muro della propria cella prima di sparire completamente. L'immagine del singolo è infatti costituita dal primo piano del muro, con il logo argentato della band ed il titolo scritto in piccolo sotto ad esso entrambi al lato alto della copertina, e sotto di essi si vede chiaramente il segno lasciato delle unghie della scheletrica mano destra del detenuto, che sta venendo letteralmente trascinato via. Gli strumenti ormai sono accordati, che la narrazione sinfonica della distruzione abbia inizio.

Symphony Of Desruction Radio Mix
L'opera di annichilimento sta per iniziare, "Symphony Of Desruction Radio Mix" ("La Sinfonia Della Distruzione" nella versione destinata al passaggio in radio) sta per prendere avvio in quel teatro che è il nostro lettore, fervono gli ultimi preparativi, l'ensemble orchestrale si appresta ad eseguire l'ultima accordatura e difatti a dare fuoco alle polveri è proprio una base orchestrale strutturata su una serie di note lunghe e profonde, la proverbiale quiete che precede la tempesta pochi secondi prima che un inciso corale spezzi di netto l'incedere di questa introduzione. Il tutto cade nel silenzio, ma si tratta di una pausa della misura di un quarto prima che i Megadeth inizino la loro macabra opera thrash-orchestrale: su un attacco composto unicamente con cassa e rullante, le chitarre entrano a gamba tesa con un riff compositivamente semplice ma altresì imponente e sontuoso, una sequenza cromatica di note che dal fa prima avanza sul sol per poi tornare al mi in un'architettura basilare e molto semplice da seguire, resa particolarmente interessante dal tocco stoppato dai due axemen del gruppo. Diversamente da quanto fatto dai Megadeth in passato, le due asce non conducono più l'esecuzione del pezzo, ma intervengono incisive e fulminee su una base ritmica e costante la cui "monotonia" scandisce lentamente una progressiva avanzata di morte verso l'estinzione umana. Il testo consiste in una specie di "ricetta culinaria" attraverso la quale potremo servire ai convitati un piatto unico a base di apocalisse: prendete un mortale qualunque, chi sia nel dettaglio o quali siano le sue competenze non fa alcuna differenza, e ponetelo in una posizione di comando. Fatto ciò lasciate che faccia ciò che gli viene più naturale, mentire, e paradossalmente guardate come egli, grazie al consenso imbelle della massa, diventi improvvisamente un dio, venendo sempre accompagnati in questo processo immaginario dalla voce dell rosso narratore. Il tempo suonato da Nick Menza consiste in un semplice quattro quarti lineare, un ritmo piano e cadenzato quasi alla strenua di un esercizio scolastico, che però risulta particolarmente avvolgente grazie al tocco pesante e preciso del drummer statunitense sul proprio set. A rendere l'atmosfera ancora più calda e, per certi aspetti, lugubre, è il basso di David Ellefson: il suo quattro corde infatti non lavora sulle armonizzazioni alte, come invece fa in altre composizioni dei Megadeth, ma rimane saldo sulla tonalità bassa del riff, conferendo alla struttura un corpo più denso e tetro che funge da motore inarrestabile per questa sinfonia malata. La voce di Mustaine, orchestrata anch'essa su un'impostazione molto teatrale, resta piana nelle prime frasi della strofa per poi sfociare a sprazzi in degli incisi più alti vocalmente, atti a rendere più marcata la follia di questo istrionico narratore. Immaginate dunque di avere di fronte a voi un cantore, che dopo l'usuale prologo vi introduce alla narrazione vera e propria di questa storia distruttiva; egli porta su di sé i segni della follia che ha condotto l'umanità al suicidio, eppure, nonostante cerchi di trattenersi, alle volte non riesce a celare la sua visibile insanità mentale. La strofa procede incalzante con questo schema lineare per quattro giri, passati i quali si giunge al bridge, momento nel quale il riff di chitarra si modifica per rendersi più dinamico e variegato; dal fa originle ci si sposta ora su delle tonalità decisamente più alte ed anche il lavoro della mano sinistra dei due chitarristi si inensifica ora mediante l'utilizzo del palm muting e dell pull off sulla corda interessanta. Questo passaggio tuttavia è molto rapido e la sua frenetica velocità ci condunce al capitolo successivo di questa storia, il ritornello, dove la traccia si apre sfociando in una serie di accordi aperti a tonalità discendente, le cui note ci fanno percepire sulla pelle la caduta della nostra specie verso l'oblio della distruzione. Il cantato è più melodico, la voce di Mustaine si alza di tonalità assumendo quel timbro nasale e "stridulo" grazie al quale il suo stile ha avuto modo di affermarsi sulla scena mondiale e la cadenza con cui le frasi vengono stese sulla musica assumono un tono decisamente ripetitivo ed inquietante, che può avere solo chi accompagna la sinfonia della distruzione con la propria scheletrica bacchetta, mentre noi balliamo come marionette comandate dai fili di un oscuro burattinaio. Tutti seguono il succitato individuo a ruota, non curandosi se le sue parole o le sue azioni siano giuste o sbagliate e come un pifferaio magico girerà per le strade trascinando dietro di sé migliaia di topolini inebetiti dal suo suono del suo flauto fino al baratro decisivo, al quale giungeremo ballando in preda a questa musica menzoniera e ondeggiando ipnotizzati dalla sinfonia della distruzione. L'intero blocco di strofa e ritornello si ripete in maniera identica una seconda volta; come abbiamo avuto modo di appurare, la monotonia strutturale si rende qui necessaria ai fini espressivi della narrazione testuale: quella che stiamo ascoltando è un'opera sinfonica che si sussegue atto dopo atto, accompagnandoci fino al fulmineo momento di chiusura. Ormai, noi umani siamo completamente assoggettati come dei robot, corrosi da un cervello metallico dal quale non ci si può separare, possiamo provare a disattivarlo ma abbiamo poco tempo prima che la nostra testa esploda per lo sforzo inutile e questo nostro misero tenttivo di fuga viene dunque accompagnato da una musica costante ed ossessiva, che sembra metaforicamente precludere ogni spiraglio di speranza. L'unico momento che spezza questo ciclo, composto complessivamente da tre parti (o atti, se vogliamo), è l'assolo eseguito da Marty Friedman; il riccioluto axeman sale alla ribalta offrendoci una performance solista particolarmente eccletttica, che dai passaggi neoclassici vira poi verso spunti più hard rock grazie ad elementi come il bending ed il dirt picking. In totale, questa parte consta di sedici giri, geometricamente suddivisi in una prima sezione a tempo invariato per poi dimezzarsi sulla metà conclusiva, offrendo così quel dinamismo che altrimenti farebbe sembrare questo frangente alquanto monotono. L'espediente del dimezzamento del tempo viene utilizzato anche nella ripresa del ritornello, in questo modo la canzone acquisisce un groove particolarmente fruibile nonostante sia strutturalmente semplice, visto e considerato l'alto valore tecnico della band; "Symphony of Destruction" sembrerà banale solo apparentemente, in quanto Megadave e soci hanno sapiente dimostrato come non siano obbligatoriamente le cose complicate a stupire, ma anzi, alle volte, bastino poche piccole varianti poste al punto giusto per allestire un ottimo pezzo. L'ex Metallica assume qui il ruolo di direttore dell'orchestra che suona questa sinfonia, spiegando, in poche parole, come si costruisca la perfetta distruzione dell'umanità. Il mondo ormai volge alla rovina, gli imperi cadono e mentre l'umanità precipita nell'abisso, il leader resterà sempre sopra di noi, attutendo la propria caduta con le nostre carcasse ormai maciullate dall'impatto, prima che anche su di lui cali definitivamente il sipario.

Breakpoint
Di seguito troviamo "Breakpoint" ("Punto di Rottura"), brano tratto dalla colonna sonora di Super Mario Bros e rivisitato dai Megadeth. Oltre che in questo singolo, il brano comparirà successivamente in "Hidden Treasures", una raccolta di b sides e cover realizzate dagli autori di "Peace Sells..." che vedrà la luce nel 1995. L'attacco ora è decisamente più serrato rispetto al brano precedente: la batteria inizia subito con una rullata in crescendo che sostiene una parte di chitarra in shredding accentata, il tutto scandito poi dalle note calde e profonde del basso di Ellefson. La struttura sincopata di questa introduzione rende la crescita della canzone particolarmente intensa, in quanto, il succedersi regolare delle battute viene di volta in volta spezzato dagli accenti, che ci offrono così un maggiore impatto durante l'avvio. Conclusi i canonici quattro giri, il tutto viene chiuso da una serie di colpi sui piatti da Menza, giungendo così all'inizio della strofa vera e propria; il main riff resta inalterato, venendo suonato però su un tempo più incalzante e dinamico, ad allargare maggiormente il senso di "avanzata" del pezzo sono inoltre gli accordi di chitarra ritmica posti a sostegno del fraseggio principale, del resto, essendo questo pezzo composto per uno dei videogiochi più noti di sempre, la musica deve qui trascinarci in una corsa ad ostacoli simile a quella del baffuto protagonista . La parola d'ordine quindi è "movimento", anzi "claustrofobia", visto il senso di pressione soffocante che dilania il protagonista del testo e la canzone procede quindi spedita nel lettore facendoci letteralmente correre all'impazzata: la logica dell'essere umano infatti ci consente, mediante il libero arbitrio, di giudicare se adeguarci o meno all'autorità in base al giudizio che ne si da, ma questa riflessione qui viene completamente bypassata: al protagonista le regole sono imposte e basta, proprio come un regime dittatoriale, inoltre, su di lui sono poste delle aspettative: egli deve infatti diventare ciò che vogliono gli altri senza discutere, ma ciò non fa altri che spingere Dave al punto di rottura, alla proverbiale saturazione che presto o tardi comporterà delle terribili conseguenze. Ad arricchire ulteriormente questa prima strofa di testo sono le tre variazioni di tempo che scandiscono le varie frasi: mentre le prime tre si allineano sulla struttura veloce iniziale, la seconda coppia viene stesa su una serie di powerchord lasciati andare, per poi lasciare i restanti quattro versi su un mid tempo dimezzato. In una sola porzione dunque troviamo tre tempi diversi, una soluzione semplice ma al tempo stesso innovativa per un pezzo apparentemente abbastanza standard. Una volta giunti al ritornello, esso consta di un'unica frase ripetuta ossessivamente ("you're pushing me to a breakpoint", "mi stai spingendo al mio punto di rottura" ovvero "mi stai portando al limite della mia sopportazione"), sostenuta da una rapida sequenza di passaggi stop and go che rendono il tutto decisamente più frenetico. Dovendo forzatamente piegarsi al volere altrui, immancabilmente l'autostima dell'individuo sfuma sotto l'enorme peso delle imposizioni esterne, dato che egli si vede continuamente additato da una massa sempre pronta a giudicarlo e a metterne in luce i difetti, ciò, come è auspicabile, non fa altro che gettare ulteriore benzina su un fuoco che sta diventando sempre più sostenuto: l'incedere sempre serrato del brano risulta perfettamente coordinato con la metafora espressa dalle parole del testo, creando così un connubio ineccepibile su entrambi i fronti. Superata questa parte troviamo subito un incisivo assolo di chitarra, un'altra ottima esecuzione eseguita da Marty Friedman che in questa occasione dà prova di tutta la sua perizia in materia di velocità: le note della sua sei corde scorrono frenetiche sempre sostenute da un tocco morbido e fuido, ideale per un assolo cosi nettò collocato prima della seconda parte cantata. Strumentalmente la canzone prosegue secondo il modello della strofa precedente, a variare adesso è la lughezza delle frasi cantate da Mustaine, che vengono proferite in maniera tale da risultare metricamente diverse ma tuttavia in linea con la base strumentale ed ancora una volta la sequenza tripartita di cambi di tempo si rivela trascinante e coinvolgente per arrivare al secondo ritornello, seguito da una nuova stoccata solista del moro chitarrista del Maryland. I primi tre quarti di pezzo dunque si susseguono sempre secondo l'alternanza di strofa e ritornello, alternando sempre passaggi lineari e frangenti stoppati per tenere il tiro sempre alto, ma la svolta vera e propria arriva in corrispondenza della quarta fetta di struttura, dove la conclusione del terzo ritornello si allaccia elegantemente ad una parte dimezzata che sostiene ora un arpeggio di chitarra distorto particolarmente interessante. La corsa funambolica di Super Mario sembra quindi fermarsi, come quella di un'atleta che una volta tagliato il traguardo inizia a decellerare per poi fermarsi definitivamente, la parola "breakpoint" viene allungata da Mustaine con un vocalizzo che vede la propria tonalità scendere sempre di più fino a dissolversi, lasciando ora che siano le note di chitarra e di basso ad accompagnare questo nuovo sviluppo. Su questa sessione, scandita dal mid tempo di Menza, possiamo ascoltare il parlato di un medico intento ad ordinare di sedare un paziente per poi osservare come egli si calmerà una volta iniettatogli il sedativo, ma qualcosa va storto ed il soggetto si aggita ancora di più liberandosi violentemente dai lacci; il punto di rottura è raggiunto e proprio nel finale la canzone riprende nuovamente velocità per un ultimo, ossessivo ritornello ad libitum, che ci acompagnerà alla chiusura netta del pezzo. Visti tutti questi istinti sovversivi e questo pensiero fastidiosamente indipendente, i controllori provano ora a sedare il protagonista per renderlo innocuo e più facilmente controllabile e il medico altro non fa che mirare ad ottenere un paziente docile e mansueto da poter manipolare a suo piacimento, ma come abbiamo visto il suo tentativo non va a buon fine, perchè il calmante non funziona, anzi, l'adrenalina ormai è arrivata all'apice ed il punto di rottura è definitivamente stato superato.

Go To Hell
A chiudere la tracklist della versione europea ed americana del singolo troviamo "Go To Hell" ("Va All'Inferno"), brano anch'esso successivamente contenuto nella raccolta del 1995. Ad avviare il pezzo, questa volta, è David Ellefson: il suo basso ci introduce alla canzone attraverso un riff dalle tonalità basse e dal gusto quasi funky, unicamente sostenuto dal charleston di Nick Menza. Le chitarre infatti entrano gradualmente, partendo da una prima serie di pennate stoppate in palm muting per poi fare il loro ingresso definitivo sulla successiva sequenza di stacchi accentati. La sequenza consta di cinque note a tonalità discendenti, ideali per conferire a questo passaggio un'atmosfera più oscura e claustrofobica, dato che presto verremo indirizzati verso le fauci infernali. Concluso questo articolato incipit, la strofa si avvia su un tempo cadenzato; prima di poter sentire la voce di Dave Mustaine troviamo una parte parlata, recitata da una voce femminile riverbarata, calda e sexy: si tratta dei primi versi della preghiera recitata dai bambini prima di andare a dormire, la stessa che si sente nell'intermezzo di "Enter Sandman" dei Metallica e la scelta di usare la voce di una donna in questo caso accentua ulteriormente l'immagine della purezza anteposta alle sulfuree cavità dell'Ade. Le chitarre ora iniziano a far sentire tutta la loro grinta: la struttura adesso si sposta su una serie di terzine stoppate seguite da un accordo lungo accentato, supportato da un mid tempo di batteria, ancora una volta i Megadeth vogliono sperimetare soluzioni nuove per evolvere il proprio songwriting ed il risultato è ancora una volta più che convincente. Il fulcro tematico del testo ci pone davanti agli occhi una forte dicotomia tra il credente che, attraverso la metafora del dolce sonno, è rincuorato nel passare a miglior vita, sicuro di varcare i cancelli del Paradiso, ed il miscredente che invece si vede pronto per andare nel regno delle tenebre: "Adesso mi sdraio a dormire, pregando il signore di preservare la mia anima, se dovessi morire prima di svegliarmi, prego il signore che possa prendere la mia anima", conclusa questa preghiera, la voce femminile viene soppiantata da quella del rosso thrasher, che subito si vede invece pronto ad essere sepolto in una tomba senza nome: egli non si sveglierà oggi, ma anzi, morirà in solitudine assistendo alla sbrigativa cerimonia funebre che gli verrà fatta prima che il suo corpo venga gettato a marcire in una fossa. La struttura musicale si fa sempre più decisa, quasi a voler accompagnare questa pars destruens concettuale che Megadave fa per smontare le inutili ipocrisie cattoliche. La batteria infatti passa dal tenere il tempo unicamente con la cassa a marciare imperterrita in una marcia inarrestabile, intervallata sempre dai rapidissimi passaggi sui fusti eseguiti dal drummer americano. Il groove di questo articolato crescendo si rivela essere la chiave vincente di questa composizione, all'interno della quale la profetica voce dell'ex Metallica viene accompagnata da dei cori decisi e fulminei tanto quanto l'istantaneità con cui si passa dallavita alla morte. Una volta conclusa la parte cantata assistiamo ad un ricco intermezzo solista centrale, nel quale possiamo apprezzare le singole stoccate dei due axemen amalgamarsi al solido muro ritmico; a questo punto del pezzo, dopo aver lasciato alla voce una buona parte da protagonista sono le chitarre a farla da padrone, intrecciandosi l'un l'altra in una sequenza di azzeccatissimi passaggi solisti composti da una vera e propria cascata di note. Il dannato ora giace nella sua fossa dopo aver assistito allo sterile compianto dei pochi intervenuti: immediatamente si rende conto che qualcosa però non va per il verso giusto, Dio non si fa vedere, alla fine del tunnel non c'è la classica luce ma anzi le tenebre si fanno sempre più scure e fnalmente egli realizza che andrà all'Inferno. Ad aspettarlo non vi sono gli angeli ma il nocchiero Caronte pronto a condurlo sul fiume Stige prima di arrivare ai cancelli oscuri. Sul finale del pezzo, nel quale viene ripreso lo stacco scandito dalla cassa, Mustaine riversa tutta la sua amara ironia, iniziando a recitare con tono svogliato, irato e persino denigratorio la preghiera iniziale per poi storpiarla con dei "bla bla bla" posti nei versi, come a voler dire chiaramente che ciò che ci racconta la chiesa sono tutte frottole ed una volta giunti al capolinea altro non ci resta che marcire sottoterra per andare tutti all'Inferno.

Anarchy In The U.K.
Passiamo ora alla versione del singolo destinata al mercato giapponese, che uscì sul mercato un mese dopo quella europea, all'interno della quale, oltre a trovare la versione radio mix di "Symphomy Of Destruction" già analizzata, troviamo due tracce live, entrambe registrate durante lo show tenuto dai Megadeth il 14 ottobre del 1990 allo stadio di Wembley a Londra, ed un messaggio speciale per i fan del Sol Levante. La prima canzone eseguita dal vivo è "Anarchy In The U.K." ("Anarchia Nel Regno Unito"), la cover che i Megadeth hanno realizzato del famoso pezzo dei Sex Pistols inclusa nel terzo album della band "So Far, So Good...So What!". L'energia è subito altissima, il boato del pubblico viene improvvisamente spezzato dall'urlo stridulo di Megadave che va ad annunciare il prossimo pezzo; con un quattro dato sul charleston da Menza, il gruppo americano si lancia senza indugio in quella che forse è la migliore rivisitazione mai realizzata: dopo gli stacchi iniziali, la strofa parte immediatamente incalzante, venendo suonata con un tempo decisamente più elevato rispetto al disco. Conformemente allo standard punk originale, il main riff consta di una semplice serie di powerchord sostenuti da un quattro quarti lineare, la differenza con quanto composto dai punk inglesi sta tutta nel tocco con cui i thrasher affrontano la composizione, suonandola in maniera molto più decisa ma anche più precisa e pulita. Megadave non fa nemmeno troppa fatica ad immedesimarsi nel controverso Johnny Rotten, egli infatti è il classico punk ribelle e sfrontato, un anticristo che non perde occasione di ostentare la sua figura di outsider rispetto alla società perbenista che lo addita continuamente. E' un rifiuto umano ed è fiero di esserlo e l'unica cosa che lo anima è la sua sete di distruzione, una furia implacabile che lo acceca, rendendolo addirittura incapace di comprendere che cosa voglia esattamente, anche se la sua decisione sa sicuramente come farglielo ottenere. Nel momento in cui questo punk si "ammorbidisce" dichiarando di voler distruggere tutto, se è possibile (ponendo quindi una velata richiesta di permesso), il pezzo giunge al ritornello: dalla contrattura iniziale della strofa, la traccia ora si apre maggiormente lasciando spazio ad un ritornello orecchiabile che anche il pubblico non esita a cantare insieme ai cori di Ellefson e Friedman. La parte successiva si riallaccia al modello iniziale; la seconda porzione di testo viene cantata sulla stessa sequenza di accordi sempre sostenuti dal tempo in quattro quarti che non esegue alcuna variazione sul tema. Ora il punk lancia i suoi buoni propositi per la realizzazione di un regime anarchico negli Stati Uniti (dato che Mustaine sostituì nel testo la sigla U.K del Regno Unito con quella U.S.A), che prima o poi si realizzerà, anche se non si sa bene quando, e tutta la popolazione nel mentre resta ipnotizzata dal copulsivo impulso di fare shopping. Il nuovo ritornello si svolge con lo stesso schema del primo, lasciando che le voci si distendano nell'urlo declamatorio "'Cause I Want To Be Anarchy" ("Perchè Io Voglio Essere L'anarchia") che si diffonderà in tutte le città. A questo punto dell'esecuzine si giunge all'assolo di chitarra, una parentesi nel quale il riccioluto axemen dei Megadeth non fatica ad eseguire l'originale sequenza di note di Steve Jones, anche se dalla iniziale fedeltà alla partitura Friedman si concederà una istrionica divagazione nella parte conclusiva, dove le sue dita potranno viaggiare alle consute velocità elevatissime; in questo passaggio inoltre, anche Nick Menza si concede un po' di libertà inserendo qualche piccolo ricamo ritmico sempre però utilizzando la cassa ed il rullante per non uscire troppo dal seminato. Con la terza strofa, il ribelle protagonista si appresta a spiegare il suo modus operandi: di tutti i modi che si possono utilizzare per ottenere ciò che si vuole, lui usa il migliore, l'unico che gli rimane, utilizza il suo stesso nemico ed utilizza l'anarchia, solo così potrà fialmente infrangere le sbarre della prigione che lo rinchiudono. In un contesto ormai votato al caos, questo ribelle sembra quasi non capire quali siano le forze in campo tanta è la confusione del sistema che lo circonda; che sia l'M.P.L.A. (Il Movimento Popolare per la Liberazione dell'Angola che combattè nella guerra civile tra il 1975 ed il 1976)? Che siano l'U.D.A o l'I.R.A. (le due forze paramilitari coinvolte nei conflitti dell'Irlanda del Nord)? Oppure sono semplicemente gli Stati Unitio un altro paese? Ciò non ha importanza perchè l'importante è che si diffonda l'assoluta mancanza di regole e questa esecuzione dal vivo va a concludersi sull'esplosivo comandamento di distruggere tutto, a seguito del quale esplode l'immancabile boato finale. Se la versione in studio di questo classico del punk si rivelò un vero e proprio centro al bersaglio, anche sul fronte live non si può che ulteriormente riconoscere la grande perizia con cui i Megadeth sono in grado di rendere al meglio i loro pezzi su disco come sul palco; questa versione di "Anarchy In The U. K." mette d'accordo tutti, dal metallaro più accanito al punk più oltranzista, che magari, in quel concerto a Wembley, si sono addirittura ritrovati a pogare insieme.

Hangar 18
Il secondo pezzo estratto dal live in Inghilterra è "Hangar 18" ("Hangar 18") brano scelto ad hoc per l'occasione, dato che proprio nel 1990 usciva il quarto album della band "Rust In Peace" e questo show rientrava appunto nella campagna promozionale di quel lavoro. Mustaine non esita infatti a scaldare i persenti annunciando che il brano che andranno a suonare è estrapolato dal loro nuovo disco e la risposta non può che essere una vera e propria osanna. La partenza è netta e senza tanti indugi; dopo il quattro dato sul charleston, Menza avvia infatti una delle marce più incalzanti mai composte dal gruppo americano: la batteria avanza inarrestabile con un tempo in quattro quarti, mentre a fornire il senso di "caduta" nel vuoto sono la serie di accordi di tonalità sempre più alta, che rendono perfettamente l'idea di un velivolo in picchiata ormai prossimo ad impattare con il suolo. Lo sviluppo si evolve con una sequenza di note accentate che conferiscono al main riff un maggiore dinamismo ed una varietà più intrigante, rendendolo inoltre perfetto per ospitare la voce nasale di Megadave. I quattro thrasher cambiano nettamente il tema, andando a toccare l'ambito fantascientifico con questa lirica a metà tra una serie in stile X files e la teoria del complotto; la parte cantata si apre infatti con il benvenuto che ci viene rivolto mentre ci accingiamo ad entrare in una impenetrabile fortezza governativa, un laboratorio segreto all'interno del quale un team di scienziati conduce una serie di esperimenti finanziati dalle tasse dei contribuienti di cui però il popolo americano non è assolotamente al corrente. Il tutto infatti è strettamente confidenziale ed il rosso axemen, in qualità di Cicerone occasionale, ci mostra con fierezza i macchinari ad altissima tecnologia che costituiscono la strumentazione dell'Hangar numero 18. Tanto è anonimo il nome del luogo, contraddistinto semplicemente dal numero del lotto, tanto è impressionante ciò che vi viene svolto all'interno: esperimenti criogenici, ossrvazioni del cosmo all'avanguardia, crittografia ed hackeraggio delle informazioni più segrete possibile; una vera e proprio base di dominio del mondo ed il solo esservi pressenti all'interno è un fatto che non è mai avvenuto. Proprio per sottolineare quest'ultimo aspetto, la struttura della canzone passa dal tempo iniziale ad un mid tempo dimezzato, sul quale Dave Mustaine può scandire con maggiore enfasi la frase "Possibly I've seen to much, Hangar 18 I know too much" ("E' probabile che abbia visto troppo, Hangar 18, so troppe cose"). Il blocco della seconda strofa con il successivo ritornello si susseguono identiche al precedente, introdotte unicamente da una rapidissima stoccata solista di Marty Friedman che con una fulminea sequenza di note spezza provvisoriamente l'incedere generale del brano. La struttura si riallaccia comunque sui binari principali, riprendendo ad accompagnare la voce stridula del frontman che continua ad elencare le strabilianti ed inquietanti caratteristiche dell'hangar: nonostante il governo abbia infatti tentato di insabbiare quanto sia accaduto a Roswell nel 1947, le forme di vita extraterrestri esistono e vengono sottoposte ad esperimenti segreti in questo laboratorio proprio per indagare su di esse senza che si diffonda il panico tra la popolazione; se gli alieni siano una minaccia o una risorsa gli scienziati non lo hanno ancora scoperto, ma onde evitare che dilaghino il panico e che vi sia una fuga di informazioni scomoda, il tutto resta blindato all'interno della struttura. Giunti a metà del minutaggio, il brano acquista nuova forma: arrivati infatti a 2 minuti e 46 secondi dell'esecuzione, dopo un rapidissimo inciso solista di chitarra, Menza spezza l'incedere del proprio tempo dimezzandolo drasticamente senza alcun passaggio di chiusura, ma variando la sua performance in corrispondenza della fine di battura. Prende così avvio la parte strumentale a tutti gli effetti di "Hangar 18", che dopo averci lasciato sbalorditi su disco non manca di farci cadere le mandibole nemmeno in sede live; nonostante ci aspettino oltre due minuti di Thrash Metal privo di parti cantate, che potrebbero risultare pesanti, la tecnica eccelsa dei Megadeth, come ho già avuto modo di sottolineare, fa si che questo lasso di tempo scorra via in un batter d'occhio: mentre la base ritmica composta dal drummer americano e da David Ellefson continua a mantenere il main riff principale, arricchito comunque sempre con qualche piccola variante, le chitarre si lanciano in una tenzone solista da cardiopalma, sul disco come sul palco, questa parte particolarmente complessa viene eseguita dai quattro con una fluidità ed una precisione a dir poco chirurgica, arricchita ora dall'enfasi e dalla "pacca" che da sempre caratterizza le performance del gruppo. Vista la sua ampia ricchezza di contenuti di arrangiamento, i Megadeth sembrano trasformarsi in una band progressive, che alla macromole di spunti aggiunge anche l'istinto e l'alchimia direttamente seventies, rimodellati per l'occasione dalla furia thrash, inoltre, grazie anche all'ottimo bilanciamento dei suoni di queste registrazioni dal vivo, oltre ovviamente alla bravura dei quattro, tutti i vari cambi e gli stop sono riproposti in maniera impeccabile, facendoci quasi percepire le emozioni provate da Mustaine e soci in quella particolare occasione. Se la cover dei Sex Pistols si è dimostrata anch'essa validissima ma più "festaiola" con questo pezzo da novanta gli autori di "Peace Sells..." tirano fuori "l'arma non plus ultra" del loro arsenale, martellandoci con la loro inconfondibile energia.

Special Messages For Japan
Il singolo giapponese si chiude con gli "Special Messages For Japan" ("Messaggi Speciali Per Il Giappone"), un estratto parlato in cui la band ringrazia i propri fan nipponici per il supporto simile a quello già contenuto nel singolo di "Hangar 18". A differenza di quest'ultimo, oltre ad essere più breve, l'audio contenuto in questa versione di "Symphony Of Destruction" ci offre una conversazione meno "tecnica" e più "rilassata" da parte dei componenti della band i dettagli commerciali sono di meno ed in generale, i quattro si stanno prima di tutto divertendo. Il discorso riprende direttamente da dove era stato interrotto nel messaggio precedente: David Ellefson infatti rassicura che, come aveva promesso, ha imparato delle nuove parole in lingua giapponese e sta per pronunciare un messaggio rivolto ai suoi fan di quel paese che gli è stato suggerito da Marty Friedman (il tutto ovviamente funge da trama per un siparietto comico); il bassista dei Megadeth infatti si augura che le sue parole non offendano nessuno e chiede anzi di perdonare la sua pronuncia qualora dovesse rivelarsi sbagliata. In sottofondo sentiamo il riccioluto chitarrista dissociarsi da quanto detto dal collega, naturalmente con fare scherzoso, ma la scenetta si conclude con la promessa che entro la fine dell'anno il vocabolario di David sarà ancora più ricco. A parlare ora è il chitarrista solista del gruppo, il quale, ancora una volta non può far altro che esprimere quanto egli si sia trovato bene in Giappone, sia dal punto di vista "professionale" del tour, durante il quale i fan hanno dimostrato un calore sorprendente, sia da quello turistico. Non è infatti un segreto che Friedman sia un amante del Giappone, dato che attualmente vive a Tokyo; il suo apprezzamento per la cultura nipponica inizia ad intravedersi già in queste registrazioni ed il minimo che egli possa fare è promettere ai suoi ascoltatori giapponesi che la prossima volta che tornerà a suonare da loro non resteranno delusi. La parola ora viene presa da Dave Mustaine, il quale, traccia un bilancio delle esperienze vissute dai Megadeth in Giappone. Questa volta infatti, in occasione del tour di "Countdown To Extinction", la band ha suonato molti più live rispetto alla precedente tournè di "Rust In Peace", toccando ora diverse città in cui non avevano avuto modo di esibirsi in precedenza. A stupire Megadave è stato il fatto che in alcuni concerti, nonostante la scaletta sia rimasta inalterata, i fan abbiano sempre dimostrato il loro entusiasmo in maniera sincera, supportando i Megadeth con ogni singola goccia di energia presente nel loro corpo, ma con le nuove canzoni gli show saranno ancora più intensi, ed è un impegno che Mustaine e soci si prendono per offrire al pubblico giapponese delle performance ancora migliori. A chiudere il messaggio è il batterista Nick Menza, al quale sono lasciati gli ultimi secondi di registrazione: a suo giudizio, il quinto album in studio del gruppo è senza dubbio il lavoro per il quale sono dovuti scendere meno a compromessi e nel quale hanno messo tutti loro stessi. Il disco è uscito il 6 luglio del 1992, mentre l'edizione giapponese del singolo di "Symphony Of Destruction" è datata al 26 agosto dello stesso anno, dunque l'utilizzo del futuro come tempo verbale per annunciare la pubblicazione risulta un errore temporale involontario ma il senso del messaggio che arriva ai thrasher giapponesi resta inalterato: "procuratevi "Countdown To Extinction, non ve ne pentirete".

Conclusioni
Con questo nuovo singolo dunque, i Megadeth confermano al mondo di essere una band ormai evoluta sotto tutti i punti di vista: ognuna delle tracce contenuta nella tracklist di "Symphony Of Destruction", a prescindere dal tipo di edizione, rappresenta una tacca vincente sul fucile di Mustaine e compagni. Partendo dalla titletrack essa è semplice e minimale, una apparente caduta di stile per una macchina ormai abituata ai virtuosismi come quella di Megadave, eppure, sul piano concettuale, essa si rivela un estratto di pura e seminale genialità: il concetto di un'umanità prossima al declino viene reso in musica mediante la ricerca del riff commercialmente perfetto: facile da seguire e di rapida presa all'interno delle nostre teste, quella semplice sequenza di note e quel tempo di batteria così scarno sono infatti gli ingredienti principali di una canzone che ci resta in testa per un tempo illimitato e che proprio per questa sua attitudine catchy girerà ancora ed ancora nel nostro lettore. Andando avanti nell'ascolto, troviamo inoltre altre due canzoni composte secondo lo stesso filo conduttore, anche "Breakpoint" e "Go To Hell" infatti rappresentano al meglio la ricerca artistica che gli autori di "Rust In Peace" stavano compiendo nei primi anni Novanta; le velocità alcaline sono sempre un terreno fertilissimo per il gruppo, ma è giunta l'ora di provare a "spaccare" utilizzando degli spunti diversi, più lenti ma al tempo stesso più orecchiabili e meno scontati e queste due composizioni, pur restando a volte in ombra nell'ampio campionario dei californiani, si rivelano comunque gradevoli e fluide nell'ascolto. Con gli estratti live infine, il gruppo gioca una partita facile: il quartetto americano non si è mai tirato indietro nel dimostrare il proprio valore sul palco e la scelta di estrapolare due brani da uno dei concerti storici de Megadeth, quello di Wembley appunto, non può che rivelarsi una mossa azzeccata. Nel dettaglio, la cover dei Sex Pistols ci offre l'immagine più festaiola e "caciarona" di Megadave e soci, che include in scaltta un classico come "Anarchy In The U.K." proprio per "smorzare" momentaneamente la serietà generale per fare festa sul classico pezzo caciarone, mentre con la successiva "Hangar 18", i quattro tornano ulteriormente nei loro panni, suonando il pezzo che forse più di tutti, tra quelli scritti da Mustaine, sia riuscito a far breccia nel cuore dei fan in così poco tempo. Dall'uscita del disco, la seconda traccia del disco del 1990 ha impiegato infatti pochissimo tempo ad entrare nella leggenda, sono bastate poche occasioni, tra cui quella qui proposta, a renderla un evergreen della band di Vic Rattlehead. Il messaggio per i fan giapponesi infine, ribadisce come i Megadeth tengano particolarmente a questo tipo di approccio con i loro fan: il ponte gettato tra questo messaggio e quello precedente dimostra come i quattro americani non abbiano registrato queste dediche tanto per fare, ma fossero sinceri nelle intenzioni e a due anni di distanza infatti, sono loro stessi a riprendere il discorso. Se "Countdown To Extinction" di per sé rappresenta un disco ideale da avere nella propria collezione, affiancarvi questo singolo significa letteralmente mettere la ciliegina sulla torta.

2) Breakpoint
3) Go To Hell
4) Anarchy In The U.K.
5) Hangar 18
6) Special Messages For Japan


