MEGADETH

Skin O' My Teeth

1992 - Capitol Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
31/10/2016
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione Recensione

Conclusa la promozione di "Rust In Peace" in tutto il globo, che ha visto i Megadeth portare la propria musica letteralmente da un capo all'altro del mondo, Dave Mustaine non si sedette certamente sugli allori, ma si mise con i propri colleghi a lavorare sodo per infornare una nuova quantità di nuova musica. Gli ani Ottanta sono passati e con essi si può dire che metaforicamente parlando sia trascorsa anche "l'infanzia" della band californiana; il sound del gruppo si è notevolmente evoluto rispetto alle origini, ma tuttavia il progetto dell'ex chitarrista dei Metallica continua a maturare secondo il suo personalissimo volere, anzi, a Megadave va riconosciuto il merito di essersi saputo svincolare in tutto e per tutto dall'immagine dei Four Horsemen per farlo giungere sulla scena come "il leader indiscusso dei Megadeth": essi sono la sua band ed il chitarrista di La Mesa non ha certo bisogno di vivere di rendita, portando on stage i pezzi del vecchio gruppo, per riempire gli stadi in cui si esibisce. La strada fatta è molta, ma è altresì ancora più esteso il tragitto che si stende ora d'innanzi ai quattro americani e ad esattamente a due anni di distanza dall'ultimo full lenght, sul mercato esce il nuovo singolo di "Skin O' My Teeth", punto di partenza per una nuova tappa discografica che sarebbe arrivata sul mercato di lì a poco. La versione standard di questo lavoro uscì ancora in formato vinile e conteneva solamente due canzoni (la titletrack registrata in studio ed una versione remix di "Holy Wars") ma ben presto ad essa ne fece seguito un'altra in formato cd, una limited edition che arriverà sul mercato poco dopo, la quale, consta di due dischi separati, graficamente contraddistinti unicamente dal colore del titolo in copertina (uno giallo e l'altro arancione) e contenenti tre brani ciascuno, nei quali, oltre al materiale dell'edizione originale, sono contenute inoltre le versioni live di "Lucretia", della stessa "Skin O' My Teeth" e di "High Speed Dirt", tutte registrate in occasione dello show tenuto dai Megadeth il 23 marzo del 1992 al Music Theatre di Alpin Valley, nel Wisconsin. Per fornirvi una maggiore ricchezza di contenuti, noi di Rock & Metal in My Blood analizzeremo questo singolo nella sua doppia veste di compact disc, condensando in un unica recensione quanto contenuto nelle due limited distinte. Prima di iniziare però occorre partire da una basilare premessa: il quartetto ormai si è evoluto: non stiamo più parlando di un giovanissimo thrasher dal fisico mingherlino e la canotta dei Venom indosso che con la sua Gibson flying V alla inizia a far sentire al mondo la sua musica sostenuto dai suoi giovani scudieri, ma stiamo parlando di un artista fatto e finito, un professionista della musica, che dopo aver cambiato più volte formazione sembra ora aver formato il suo dream team perfetto per far vivere la propria creatura. Al fianco di Mustaine infatti si trova il non plus ultra dei musicisti in circolazione: dal fedelissimo braccio destro nonché bassista della band David Ellefson, musicista dallo stile unico e decisamente personale, fino ad arrivare ai due nuovi acquisti Marty Friedman e Nick Menza, che dopo due anni di prova su strada si sono guadagnati non solo il placet del frontman ma anche il rispetto e la stima dei fan di tutto il mondo; è vero che il pubblico non distoglie mai gli occhi di dosso da Dave Mustaine ma la formazione che i Megadeth hanno avuto dall'inizio degli anni Novanta fino quasi all'inizio della decade successiva è stata non solo una delle più durature ma anche una delle più produttive che siano mai associati al moniker della band. Ma a rappresentare il succo di questa nuova era del gruppo californiano è soprattutto la qualità e la decisa innovazione che ha completamente rivoluzionato il loro modo di fare musica: dalle ritmiche velocissime e dai riff mitragliati di chitarra, attraverso una parabola lunga ben tre album (dato che già dal lavoro edito nel 1990 il sound era notevolmente cambiato) rispetto ai lavori precedenti, giungendo ad un Thrash Metal decisamente personale; il passaggio chiave è relativamente semplice da capire: Mustaine e soci non suonano più la loro musica secondo un modello già delineato da altri gruppi che sono arrivati alla ribalta prima di loro, ma esprimono la propria (o meglio quella del loro frontman) visione del mondo utilizzando le sonorità thrash in maniera esclusiva, quasi reinterpretando le regole del gioco. Del resto è proprio questa capacità di "personalizzare un genere" che distingue i veri artisti dalle macchinette fotocopiatrici che scimmiottano unicamente quanto già proposto nel lavoro altrui. Oltre al versante musicale, che come abbiamo detto è il primo di una serie di elementi contribuenti o di cause scatenanti, che dir si voglia, la metamorfosi del gruppo si nota da un altro dettaglio, che nonostante possa apparentemente sembrare di poco conto ha comunque giocato un ruolo importante in questa sorta di rinascita della band: il look. Ovvio che i vestiti che uno indossa non inficiano certo il modo in cui suona, direte voi, ma a pensarci bene anche il cambiamento di immagine compiuto da Mustaine e soci ne da un'immagine più matura: le nike alte, i jeans strappati e le magliette delle band sono ora un ricordo del passato, che comunque non viene accantonato, è sempre ben presente nella memoria, ma ora questi quattro thrasher vogliono che il mondo sappia che sono in grado di suonare e spaccare teste anche senza necessariamente portare su di sé "una divisa d'ordinanza". In tal senso è illuminante la copertina scelta per questo singolo: su di essa non vi è più Vic Rattlehead, il noto teschio con gli occhi coperte da una placca d'acciaio e le orecchio occluse da due bulloni muniti di catene divenuto la mascotte ufficiale dei Megadeth (che avrà comunque modo di tornare a farsi vedere in seguito); a spiccare sull'artwork ora troviamo una semplice fotografia di gruppo, che ritrae i quattro a mezzo busto di fronte ad un muro di mattoni visti con la prospettiva ad occhio di pesce, al di sopra dei quali vi è poi il logo della band argentato e con il titolo scritto in stampatello maiuscolo giallo su fondo nero. Ad essere in primo piano, naturalmente, è Dave Mustaine, alla destra del quale compare Nick Menza, per poi lasciare dall'altro lato David Ellefson e Marty Friedman. Tutti e quattro i membri del gruppo vestono abiti "normali", ossia delle semplici camicie a quadri o di jeans, occhiali da sole e delle magliette bianche (nel caso del bassista) del tutto prive di toppe o immagine stereotipate legate al mondo del Metal, lanciando quindi un messaggio semplice e diretto: "Siamo i Megadeth, non abbiamo bisogno di sangue, teschi e budella per spaccare, dateci un palco e vi martorieremo le ossa anche vestendo la con la roba di tutti i giorni". Ma per meglio comprendere che cosa costituisse il nuovo sound degli autori di "Peace Sells...But Who's Buying?" non ci resta che entrare nel dettaglio all'interno di questo singolo. 

Skin O' My Teeth

In prima posizione di entrambi i cd troviamo "Skin O' My Teeth" (letteralmente "Pelle Sui Miei Denti" ma si tratta in realtà di una espressione gergale traducibile con la nostra "Per Il Rotto Della Cuffia") traccia che funzionerà anche da opener per il successivo "Countdown To Extincion" e per l'atra versione cd del singolo. A dare avvio al pezzo non è la chitarra questa volta ma la batteria, con un eccezionale passaggio sui fusti eseguito da Nick Menza attraverso una rapidissima serie di flem, seguito poi da alcuni stacchi accentati sul riff di chitarra; un inizio decisamente grintoso a cui farà seguito un break che vede unicamente la sei corde in qualità di protagonista della scena prima che avvenga lo start vero e proprio. Vi sarà giusto un quarto di pausa prima che gli strumenti partano tutti insieme, avviando così la strofa a tutti gli effetti. A sostenere il tutto troviamo un mid tempo ricco di groove ed ottimamente eseguito dal drummer statunitense, che utilizza solo la cassa, il rullante ed il charleston del proprio set per accompagnare un riff dinamico e graffiante. La struttura della sequenza di note è particolarmente squadrata e simmetrica: ogni blocco infatti è suddiviso in quattro battute nelle quali la chitarra suona sempre il main riff chiudendolo con un alternanza di note discendenti, siglano così la cesura ora con una nota più acuta ora con una nota più grave; il tutto è decisamente compatto e scorrevole ed il basso di Ellefson in questo frangente si rivela fondamentale per scandire il cambio melodico all'interno dell'arrangiamento grazie alle sue ormai arcinote plettrate. Questa prima porzione di pezzo consta di un totale di quattro giri cantati ripetuti sempre uguali, rendendo così il tutto molto orecchiabile e facile da seguire. A spezzare la progressione sarà la battuta conclusiva, che verrà chiusa da Menza con un rapido passaggio standard che da una prima serie di quattro colpi sul rullante passerà poi su un giro eseguito con i tom. A questo punto troviamo il ritornello della traccia: gli accordi si raddoppiano in lunghezza per poi essere seguiti da un inciso che riprende il riff precedente; a farla da padrone in questa parte è soprattutto il groove, che consta di un ritmo quasi funky con il tempo tenuto ora sulla campana del ride invece che sul charleston, un qualcosa dunque di completamente slegato dagli stilemi del Thrash ma tuttavia accattivante e fruibile anche per le orecchie meno avulse al genere. Anche questo settore si articola lungo una successione di quattro giri, dove possiamo inoltre apprezzare una stesura della parte testuale meno contratta rispetto alla strofa e che offre quindi a Mustaine una maggiore libertà per i propri vocalizzi. Una volta pronunciata la frase costituente il titolo della canzone, la chitarra tiene l'ultima nota per tutta la lunghezza della pausa e dopodiché i quattro ripartono con la seconda strofa, che viene suonata secondo il medesimo modello della precedente, alla quale segue un nuovo ritornello anch'esso suonato con la struttura del primo. Passata la metà del pezzo, troviamo la parentesi riservata all'assolo di chitarra, unica variante al tema in una struttura a compartimenti stagni; Marty Friedman dà prova di tutto il suo talento regalandoci una performance solista decisamente eclettica, dove oltre alla rapidissima sequenza di scale cromatiche in shredding possiamo apprezzare diversi incisi di tapping che rendono questa esecuzione particolarmente fluida e quasi liquida per le nostre orecchie. Sotto di essa, la ritmica mantiene l'idea principale della strofa, inserendovi giusto qualche piccola variante per movimentare di più la parte, notevolmente interessante in questa sessione è il salto di tonalità che viene compiuto circa a metà dell'assolo; in parallelo alla sei corde di Friedman, anche quella di Mustaine ed il basso di Ellefson salgono di tonalità conferendo così al cambio una maggiore spinta prima di riallacciarsi alla strofa conclusiva. Ad accompagnarci alla chiusura della canzone troviamo infine un'altra strofa ed un terzo ritornello, anch'essi strutturati secondo quanto già fatto in precedenza; sulla nota allungata di chiusura verrà poi ripreso ancora mezzo giro di strofa strumentale prima che il pezzo arrivi alla sua fine effettiva. Siamo ben lontani quindi dalle strutture articolati che i Megadeth ci hanno regalato giusto un paio di anni prima di questa uscita, ma tutto sommato "Skin O' My Teeth" risulta un pezzo orecchiabile e piacevole all'ascolto, anche un po' "commerciale" se vogliamo, ma tuttavia di pregevole fattura compositiva e a suo modo comunque interessante. Il registro lirico di questa traccia torna ad indagare i meandri più cupi ed introspettivi dell'animo di Mustaine, il quale si fa nuovamente cantore di un nuovo racconto all'interno della sua anima buia e contorta. Il testo infatti consiste nella descrizione del processo autodistruttivo del protagonista, che dal tentativo di suicidio, atto compiuto una volta raggiunto l'apice della propria depressione e disagio nello svolgere "il mestiere di vivere", parafrasando una metafora di Pavese, giunge fino all'obitorio. La storia si apre con l'aspirante suicida che si è appena tagliato le vene, nell'esatto momento in cui egli resta attonito a guardare il sangue sgorgare dai propri polsi attendendo che arrivi la fine, mentre il suo corpo lentamente si disfa fino a diventare una carcassa abbandonata. Alla solitudine di questo soggetto fa da contraltare il rumore di fondo della quotidianità, il disperato è chiuso nel suo alloggio mentre cerca di dare fine alle proprie sofferenze ed al di fuori di questo lugubre antro troviamo l'umanità intenta a blaterare con il proprio chiacchiericcio mentre continua imperterrita e disinvolta la propria esistenza. Non c'è alcuna via di fuga dal dolore, ma improvvisamente l'istinto di sopravvivenza fa sentire il protagonista attaccato alla vita e si salva per il rotto della cuffia da una morte certa. Tuttavia, l'istinto di autoconservazione non ha salvato il nostro romantico personaggio dai propri malanni esistenziali, ed eccolo ritentare l'insano gesto ora ingerendo una dose massiccia di sonniferi ora tentando di buttarsi sotto ad un treno, ma ancora una volta si salva per il rotto della cuffia. Sembra quindi che ciò che non uccide il malcapitato lo renda più forte, ma ecco che alla fine della narrazione sembra essere riuscito a raggiungere il proprio obiettivo: l'estrema telefonata al 911 sembra essergli inutile se non per avere il definitivo strappo per arrivare all'obitorio, dove un patologo apporrà un cartellino all'alluce del suo piede prima di chiuderlo nella sua cella frigorifera.

Lucretia

In seconda posizione troviamo "Lucretia" (nome di una metaforica protagonista del testo del pezzo) nella versione dal vivo; fin dai primi secondi troviamo una audience carica e strasatura di energia da scaricare attraverso la musica del quartetto, il boato infatti è sempre più insistente e dopo un rapidissimo accenndo di chitarra, giusto una pennata per testare il settaggio coretto del volume, la band inizia la traccia contenuta in "Rust In Peace" senza che Mustaine proferisca una singola parola per annunciarla. Per questa composizione, ormai già divenuta un must per gli show di Megadave e soci, non occorrono infatti ulteriori indugi, basta unicamente l'introduzione per far esplodere il visibilio; a dare il via è Nick Menza con due colpi sul charleston, a seguito dei quali inizierà la serie di stacchi accentato costituenti l'apertura della traccia in senso lato: il main riff di chitarra si mostra subito molto eclettico a livello copositivo ed ottimamente eseguito, mentre a sostenerne le note troviamo di volta in volta una coppia di accenti di chitarra ritmica e basso puntualmente scanditi dai piatti stoppati del drummer americano. In questa fase iniziale, è il basso di Ellefson a conferire il proverbiale effetto "botta", quella vibrazione corposa ed ampia che ci fa vibrare i visceri ad ogni pennata grazie ad una massiccia equalizzazione che rende l'intera performance più avvolgente. L'esecuzione prende forma secondo un crescendo graduato, strutturato soprattutto sull'ottimo lavoro eseguito da Menza sui fusti della propria batteria: i disegni ritmici del batterista recentemente passato a miglior vita infatti si articolano secondo una serie di shake precisi e fluidi che sfocieranno poi nel mid tempo della strofa. Dal punto di vista esecutivo, i quattro suonano decisi e precisissimi in ogni passaggio, e ciò fa loro particolarmente onore vista la struttura particolarmente dinamica e sincopata della struttura. Non abbiamo di fronte un classico quattro quarti, ma un tempo più energico e ricco di groove, che consente ai Megadeth di mettere in mostra tutta la loro intesa ed il loro feeling facendoli muovere sempre intorno ad una stessa idea compositiva che viene via via arricchita con qualche pregevole chicca in più. A farla da padrone infatti è sempre il riff con il quale la traccia ha preso avvio, le cui note alte vengono suonate sia aperte che stoppate attraverso il palm muting per fornire sempre un tocco grintoso ma non troppo altisonante; attorno a questo giro melodico, i quattro thrasher creano via via le loro personali performance, le quali, partendo tutte all'unisono durante le varie battute, si concedono una parentesi di estro personalissimo per poi ricongiungersi nuovamente nella chiusura di ogni giro. Come abbiamo già avuto modo di apprezzare, "Lucretia" rappresenta un pezzo thrash un po' estemporaneo, per certi versi "anomalo" se volgiamo, in quanto viene suonato con una verve ed un approccio più conforme magari ad un gruppo progressive o ad un gruppo blues: la linearità viene ora mantenuta solo in qualità di filone generale per poi lasciare che ognuno degli strumentisti si possa muovere liberamente senza però seguire la strada più ovvia, ma anzi avventurandosi in sentieri nascosti e compositivamente più ricercati per poter rendere questo brano fluido, interessante ma soprattutto originale. Fermo restando che questa maggiore "improvvisazione" non inficia assolutamente su quella che in fondo è la potenza del nuovo sound del gruppo; ovvio, siamo di fronte ad un qualcosa di notevolmente diverso rispetto alle composizioni più seminali di Mustaine, ma proprio questa carica innovativa rende il sound della band più maturo e ben disinto dai dettami del Thrash tout court; a parlare infatti è soprattutto la musica, la parte vocale del frontman risulta notevolmente ridotta rispetto alla parte priva di voce, eppure, sono proprio i lunghi intermezzi musicali tra un verso e l'altro a risultare i frangenti più avvinenti dell'esecuzione, specialmente l'alternanza delle varie parti soliste di chitarra, dove Mustaine e Friedman si sfidano in una singolar tenzone all'ultima nota la cui velocità e varietà creativa è saldamente accompagnata dall'egregio lavoro di Menza ed Ellefson, due pilastri che si rivelano solidissimi e ad hoc per creare una sezione ritmica perfettamente malleabile alla necessità eppure sempre di grande impatto. L'esecuzione della sesta traccia di "Rust In Peace" si rivela dunque impeccabile sul piano esecutivo, poiché i Megadeth sono ormai una consolidata macchina da guerra, e come valore aggiunto inoltre troviamo i suoni a rendere questa versione live particolarmente fruibile: i volumi dei vari strumeti sono ottimamente bilanciati e ciò ci consente di poter distinguere nel dettaglio l'eclettico lavoro di ogni membro senza però perdere di vista la totalità del muro creato dal quartetto, che è poi ciò che ogni thrasher vuole sentire. Sapere con certezza chi sia Lucretia non è dato saperlo; Megadave infatti utilizza questa senhal femminile per celare in realtà una oscura introspezione all'interno dei meandri della sua anima, raccontata con un registro linguistico immediato e suggestivo reso tale grazie anche all'utilizzo della prima persona per la narrazione. Il senso di straniamento del protagonista è infatto reso attraverso la metafora dell'insonne, che dopo essersi rigirato più volte nel letto decide di alzarsi per avventurarsi nelle tenebre che rabbuiano la sua stanza. Impossibilitato a vedere chiaramente, Dave è costretto a procedere a tentoni in quella che è l'oscurità della sua mente; il tutto appare gelido eprivo di qualsivoglia luce guida, il soggetto è dunque in preda alla sua stessa malattia metale, che prontamente viene notata dagli amici indifferenti del malcapitato. Il cammino prosegue un passo titubante alla volta, con le mani sempre in cerca di un probabile punto di riferimenti che però non arriva, Dave vuole raggiungere Lucretia, che lo attende trepidante, ma ad un certo punto del percorso il protagonista si siede su una sedia a dondolo ed inizia a farsi cullare quasi come se fosse in preda ad uno stato ipnotico. Ella però continua ad aspettarlo, dondolando anche lei sulla sedia senza che però possa raggiungere Dave, possiamo quindi ipotizzare che ella sia la sanità mentale ormai irrangiungibile per il tormentato Dave? L'interpretazione resta aperta a diverse strade, sta ad ognuno di noi cimentarsi in questa criptica lirica.

Skin O' My Teeth

In terza posizione, e a chiusura della tracklist del primo cd della versione limited edition di questo singolo, troviamo "Skin O' My Teeth" ("Per Il Rotto Della Cuffia") eseguita dal vivo durante il succitato show in Wisconsin. Come sottolineato in apertura, la versione in studio del pezzo si presenta come un qualcosa di decisamente più schematico rispetto all'artificiosità di altri capolavori dei Megadeth, ma tuttavia accattivante in quanto incentrata su una più accurata e raffinata ricerca di quello che molto metafisicamente parlando si potrebbe dire "il riff ideale": mentre le canzoni precedenti si basavano su una più ampia concatenazione di idee, in questo pezzo il gruppo mira ora a trovare la sequenza di note che, da sola, colpisca l'scoltatore molto di più di tutte le altre, semplificandone quindi l'essenza e puntanto tutto più sulla qualità che non sulla quantità di idee utilizzate. La versione in studio della traccia risulta valida e matura, ma è sul fronte del live che il gruppo deve ora dimostrarne l'effettivo valore. La registrazione parte in maniera netta in corrispondenza dello start di batteria; a differenza delle altre registrazioni live, dove come preludio si ascoltava un po' di rumore della audience, qui il gruppo parte improvvisamente senza nemmeno annunciare il pezzo, del resto, stiamo parlando dei Megadeth e la loro musica deve arrivarci dritta alle gengive senza tanti compromessi. A balzare immediatamente alle nostre orecchie è a velocità con cui Menza esegue il passaggio inaugurale della traccia, la successione dei colpi costituenti il disegno ritmico è identica alla versione in studio ma i bpm sono decisamente più elevati rispetto alla studio version, segno questo che Menza e i suoi compagni fossero particolarmente carichi durante quell'esibizione. Il consenso del pubblico si fa immediatamente sentire, raggiungendo il proprio apice appena terminata la sequenza di stacchi immediatamente successivi all'assolo di percussioni, tanto che il break di chitarra viene quasi eclissato dal boato dei presenti. Il vero momento al vetriolo si raggiunge con la successiva ripartenza: il tempo di batteria entra subito incalzante e con esso, anche le parti di chitarra e basso si allineano dunque ad un incedere più veloce e sostenuto, che non perde però mai un colpo pur viaggiando notevolmente più spedito rispetto alla versione su disco. Che un gruppo vada più lento in studio e più veloce dal vivo è ormai una prassi pressoché comune, il vero talento però si ritrova solo in coloro che pur attuando questa modifica risultano sempre precisi e fluidi in entrambi i cotesti. Parlando dei Megdeth, viene da sé che il pezzo resta sempre limpidissimo e tecnicamente impeccabile, anzi, proprio questa maggiore decisione da parte dei quattro thrasher conferisce ad una composizione relativamente in studio quel qualcosa in più che in sede live la rende ancora più acattivante e coinvolgente. In tal senso, il passaggio dalla strofa al ritornello si rivela un frangente da cardio palma, dal procedere spediti ed inarristabili del primo dei due punti, Mustaine e soci passano al settore successivo con una disinvolutura davvero encomiabile, cosa non facile, se si considera che in questo cambio non vi è un aumento della velocità bensì un rallentamento. Nel far scendere di giri il proprio tachimetro la band non trova alcuna difficoltà, anzi il cambio di metronomo, seppur netto e privo di sequenze introduttive, viene eseguito dai quattro musicisti in maniera molto disinvolta e naturale, senza quasi farci notare l'effettivo cambio di bpm avvenuto se non a cose fatte. La struttura del pezzo, come abbiamo visto, consta di tre blocchi che alternano strofa e ritornello in successione, unicamente intervalati dall'assolo di Friedman collocatoimmediatamente dopo la metà del minutaggio, e l'ottima esecuzione proposta da Mustaine e cosi ci regala dunque una performance travolgente in ogni suo punto, che non perde mai di energia e che quasi non ci fa percepire questa "monotonia" compositiva che emerge invece maggiormente nella versione in studio. Arrivati alla chiusura fulminea della traccia, il pubblico non può fare a meno che applaudire i propri begnamini, i quali si sono resi ulteriormente meritevoli in questa prova on stage, rendendo "Skin O' My Teeth" un brano potente e trascinante proprio grazie al loro tocco, del resto è sul palco che una band dimostra il proprio valore, rendendo ogni volta uno stesso brano sempre diverso da secuzione ad esecuzione proprio perchè ogni episodio è inttriso dell'energia e delle emozioni di un dato momento. A questo svolgimento impeccabile dei diretti interessati si contrappone però un audio non sempre perfetto: a differenza delle altre registrazioni dal vivo di questo singolo, sulla titletrack i volumi si presentano alquanto sbilanciati in favore della batteria, la quale, emergendo particolarmente con cassa, rullante e piatti, lascia le chitarre, il basso e la voce un po' in secondo piano, facendo uscire il tutto come "più lontano" di quanto effettivamente non sia stato preso. I diversi fischi feedback che si notano sono tuttavia indizio di un provvisorio tentativo dei tecnici di "fare ammenda" a questo inconveniente, arrivando fortunatamente ad un buon risultato apprezzabile negli altri contenuti bootleg del singolo, che ne rende i contenuti decisamente appetibili per ogni fan. La performance vocale di Mustaine infine si rivela qui particolarmente adatta per esprimere il contenuto del testo, che come abbiamo visto riversa tutta l'ira di un aspirante suicida che viene salvato ogni volta dal proprio istinto di sopravvivenza. Il thrasher di La Mesa infatti tende molto a digrignare la bocca nel pronuniciare le varie parole, quasi come se il protagonista fosse in preda alla collera schizofrenica ed unicamente concentrato a trovare un nuovo modo per togliersi la vita per poi passare ad un cantato più fluido e morbido in corrispondenza del ritornello, dove egli, con fare particolarmente rassegnato, si adegua a quello che è il volere superiore che pone l'istinto naturale al di sopra delle turbe psicologiche, ma come abbiamo visto, l'esito di questa dicotomia sarà capovolto nel finale con un vero e proprio colpo di scena.

Holy Wars...The Punishment Due (General Schwarzkopf Mix)

Passando al contenuto del secondo cd, successivamente alla già analizzata studio version della titletrack (che non presenta differenze da un disco all'altro), troviamo una versione remix di "Holy Wars" nota come "Holy Wars...The Punishment Due (General Schwarzkopf Mix)" ("Guerre Sante...Il Dovuto Castigo" Mix Generale Scharzkopf"), realizzata dal musicista industrial tedesco Sasha Konietzko, noto soprattutto per essere il fondatore dei KMFDM. Sappiamo perfettamente che la parola "remix" e la parola "metal" difficilmente si amalgamano bene, soprattutto nei gusti dei metallari più oltranzisti, ma è anche vero che se c'è una cosa (fra le tante ovviamente) che rende il genere che tutti noi seguiamo particolarmente unico è proprio la sua peculiarità di sapersi fondere, o almeno di provare a farlo, con altre sonorità diverse. La traccia si apre con il canonico main riff della versione originale, sul quale vene progressivamente aggiunto un effetto flanger per dilatarne ulteriormente le frequenze e conferirvi un sound più metallico. Il passaggio di batteria di Menza viene brutalmente sostituito da un semplicissimo campionamento di drum machine che alterna cassa, rullate e piatto per poi lanciarsi in un inarrestabile loop serratissimo che tenta di imitare, senza propriamente riuscirci benissimo, il drumming thrash metal. La struttura di questa rivisitazione elettronica tende ovviamente ad appiattire notevolmente le dinamiche della versione originale procedendo sempre incentrata sul main riff, sul quale vengono di volta in volta inserite alcune varianti, come i break o le successioni che normalmente accompagnano la parte cantata. Su questo linearissimo ed inarrestabile svolgersi della parte cantata di Mustaine viene inserita solo la prima parte del testo della canzone, quella immediatamente precedente al break intermedio della traccia di "Rust In Peace", e al campionamento della voce del rosso thrashers che recita il ritornello si aggiungono ogni volta dei pezzi di incisi vocali diversi estrapolati via via dalle diverse parti della canzone. Chiaramente siamo distanti anni luce dall'energia travolgente di quanto suonato dai veri Megadeth, senza contare che l'incessante pattern di batteria digitale fa di questa versione elettronica un unico inalterato mega troncone di brano sul quale vengono piazzati incisi sempre diversi, i quali, non arricchiscono nemmeno troppo la struttura piatta ed in ultima analisi monotona del remix. Chitarristicamente parlando, l'idea di estrapolare solo le note tenute ed i dirt picking della originale performance solista di Friedman non trova un riscontro positivo nel mix, anzi quello che in principio era un signor assolo viene qui spezzettato e posto su una sterile base elettronica, che poco ha a che vedere con il tiro ed il pathos del brano dei Megadeth; inoltre, se già la voce di Megadave suona alta e nasale di per sé, ben poco senso ha storpiarla ulteriormente aggiungendovi dei filtri vocali. A conti fatti quindi, questo remix non convince, esattamente come si rivelerà deludente la stessa operazione attuata dai Metallica sulla loro "For Whome The Bell Tolls" contenuta nel singolo di "The Memory Remais" del 1997. L'idea del musicista tedesco di omaggiare i Megadeth con questa sua personale rivisitazione è più che encomiabile, dato che comunque da essa traspare tutta la sua personale arte elettronica, ma uscire così tanto fuori dal contesto non si è rivelata una mossa troppo azzeccata. Questo remix sarebbe ideale per un revival della realtà elettronica della Berlino anni Ottanta (dalla quale come sappiamo sono giunti artisti di tutto rispetto) ma il transfert tra musica techno noise ed il Thrash Metal si rivela più come un traumatico intervento a gamba tesa sul ginocchio che non come l'abbraccio artistico di due filoni musicali diversi. Non ce ne vogliano gli autori di "Killing Is My Business...And Business Is Good" come non ce ne voglia Sasha Konietzko, ma è decisamente meglio che quest'ultimo continui a pensare alla sua musica senza storpiare troppo quella degli altri. Il testo di "Holy Wars" è una aperta critica portata da Mustaine e soci alla politica militare statunitense; come è noto, all'inizio degli anni Novanta l'allora presidente americano George W. Bush Senior diede avvio alle operazioni militari in Medio Oriente contro la dittatura di Saddam Hussein per intraprendere la Guerra del Golfo. Questo remix infatti riprende il nome del generale Herbert Norman Schwarzkopf, che fu a capo dell'operazione Desert Storm che si svolse dal 2 agosto del 1990 al 28 febbraio del 1991. La porzione di testo ripresa in questa rivisitazione riguarda la prima sequenza della traccia originale, dove Mustaine, narrando in prima persona, racconta di come i soldati americani siano stati mandati dall'altra parte dell'oceano per combattere gli aggressori del popolo iracheno ma di come, alla fine della fiera, essi siano stati gettati nell'ennesima faida che pone degli uomini contro altri uomini. Al di là delle differenze di cultura e di credo, sempre di esseri umani si parla, individui tutti aventi due braccia e due gambe e costretti ad uccidersi fra loro in nome di un ideale nemmeno sempre chiaro; l'unica certezza è che le sabbie del deserto verranno macchiate dal sangue dei caduti, che a prescindere dalla fazione ha sempre lo stesso colore. Mustaine definisce questi soldati stolti, dato che si sono imbarcati convinti di andare a fare del bene per poi scontrarsi invece con una realtà ben più cruenta dove si uccide in nome di Dio, ma qual'è questo dio? Quello della religione o quello degli interessi economici? L'esito delle operazioni militari è sempre incerto, nebuloso come una tempesta di sabbia, mentre l'unica certezza è che questa nuova guerra lascerà dietro di sé una nuova fiumana di morte ed in questo remix le parole "Holy Wars" ("Guerre Sante") tornano ciclicamente secondo lo sterile schema dei campionamenti, come se dopo tutta la descrizione di che cosa comportino i combattimenti non si possa fare altro che concludere cinicamente "è triste ma è necessario, sono le guerre sante".

High Speed Dirt

Passiamo ora alla versione live di "High Speed Dirt" ("Polvere Ad Alta Velocità") anch'essa registrata in occasione dello show dei Megadeth tenutosi il 23 maggio del 1992 al Music Theatre di Alpine Valley, in Wisconsin. Ad introdurci nell'atmosfera del concerto è ancora una volta l'immancabile boato del pubblico, che subito fa sentire al gruppo il proprio calore; l'adrenalina aumenta rapidamente ed ecco che il rosso frontman annuncia il prossimo brano che andranno a suonare, che sarà contenuto anch'esso nel nuovo album. Nick Menza da il tempo con quattro colpi sul charleston e subito dopo il primo stacco accentato ci da il primo pugno in faccia. Secondo una schema ormai rodato dai Megadeth, ora è la sei corde a condurre il tutto lanciandosi in un break in solitaria, a seguito del quale sarà poi raggiunta dagli altri strumenti. Rispetto alla titletrack del singolo, ci troviamo di fronte ad un pezzo molto più tirato ed energico; la band infatti suona ben compatta e la canzone scorre via in maniera coinvolgente, coadiuvata anche dall'ottima qualità della registrazione live. Il tempo in quattro quarti incalzante infatti non perde mai tiro nemmeno per un istante, facendo uscire l'esecuzione come una vera e propria mazzata speed metal che ci arriva dritta al viso. A livello compositivo lo stile è molto simile a quello di "Skin O' My Teeth" (del resto entrambe saranno contenute nel full lenght del 1992), ma avendo una grinta decisamente più corrosiva, "High Speed Dirt" possiede un impatto decisamente maggiore, che la rende ottimale per le esecuzioni dal vivo. Lo scheletro della canzone si articola secondo il classico schema che alterna strofa e ritornello, proponendo la prima con un tempo serrato per poi smorzarsi sul secondo in un mid tempo, dando così un buon dinamismo alla traccia. Vera e propria chicca all'interno dell'esecuzione è l'inciso solista di chitarra pulita eseguita da Friedman: arrivando alla pausa infatti il pezzo si arresta, lasciando unicamente il riccioluto chitarrista originario del Maryland a lanciarsi in un mini assolo dalle tinte a metà tra la chitarra classica spagnoleggianti ed il country, il tutto posto come rapido intermezzo prima della parte riservata all'assolo chitarristico immediatamente precedente alla chiusura. La canzone infatti viene conclusa in maniera netta, lasciando lo spazio per l'ovazione degli astanti e anche se in questo caso ci troviamo di fronte ad una creazione più morbida e più catchy rispetto a quanto fatto dai Megadeth nei primi anni di carriera, il risultato è comunque soddisfacente. Il testo di "High Speed Dirt" consiste in un'altra narrazione svolta in prima persona da Mustaine, il quale ci racconta la traumatica esperienza di chi si lancia nel vuoto da un'altezza vertiginosa, esaminando non solo l'aspetto fisico della cosa ma anche tutta la gamma di emozioni vissute da chi sta letteralmente volando nell'atmosfera. La lirica si apre con un provocatorio invito a lanciarci; siamo liberissimi di farlo se osiamo, chi ce lo vieta ed anzi, presi dalla foga esaltiamo senza esitazioni, sentendo immediatamente il nostro corpo prendere velocità nel vuoto. La polvere ad alta velocità è proprio quella che ci taglia la pelle durante la caduta: l'attrito che essa fa con la nostra massa in movimento ci dilania e ci brucia mentre oltre alla bellezza del cielo azzurro notiamo come sotto di noi si stanzi la terra indistruttibile, materia dentro la quale presto faremo un cratere. L'adrenalina ci fa sentire potenti come dei, delle vere e proprie divinità, e proprio la nostra metamorfosi in entità divine avverrà tra poco, dato che non passerà molto tempo prima che potremo incontrare il nostro creatore per guardarlo dritto negli occhi; è piacevole apprezzare come in aria ogni nostro muscolo sia rilassato e privo di dolore, meglio godersela prima che arrivi il suolo a fare di noi unicamente una massa di poltiglia molliccia sul terreno. Nella caduta, il fruscio dell'aria crea un rimbombo nella nostra testa, i nostri occhi lacrimano e cadiamo in uno stato quasi catatonico, come in una sorta di beatitudine a rallenty prima dello schianto finale. Siamo sempre più veloci e sempre più vicini all'impato, un vero e proprio missile che tra pochi secondi si schianterà al suolo, tagliando anche lo strato di polvere che scorre ad alta velocità.

Conclusioni

Con il singolo di "Skin O' My Teeth" i Megadeth avviano una nuova fase della loro carriera, imprimendo una svolta più morbida e per certi aspetti commerciale alla loro arte. Del resto come biasimarli, non sono più una band underground, bensì sono diventati da anni un'icona mondiale del Metal ed ora il loro dictat supremo è quello di vendere, vendere e ancora vendere. Tuttavia non parlerei di una svendita della band alle logiche della moda (almeno per il momento) quanto piuttosto di un tentativo di restare al passo coi tempi nei confronti di una realtà che, all'inizio degli anni Novanta, era radicalmente cambiata. Come sappiamo non passerà molto tempo prima che anche gli eterni rivali Metallica si lancino nella fase più criticata della loro storia, modellando la loro musica proprio al volere del pubblico; siamo nell'epoca in cui agli alti e bassi del panorama hard n'heavy rispondeva di paripasso l'ascesa all'olimpo del Grunge e la band di Megadave, assieme a tanti altri colleghi, semplicemente sta cercando, con questo diverso ma tuttavia valido prodotto, dei modi nuovi per poter riuscire a continuare a comporre e fare musica riuscendo anche ad avere dei buoni scores nelle billboard. Mentre la titletrack di questo singolo, seppur nettamente diversa da quanto fatto in precedenza, si rivela comunque un centro del bersaglio, regalandoci una canzone comunque godibilissima e molto personale, la scelta del remix con cui tentare la svolta elettronica si rivela un buco nell'acqua; difficilmente infatti la rivisiazione di un pezzo dei Megadeth, specialmente se si tratta di un brano recente ma già divenuto un classico come "Holy Wars", riuscirà ad accaparrarsi il favore dei metal head; è vero che non bisogna avere pregiudizi e non dimostrarsi di vedute chiuse, ma andare a tentare un azzardo simile su uno dei pezzi più efficaci della band decisamente non ha dato i buoni frutti sperati. Passata però questa parentesi elettronica non del tutto eccelsa, fortunatamente la pubblicazione si risolleva con i contenuti live delle tre tracce estrapolate dal concerto tenutosi nel Wisconsin, che ci dimostrano che sul palco Mustaine e soci sono sempre la grande macchina da guerra di sempre. Con questa nuova proposta il gruppo americano ci mette sul piatto in maniera molto sincera che cosa stava preparando: un sound nuovo, meglio calibrato a livello di suoni (sia in studio che in occasione dei concerti) e strutturato su idee più mature ed eclettiche (anche troppo, nel caso del remix), la cui appetibilità di mercato passa ora dai thrasher oltranzisti agli ascoltatori in senso più ampio, allargando così il bacino di utenti di Megadave fino anche a coloro che prima non li avrebbero nemmeno considerati. A conti fatti quindi, abbiamo per le mani un prodotto che salvo un unico episodio poco felice convincerà sicuramente i fan della band, ai quali magari, vista la diversità con i lavori precedenti, occorrerà un ascolto più corposo e ponderato di questo prodotto per poterne apprezzare appieno l'evoluzione artistica.  

1) Skin O' My Teeth
2) Lucretia
3) Skin O' My Teeth
4) Holy Wars...The Punishment Due (General Schwarzkopf Mix)
5) High Speed Dirt
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