MEGADETH

Rust In Peace

1990 - Capitol Records

A CURA DI
DAVIDE CILLO & GIACOMO BIANCO
07/11/2014
TEMPO DI LETTURA:
10

Recensione

Nel 1988 Dave Mustaine si trovò in un mare di guai. Dopo essere stato costretto a licenziare Chuck Behler, batterista della band, per una serie di incomprensioni - sintomo di una comunicazione che tra i due, forse, non era mai esistita - il leader della band losangelina dovette far i conti pure coi problemi di cuore, dato che l'altro chitarrista della band, Jeff Young, era sospettato di avere una tresca con la sua ragazza. Questi problemi erano chiaramente due fattori destabilizzanti per l'economia del gruppo, che in più aveva pure dovuto patire i risvolti personali del bassista David Ellefson, la cui dipendenza da sostanze stupefacenti valse alla band la rinuncia al prestigioso tour europeo del Monster of Rock, che si erano peraltro giustamente conquistati a colpi di validissime esibizioni. Ellefson venne però salvato da questa epurazione generale messa in atto da Mustaine, il quale, in breve tempo, organizzò poi le audizioni per ricercare i due membri mancanti. Se trovare un rimpiazzo per la batteria fu cosa facile - venne infatti assunto l'ex drum technician di Behler, Nick Menza - per la chitarra il discorso non fu esattamente tutto rosa e fiori. Tra le maree di chitarristi valutati, è d'obbligo citare un giovanissimo Dimebag Darrell, che si presentò all'audizione sbaragliando la concorrenza. Quando il rosso-crinito frontman della band si era quasi deciso ad offrirgli il posto, Dimebag spiazzò tutti quanti quando s'impuntò dicendo che avrebbe voluto ad ogni costo nella band pure il fratello Vinnie Paul. Insomma, due al prezzo di uno. Conoscendo i valori dei singoli, non sarebbe stata affatto cosa malvagia, ma i Megadeth avevano appena arruolato Menza ed allora di Dimebag alla chitarra non se ne fece niente. Successivamente vennero provati anche Lee Altus degli Heathen ed Eric Meyer dei Dark Angel, ma in entrambi i casi le audizioni si risolsero con un buco nell'acqua. Quasi sfiduciati dalla ricerca, durante un jam session tra Mustaine, Ellefson e Slash dei Guns n' Roses, Dave formalizzò un'offerta al riccioluto chitarrista, che per un attimo sembrò infatti dover lasciare la sua band, nonostante questa stesse viaggiando sulla cresta dell'onda grazie allo strepitoso successo di Appetite for Destruction. Inutile dire che nemmeno questa fu la volta buona per trovare il rimpiazzo alla chitarra? Quando le cose cominciarono a farsi sempre più grigie, un tale, John Laffitte, membro della "Capitol Management" e collaboratore della band, inviò a Mustaine il debut di un giovane artista, Marty Friedman, costruitosi già una certa fama grazie alla sua precedente band, i Cacophony, capeggiata assieme all'altro virtuosissimo della sei-corde Jason Becker. "Dragon's Kiss" - il nome dell'album - era un disco di metal strumentale, connotato da fortissime influenze neoclassiche, che fece subito presa su Mustaine ed Ellefson. I due vollero però sentirlo una volta dal vivo e, più che convinti che il suo stile fosse adatto a quello della band, gli offrirono infine il posto: Friedman era dentro e con lui si completava quella che sarà la prima line-up stabile dei Megadeth, definita dai fans la "formazione storica". Con una band riformata e rinvigorita - erano tutti e quattro dei musicisti abilissimi e con pochi rivali, nel mondo del thrash, a livello di tecnica - poterono buttarsi a capofitto nei lavori per un nuovo disco, che sarebbe dovuto infatti uscire da lì a poco. Uno di quei giorni, Mustaine stava rincasando da Lake Elsinore e notò sul lunotto posteriore della macchina che lo precedeva un adesivo che recitava "May all your nuclear weapons rust in peace" ("Possano tutte le tue armi nucleari arrugginire in pace"): a Dave piacque subito molto lo slogan e, soprattutto, il significato che ad esso sottostava. Vien facile pensare che, in una mente geniale come quella del frontman americano, in quell'attimo fosse già scaturita una prima scintilla di quello che sarebbe stato poi il concept del prossimo disco. Nel marzo 1990 i Megadeth entrarono finalmente nei Rumbo Studios di Canoga Park, California, assistiti dal coproduttore Mike Klink (artefice, tra gli altri, del fortunatissimo Appetite for Destruction dei Guns n' Roses, peraltro registrato nel medesimo luogo). I lavori cominciarono bene e continuarono allo stesso modo, con la band che riusciva a mantenersi sobria durante le sessioni di lavoro, problema che invece aveva seriamente minacciato la produzione dei precedenti dischi. Sebbene Mustaine mosse una critica a Klink, dato che, a sua detta, pareva più concentrato sul doppio LP dei Guns (Use Your Illusion, che sarebbe uscito da lì a poco) piuttosto che sul disco dei Megadeth, il produttore venne comunque mantenuto sino a produzione ultimata, quando poi il lavoro del missaggio passò a Max Norman ed a Micajah Ryan. Con un gran lavoro sulla sezione ritmica si confezionava quel disco che, ad oggi, è considerata l'opera più importante all'interno della discografia dei Megadeth: Rust in Peace. Il titolo non vi dice niente? È proprio la parte finale dello slogan sull'auto, notato da un Mustaine alla guida che rimase folgorato dalla potenza espressiva di sole tre parole. Sicuramente in italiano ha un effetto molto meno evocativo, ma in inglese suona incredibilmente vicino alla celebre detto "Rest in Peace" ("Riposi in pace", dal latino requiescat in pace), formula molto usata negli States ed incisa sulla pressoché totalità delle lapidi funerarie. Con questo eloquente titolo il 24 settembre 1990 usciva Rust in Peace, prodotto dalla Capitol e curato nell'artwork da quel geniale disegnatore che risponde al nome di Ed Repka, già peraltro visto all'opera sulla copertina del precedente album Peace Sells... but Who's Buying? (1986). Partito dal concetto che sottostà alla seconda traccia dell'album, Hangar 18, Repka seppe collocare la mascotte della band, Vic Rattlehead, al centro della scena, con uno stuolo di gente in cravatta sullo sfondo. Con poche ricerche si viene a conoscenza del fatto che essi erano i più influenti uomini politici dell'epoca (da destra a sinistra, il Presidente USA George H. W. Bush, il Segretario generale del Partito Comunista sovietico Mikhail Gorbachev, il presidente della Germania dell'Ovest Richard von Weizsäcker, il primo ministro nipponico Toshiki Kaifu ed il Primo Ministro inglese John Major). Costoro paiono essere stati attirati in un hangar "in stile Area 51" dal subdolo Vic, quasi come se dovesse rivelargli un'importante scoperta? Ed in effetti qualcosa di stravolgente è contenuto in una bara criogenica: il corpo di un alieno, non si sa se vivo o morto, ma certamente reale. In più Vic regge in mano una scheggia verde fosforescente, molto simile alle barre di plutonio, che potrebbe essere sia una nuova sostanza per creare armi nucleari, sia - usando maggior immaginazione - un materiale alieno sconosciuto, riconducibile però ai medesimi fini? Accompagnato da una copertina degna di un thriller fantascientifico, il disco venne acclamato dai fan e dalla critica, che permisero all'album di debuttare al numero 23 della Billboard 200, imponendosi come l'LP di maggior successo della band fino a quel momento. Con la critica che si sbilancia addirittura a definire Rust in Peace come un lavoro che "ha tracciato i solchi per la definizione di un nuovo genere" (Decibel), l'album fu accompagnato dai due videoclip dei singoli (le prime due tracce dell'album, curate nell'artwork sempre dallo stesso Repka). L'alta qualità del songwriting, la perizia tecnica e quella esecutiva consolidarono sempre più il nome della band nell'Olimpo del Thrash, fintanto che giunsero anche prestigiosi riconoscimenti, come il disco di platino (certificato nel 1994) e la nomination come Best Metal Performance ai Grammy Awards. In quello stesso anno, ai fini di promuovere l'ultimo disco partorito, i Megadeth si unirono, su proposta degli Slayer, al Clash of the Titans tour, segnando l'inizio di una proficua collaborazione tra questi "titani" del thrash made in USA, cui si unirono pure i newyorchesi Anthrax, i californiani Suicidal Tendencies ma pure gli Alice in Chains, anticipatori del grunge che sarà. Un'altra prestigiosa collaborazione si verificò quando i Megadeth suonarono coi Judas Priest, sempre nel 1990, per poi arrivare ad esibirsi durante la seconda edizione del Rock in Rio (1991). La band era ufficialmente entrata nel novero delle leggende del Metal.

"Holy Wars? The Punishment Due" (Guerre Sante....La Giusta Punizione) ha l'onere e l'onore di introdurre l'ascoltatore nel mondo di Rust in Peace. Fin da subito le sferzanti schitarrate di Mustaine trasudano aggressività mista ad isteria, effetto amplificato notevolmente dalla vigoria incalzante della sezione ritmica rappresentata da Ellefson e Menza. Il ritmo è sostenuto, mentre il riffing è estremamente azzeccato e potente. Il basso si riesce pienamente a cogliere nel suo clangore metallico, che assieme alla distorsione graffiante delle chitarre impasta e modella un suono mai così azzeccato al contesto battagliero della canzone. Una prima melodia di chitarra fa capolino, in maniera per niente invasiva, attorno a 00:48, quando gli altri musicisti si dimenano come forsennati per mantenere alta la spettacolare incisività del brano. A 1:10 un buonissimo - e cortissimo - break ha il compito di spezzare il succitato ritmo, ma la soluzione vincente risiede proprio nella scelta di alternare sezioni rapide (quelle del riff principale) ad altre più rallentate (il break di cui prima). A 1:31 entra finalmente la voce di Megadave, mai così espressiva e decisamente sicura dei propri mezzi. La sua timbrica acida e tendente allo stridulo ci narra di un tema assai vicino allo stesso Mustaine: la guerra civile in Irlanda del Nord. Come si può leggere dalla biografia del frontman americano, prima che egli scrivesse questa canzone, i Megadeth si trovarono ad esibirsi in Antrim, Nord Irlanda, quando un Mustaine un po' alticcio disse questa frase: "Give Ireland back to the Irish!!" ("Ridate l'Irlanda agli Irlandesi!!"). Dave aveva appena scoperto una bancarella con delle magliette della band contraffatte e così, infastidito dalla cosa, si fece trasportare troppo dagli eventi. Una cover di Anarchy in the UK dei Sex Pistols fece il resto. Immediatamente l'audience sotto il palco si divise "come le acque del Mar Rosso" con Mosè di fronte: da un lato si erano piantati i cattolici, dall'altro i protestanti. Anche se non siamo qui per tenere una lezione di storia, occorre tuttavia sapere che in Irlanda (intesa come l'intera isola) la guerra civile nacque per motivi religiosi, a causa della conquista ad opera degli Inglesi, protestanti, che s'imposero su un popolo storicamente cattolico, quello degli Irlandesi. Dopo aver insanguinato la nazione per diversi secoli, questo triste fenomeno sembra essersi acquietato negli ultimi anni, ma all'epoca in cui i Megadeth visitarono l'Irlanda le cose non andavano affatto come oggi, giacché la guerra civile stava vivendo la sua ultima - e violentissima - stagione, fatta di crudeli attentati terroristici messi in atto dall'IRA (l'Irish Republican Army, l'Armata repubblicana irlandese). La guerra civile vedeva infatti contrapposte due fazioni antagoniste: la comunità cattolica nazionalista e quella protestante lealista alla Corona d'Inghilterra. Per stare maggiormente sulla vicenda che coinvolse i Megadeth, pochi attimi dopo che Dave pronunciò la sfortunata frase, la band dovette sospendere il live, cercando piuttosto una via di fuga tra la folla che cominciava ad essere inferocita (la proverbiale rissosità degli Irlandesi?). Insomma: per il rotto della cuffia la band riuscì ad allontanarsi dalla zona del concerto, e successivamente gli fu consigliata l'opzione di abbandonare subito il paese, suggerimento saggiamente accolto da Mustaine, che nel frattempo aveva pure ricevuto minacce di morte. Essendo d'origine irlandese, Mustaine trovò così l'ispirazione per scrivere Holy Wars, che si caratterizza appunto per alcuni versetti altamente significativi come "Brother will kill brother/Spilling blood across the land/Killing for religion/Something I don't understand" ("Fratello ucciderà fratello/Spargendo il sangue sulla terra/Uccidere per la religione/E' qualcosa che non comprendo"), cui non occorre aggiungere alcuna spiegazione. Da sempre l'uomo combatte soprattutto a causa di motivi religiosi, che molte volte mascherano motivazioni ancora più deplorevoli, come il denaro ed il desiderio di possederne sempre più. Quello che successe in Irlanda non vide però coinvolte etnie diverse: erano tutti fratelli, è vero, ma alcuni avevano accettato di buon grado la dominazione britannica, abiurando il cattolicesimo in favore del protestantesimo, altri invece rimasero fedeli alla loro tradizione. In tempi più recenti, il conflitto con la Gran Bretagna si acuì negli anni 70 ed 80 del Novecento, quando un'azione militare azzardata dell'Inghilterra costò la vita a 13 civili nella città di Derry. L'episodio, noto come Bloody Sunday, innescò una reazione a catena che vide la nascita di diversi gruppi estremisti, sia sul fronte protestante che quello cattolico, che portarono avanti una serie di sanguinosi attentati - spesso a danno di inermi civili - che flagellarono duramente l'Irlanda del Nord. Ritornando più sul brano, si può vedere che la rabbia di Mustaine per l'accaduto è ancora viva, giacché si autodefinisce "stupido", dal momento che arriva in questa terra, uscendosene scioccamente con una battuta abbastanza provocatoria ("Fools like me, who cross the sea/And come to foreign lands/Ask the sheep, for their beliefs/Do you kill on God's command?", "Un folle come me, che attraversa il mare/E che arriva da una terra straniera/Chiede alle pecore se, per la loro fede/Ucciderebbero se Dio glielo comandasse"). Evidenziata la fragilità di un paese che vede combattere i propri figli in una guerra intestina senza possibili soluzioni ("A country that's divided/Surely will not stand", "Un paese diviso/Sicuramente non durerà"), Mustaine profetizza una triste fine, ormai prossima ("The end is near"). L'urlo "Holy wars", sul quale Menza innesca una rullata, prelude ad un intermezzo acustico a tratti spagnoleggiante (per via della chitarra classica in stile flamenco). A seguito di questa parte, che funge da vero e proprio spartiacque all'interno della canzone, viene alla luce la seconda sezione del brano, in cui cambia completamente il tema trattato: il soggetto ora è diventato il Punitore, meglio noto col suo originale nome inglese, e cioè The Punisher, celebre antieroe dei fumetti Marvel. Frank Castle, il vero nome del personaggio, è un uomo che ha assistito all'assassinio della propria moglie e del figlio, accidentalmente coinvolti in un regolamento di conti fra gang, mentre stavano festeggiando la giornata al Central Park di New York. Sebbene pure Frank rimanga coinvolto nella sparatoria, le ferite riportate non sono mortali e questo fatto fortuito gli permette di ristabilirsi. Perso ogni sogno, l'unico scopo di Frank rimane quello di vendicare la sua famiglia, cominciando ad indossare le vesti del Punitore, una sorta di vigilante che applica il concetto di giustizia in maniera molto "personale", ma altrettanto efficace. Sicuramente un fan della saga, Mustaine decide di prestare la sua voce al giustiziere della Marvel, che si presenta come sommo giudice nei confronti dei criminali ("Down in my seat of judgement/Gavel's bang, uphold the law", "Seduto sul mio scranno del giudizio/Colpo di martelletto, sostengo la legge"). Anche quando la legge ha già espresso il proprio verdetto, ecco che subentra il Punitore, che ritiene sempre e comunque troppo leggera la pena comminata. In questo modo egli si presta ad un'ulteriore, definitiva ed ineluttabile sentenza: la condanna a morte. Anche la musicalità del brano ha ormai virato verso altri lidi, e della frenesia della prima sezione poco è rimasto. Ad una tambureggiante introduzione subentra poi una melodia di chitarra, tanto suadente quanto pericolosa (2:45). Tra i tocchi controtempo di batteria, il Punitore ha modo di spiegare la sua missione ("Wage the war on organized crime", "Condurre la guerra contro la criminalità organizzata"), mettendo in guardia chiunque abbia a che fare con lui ("Some people risk to employ me/Some people live to destroy me/Either way they die", "Alcune persone rischiano ad arruolarmi/Alcune persone vivono per annientarmi/In entrambi i casi essi muoiono"). Nel frattempo si nota che la voce di Dave si è fatta più melodica, anche se rimane pur sempre un fondo corrosivo nel suo timbro. A 3:31 deflagra il primo assolo - ad opera dell'enfant prodige Marty Friedman - caratterizzato da un'ottima melodia e da un altrettanto validissima esecuzione. Alcuni versetti ("They killed my wife, and my baby", "Hanno ucciso mia moglie e mio figlio") raccontano la triste storia di Frank Castle, così come altri alludono al Circle of Blood, comunità di persone che, come Frank, han perso dei cari per colpa del crimine organizzato e che ora pagano il Punitore per ottenere vendetta ("Paid by the alliance, to slay all the giants", "Pagato dall'associazione per uccidere tutti i giganti [del crimine]"). Il fine ultimo del Punitore sarà infatti quello di eliminare Kingpin, vertice assoluto della mala newyorchese, nonché uno dei personaggi più crudeli dell'universo Marvel. A 4:24 Marty disegna un nuovo assolo, molto simile al primo, che ci accompagna all'ultima sezione del brano. Da questo momento la canzone sembra perdere completamente il senno, coi musicisti che si lanciano in un esasperato assalto all'arma bianca. Urla soffuse di chitarra (4:59) anticipano di qualche secondo la parte solistica di Mustaine, che si prodiga in un assolo decisamente thrasheggiante e dalla notevole durata. Ancora un'ultima strofa e la canzone si chiude con le note del break di prima, dopo sei minuti e mezzo di assoluto e tecnico thrash metal. Un opener stordente. Alla seconda posizione troviamo "Hangar 18" (Hangar 18), la traccia che ispirò l'artwork di Repka. L'inizio, decisamente d'impatto, è di quelli lineari, in cui un solido groove di basso e di batteria spiana la strada alla melodia delle chitarre della ditta Mustaine & Friedman, prima che degli stacchi accrescano il pathos del brano. Il melodico riff che si può ascoltare da 0:51 in avanti accompagna la voce di un Dave intento a fare gli onori di casa, proprio come un buon padrone. Eppure, questa volta, non è una magione nobiliare a spalancare le proprie porte, bensì l'Hangar 18 della Wright-Patterson Air Force Base, base militare in cui si ritiene siano celate le prove dell'incidente alieno di Roswell, avvenuto nel 1947, anno in cui una navicella aliena pare essersi schiantata sulla cittadina del Nex Mexico. Il fatto - che ha ispirato diversi film come l'omonimo Hangar 18 (1980) - colpì particolarmente il drummer Nick Menza, tanto che scrisse le liriche per il brano. L'introduzione musicale è invece stata ricavata da una bozza di Mustaine concepita originariamente per la traccia "The Call of Ktulu" dei Metallica, ultima traccia ad essergli stata accreditata da parte della sua precedente band. L'hangar numero 18 è qui presentato come una fortezza inespugnabile, consapevole di esercitare un certo fascino sui propri ospiti ("Welcome to our fortress tall/Take some time to show you around", "Benvenuti nella nostra superba fortezza/Prendetevi un po' di tempo per guardarvi attorno"). Le sue mura d'acciaio nascondono un'avanzatissima sala computer da cui si tirano le redini del mondo intero, puntando però sempre un occhio verso cosa accade nel cielo e nello spazio ("Impossible to break these walls/For you see the steel is much too strong/Computer banks to rule the world/Instruments to sight the stars", "E' impossibile rompere questi muri/Perché, vedi, l'acciaio è troppo resistente/File di computer per governare il mondo/Strumenti per scrutare le stelle"). Tutta questa premura può essere solamente spiegata dal contenuto top secret della base, di cui però il ritornello non fa particolare menzione. Infatti i versetti del chorus "Possibly I've seen to much/Hangar 18 I know too much" ("Forse ho visto troppo/Hangar 18 io so troppo") riescono abilmente a mantenere alta la suspense, nel mentre che la sezione musicale traccia le coordinate per un ritornello dissonante, sgraziato, che sa di incubo che ti rincorre e che ti entra in testa, presagendo orrori che mai più usciranno dalla mente dello scioccato visitatore. A 1:27 è già tempo di assoli, con Friedman che inventa un'altra sezione solistica melodica ed incisiva, seppur corta. Con gli ottimi fills di basso di Ellefson, il brano prosegue con un'abbondante dose di melodia, prima che la voce di Mustaine si faccia portatrice di dure critiche al sistema dei servizi segreti militari ("The military Intelligence/Two words combined that can't make sense", "L'intelligence militare/Due parole combinate che non hanno un senso"). Tra archivi ed inventari di forme di vita aliene, capsule criogeniche in cui vengono imprigionati gli UFO e chi più ne ha ne metta, il sospetto che l'intelligence manipoli l'opinione comune è molto attendibile: in questo modo si preferisce mantenere il più assoluto riserbo riguardo un argomento che potrebbe destabilizzare la "tranquillità indotta" di tutte le genti del mondo. Mustaine lo sa bene e si fa messaggero di un verbo quasi illegale. A 2:27 tocca di nuovo a Marty costruire un assolo identico al primo, prima che il brano s'impenni improvvisamente. In questa nuova parte si nota appieno la tendenza virtuosistica di Friedman, ma è pure la sezione d'accompagnamento a colpire, soprattutto grazie ad un intricato groove, potenziato dall'asciuttissimo suono del basso di Ellefson. Dopo questa ottima sezione strumentale, Menza decide di cambiare i connotati del brano con un break di batteria sui tom, a cui fa seguito il solo di Mustaine, sempre molto ben caratterizzato nella sua complementarità rispetto alla melodia innata che risiede in Friedman. Il brano è diventato ormai un botta-e-risposta tra i due axemen della band, due moderni Narcisi che paiono giusto riflettersi in lago d'acqua per ammirare la loro stessa bellezza, o meglio, nel nostro caso, per dar sfoggio delle loro abilità chitarristiche. Dopo una sezione strumentale di quasi tre minuti, a 5:11 si chiude il brano, che lascia un ottimo ricordo di sé per la tematica, per la parte solistica e per la sezione ritmica. Altro colpo andato decisamente a segno. Continuando il nostro viaggio in questo fantastico album troviamo "Take No Prisoners" (Non Fate Prigionieri), che deflagra con una chitarra desiderosa di mordere le orecchie dell'ascoltatore, peraltro supportata da una terremotante sezione ritmica. Dopo circa quaranta secondi di virtuosismi vari e tocchi in controtempo, un verso dinamico si struttura in modo da supportare ottimamente la voce del singer, che questa volta si concentra sulla Seconda guerra mondiale. In modo particolare, Mustaine pare volersi cimentare sull'invasione nazista della Polonia, con la prima strofa atta quasi a sottolineare la superbia insita nel popolo teutonico, notoriamente superiore a tutto ed a tutti. Ogni singolo versetto di questa prima parte termina con la parola "them" ("loro") ed è un mirato riferimento agli Ebrei. Inutile dire che questo "them" viene accostato ai termini più volenti: "terminate them" ("terminateli"), "denigrate them" ("denigrateli"), "devastate them" ("devastateli") ma soprattutto "cremate them" ("cremateli"). È proprio quest'ultimo verso a non lasciare spazio all'interpretazione su chi possano essere i veri nemici dei nazisti. A riguardo della canzone, purtroppo, c'è da sottolineare una piccola stortura: i cori del brano - sicuramente molto thrasheggianti - sono affidati anche a Marty Friedman, che sappiamo essere di discendenza ebrea. Stando alle voci sul suo addio alla band, avvenuto nel 2000, il chitarrista parrebbe essersi irritato proprio per questa cosa, fatto anche lecito, se proviamo a metterci dal suo punto di vista: cantare le azioni che trucidarono la propria gente non deve essere stato affatto piacevole, seppur il Mustaine autore della canzone non si schieri affatto dalla parte dei Tedeschi. Come vedremo, subito dopo questa strofa, il brano prenderà infatti la tipica piega delle canzoni di protesta. Dal lato musicale la traccia si fa apprezzare per il ritmo costante ed incalzante, che mantiene sempre avvincente lo sviluppo del brano. Le sezioni musicali tra le strofe danno sfoggio della bravura dei musicisti, con un sempre ottimo Ellefson, autore di un breve break in tapping. In seguito, la seconda stanza pare tramutarsi in un manifesto antibellico, toccando argomenti caldi come l'assurdità dei combattimenti ("War is peace sure man/A retreat for the damned/A playground for the demented/A heaven for those who walk this world", "La guerra è pace, sicuro/Un rifugio per i dannati/Un parco giochi per i pazzi/Un paradiso per chi cammina su questo mondo") e sottolineando come solo in amore o in guerra tutto sia lecito ("Love and war they say all is fair"). Emblematica è l'immagine con cui Mustaine rappresenta uno Stato in guerra: esso è una sorta di padre-padrone che decide in tutto e per tutto quello che è bene per la propria prole, disponendo liberamente del destino di ognuno dei propri figli ("Your body has parts your/Country can spare", "Il tuo corpo è fatto di parti/Di cui il tuo paese può disporre"). La seconda strofa è ancora più devastante della prima, giacché un tappeto di doppia-cassa si è ormai fatto caratteristica costante dell'andamento. Collegata a questa strofa è la seguente, la terza, che racconta le tragiche conseguenze post-belliche di un sopravvissuto, costretto ora e per sempre alla sedia a rotelle. Non si capisce bene se il soldato invalidato sia tedesco o americano, ma questo non conta: ciò che importa - e fatto al contempo assurdo e bizzarro - è che adesso, a conflitto terminato, tutti gli uomini di entrambi le parti si assomigliano nella loro fragilità, giacché la guerra ha sconvolto i corpi e le menti di chiunque, senza badare né alle gerarchie né all'esito finale. Tra gli ultimi versetti si può trovare una storpiatura della celebre frase di J. F. Kennedy, incipit del suo discorso d'insediamento nel 1961. Questa recitava così «Non domandate cosa potrebbe fare il vostro paese per voi, domandate cosa potreste fare voi per il vostro paese». In "Take No Prisoners" Mustaine inverte totalmente le due frasi "Non chiederti cosa potresti fare per il tuo paese/Chiediti cosa farebbe il tuo paese per te" ("Don't ask what you can do for your country/Ask what your country can do for you"). L'effetto è stordente, mazziante, tanto che alcuni definiscono questi icastici versi tra i migliori dei Megadeth, proprio per il loro alto tasso di protesta. Sono parole destabilizzanti, che mettono però in luce un aspetto fondamentale che travolge tutti i reduci di guerra: il Paese per cui tu hai combattuto, per cui tanti tuoi commilitoni hanno dato la vita, ora come ti ripaga? Esiste una paga così adeguata da farti dimenticare tutti gli orrori commessi o visti? Penso proprio che la risposta sia no. Verso la conclusione, l'assolo di Friedman viene intercalato alla voce di Mustaine, che pare essersi fossilizzata sull'ultimo versetto "Take no prisoners, take no shit" ("Non fate prigionieri, non prendete merda"), con la quale si evidenzia un'ultima volta la crudeltà e la spietatezza dei Tedeschi. Brano decisamente più corto e meno variegato, ma per questo non meno significativo. "Five Magics" (Cinque Magie), la quarta traccia, pare riportarsi prepotentemente sulle coordinate del primo brano, ma ben presto ci si accorge che la canzone assume connotati decisamente più oscuri. A tal proposito un elaborato arpeggio di basso culla i fischi stridenti di una chitarra che sta sbiadendo sempre più? A 0:37 una melodia inquietante e sinistra fa il proprio esordio, trasformandosi poi in un riff ipnotico e vorticoso. Le sezioni si ripetono ossessivamente fino a quando, dopo una lunga intro di due minuti, la voce di Megadave si cala in un oscuro ambito: la magia nera. Il brano acquista decisamente tutt'altra verve, risultando incisivo e carico di potenza, grazie anche ai primi assoli che cominciano a far capolino. La tematica, decisamente fantasy, parla di un misterioso protagonista che invoca un saggio mago affinché questo gli insegni l'arte della magia, cosicché egli possa governare il suo regno, che pare stia affondando nella depravazione ("Bestow upon me magic/Wizard, all knowing all wise/I want to rule my kingdom/Make sweet the breeze now defiled", "Concedi a me la magia/O mago, che tutti sanno essere saggio/Io voglio governare la mia terra/Rendere dolce la brezza ormai contaminata"). La struttura della canzone può essere definita, a tratti, hard rock, nel senso che alle liriche del cantante fanno eco gli assoli di Friedman, in una sequenza tipica del gran rock che fu. Un break a 2:51 spezza l'andamento, ma la canzone si rimette subito in carreggiata grazie ad un ottimo assolo di Friedman, sotto il quale ritorna un intricato groove simile a quello di inizio canzone. Il confine col progressive è quanto mai vicino: basti ascoltare il ritornello della canzone, durante il quale il protagonista invoca con bramosia la cerimonia che possa consacrare la sua affiliazione alle cinque tecniche magiche ("Let the ceremony/Consecrate the marriage/Let me be the protege/Of five magics", "Lasciate che la cerimonia/Consacri il matrimonio/Lasciate che io sia il protetto/Delle cinque magie"). La supplica diventa sempre più insistente ("Give me alchemy/Give me Sorcery/Give me Wizardry", "Mi sia concessa l'alchimia/Mi sia concessa la stregoneria/Mi sia concessa la magia"), fintanto che il protagonista ottiene che gli sia portato dinnanzi, sulle ginocchia, il saggio mago che dovrebbe insegnargli tali pratiche occulte. La seconda strofa vede alternarsi la voce naturale del singer ad un'altra decisamente più infernale, satanica. La sete di conoscenza di questo esoterico sapere ha fatto sì che il suo animo si dannasse ("Possessed with hellish torment", "Posseduto da un tormento infernale"). Il fine ultimo dell'aspirante mago rimane comunque la cacciata di un non meglio precisato Signore degli Abissi ("Hunting the abyss lord"): verosimilmente costui non sarebbe Satana, giacché non avrebbe senso contrastarlo con le sue stesse tecniche (la negromanzia). Sebbene un po' di mistero permanga, può essere utile sapere che Mustaine, per scrivere questa canzone, trasse ispirazione dalla novella Master of Five Magics di Lyndon Hardy (1980). La trama del brano è infatti molto simile a quella del libro. Il protagonista, Alodar, ha come scopo quello di distinguersi dagli altri eroi del regno al fine di sposare la regina Vendora. Nelle sei sezioni in cui si articola il libro, Alodar impara cinque differenti arti magiche, ma ciò gli serve a poco, in quanto il suo antagonista gli soffia il posto di primo pretendente della regina. Durante il suo peregrinare, oltre a conoscere una giovane donna chiamata Aeriel, Alodar s'imbatte in un mago, che gli rivela che il suo viaggio è stato voluto dai Maghi Antichi, mettendolo inoltre in guardia dinnanzi ad una prossima invasione delle forze del male. Destreggiandosi egregiamente con le cinque tecniche magiche, Alodar sconfigge i demoni, ma quando gli viene offerto il trono non solo rifiuta, ma rigetta pure l'offerta di sposare la regina, preferendole Aeriel, con la quale avrebbe potuto continuare lo studio della magia. Nella canzone dei Megadeth, invece, il succo della vicenda è abbastanza diverso, in quanto il finale è aperto a due possibili interpretazioni. La prima vede il protagonista uscir sconfitto dallo scontro col Signore degli Abissi ("He who lives by the sword/Will surely also die", "Colui che vive con la spada/Morirà sicuramente"). La seconda vede invece prevalere il protagonista ("He who lives in sin/Will surely live the lie", "Colui che vive nel peccato/Vivrà certamente nella menzogna"), che però viene poi coinvolto nelle spire del male, diventando egli stesso il nuovo Signore degli Abissi. A voi la scelta che più vi aggrada. A 4:47 un bestiale riff di chitarra fende l'aria come una spada, così come gli stoppati sembrano pugni in pieno volto. La canzone si chiude infine con un fantastico assolo di Mustaine, veloce e tecnico, ma occorre sottolineare come tutti gli assoli di questa traccia siano stati davvero superbi. "Five Magics" è certamente un brano anomalo rispetto agli standard finora offerti, e per questo necessita forse di qualche ascolto in più per essere assimilato, ma una volta "capito" non potrà che risultare come un'altra perla di questo stupendo disco. Il side B non poteva aprirsi se non sbattendoci in faccia, ancora una volta, tutta la magia di questo full: la criptica linea di basso di un ispiratissimo Dave Ellefson introduce la meravigliosa chicca successiva, intitolata "Poison Was The Cure" (Il Veleno Era la Cura). La linea composta da Mustaine è oscura e misteriosa, coinvolgente al punto giusto: è come se Dave ci stesse avvertendo che, da un momento all'altro, potrà essere qualsiasi cosa a prorompere bruscamente ed interrompere il cupo alone misterioso della sezione introduttiva. Per la verità, dire un "qualsiasi cosa" sarebbe in questo caso persino riduttivo, dato che le composizioni di questa quarta perla discografica dei Megadeth meritano una considerazione tutta loro. La linea di basso che apre il brano è affiancata in un primo momento unicamente dalla batteria di Nick Menza, che non svolge un ruolo a prima vista fondamentale, ma che con i suoi tocchi meticolosamente studiati alza incredibilmente il livello qualitativo dell'intro. Sarebbe sbagliato, tuttavia, definirlo semplice "lavoro sporco", perché ad un paio di orecchie ben attente non potrà sfuggire un dettaglio talmente non trascurabile. La prima comparsa della sei corde del nostro frontman Dave avviene dopo 30 secondi, con la chitarra che segue con precisione quanto già interpretato dal suo omonimo compagno al quattro corde; esplode qui tutta la genialità del trademark "Megadethiano", con i rapidissimi fraseggi chitarristici che irrompono nel tenebroso silenzio e la brusca quanto accattivante accelerazione batteristica di Nick che, in questo album, riesce davvero a regalare un ulteriore salto di qualità al già "pericolosissimo" combo thrash metal visto e conosciuto nei lavori precedenti. Giunge poi a noi la tanto attesa linea vocale, che per la verità da un punto di vista psico-acustico non si fa attendere più di tanto dato che la suspence precedentemente creata non ci da alcun modo di porci domande del tipo "ma quando inizia a cantare?". Essa infatti ci persuade ed incanta al punto di ispirarci una fiducia cieca, cosa che non sarebbe mai possibile se non ci trovassimo di fronte ad un grandissimo album. Il racconto dell'indiscusso frontman si fa qui "sincero", visto che si passa, in un colpo, a parlare di tematiche sentimentali. E' il primo grande segno di maturazione di Dave Mustaine come di qualunque altro uomo, l'essere sincero con se stesso: così dalla tematica relativa alla magia nera tanto, e anche a suo dire purtroppo, sperimentata e praticata dal frontman negli anni in cui era ragazzo, si passa a ciò che tocca un po' noi tutti, ovvero le questioni di cuore. Il racconto avviene in prima persona, e scorre in modo da farci capire che è proprio il leader della band il protagonista della storia. L'uomo, ciecamente innamorato, aveva "abbassato la guardia" e si era aperto alla sua amata, attingendo sicurezza dalla loro storia e sentendosi a proprio agio in quei caldi abbracci; "avrei dovuto sapere che mi avresti schiacciato", ammette Dave con il senno di poi, "ti ho amata ma in realtà non eri altro che un serpente". Deluso dalla fine della storia, il dolore per il termine di essa si diffonde nel protagonista così come il veleno scorre nel sangue di chi è stato azzannato da un serpente, al punto che la propria stessa vita e il proprio futuro siano in bilico, mentre scorrono gli spettacolari assoli di Marty Friedman che sono un'autentica miniera d'oro di questo full length: "come in un pozzo nero sono diventato morto, e da una rockstar sono diventato un deficiente da scrivania, qualcuno diceva che sarebbe stato quello il mio destino"; con questa frase, si intende che il vocalist non si è certo arreso di fronte ad una cosa del genere e ha continuato ad imbracciare la chitarra in giro per il mondo, come del resto ci si sarebbe aspettato da uno come lui. Da tracce come questa possiamo capire la pessimistica (e forse condivisibile?) visione dell'amore di Dave Mustaine, che anche in un più recente brano "The Hardest Part of Letting Go... Sealed with a Kiss" si è ricollegato al testo di Poison Was The Cure e tanti altri, dicendo che se si trova qualcuno che si ama veramente tanto, allora è meglio lasciar perdere. Si continua con "Lucretia" (Lucrezia), dove per la prima volta in questo full si aggiunge un secondo songwriter nei crediti delle canzoni, ovvero Ellefson. Anche in episodi come questo emerge come lo stile di questo album sia all'infuori di qualunque cosa di prevedibile o atteso, al punto da essere considerato a metà strada con l'essere un nuovo genere a sé stante. Il bellissimo e particolare intro ideato da Mustaine è una autentica chicca, mentre quest'ultimo inizia intanto a cantare: in moltissimi credono che questo brano narri di Lucrezia, figura femminile mitica dell'antica Roma che fu violentata portando così dopo varie vicissitudini alla nascita della repubblica romana, mentre in realtà questa canzone ha tutt'altro senso. Dave ci narra qui infatti di alcuni suoi ricordi di quando era bambino, con la convinzione che nell'attico vivesse una fantasma chiamata in quel modo; dopo essere scappato da parenti e amici e isolatosi da tutti, il bambino era solito a rifugiarsi nel suo nascondiglio ma, a causa del suo modo di fare, era accusato di avere qualche problema di testa. I riff del brano non sono definibili semplicemente "thrash metal", anzi sfociano qui molto spesso nel rock, adattandosi al meglio alla linea vocale e incalzando l'ascoltatore come meglio non potrebbero fare. Mentre Dave ci racconta di come andava su e giù per quelle scale ricche di ragnatele, passaggio obbligato per ottenere il suo pacifico luogo di tranquillità, la linea dai tratti più progressivi si innalza a metà brano e porta all'assolo di Friedman: nella prima parte la velocità non è estrema, ma l'effetto ci lascia tutt'altro che indifferenti, visto che la tanto meticolosamente studiata sezione solista è una autentica delizia per il modo in cui si amalgama al particolarissimo riff; una volta che Marty prende velocità, si entra in un travolgente vortice di interesse in cui tutto ciò che esegue sulla tastiera della sua sei corde interessa e coinvolge chi ascolta sempre e sempre di più. La mia sensazione è che Mustaine fosse letteralmente un'altra persona nel momento in cui ha studiato questo album, in quanto sia per tematiche trattate che per stile musicale ha deciso di imboccare una strada totalmente nuova e a tratti quasi "sfrontata": d'altronde non potrebbe essere una coincidenza che testi e musica più maturi giungano entrambi in questo quarto lavoro discografico, che se proponesse qualcosa di già fatto e sentito non incanterebbe mai chi se ne imbatte fino a questo punto. Ricordiamoci che l'obiettivo del leader dei 'Deth era per sua stessa ammissione quello di superare i Metallica, e lui era abbastanza intelligente da capire che nel thrash metal più classico lavori come "Master of Puppets" e "...And Justice for All" sarebbero stati difficili, se non impossibili, da superare: così, virando su un qualcosa di differente, ci ha lasciato brani come per l'appunto "Lucretia", che non hanno davvero nulla da invidiare rispetto a quanto fatto da Hetfield e compagni. Una volta terminato lo stupendo assolo chitarristico, assistiamo quindi ad uno dei più classici riff tipici dei "Megadeth maturi", con una linea di chitarra in continua evoluzione che dà un importantissimo tocco di pesantezza in più all'intera dinamica di questa sesta canzone. La mia sensazione è che mentre ci sia stata l'intenzione di "sondare" il terreno per qualcosa di nuovo in tutta la parte centrale dell'album, con il brano successivo "Tornado of Souls" (Tornado di Anime) l'intenzione fosse quella di proporre un capolavoro heavy un po' più tendente al classico, ma comunque senza particolari sbilanciamenti e mantenendo lo standard particolare ascoltato nei brani precedenti. Il famoso riff caratterizzato dagli "indovinatissimi" armonici di chitarra è seguito da un tanto intricato quanto eccellente fraseggio che porta al riff portante della strofa di canto, nulla di speciale ma perfetto per quello che deve essere, una base eccellente per la spettacolare strofa di canto ideata da Dave. Si torna qui alle tematiche sentimentali, la canzone narra infatti della fine di una relazione fra il frontman ed una ragazza. Il racconto inizia con una telefonata, con cui lui e lei si lasciano: al termine di essa, ecco che il biondo e capelluto fondatore dei Megadeth si sente totalmente vuoto e cede al desiderio di piangere. Giunto il momento, il nostro protagonista si dedica alla riflessione di ciò che è stato fra lui e la sua partner: con il senno di poi, sono stati mille giorni di menzogne e falsità. Nello stupendo ritornello, su cui la base strumentale si poggia melodicamente, la linea vocale si fa più carismatica che mai: è qui che il protagonista si rende conto che non era poi così felice con la sua ex compagna, in quanto il rapporto non era spontaneo e verteva su alcuni principi che lo mettevano a disagio; "se vivrò come lei", dice Dave, "finirò con il morire", alludendo al fatto che lui si sentiva assai a disagio nel portare avanti una storia con dei principi che non condivideva. E così, mentre il riff della strofa continua a scorrere con puntualità e perfezione,  l'odio fra i due cresce con costanza come talvolta può accadere alla fine di una storia. "A me non me ne importa più nulla, non me ne frega niente", dice poi Mustaine cercando forse di auto-convincersi, per poi successivamente abbandonarsi ad uno sfogo contro gli Stati Uniti d'America, la cosiddetta "terra delle opportunità", ma che a lui non ha riservato proprio un bel niente. "Il mio futuro sembra così brillante", dice sarcasticamente, "ora credo di aver visto la luce". Giungiamo qui all'assolo di Marty Friedman, che merita tutto un capitolo a parte; alcuni dicono infatti che è uno dei soli migliori all'interno dell'intero genere, e devo dire che mi trovo pienamente d'accordo: melodia, passione, velocità, la parte scritta da Friedman ha tutto. La partenza è puro incanto, la velocità può attendere perché per noi è il momento di assaporare la pura magia della melodia che il virtuoso chitarrista aveva in mente. Una volta che si passa alle sezioni chitarristiche più rapide, si intuisce quanto effettivamente geniale sia l'idea scritta da Friedman per l'assolo di questo brano. La leggenda vuole che, quando Marty suonò quest'assolo in studio per la prima volta, arrivò Mustaine: il frontman della band non disse nulla, ma porse la mano al compagno in senso di consenso; fu lì che, come dichiarato da Friedman nel 2002, quest'ultimo comprese di sentirsi realmente il chitarrista solista adatto ai Megadeth. Una volta terminati i fraseggi-capolavoro, il brano mette in mostra una drastica accelerazione: la batteria si fa più rapida, e Dave inveisce in maniera più forte che mai: "il mio veleno ti riempie la testa, non dimenticherai le mie labbra, sentirai il mio respiro freddo, quello è il bacio della morte". La traccia seguente si intitola "Dawn Patrol" (Pattuglia dell'Alba): qui vediamo per la prima volta un inedito scritto dalla band senza Mustaine tra i compositori, il pezzo merita infatti di essere accreditato interamente a Dave Ellefson, lo storico bassista della band. La canzone, di durata inferiore ai due minuti, svolge una funziona perfetta all'interno dell'album in quanto mantiene, e anzi accentua, le sue sonorità  caratteristiche rilassando però l'ascolto in vista dell'assalto finale. Il brano, che è interamente un "bass and drum", dimostra di essere una penultima traccia perfetta per mettere in mostra tutte le qualità di "Rust In Peace". Mentre Ellefson e Menza ripetono l'oscuro e criptico riff di basso per l'intera durata della traccia, con gli accenti di batteria studiati da Nick Menza con una attenzione unica, la voce di Mustaine fa la sua comparsa dopo una trentina di secondi: il frontman qui mette in mostra un "parlato" (sì, esatto, non canta mai) cupo e carismatico nel descrivere il più grande disastro mai creato dall'umanità: nelle liriche di questo brano il frontman ci racconta infatti di come, giorno dopo giorno, gli umani stiano distruggendo la Terra; oramai il danno è fatto, avvertono i 'Deth, non ci resta che ridere istericamente per la distruzione che abbiamo portato. Il protagonista, alzatosi al mattino, respira un'aria oramai contaminata lasciandoci una riflessione: la nostra fine è vicina, e a breve non ci resterà che vivere sotto terra come le talpe in attesa che giunga la fine dei nostri giorni. La canzone, coverizzata da centinaia di bassisti, mostra un elemento fondamentale che sta venendo purtroppo a mancare nel metal moderno: la band ci mostra infatti come, con un unico e semplice riff, sia possibile creare un brano a dir poco entusiasmante; gli arrangiamenti sono qui alla base di tutto, e davvero in pochi in campo metal sono abili nello studiarli come hanno fatto i Megadeth nei loro anni migliori. L'ultima perla di questo album capolavoro si intitola "Rust In Peace... Polaris" (Arrugginisci in Pace...Polaris): aperta da uno stupendo assolo di batteria di Nick, la scena passa successivamente all'adrenalinico riff di chitarra, autentica mazzata che cresce in continua evoluzione fino a condurre alla personalissima strofa. La voce di Dave,  che si fa qui più squillante e cattiva, si fonde perfettamente alle armonizzazioni fra le due sei corde e ci fa capire sin da subito che l'intenzione è quella di chiudere il lavoro in grande stile. Una curiosa caratteristica del brano è presente nelle liriche: in esse infatti emerge che il protagonista non è una persona o un racconto, ma il missile nucleare chiamato per l'appunto "Polaris"; lo stesso Mustaine, durante le due strofe, alterna parti in cantato a parti in parlato, ricordandoci in questi frangenti che il racconto è qui proprio vissuto dal punto di vista  della letale arma, che semina terrore e panico al solo essere nominata: "Io sono il tuo sovrano, terra, mare e aria, io sto eretto in alto, io sono l'assassino nucleare, io sono Polaris. Pronto a balzare con il semplice tocco di un pulsante, posso giudicare l'umanità". Nella sua prima metà il brano regge soprattutto su una alternanza fra i veloci fraseggi del ritornello e il parlato del vocalist, che si scambiano perfettamente dando un tocco assolutamente unico all'intera composizione: il brano merita a tutti gli effetti di essere considerato uno dei più geniali mai scritti dalla band. Mentre la voce di Mustaine incalza, il brano subisce una vera e propria interruzione prima che sia scoccato il quarto minuto: questa tanto inattesa quanto geniale pausa conduce ad un nuovo e frammentato riff, in cui la voce di Dave ci racconta che il giorno del conflitto finale sta arrivando, e che la terza guerra mondiale è sempre più vicina; l'intera sezione, potente e con una leggera vena di "angoscia" per quanto viene cantato dal frontman, funge da ponte per il fraseggio di chitarra ideato da Marty Friedman: è proprio su questa tematica che i Megadeth scelgono di concludere il disco, con la voce che si chiude contemporaneamente alla linea strumentale ricordandoci sarcasticamente che "la popolazione ama Polaris". Grande considerazione merita il perfetto connubio fra le tematiche delle liriche e la linea strumentale, lasciandoci intendere che le due siano state concepite contemporaneamente: l'ultimo riff di chitarra si fa infatti estremamente rapido e nevrotico, con una brusca accelerazione che dimostra quanto la musica sia influenzata in tempo reale da quanto viene cantato, trascinandoci in uno stato d'animo dai tratti assolutamente logoranti e angoscianti come solo l'idea di una guerra nucleare potrebbe mai essere.

"Rust In Peace" è un album che, ascolto dopo ascolto, non potrà stancare mai: per chi ne comprende il senso e la magia, le sue sonorità saranno talmente persuasive da aggiungerlo immediatamente ai propri ascolti settimanali; delle volte si dice che alcuni album molto conosciuti sono in realtà sopravvalutati a causa dei potenti mezzi di promozione che possiedono, qui invece ritengo che ci si può trovare nell'esatto caso opposto: "Rust In Peace" è, paradossalmente, un lavoro tutt'oggi ancora sottovalutato. Il suo continuo dinamismo, le sue crescite ed evoluzioni che lo assemblano come tante schegge che perfettamente riunite formano un vetro, creano un prodotto aldilà di ogni spazio e di ogni tempo; alla base di ciò, vi è soprattutto l'imprevedibilità: in questo full length non vi aspetterete mai cosa sta per succedere, perché tutto è costruito da fare in modo che l'ascoltatore ne rimanga, volta per volta, incredibilmente (e piacevolmente) stupito. Magari a qualcuno potrà non piacere, ma non succederà che, al termine di un riff, sarete subito in grado di riconoscere come sarà il successivo come avviene nella stragrande maggioranza degli album: una delle sue qualità era, resta e resterà sempre l'instancabile capacità di sorprendere. Grazie a questi elementi il quarto album dei Megadeth si mostra un disco epocale in grado di resistere decennio dopo decennio: solo una grandissima band nel suo momento di massima ispirazione creativa avrebbe mai potuto infatti mettere alla luce un bambino stupendo come quello di cui Ed Repka ci ha regalato l'altrettanto leggendaria cover. La formazione è micidiale, Nick Menza si mostra un batterista dalle qualità a dir poco perfette, Ellefson è ispirato come non mai e il bravissimo Marty Friedman si amalgama con Mustaine come nessuno aveva mai fatto prima. Sebbene la voce dello stesso frontman sia da molti criticata, a mio modo di vedere regala invece un'assoluta marcia in più all'intero lavoro: l'alternanza fra il cantato spesso dai tratti piuttosto acuti e il parlato cupo e profondo tipico di Dave, rappresentano uno standard tipico unicamente di questo lavoro. Non da meno, se la voce non avesse aggiunto un qualcosa di "strano" e "particolare" al pari della musica, siamo proprio sicuri che sarebbe stata la stessa cosa? Io non credo. Per quanto riguarda un giudizio complessivo sulle liriche, questo è altrettanto positivo. Dalla lettura e comprensione dei testi emerge come il frontman abbia per la prima volta guardato con sincerità nel suo cuore per capire cosa ci fosse al suo interno: le tematiche sociali sono trattate con una precisione e con un approfondimento assoluti, le vicende sentimentali del vocalist sono coraggiosamente sbattute di fronte a tutti, anche a costo di mettere in evidenza che anche il mitico Dave possiede delle debolezze. In parole povere? Un album come questo è da 10 pieno, con tutto quello che ciò comporta.

1) Holy Wars... The Punishment
Due
2) Hangar 18
3) Take No Prisoners
4) Five Magics
5) Poison Was The Cure
6) Lucretia
7) Tornado of Souls
8) Dawn Patrol
9) Rust In Peace... Polaris

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