MEGADETH
Peace Sells... But Who's Buying?
1986 - Capitol Records
DAVIDE CILLO & LORENZO MORTAI
06/03/2016
Introduzione Recensione
Dave Mustaine, Chris Poland, David Ellefson e Gar Samuelson stavano facendo ascoltare la loro musica. Con il provocatorio tour di Killing is my Business i Megadeth stavano iniziando ad avere una piccola parte della visibilità che meritavano, anche grazie alla sfacciata cover di "These Boots" di Nancy Sinatra che, mostrandosi dal vivo come un autentico siparietto, faceva esaltare il pubblico. Gli 8.000 dollari concessi dall'etichetta per produrre l'album di debutto, di cui la metà furono spesi in droga, avevano tuttavia impedito alla band di avere una produzione considerabile seria e quindi di raggiungere il grande pubblico. Resta che il tour dell'estate '85 a supporto degli Exciter fu un successo, e così in molti già aspettavano il successivo passo dei 'deth. Passo che avvenne in un primo momento senza Chris Poland, che lasciò il gruppo per essere momentaneamente sostituito dal turnista Mike Albert, per poi farvi ritorno con delle idee valide per l'imminente release discografica su cui il resto della band era già al lavoro. Il lavoro era già pronto nel Marzo dell'86 ma i californiani, insoddisfatti dal budget avuto a disposizione, scelsero di lasciare la Combat Records per passare alla major Capitol Records, che avrebbe permesso loro di avere ciò che desideravano nel sound dell'album. La nuova casa discografica, lungimirante, acquistò i diritti del full e assegnò a Paul Lani il compito di dedicarsi al missaggio del disco. Non ci volle molto tempo perché l'album diventasse un'uscita di successo, aggiudicandosi il disco di platino dalla RIAA (Recording Industry Association of America). La bellissima cover, disegnata dal giovanissimo Ed Repka, vide protagonista Vic Rattlehead, la mascotte della band statunitense in futuro diventata storica. Lo straordinario concept caratterizzato da un caldo monocromatico color porpora, ci immerge in una città abbattuta e devastata dalla guerra. Il nostro amato Vic, in primo piano, si appoggia su un cartello con la scritta "For sale" (trad. "in vendita"). In uno scenario caratterizzato da un alto palazzo oramai distrutto, da un terreno dove le crepe sembrano divorare qualunque cosa e dai resti di un aereo abbattuto, spicca alla nostra attenzione un edificio governativo in rovina, contraddistinto dalle bandiere dei vari stati che si elevano sulle loro aste, mosse da questo mortale vento, ma rimaste perfettamente intatte. Quest'incredibile provocazione, ovviamente abbinata al titolo del full-length Peace Sells... But Who's Buying?, si completa con gli aerei da guerra che sfrecciano nel cielo a tutta velocità, mantenendo un assetto a tre che sembra certamente tutt'altro che pacifico. Il palazzo delle Nazioni Unite, che quindi si erge come uno degli elementi più rappresentativi in assoluto all'interno di questo straordinario artwork, è stato anche riutilizzato dai Megadeth nel futuro. Infatti, Mustaine e compagni hanno realizzato una rappresentazione simile circa venti anni più tardi, in "United Abominations" del 2007, dove è possibile assistere al medesimo tipo di rappresentazione in una salsa leggermente differente. Il disegno del giovane Ed è certamente specchio di alcune delle tematiche trattate nel full, di carattere politico, ma tuttavia non mancano liriche di tutt'altro genere, cosa che potremo andare presto ad analizzare. L'album mette in mostra uno Speed/Thrash Metal caldo e genuino, ma allo stesso tempo totalmente nuovo e sfacciato nella sua proposta: espressione pura di quanto sto dicendo è la straordinaria title track "Peace Sells", che ottenne subito un grande consenso e una critica positiva da parte degli ascoltatori dei generi più estremi. La rumorosità e la velocità dei Megadeth era infatti unica nel suo tempo, non lasciando indifferente nessuno nel mondo musicale fra quelli che ebbero la fortuna di essere fra i primi a notare le potenzialità di questo nuovo complesso. Questo disco è anche importante per essere una fase di transizione fra la pura rabbia e velocità "anti Metallica" del full-length di debutto al tipico sound dei Megadeth che noi tutti conosciamo, un sound che sa anche all'occorrenza mostrare qualità diverse come la musicalità e la genialità chitarristica. In Peace Sells è infatti possibile percepire e godere di attimi feroci e violenti come di attimi con una spiccata musicalità ed eleganza, come anche è possibile assaporare una vena punk-influenced che certamente ha contribuito a rendere unici alcuni dei grandi lavori della band californiana formatasi nell'83, primi fra tutti quest'album e ancor più il successivo "So Far, So Good... So What". Con il tempo, il marchio di fabbrica che contraddistingue la band inizia infatti a prendere forma, evolvendosi pian piano e assumendo sempre più un suo corpo ed una sua anima. Inizia dunque il processo che porterà lentamente il "Thrash Metal classico" e uniforme degli esordi ad assumere i connotati del trademark Megadethiano, un marchio di fabbrica che ancora oggi si fa notare per essere allo stesso tempo uno dei più amati come uno dei più odiati. In tanti, per esempio, hanno sempre criticato lo stile vocale "parlato" del frontman come altri, fra cui sono io, adorano il suo modo spesso sfrontato e certamente peculiare di porgersi dietro al microfono. Un grande artista, del resto, è anche colui che sa sfruttare al meglio le sue limitate capacità vocali nel proporre qualcosa che per molti sia godibile e unico, e qualunque sia la nostra opinione in merito dobbiamo ammettere che Mustaine certamente riesce nel suo obiettivo (non staremmo altrimenti qui a parlare dei Megadeth). Inutile anche citare la sua abilità unica di strumentista, specie in fase compositiva, per cui ancora oggi lo si annovera come uno dei più grandi compositori come anche cantanti-strumentisti dell'universo metallaro. Capacità non da poco, capacità che certamente fanno comprendere a tutti quanto anche la determinazione rivesta un ruolo di estrema importanza per ottenere ciò che si cerca dalla propria vita. Non si può certo infatti parlare di Mustaine come di quei chitarristi dotati dalla nascita, uno "Steve Vai" o un "Malmsteen": lui è uno di quelli che ci ha sempre messo il 100% per raggiungere quello che è il suo obiettivo di proposta musicale, riuscendoci con abnegazione e applicazione. Nonostante i tanti problemi vissuti dall'uomo di punta della band nella sua età adolescenziale e giovanile, Mustaine è riuscito a non dimenticarsi mai di quale fosse il reale obiettivo della sua esistenza: quello di diventare un grande musicista. E' importantissimo infatti questo discorso storico per contestualizzare questo album e il successivo "So Far, So Good". I problemi con la droga e con l'alcol, per la band, erano tantissimi. Tante volte i Megadeth e lo stesso frontman sono stati sul punto di perdere il punto della situazione, l'obiettivo ultimo che si erano dati. Periodi che hanno donato tantissima grande musica, ma anche tantissimi problemi. La determinazione del frontman però l'ha spuntata, portandolo poi ad allontanare gli stessi artisti con cui aveva realizzato l'album protagonista della recensione di oggi, ancora definito dallo stesso frontman come "il suo preferito fra quelli da lui scritti". L'importanza di tale affermazione non può e non deve passare in alcun modo in secondo piano: qui ci troviamo infatti a parlare di un uomo, con una carriera di praticamente quindici album alle spalle, che esprime un tale apprezzamento nei confronti di un lavoro scritto quando era un ragazzino. La carriera e l'età trasforma completamente gli artisti, sia dal punto di vista personale che dal punto di vista musicale. Se Mustaine, un uomo con una tale esperienza nella musica, ha ritenuto quest'album come quello più rappresentativo della sua carriera, qualcosa di importante certamente c'è. Per molti fan dei Megadeth, me compreso, è "Rust In Peace" ad essere ritenuto il lavoro per eccellenza. Per la sua unicità ed eleganza, oltre che per l'immenso contributo dato dai nuovi componenti primo fra tutti Friedman, il lavoro datato 1990 è infatti ritenuto da molti il più rappresentativo fra i tanti della band. Bisogna però guardare le cose da diverse prospettive, da un qualcosa che vada oltre gli straordinari assoli, tecnicismi e capolavori artistici del quarto album della band. Evidentemente, lo spirito e il divertimento donato da "Peace Sells" è invece tale da stravolgere completamente le precedenti considerazioni. Un album in cui Mustaine vede il suo prodotto per eccellenza, l'essenza ultima della sua anima musicale. Un mix esplosivo di potenza metallara e anima rock, un qualcosa di cui ancora oggi ci troviamo ancora noi tutti a dibattere. Il cuore, l'anima, che supera il valore artistico in senso stretto, quello guardato da un punto di vista oggettivo laddove invece è soggettivo. Soggettivo non per ognuno di noi, ma per il padre dei Megadeth e certamente uno dei padri del Thrash Metal, Dave Mustaine. Siamo nel 1986, e molte cose funzionavano in maniera diversa. Un ruolo importante in tal senso era giocato anche dalle televisioni, rappresentanti di un'epoca completamente stravolta al giorno d'oggi. In questo periodo storico di certo anche importante per i quattro fu, per la promozione di Peace Sells, il contributo proveniente da MTV, che offrì alla stessa title track la possibilità di entrare nella prima rotazione musicale. Ottimi riscontri arrivarono anche dall'emittente televisiva VH1, che inserì la title track dell'album nella sua "Top 40" dei brani metal. Un supporto dunque importantissimo dedicato dai media alla scena musicale più spinta, un supporto che invece ad oggi manca ed anzi, al contrario, è rivolto verso forme opposte di arte musicale, dettaglio assolutamente da non sottovalutare. Ad oggi potrebbe sembrare scontato, ma per i Megadeth dell'epoca passare per la televisione era un piccolo segnale di un futuro ricco di prospettive e potenzialità. I quattro suonarono infatti nel "Constrictor Tour" di Alice Cooper, traguardo più importante raggiunto fino ad allora, per poi fare da spalla ai Mercyful Fate e a dividere il palco con gli Overkill, band a cui nel futuro verranno spesso accomunati per la simile tipologia di sound, che li porterà ad appartenere allo stesso filone musicale (il Thrash Metal per l'appunto). Le aspettative intorno al tour furono soddisfatte ma non superate, in quanto (prevedibilmente) i Megadeth non avevano risolto i loro problemi relativi all'abuso di droghe che vedevano Chris Poland e Gar Samuelson, ma ovviamente non solo, principalmente coinvolti. Ciò comunque non altera il buon successo che, anche negli anni successivi, Peace Sells ebbe sugli ascoltatori musicali dell'epoca. Molti addirittura ironizzano sul fatto che la band ha, nel suo periodo di dipendenze, tirato fuori la migliore musica della propria carriera. E' risaputa infatti la credenza che molti artisti sono stati aiutati da questo tipo di abitudini. Le conseguenze avute da Poland e Samuelson sono state opposte: mentre il povero Gar è deceduto nella fine degli anni '90, Chris non ha smesso di collaborare con i Megadeth anche dopo essere stato allontanato dal frontman e aver ricevuto una "dedica" con Liar. Mi riferisco al più recente album "The System Has Failed", che vede proprio Poland come uno dei principali interpreti e protagonisti. Ci dedicheremo ora alla consueta analisi track by track di questa straordinaria pietra miliare dell'Heavy Metal.Tratteremo, come di consueto, tutte le tracce del full dal punto di vista musicale e lirico. Buon ascolto!
Wake Up Dead
L'album parte con Wake Up Dead (Svegliarsi Morti): lo stacco iniziale è da favola, con il basso di Ellefson che si fa protagonista colorando una melodia che si unisce agli stupendi power chord Mustainiani, formando una melodia perfetta per il provocatorio e carismatico parlato del frontman. Poco ci vorrà per lo storico e inconfondibile riff, uno dei più grandi mai realizzati nell'intera storia del genere Thrash Metal. Questa sezione, introdotta conclusa e intervallata da uno stupendo stacco, serve ad avviare il favoloso primo assolo della canzone, suonato da Mustaine, che squilla ferocemente come un violento destro tirato nei denti. La fusione fra assolo e parte ritmica è da delirio assoluto, specie nel momento in cui essa termina, conducendosi al rapidissimo riff in alternate picking su cui il frontman, dopo una lunga pausa, sceglie di tornare a far sentire la sua voce. La qualità incredibile di questo brano sta nel modo in cui unisce un'anima musicale e una estremamente violenta e Thrash Metal in senso stretto, permettendo a questo brano di essere uno dei più indimenticati della musica estrema di stampo ottantiano. Ciò non è certamente sminuito dallo stupendo stacco del secondo assolo, anch'esso realizzato ed eseguito dal biondo frontman, che tramite una musicalità semplice ma proposta con estrema rapidità contribuisce a rendere questa una traccia perfetta per aprire qualsiasi full-length del genere. Ciò che valorizza incredibilmente questa traccia è il continuo alternarsi ed evolversi di stacchi e fraseggi, che si intersecano perfettamente tra di loro come mille schegge di un vetro rotto. Ancora oggi, questo è un brano riconosciuto come uno dei più storici all'interno del genere. Questo è possibile tramite una fase di composizione perfetta e difficilmente ripetibile, una di quelle ispirazioni che l'artista non sempre riesce a trovare. Mustaine però ci è riuscito, in questo e in molti altri periodi della sua carriera, ed è per questo che ci ritroviamo oggi a parlare dei Megadeth come di una grande band. Le liriche del brano, in appena una sessantina di parole, esprimono tutta la forza e la voglia di abbandonarsi al divertimento dei Megadeth poco più che ventenni. Una vita sregolata, all'insegna degli eccessi e della totale assenza di un pensiero rivolto al proprio futuro, è rappresentata qui come meglio non si potrebbe. Il protagonista della canzone si nasconde in casa sua, tornato alle quattro del mattino, ubriaco fradicio. La storia è quella che avranno raccontato centinaia di ragazzi, ovvero quella del fare più silenzio possibile per non svegliare coloro che abitano la propria casa. Nel caso del giovane di questa canzone, questo giunge alla consapevolezza che, se lei si sveglierà, lui si sveglierà morto. Il ragazzo si chiede quindi se verrà scoperto e, in particolare, se verrà scoperta la sua relazione con "l'altra amante" Diana. Questo testo, estremamente sincero e genuino per il contesto e il periodo in cui questi ragazzi imbracciavano i loro strumenti, termina con la ripetuta frase "wake up dead, you die" (trad. svegliato morto, tu muori). In parole povere, Wake Up Dead si mostra come un mix fra ritmiche leggendarie e parti costruite su una sapienza musicale unica, insieme alla voglia e il coraggio (ma anche la capacità) di saper donare qualcosa di completamente nuovo agli standard musicali già esistenti. Lo stesso modo in cui la traccia è principalmente musicale e la linea vocale ricopre un ruolo meramente secondario, seppur perfetto e calzante, è stato un qualcosa di unico per il modo di fare Thrash Metal dell'epoca.
The Conjuring
La successiva traccia, la seconda dell'album, si intitola The Conjuring (La Congiura): aperta da una macabra introduzione di chitarra, la musica viene spesso coadiuvata dalla regolare cassa di batteria di Gar Samuelson e dalla rauca voce di un grandissimo Mustaine sempre più arrabbiato e provocatore. Ancora una volta è però David Ellefson a ricoprire un ruolo straordinario nell'introduzione di un brano, mantenendo e fungendo da elemento fondamentale dell'intera linea melodica della canzone. La rapida e bellissima linea solista, monotematicamente acuta e squillante, si interrompe bruscamente introducendo la strofa della canzone. Qui, insieme alla voce sprezzante del vocalist, è il regolare ritmico in triplette di alternate picking ad esaltarci e a farci spezzare il collo dall'headbanging. Il brano, che alterna continuamente ritmi più rapidi e più riflessivi in una serie di stop and go da capogiro, mostra tutta la creatività e l'abilità di Mustaine nella scrittura dei riff. Ci troviamo infatti in presenza di un brano che, piuttosto che mantenere un blocco unico, sceglie di mostrare il lato più spietato e godibile del Thrash Metal anche tramite questa serie di straordinarie interruzioni, che mettono più che mai in risalto l'avvio di un riff subito successivo al precedente. Del resto, anche in questo consiste la grandezza dei Megadeth e di Mustaine in particolare, che riesce laddove molti musicisti falliscono, perdendosi nel tentativo di metter su un brano divertente e spietato senza compromessi ma senza le qualità necessarie. Il testo di questa straordinaria traccia si incentra qui su tematiche più horror e, più precisamente, di carattere satanico. Dave, negli anni della sua gioventù, è stato come ben sappiamo estremamente legato alle tematiche "macabre" e "oscure". Ad esempio, nella sua biografia ha raccontato un episodio davvero degno di nota: compiendo un rituale oscuro, il frontman sostiene di aver staccato la gamba ad un pupazzo che rappresentava la persona che odiava. Quella persona avrebbe, poco dopo, avuto un incidente che coinvolse proprio la sua gamba. Mustaine ha racconta che, spaventato, ha scelto in quel momento di non fare mai più una cosa del genere. Il racconto ci presenta uno scenario buio e oscuro, dove il colore nero tinge un'atmosfera tutt'altro che paradisiaca. Piuttosto che chiamare preti o invocare il demonio il protagonista, in cerca della forza, sceglie però di ricorrere all'utilizzo delle arti magiche. A causa sua, le fiamme si innalzeranno alte dai punti cardinali della bussola, l'olio sacro verrà bruciato e le ceneri si ungeranno. La straordinaria potenza della magia, per poter essere evocata, porterà l'uomo ad accendere quindi le candele e piazzare il foglio di carta nel punto giusto. Tra le foglie, sarà inoltre piazzato un ciglio dall'occhio di un gatto nero, per completare finalmente il rituale. Nel finale del brano, la creatura demoniaca evocata, annuncerà al suo evocatore che oramai la sua anima è perduta. Ritengo per la mia personale visione che questa traccia sia piuttosto contrapposta a Wake Up Dead nella sua costruzione, siamo infatti di fronte ad una traccia non tanto "compatta in un blocco unico" quanto in costante evoluzione e con una eccezionale dinamicità compositiva.
Peace Sells
Tutt'altre le tematiche della title track, intitolata Peace Sells (La Pace Vende). Qui, a differenza del brano precedente, i Megadeth scelgono di tornare ad affrontare le tematiche politiche che poi, con il passare degli anni, diventeranno sempre più care a Mustaine. La canzone si innalza come una sfrontata e sfacciata provocazione nei confronti del cittadino americano medio ritratto in tutti i suoi cliché: la sua religiosità, di cui talvolta si compiace con orgoglio e arroganza, quasi escludendo a priori che questa riguardi anche la persona che si ha di fronte, la sua devozione ad un sistema politico e sociale dal funzionamento apparente e assolutamente ipocrita, il lavoro, messo al centro della propria vita perché, ahimè, tutti ne abbiamo bisogno per poter sopravvivere e, infine, l'incredibile rigore nel regolamento di debiti (e di conti) spesso anteposto ad altri più importanti valori. Il vocalist afferma che questa volta è meglio per tutti andare a lavorare, finché non verrà inventato un nuovo sistema che ci permette di vivere anche senza dover fare ciò che spesso non ci piace. In questo caso, il protagonista sarà il primo a "battezzare" con entusiasmo questo nuovo modo di vivere. Per il momento, però, si deve tornare al cittadino medio, spesso spietato e senza sentimenti, spesso accusatore e sprezzante nei confronti degli individui diversi da se stessi, spesso fedele ad una figura, quella del presidente degli Stati Uniti d'America, che dice frasi fatte come "We the people" per poi pensare ai propri meri interessi personali. Si arriva dunque al senso ultimo del pezzo, quello della grande ipocrisia americana, dove si vende sempre la pace, ma nessuno la compra. I bei discorsi dei presidenti, fatti di solidarietà, di fatto poi si materializzano in continui conflitti e guerre, combattuti per interessi economici e quindi per accrescere la ricchezza delle lobbies. E' più che lecita dunque la domanda "si vende tutta questa pace, ma chi è che la compra?". La carriera dei Megadeth è altamente contraddistinta da questo tipo di liriche sincere e di puro senso anti-americano, dove ogni falsità e menzogna viene messa a conoscenza di quelli ascoltatori della band che, magari, la ignoravano. "Peace Sells" è una traccia geniale e indimenticabile proprio per il modo in cui questi modi di fare vengono completamente spogliati e messi a nudo, con quel filo di ironia e di arroganza che mai si discosta dal verbo Mustaniano, specie quello del primo periodo della sua carriera. La bellissima canzone, introdotta dal ritmato basso di Ellefson, ci scaglia subito nella violenta voce di Mustaine che ritrae e ribatte alle frasi-stereotipo facenti parte della nostra società e, in particolare, quella a cui appartiene. Il semplice e gustoso riff avanza con sfrontatezza, mentre la testa degli headbangers non accenna in alcun modo a placarsi. Il primo assolo, successivo al ritornello, funge da breve ponte per la seconda strofa, mantenendo e anzi accennando ancor più i torni provocatori della traccia. Una traccia straordinaria per il modo in cui mette insieme il vero spirito del rock 'n roll e quello del Thrash Metal, un qualcosa di mai fatto prima della storia, e dove è possibile più che mai percepire le influenze Punk della band (esempio emblematico ne è il finale della traccia). In quest'ultima parte infatti, i cori "Peace Sells" con relativa risposta "But Who's Buying" ci conducono direttamente alle origini della band, a cui la band fedelmente risponde. Sono infatti note a tutti le origini musicali di Mustaine, e quanto quest'ultimo debba (insieme ai Metallica) ai filoni artistici che hanno preceduto la scena Thrash. Una traccia capolavoro, e che più che mai dimostra quando i Megadeth siano un complesso che comprende il vero spirito della musica. Ritengo che questa canzone sia un esempio completamente unico e mai riprodotto nella storia della musica, un esemplare irripetibile di genere Thrash/Punk, un nucleo inimmaginabilmente denso di attitudine e predisposizione verso ciò che si suona. Persino i Megadeth, autori di questa traccia, difficilmente hanno riprodotto canzoni di simile qualità e genere. Una traccia che forse è anche più sincera, se possibile, delle precedenti, e con cui il vocalist libera tutta la sua rabbia e il senso anti-politico che si cela nelle sue ideologie. "Peace Sells" è dunque un ibrido meritevole di essere riconosciuto internazionalmente ancor più di quanto è ora. Inoltre, sarebbe una grande cosa se nuove band riuscissero a prendere ispirazione da questo tipo di sound.
Devils Island
Devils Island (L'Isola del Diavolo) è il titolo dell'ultima traccia di questo magnifico side A dell'album. Qui le tematiche horror tornano di moda, con il protagonista che si trova ai margini della porta che conduce all'inferno, il luogo che vuole tutti e lui in particolare. Il giovane tuttavia non ha paura del destino che lo attende, e anzi sceglie sfrontatamente di sfidare il Signore. "Attendo la morte, non ho alcuna paura", dice il personaggio con arroganza, preparandosi ad affrontare il viaggio che lo condurrà direttamente al luogo più malefico fra quelli esistenti, ovvero l'isola del demonio, la sua fermata finale. Trovatosi in un posto da cui non vi è alcuno scampo, il protagonista si ritrova in un mare stracolmo di squali, con l'alta marea che lo scaglia addosso agli scogli con violenza. Il calore muore e scompare, e l'uomo si rende conto che è destinato a rimanere in questo posto per l'eternità. Dopo aver sentito il richiamo proveniente da una tomba, la tomba di lei, il protagonista si accorge che è giunto il grande momento, quello del giorno del giudizio finale. Tuttavia, l'uomo non prova comunque paura o risentimento, limitandosi a constatare ancora una volta qual'é il luogo in cui si trova. La canzone, dalle ben marcate tematiche sataniche, non è stata più suonata da Mustaine una volta avvenuta la sua conversione al Cristianesimo. Molti hanno criticato ciò, non comprendendo la reale anima che deve sempre far parte di un musicista, ovvero quella di sentirsi un tutt'uno con i propri brani. Il senso stesso della musica è infatti quello di unirsi ad ogni nota sentendosene pienamente rappresentati, ingrediente basilare per poter coinvolgere l'ascoltatore: ciò che non è sincero, non può infatti trasmettere e mai potrà trasmettere sincerità. Ad oggi, tantissimi fan continuano a rimproverare Mustaine per questa presa di posizione nei confronti di questo e altri brani. La speranza è che questi ultimi si rendano conto del concetto che c'è dietro le mie parole, perché come non si può chiedere ad un pittore di realizzare una tela che non ha voglia di disegnare, non si può chiedere ad un musicista di imbracciare il proprio strumento per suonare ciò da cui non si sente rappresentato, anche in un singolo momento della sua vita. Per la prima volta nel full, ascoltiamo un'introduzione in cui il basso di Ellefson non svolge un ruolo fondamentale: è infatti il breve assolo di chitarra a catapultare nel brano l'ascoltatore. Il basso sarà presto protagonista nel momento successivo, in cui senza il supporto di alcuno strumento introduce la rabbiosa e stavolta urlata strofa di Mustaine, presto sviluppata nel furioso ritornello dove in coro la parola "Devils Island" cattura ogni attenzione. Il riff successivo, sviluppato in una serie di alternate picking serrati, è straordinario nel condurci alla sezione che subito segue, quella rapidissima dove la velocità si fa inarrestabile. Lo stesso vale per il bellissimo assolo, che colora le melodie del brano ad una rapidità estrema, per poi rallentare nelle fasi finali nel migliore dei modi. Una formula intelligente e opportuna, un'addizione fra due componenti perfettamente riuscita. L'ultimo e sferzante assolo, al contrario, sarà più incentrato sull'evidenziare e rimarcare ancora una volta l'aggressività della canzone, mostrandosi più duro nel suo modo di porsi ed essendo perfetto nel portarci alla chiusura, ben costruita, che si incentra sulla ripetizione degli straordinari cori che recitano senza sosta alcuna il nome del brano. Una conclusione ad effetto ed estremamente incisiva, adatta a chiudere il Side A del full-length lasciando a chi ascolta il piacere della memoria e della "conservazione" di quello che è stato nei suoi minuti l'intero brano.
Good Mourning/Black Friday
Il disco prosegue con Good Mourning/Black Friday (Buon Lutto/Venerdì Nero); il refrain iniziale è affidato ad alcune lievi pennate della chitarra, che ci introducono a quello che è il brano più lungo di Peace Sells. Fino ad ora abbiamo assistito a diverse composizioni pregne di una enorme violenza, come i Megadeth ci hanno abituato fin dal primo disco, ma qui il nostro MegaDave decide di foraggiare un attimo la sua parte leggermente più melodica, e quelle dolci corde della sua ascia vengono percosse con fare quasi setoso, donando un sapore che sfocia quasi nel Blues o nell'AOR. Altrettanto piccoli colpi ai piatti da parte di Samuelson cominciano a dipingere il quadro di questo pezzo, che con i suoi sei minuti e poco oltre ha ben ampio spazio su cui muoversi; un'altra peculiarità che troveremo, man mano nella discografia sempre più spesso, è la presenza di suite che superano abbondantemente i quattro minuti di durata, specialmente quando Mustaine deciderà di inserire altrettanti ricami da parte della sua sei corde, e dalla chitarra di accompagnamento, per infarcire il sound e renderlo personale il più possibile. Continua questo ritmo così mellifluo e pieno di pathos nelle nostre orecchie, tanto che quasi pensiamo di trovarci di fronte ad una ballad; le spazzolate sui tom si alternano costantemente alla chitarra, che inizia però man mano che procediamo a diventare sempre più distorta, arrotolandosi come le spire di un serpente su sé stessa e nelle nostre orecchie. Un veloce "good morning" pronunciato da Dave fa da apripista alle prime liriche del brano, mentre l'ascia di sottofondo continua ad accrescere la propria sete di energia, montando e smontando il proprio manico salendolo e scendendolo, aumentando man mano che procede la distorsione delle corde. Tutto ciò perdura ben oltre il primo minuto, quando alcuni ben assestati colpi di Samuelson fanno detonare ufficialmente la testata del brano, e si parte in quarta con una improvvisa accelerata degli strumenti, anche il basso in sottofondo di Ellefson si sente e non poco, merito anche della produzione che, rispetto a Killing, risulta essere nettamente più forgiata. Tuttavia, l'aumento della velocità, grazie soprattutto ad alcune cascate di note da parte di Dave, non fa altro che fare da bridge ad un secondo momento strumentale, cadenzato e ritmico, in cui la chitarra continua a produrre lo stesso ritmo in maniera compulsiva, innalzando ed abbassando le note, e permettendo così il vero ingresso della voce. Ugola che qui viene, almeno per il momento, relegata quasi in secondo piano, pur essendo il testo molto lungo; protagonista assoluta per questo primo blocco di Good Mourning pare essere proprio la chitarra, che viene poggiata su un lucente piedistallo e lasciata lì, libera e gioconda di esibirsi. Power chords che si sprecano nelle mani di Mustaine, le sue mani percorrono il ligneo ponte dello strumento con fare decisamente saccente, ma mai disturbante; la peculiarità principe infatti di questo compositore così straordinario è proprio la sua ferrea volontà di spingersi sempre oltre il limite. Egli sa bene quali sono le sue capacità, le ha saggiate a fondo sempre e comunque, ma nonostante questo non gli sembra mai abbastanza. Ed è proprio questo elemento a fare da propulsione alla sua linea musicale, andando sempre più ad esplorare terreni nuovi, creando qualcosa che dalla sua band non ci aspetteremo mai. Il primo blocco di liriche si compone sostanzialmente del fattore solo di chitarra e voce che vanno all'unisono, duellando fra loro stessi e componendo questa macabra danza di morte (come poi vedremo nel testo). Si prosegue così, con il duello voce e sei corde, mentre in sottofondo Samuelson gonfia la propria batteria con colpi via via sempre più potenti; ad un certo punto, verso i due minuti e poco più, l'immenso e militaresco intro è finito, ed un'altra accelerata, stavolta nettamente più veloce della prima, da il via al ritmo principe dell'album. Se infatti fino ad ora avevamo pensato che Mustaine e soci volessero dedicarsi una mortuaria e tranquilla Power Ballad, adesso abbiamo la conferma che il demone del Thrash si è impossessato di loro. Un ritmo serratissimo fa da ponte fra il cambio di ritmo e la successiva rullata delle pelli, cui si somma praticamente in coordino la chitarra, che sempre con i suoi saliscendi, stavolta molto più incisivi, scatena un vero e proprio inferno nelle nostre orecchie. Abbiamo la netta sensazione di trovarci in mezzo ad un uragano, fra la calma prima della tempesta sentita in apertura, e queste onde che sbuffano e ci sbattono adesso. A tutto questo segue un altro cambio di tempo; poche e vetrose pennate di chitarra in puro stile Thrash creano un muro cementato assai difficile da valicare, cui poi fa subito capolino la voce di Dave, che stavolta, rispetto al suo ufficiale ingresso nel brano, sceglie il suo tipico stile vocale. Poche linee, ma incisive e devastanti, pronunciate con fare quasi grottesco, al fine di dare risalto sia alla musica, ma anche alle stesse parole del testo; il cambio di tempo che era stato segnalato dalle pennate, viene susseguito da un ritmo andante sempre di stampo Thrash, con una combo fra chitarra e batteria serrata e senza freno. L'apocalisse continua a scatenarsi nella nostra testa con un refrain tanto semplice quanto geniale, finché giunti ai quattro minuti le pelli tacciono per qualche secondo, permettendo alla chitarra solista di cambiare nuovamente stile di sound. Si tratta pressappoco di quel che abbiamo sentito nel blocco appena passato, ma stavolta suonato con ancora più violenza da parte di Dave, che martoria le sue corde fino a renderle incandescenti. Si passa in maniera successiva ad un fil rouge di stampo quasi Speed, con le pelli che vengono straziate da Samuelson a più non posso, e la sei corde che addenta la musica e ne strappa via brandelli uno dopo l'altro; questa detonazione da svariati megatoni di potenza prosegue alternando il main theme ad alcuni passaggi sempre precisi e puliti di chitarra solista, con giri veloci e secchi, inframezzati dalle liriche. Il crescendo dell'ultimo blocco va avanti così quasi fino alla fine, con Mustaine sempre in prima linea sia col microfono che col proprio strumento fra le mani, e riescono ad aggiungersi anche i cori prima di lasciarci andare in maniera definitiva, quando a quasi sette minuti di brano, sulla ripetizione ossessiva degli ultimi stralci di testo, abbiamo il giro finale di strumenti, e poi la conseguente dissolvenza che pone fine a tutto. Si parla di calendari in questa lunga suite di Thrash tecnico e ben suonato, ma non dei soliti appesi alle pareti di tutti noi, bensì di quelli che portano il nome di Satana stampato sopra. Black Friday infatti è un importante avvenimento del calendario satanico, in cui si prevede che i seguaci di questa oscura religione uccidano il maggior numero di persone possibile per purificare la propria sudicia anima. Ed è proprio di questo che parlano le lunghe parole scritte da Mustaine; si cerca di vedere l'evento sia dalla parte delle vittime, ignare di quel che sta per accadere, che ovviamente dalla parte dei carnefici assetati di umana carne, cui viene chiesto semplicemente di squartare e, come ci dice in maniera compulsiva alla fine, di dipingere il diavolo sul muro. La tonnara di corpi straziati può cominciare; vediamo sangue schizzare ovunque, interiora che si riversano per strada da corpi ancora fumanti e pieni di bile che fuoriesce da essi. Ed in mezzo a tutto questo, un esercito di satanisti con le armi lucenti a comporre questo enorme fulgore di morte; il protagonista in particolare di questo brano si definisce un macellaio senza pietà, pronto a tutto pur di lavare la sua anima in senso quasi contrario a ciò che tutti noi pensiamo quando sentiamo determinate parole. Ciò che lui farà stasera infatti, la renderà ancor più nera di quanto gia non sia; ed egli la laverà direttamente col buio, e con il caldo sangue delle sue vittime. Non prova vergogna, ci dice il nostro uomo pieno di sé, baldanzoso e fiero si muove per le strade della città, in cerca della prossima candida pelle a cui far saltare la gola con un preciso colpo di lama. E quando la vittima è stata trovata, egli come un lupo famelico si nasconde nel vicolo, aspettando che essa si riveli; la sua lucente arma scintilla al buio della luna, e quando è pronto, sferra l'attacco. Mentre la vittima si contorce dal dolore per le ferire riportate, egli, come uno spettro senz'anima, sogghigna e quasi ride di gusto nell'osservare le sofferenze procurate ad altri. E' l'emissario del demonio, un reietto della società che, una volta all'anno, si bagna in una enorme orgia di sangue, rimanendo intriso fino nelle ossa in tutto il male che riesce a procurare. Un argomento che, rispetto a molti altri trattati dai Megadeth, compreso in questo disco, risulta essere davvero agghiacciante; ricorda quasi alcuni testi degli Slayer se ci si pensa bene, e ci meravigliamo infatti di come certe liriche possano essere uscite dalla testa di Mustaine. Tuttavia, a fronte dello stupore iniziale, il brano è una epica cavalcata tanto sul filo del Thrash, quanto su quello del Metal strumentale d'annata, con una sei corde in prima linea dall'inizio alla fine, testo lungo ed inserito nei momenti giusti, ed il buon fabbro Samuelson che dietro continua a svolgere il suo ruolo di fabbro, percuotendo il suo set con il piede costantemente premuto sul gas, mandandoci in estasi.
Bad Omen
I successivi quattro minuti invece sono occupati da Bad Omen (Cattivo Presagio); rispetto al brano precedente, abbiamo anche qui delle pennate molto lente all'inizio, ma sono nettamente più incisive di quanto sentito fino ad ora, e si ergono molto più in alto. Neanche il tempo di riprendere fiato con questo breve intro, che il pezzo subito decolla, investendoci in piena faccia come un'onda assassina. Plettrate sempre più massicce della chitarra, allegate ad un ritmo crescente della batteria, e ad alcuni fraseggi retroattivi della sei corde solista, ci spingono nuovamente a pensare che, per quanto il ritmo di base sia assai più granuloso dello slot appena finito, esso alla fine sfoci in una canzone lenta e costante, magari rocciosa si, ma senza grossi sprazzi di energia. Come ogni pensiero sui Megadeth, esso viene spazzato letteralmente via dalla musica prodotta; la capacità posseduta da Mustaine di inserire questi momenti di pseudo stanca all'interno o all'inizio di un brano, quasi a voler ingannare l'ascoltatore per poi accendergli una miccia direttamente nel padiglione auricolare, sono divenuti nel tempo un vero marchio di fabbrica. Sempre più spesso in carriera dei Megadeth infatti troveremo brani il cui inizio è lemme e quasi soffuso, e poi ad un certo punto la fragorosa detonazione scoppia e ci ritroviamo a pogare sotto al palco agitando le lunghe chiome, intersecati come pezzi di un puzzle all'interno del ritmo prodotto. Nel caso specifico di questa parte d'album, l'ordigno brilla verso il minuto e venti secondi, e viene segnalato da un preciso controtempo della batteria, Samuelson si prodiga per battere sulle pelli a più non posso, pur rimanendo sempre sul tema della marcia guerreggiante, mentre la chitarra inizia il suo lavoro di taglia e cuci sul pentagramma, sfornando un ritmo annodato e pieno di riff uno dietro l'altro, legati insieme da una indissolubile tecnica musicale. Il crescendo dell'ascia bipenne fa scatenare in sottofondo anche il basso di Ellefson, fino ad ora relegato a metronomo, adesso è proprio lui che segnala la crescita finale del brano, grazie ad alcuni slap progressivamente più veloci e ritmici, cui fanno eco gli altri strumenti. Con questo ennesimo cambio di suono, entriamo nel vivo della produzione; Peace Sells è un disco di Thrash puro e crudo fino al midollo, in cui gli interscambi fra gli strumenti continuano, nonostante siamo a più di metà del disco, ad essere repentini, veloci e senza freno. La vena compositiva pare essere inesauribile, ed ecco infatti che i nostri statunitensi ci tritano il cranio con un ritmo pieno di verve nel suo generale, grazie anche all'ingresso di Dave al microfono, che fino ad ora aveva taciuto. Samuelson sembra quasi mettersi sopra una base rialzata rispetto agli altri, le sue mani scorrono sulle bacchette con grande violenza, eppure al contempo si sente anche la grande tecnica di questo drummer così prestante; ogni colpo al suo kit si sente fin dentro le ossa, e nel cervello, arrivando a farti sanguinare fin dalle prime battute. Per quanto riguarda la resa generale dell'album, direi che il loop infinito in cui i Megadeth ci trascinano nella sezione centrale è quanto di meglio un metalhead possa chiedere ad un gruppo; sostanzialmente abbiamo un parti e ritorna al main theme con cui la devastazione aveva avuto origine, oscillando fra momenti di aggressività decisamente più epica, ed altri di pura velocità in cui ogni strumento incendia i propri elementi per spremere ogni singola nota a fondo. Il basso dietro continua a farsi sentire per tutto l'ascolto, le sue corde spesse fanno da contralto all'orgia di massa cui stiamo assistendo, ed assieme alla batteria completa il set granitico che serve per far si che ogni nota suonata abbia una enorme cassa di risonanza in cui sfogarsi. Procedendo nel vortice in cui ormai siamo persi e sballottati da una furia cieca, abbiamo anche uno dei momenti migliori (opinione di chi vi scrive) dell'intero album. Dopo un micro silenzio di mezzo secondo, segnalato da un acuto di Mustaine, il pezzo mette neanche la quinta, probabilmente la sesta o la settima, e si lancia in uno Speed Thrash d'altri tempi, grezzo, sporco e dannatamente veloce, con la chitarra in prima linea a gettarci secchiate di note in faccia. Momento di pura estasi per ogni ascoltatore che si rispetti, con questo particolare blocco così pieno di forza, arriviamo alla sezione finale del pezzo, in cui ogni componente inspira aria nel petto e si prodiga per portare a conclusione la traccia, compresa la voce che qui alza ulteriormente il proprio tono, senza mai sfociare in un falsetto, ma rimanendo nettamente più aulica di quanto sentito fino ad ora. La chiusura finale è affidata a Mustaine stesso, che con l'ultima parola del testo stoppa in maniera assai brusca il brano, portando a conclusione ogni nota suonata con un brutale stop. Viene nominato Baphomet all'inizio delle liriche, che altri non è che l'incarnazione demoniaca della promiscuità; suo il compito pieno di vizi e virtù, di portare gli uomini gli uni con gli altri, fino a farli collimare in una orgiastica festa del diavolo. Ed è proprio di questo che parlano le polverose liriche scritte da Mustaine; la venuta di questo sporco demone infernale porta con sé un presagio di sventura, ogni credente porterà la croce sul petto per cercare di evitare il martirio della creatura infernale, ma scoprirà che il suo potere è troppo forte per essere contrastato. Ed allora altro non potrà fare che sottomettersi alla sporca causa del diavolo, fra sangue spillato direttamente dai cadaveri, ed una blasfemia che rasenta il folle più completo. Del resto, il diavolo è tentatore, lo sappiamo tutti, e suo il peso eterno di condurre l'umanità alla distruzione, egli era l'angelo più bello del paradiso, ma una volta rigettato nelle fiamme del tartaro, rimarrà sempre incastrato lì, mandando i suoi demoniaci messaggeri in giro per il mondo, a far risvegliare la parte più recondita e piena di antri bui dell'animo umano. Per analizzare il prossimo pezzo dobbiamo fare un piccolo passo indietro, nella terra che ha dato origine ai Megadeth stessi: 1970, Willie Dixon, probabilmente uno degli eletric bluesman più apprezzati del suo tempo, così come oggi, rilascia I Am the Blues, disco carico di quel sentimento di rivalsa che permeava quasi tutto il movimento delle blue notes, dagli anni degli esordi, ovvero i '20 e '30, fino alla comparsa delle distorsioni e della scuola Electric. Dixon compose ufficialmente il disco qualche anno prima, ed in particolare la traccia ripresa da Mustaine per il suo secondo disco firmato Megadeth.
Ain't No Superstitious
Ain't No Superstitious (Non Sono Superstizioso), dura soltanto due minuti e trenta, come la miglior tradizione Blues vuole, ma nel caso di Dave e soci, questo grande pezzo di musica americana è stato preso, tritato e riproposto in chiave moderna, giocando molto sull'alternanza del sound originale con quello riscritto. Il pezzo inizia subito in medias res, grazie ad un riff iniziale di stampo classic Metal sotto tutti i punti di vista, un crescendo man mano sempre più veloce che fa da scudo e da apertura per i cancelli infernali che seguiranno. A fronte di ciò, uno si aspetterebbe di sentir partire il pezzo con un Thrash rythm scanzonato e pieno di violenza, ed invece Mustaine ci sorprende ancora una volta, tirando fuori dal cilindro una sorta di reinterpretazione marcia del Blues basico anni settanta. Ciò che si lega infatti al ritmo iniziale, è la stessa linea scritta da Dixon, ma riproposta con distorsione aumentata e che risulta essere viscerale sotto ogni punto di vista. Dave stesso poi sceglie un approccio vocale molto graffiato e carico di pathos, si avverte una sorta di sofferenza di fondo mentre sentiamo le note scorrere nella nostra testa, ed ogni parola pronunciata assume connotati davvero particolari. Ellefson interrompe per un attimo la propria violenza senza quartiere, per concentrarsi su una drum session piena anche essa di emozioni; sembra di sentire un gruppo di ragazzi molto divertiti e folli prendere per le mani un brano scritto molti anni prima, con una verve decisamente diversa, e riproporlo dando libero sfogo alla propria fantasia di musicisti. Mentre infatti Dave si prodiga per andare avanti nella composizione e nella interpretazione della filosofia di Dixon, dietro troviamo sia Ellefson che, considerando la matrice del brano, stavolta non deve fare davvero molto per risultare appetibile. Pochi colpi di basso dati al momento giusto donano corpo alla canzone, facendola diventare ancora più granitica; al contempo Chris Poland si diletta in fraseggi dannatamente Blues, con articolazioni che vanno sia sulle note più alte che su quelle basse, duettando sia con Mustaine, che improvvisando da solo. Con questa particolare stratificazione di ritmi, il brano incalza ogni secondo che passa dal suo inizio, il divertimento che traspare da questa composizione è davvero genuino, si sente che i membri del gruppo hanno provato un piacere immenso nel risuonare un brano che probabilmente avevano già ascoltato tante volte, e che erano felici di riproporre nella loro chiave. Riproposizione si, ma come abbiamo detto in apertura, sempre con un profondo rispetto per quelle che sono le dinamiche base di chi il pezzo lo ha originariamente messo in piedi; ogni cover che Dave eseguirà nella storia dei Megadeth, o quasi, riuscirà sempre a portare una ventata di enorme rispetto per i promotori della musica stessa cui il nostro frontman si è ispirato, e donando un grande sentimento ad ogni canzone prodotta. Gli scambi fra i vari componenti continuano sostanzialmente per tutta la durata dell'ascolto o quasi, alternando ricami della sei corde ad altri momenti di pura estasi Blues elettrificata, con distorsioni ed effetti che non stancano affatto, anzi, rendono il brano ancor più spettacolare. Tuttavia, nonostante sia una interpretazione di un classico, i Megadeth non potevano certo esimersi dall'inserire il loro marchio di fabbrica anche in questa suite; ed ecco infatti che, a poco più di un minuto dalla fine, il pezzo letteralmente vola in aria lanciando una pioggia di schegge. Si tratta di un ritmo quasi Southern in alcuni momenti, con un pazzesco Groove dato sia dalla chitarra che dalla batteria, le quali spesso vanno a braccetto e suonano all'unisono lo stesso devastante ritmo. Annodamenti vari di chitarra fanno da Caronte per l'ultima parte di questo grande pezzo, Mustaine continua ad inanellare combo senza sosta, Ellefson là dietro si sente eccome, mentre Samuelson ormai ha preso il largo ed ha deciso che la nostra pelle deve essere piena di lividi e sangue. Arriviamo in fondo con una totale improvvisazione da parte di tutta la band, pochi stralci di testo che vengono parlati più che cantati, la batteria recita le sue ultime note di caos, ed il brano in dissolvenza se ne va così come era arrivato. Piena di Vodoo questa canzone, racconta sostanzialmente una enorme lista di superstizioni, presumibilmente prese dai luoghi in cui Dixon era nato e cresciuto, per far capire all'ascoltatore che cosa la gente è disposta a credere pur di non vedere la verità. Abbiamo quindi un susseguirsi di argomenti e credenze più o meno popolari che vengono elencate, salvo poi dire che alla fine sono tutte stronzate. Con fare decisamente aggressivo, il nostro bluesman americano si scaglia contro questi tipi di credo, che purtroppo spesso portano le persone a mettersi degli enormi paraocchi di fronte al volto (pare che ormai Dave sia fissato con questo argomento, del resto, Vic porta una visiera sugli occhi per coprire la verità no?), e quindi è necessario smascherare questa fitta rete di bugie. Nel miglior modo possibile, ovvero ammettendo che sono cose non vere, messe in piedi da anni di credenze povere e senza fondamento, da uomini che non avevano niente per sperare, e che pur di avere un piccolo barlume di speranza, si sarebbero aggrappati ad ogni cosa. Una canzone davvero molto bella, ed un altro dei tanti momenti di estasi presenti in questo disco; alta composizione, alta reinterpretazione di un classico della musica made in USA, e come sempre un grande Dave che continua a farci capire quanto il suo gusto musicale sia oltre ogni limite.
My Last Words
A chiudere questa epica cavalcata sul filo del Thrash ci pensa My Last Words (Le Mie Ultime Parole); nuovamente sentiamo dolci pennate di chitarra aprirci la strada, con un annodarsi su loro stesse grazie alla ripetizione ossessiva del tema principale. Ad esso si sovrappongono altre plettrate di chitarra solista, che risultano essere decisamente più aggressive e piene di sete energica rispetto a ciò che sentiamo in sottofondo. Ben presto le due asce si fondono per prepararsi all'esplosione del brano, ed iniziano ad improvvisare un ritmo ricolmo di arabeschi e ricami, dal sapore spiccatamente Metal fin da subito. Alcune piccole accelerate della chitarra fanno poi da ponte con un piccolo silenzio, sormontato soltanto da alcuni piccoli colpi ai piatti, e poi un riff di portanza e caratura assai ingente ci investe in piena faccia. Riff che prende la sua base tanto dal Thrash, quanto dall'Heavy di stampo inglese; si sentono al suo interno le basi gettate da Mustaine stesso, ma anche accezioni come NWOBHM, ed anche qualche piccolo sprazzo di Metal americano, che in quegli anni ancora stava esplodendo con grande forza. Questo ritmo così trascinante ci arriva in volto ed inizia a malmenarci, mentre man mano che procediamo la batteria prima accenna nuovamente solo ai piatti, poi fa da contrasto con la chitarra stessa, ed infine comincia a suonare all'unisono con essa, rendendo il sound sporco, cattivo e pieno di vita. Un ritmo che richiama anche al southern in qualche maniera, si sentono alcune cadenzate che fanno pensare ad un piccolo anticipo di ciò che sarebbe venuto dopo, ovvero quella scuola Groove molto massiccia e ricolma di cattiveria, che specialmente negli stati del sud degli USA troverà terreno fertile su cui mettere radici. Al di là dei pochissimi elementi di questa scuola futura, il gusto del riff è Metal fino nell'anima, con una progressiva crescite del sound che si va formando, Dave sempre in prima linea, pur ancora non entrato con la voce, e Samuelson dietro che da manforte alla sei corde gonfiandola all'inverosimile. Nuovamente ci troviamo, come era accaduto con Omen, invischiati in un vortice di immense proporzioni, sballottati da una parte all'altra mente, quasi in maniera brusca ed improvvisa, Mustaine si presenta anche di fronte al microfono, cominciando la sua arringa. Per questa chiusura d'album MegaDave sceglie un vocalizzo aggressivo e vulcanico, spremendo le ultime forze rimaste alle sue corde vocali per donarci una chiusura di lavoro degna di lui e del suo team. Mentre Dave inizia dal pulpito a fornirci le prove delle sue analisi, dietro la strumentazione continua inarrestabile la sua marcia, e se prima abbiamo trovato come protagonista la sei corde, qui senza dubbio essa è presente e non si stacca dal pezzo neanche per un secondo, ma uno speciale encomio va alla batteria. Samuelson qui tira fuori, come nella title track, uno dei suoi migliori ritmi, passando dal veloce al lento, dal tecnico al sadico così, schioccando semplicemente le dita. Il tutto viene ulteriormente sormontato da Chris Poland, che non se lo fa ripetere due volte quando si tratta di sferrare colpi precisi e pieni di violenza contro il pubblico. Pur rimanendo spesso in disparte infatti, complice la volontà di Mustaine di eseguire molti dei soli presenti, la sua presenza risulta essere fondamentale sia per lanciare gli assist a Dave con cui distorcere lo strumento all'inverosimile, ma anche per dare vita a quella piccola danza di fondo senza la quale al brano mancherebbe qualcosa. Il loop in cui i nostri ci trascinano permane per gran parte del pezzo, con la band che ad ogni piè sospinto continua ad incalzare ed andare avanti con la velocità senza un momento di stanca; è una chiusura di disco davvero al vetriolo questa, in cui magari molto del pubblico si aspettava una scelta più calma e riflessiva, ed invece no, un enorme uragano che ti investe in pieno e ti fa sanguinare dalle orecchie, aggrappandosi a te come un cane rabbioso. Perdura il tema principale fino a poco più dei tre minuti, in cui Samuelson decide che è il momento di cambiare registro al brano, ed alcune sue possenti rullate fanno da porte per il solo successivo, sempre in puro stile Thrash. Grezzo, veloce, pieno di note, una manna dal cielo per chi ama questo genere, e l'ottima produzione ne risalta ancor più la qualità costruttiva, facendoti sentire ogni singola nota che ti penetra nella testa; l'assolo si protrae mentre dietro i giri di batteria e chitarra ritmica continuano a circolare, le spesse corde del basso invece vanno a braccetto con le pelli, prima dell'ingresso dei cori che ci trasportano al fine. Finale che si annoda su sé stesso fin quasi all'ultima nota suonata, continuando a proporre questo enorme cerchio di chitarra e pelli, finché su l'ultimo "You" pronunciato da Mustaine, l'improvvisazione prende il sopravvento ed allora la strumentazione esplode, cui fa eco poi un grande "Die" cantato con grande violenza, e la tempesta così come era arrivata finisce. Le ultime parole qui vengono pronunciate in un particolare momento della vita, quello in cui ti ritrovi seduto ad un tavolo con una pistola fumante davanti, sei camere concentriche, lucide, che ti guardano come un focoso amante guarda la preda. Una delle camere però è carica, tu la giri con forza, te la punti alla testa, e preghi di sbagliare. Classico momento da Roulette Russa, macabro gioco in cui in palio c'è la vita, e che ha fatto da sfondo a tanti film, libri e quant'altro. Le ultime parole sono quelle del condannato a giocare, questo enorme e mefitico posizionamento della pistola alla testa potrebbe essere l'ultimo della sua vita, ed egli decide che è il momento di analizzare la propria esistenza. E' come la pedina di un sanguinolento parco di scacchi, ogni mossa che fa potrebbe significare la sua fine; eppure, in mezzo a tutto quel caos, si rende conto che al tempo stesso lo attrae un po' l'idea di fare questo gioco. Le scariche di adrenalina si fanno sempre più forti, ogni attimo che passa prima del colpo ferale riempie l'aria di testosterone; il sudore si forma sulla fronte, e via, potresti essere il prossimo a morire. Sul finale il protagonista, come in preda ad un delirio mistico, indica il pubblico stesso chiedendo se ci sarà qualcun altro che vorrà giocare, e che se lo farà, sarà lui la prossima vittima di questa roulette della morte.
Conclusioni
Quando abbiamo recensito Killing Is My Business, nonostante la compiacenza ed il piacere di aver dato vita ad uno dei dischi più importanti del Thrash e del Metal mondiale, spesso ci siamo soffermati su quanto la scarsa produzione ed i momenti di missaggio non eccelsi, pur conservando un'aura di ignoranza non male, gravassero leggermente sulla generalità del disco. Ecco, adesso scordate tutto questo, qui si fa davvero sul serio; i Megadeth ora hanno deciso che era arrivato il tempo di tirare fuori ciò che sapevano fare veramente, soprattutto il loro carismatico leader. Basta invidie contro coloro che gli avevano strappato il sogno di diventare una rockstar, ora lo era davvero, e con il sound più personale che mente umana potesse concepire, non c'era bisogno di altro. Peace Sells..But Who's Buying? E' la lampante, meschina e devastante dimostrazione di quanto il Thrash Metal riesca ad essere un genere che, se messo nelle mani giuste, possa produrre letteralmente scintille. Le otto tracce che lo compongono non hanno una sbavatura neanche a chiederla, non c'è un momento di stanca, perfino gli inserimenti di alcuni intro prolungati all'inverosimile (come nel caso di Good Mourning) non annoiano, anzi, ci fanno ancor meglio capire quanto tali musicisti si siano messi alla prova per comporli e suonarli. E' un album che la storia l'ha scritta, esattamente come tutti i primi album dei Megadeth; Mustaine ha inventato un modo inesplicabile e non ripetibile di suonare questa musica, che mai nessuno è riuscito a replicare con la stessa energia e sagacia, semplicemente perché di Dave ne nasce uno ogni cento anni. L'unire fra loro ritmi così diversi, inserire momenti di puro Metal in un disco la cui chiave di accesso è la violenza, fanno anche capire molto bene, esattamente come era accaduto per Killing, quanto l'ascolto medio di questo compositore fosse poliedrico sotto ogni forma. Se così non fosse stato, non sarebbe mai venuto in mente a nessuno di reinterpretare in maniera così particolare un brano classico del Blues USA, donandogli sia il rispetto che meritava, ma anche un fiorente tocco personale. E poi quel profetico titolo, che lascia già presagire quali saranno gli argomenti principe trattati durante le canzoni; analisi, spicce e senza troppi giri di parole, di quelle che sono le sfaccettature più nascoste della nostra anima e del nostro essere uomini, senza ritegno, senza vergogna. Eppure a fronte di questo, abbiamo anche due brani che vanno ad esplorare la parte più demoniaca delle liriche, pur rimanendo comunque ancorati al tema dell'analisi umana sotto molti aspetti. Abbiamo demoni che cacciano uomini, sataniche orge di sangue che fomentano la violenza più grande, abbiamo pistole cariche e scariche che si puntano alle tempie di sadici uomini coraggiosi, e poi riflessioni sulla Pace nel mondo, quella apertura così epica da essere considerata (a titolo meritatissimo) come una delle migliori canzoni mai prodotte dalla band, quella Wake Up Dead che ancora oggi, a distanza di tanti anni, ancora fa tremare le vene dei polsi a chi la ascolta. E' stato un disco questo che ha segnato definitivamente il passaggio dei Megadeth dall'anonimato all'Olimpo più aureo; tutti coloro che credevano Mustaine un ciarlatano invidioso, capace solo di bere, drogarsi e non comporre, con questo disco si sono dovuti ricredere, come hanno dovuto nuovamente fare ammenda sulla capacità compositiva ed il talento di questo musicista, capace di produrre canzoni che, ora e per sempre, rimarranno scolpite nella nuda pietra della storia, e che della storia stessa ne hanno scritto una importante pagina. Per tutti coloro che non hanno mai masticato il verbo dei Megadeth, do questo consiglio; comprare questo disco assieme al primo, ed ascoltateli uno dopo l'altro come un unico enorme lavoro. Riuscirete in questo modo a vedere la spirituale e pratica crescita della band, dai fasti ignoranti, giovanili ed incazzati dell'esordio, alla classe innata, alla bellezza ed alla violenza Thrash del secondo disco, fusi in uno, un enorme pacchetto di sangue e pugni che ti esplode in piena faccia, e che una volta ascoltato, non si dimentica tanto facilmente.
2) The Conjuring
3) Peace Sells
4) Devils Island
5) Good Mourning/Black Friday
6) Bad Omen
7) Ain't No Superstitious
8) My Last Words