MEGADETH
Mary Jane
1988 - Capitol Records
MICHELE MET ALLUIGI
05/10/2016
Introduzione Recensione
Proseguendo il nostro cammino all'interno della discografia dei Megadeth, compiamo ora un nuovo passo in avanti nel periodo promozionale dedicato a "So Far, So Good... So What!". Se il full lenght del 1988 rappresentò per Dave Mustaine e soci una nuova tacca sul proprio fucile, continuare a cavalcare l'onda del successo di quelle canzoni sembrò immediatamente la soluzione più logica per continuare a nutrire i fan con delle nuove chicche thrash in tutto e per tutto. Con il precedente "Anarchy In The U.K.", il rosso axemen di La Mesa rese omaggio ai Sex Pistols, omaggiando gli inglesi con la cover di uno dei loro classici per eccellenza, ma per i thrasher americani giunse il momento di puntare il tutto e per tutto sulla produzione propria, che, come sappiamo, non fece troppa fatica a guadagnarsi subito il rispetto dei metal heads di tutto il globo. Con il placet della Capitol Records, sugli scaffali giunse nel maggio dello stesso anno, il singolo di "Mary Jane", altra pubblicazione in vinile contenete tre brani: due estratti dal terzo lavoro in studio della band ed uno ripescato da "Peace Sells But Who's Buying?". Se consideriamo il background di Megadave, il quale, per chi ancora non lo sapesse, fu cacciato dai Metallica a causa di diversi conflitti con James Hetfield e Lars Ulrich, va soprattutto tenuto conto del fatto che il musicista americano non solo dovette ripartire da zero, riformando una nuova band, ma che proprio a causa della sua fama di "testa calda" quella che comunemente è per tutti una ripartenza in salita per il nostro fu sicuramente un pendio verticale quello da scalare, ma poco male, giusto il tempo di radunare altri tre musicisti e via subito con una discografia di tutto rispetto fin dai suoi primissimi capitoli. Con questi primi tre lavori dunque, Mustaine recuperò terreno e sopratutto credito nei confronti della scena thrash della Bay Area, alla quale dimostrò chiaramente che non era certo finito, e con questa campagna promozionale l'obiettivo diventava ora quello di consolidare il nome dei Megadeth rafforzandone l'immagine di band salda, costante e coerente, guidata dal suo creatore e padrone in una avanzata ad oltranza sulla scena mondiale. Come è noto però, i cambi di formazione ci furono eccome, ma nella mente del leader essi furono solo dei "piccoli intoppi", le scadenze in tabellone vennero sempre rispettate e, conformemente alla sterile ottica del business, sono i risultati quelli che contano, non chi li porta. A differenza del singolo precedente, come accennato, il nucleo si sposta ora sulla musica scritta interamente dal gruppo, senza lasciare spazio ad eventuali cover; a parlare per loro doveva essere unicamente quello che suonavano, lasciando definitivamente alle spalle i vari gossip da salone di bellezza, senza contare che i quattro musicisti stessi non erano certo individui troppo intenti a dar fiato alle proprie bocche inutilmente. La costanza di Mustaine dunque venne fieramente ripagata, iniziando a rivedere una parziale luce dopo un periodo buio: cacciato dai Metallica, egli si diede da fare per tornare ad avere un gruppo con un suo contratto discografico ed una sua identità ben delineata, principalmente quella di diretta rivale dei Four Horsemen, poi quella di membro indiscusso di quelli che oggi sono i Big Four, vale a dire uno dei moniker più illustri di tutto il filone thrash americano. A livello di grafica, il singolo di "Mary Jane" si presenta decisamente più appetibile del suo predecessore: "Anarchy In The U.K." constava infatti della semplice busta contenente il vinile, non certo una cosa stratosferica dunque, ma tuttavia perfettamente allineata con la crudezza underground che deve avere una cover dei punk inglesi per eccellenza. Su questa pubblicazione invece si trova qualcosa di maggiore impatto e notevolmente più elaborato: lo sfondo consiste in un disegno ritraente un desolato cimitero, un luogo secco e scarno sulla cui terra nasce pochissima erba ed in fondo al quale si intravede un albero spoglio in lontananza, illuminato unicamente dalla luce candida della luna piena. Al centro dell'immagine spicca una lapide mortuaria, sulla cui pietra compare il nome di Mary Jane, posto sopra la scritta "From the earth, up through the trees, I can hear her calling me" ("Dalla terra ed in alto in mezzo agli alberi, la sento che mi chiama"), che sono poi le parole della prima strofa della canzone omonima. Di fronte alla tomba troviamo, sulla sinistra della scena, il teschio mascotte dei Megadeth, noto con il nome di Rattlehead, che pur essendo in una posa di evidente prostrazione e dolore dà le spalle alla lapide mentre il bagliore lunare lo avvolge quasi impossessandosi di lui. Infine, in basso rispetto al centro della copertina, troviamo il logo della band, posta con lo stesso font dorato con il quale troneggia anche in cima alle cover dei due full lenght prcedenti. Scorrendo nella discografia del gruppo americano, fatta eccezione per la demo "Last Rites", Mustaine e soci iniziano con la campagna promozionale dell'88 a puntare anche sui singoli, prima di quell'anno infatti uscì unicamente quello di "Wake Up Dead", ma visti i risultati ottenuti con le vendite precedenti si può tranquillamente supporre che la Capitol Records stessa si fosse convinta ad investire qualcosa di più sul gruppo di Mustaine, non resta quindi che addentrarci in questa nuova succulenta chicca thrash.
Mary Jane
In prima posizione troviamo appunto la titletrack del singolo "Mary Jane", nome della fittizia destinataria a cui Dave Mustaine dedica la composizione. La traccia si apre con una serie di stacchi a powerchord tenuti, le chitarre infatti regalano una serie di accordi potenti e solenni mentre la batteria di Chuck Behler scandisce il tutto con un giro sui tom. Su questa ritmica già di per sé molto di impatto troviamo poi un'interessante fraseggio di chitarra solista, le cui parti si intrecciano, nella loro parte iniziale, in qualità di sostegno per una voce granitica e parlata quasi modulata sul growl (in realtà si tratta di un parlato di Mustaine pesantemente rimodulato con un pitch vocale per abbassarne ulteriormente la tonalità, conferendovi così il classico tocco "demoniaco") che recita la prima porzione di testo, raggruppata nella prima terzina del testo. Il primo verso in particolare recita l'incipit del rito della confessione "Forgive me father for I have sinned" ("Perdonami padre perché ho peccato"), per poi giungere alla conclusione del verso, dove la voce di Megadave ritorna pulita proprio in corrispondenza del nome di donna che dà il titolo al brano. Conclusa questa solenne introduzione, il tempo passa ora ad un quattro quarti cadenzato e lineare, l'atmosfera si fa subito sognante e romantica mentre il nome della protagonista va a sfumarsi rafforzato dall'effetto riverbero. Su questo incedere marziale, le chitarre soliste si alternano nell'esecuzione di alcuni ricami solisti particolarmente fluidi, per poi riallacciarsi alla sezione ritmica in corrispondenza delle varie cesure ritmiche, dove batteria e basso si lanciano anch'esse in un disegno ritmico più elaborato. È concluso però il primo minuto che la follia di Mustaine prende finalmente il sopravvento: a due minuti di canzone infatti la marcia si interrompe per lasciare la chitarra del rosso chitarrista in solitaria ad eseguire un main riff tagliente; questa serie di nuovi accordi, rapidissimi ed incisivi, lanciano una nuova cavalcata ritmica, che vede la batteria accelerare drasticamente la propria avanzata iniziando così un crescendo strutturale che lentamente fa alzare di giri il tachimetro di questo motore thrash metal. Questo primo cambio è scandito per l'appunto da una prima traccia di insanità mentale dell'ex Metallica, che non esita a mettere in sottofondo una risatina malata ed inquietante a rendere ancora più claustrofobico lo sviluppo; tuttavia, non è questa la sferzata definitiva del pezzo, il mid tempo che ci ha accompagnati fino a questo punto del minutaggio, dopo una serie di stacchi accentati incisivi e fulminei, lascia ora il campo per una nuova iniezione di energia, che vede ancora una volta la chitarra eseguire un break rapido e netto prima che si parta con un nuovo quattro quarti, questa volta molto più lineare del precedente: cassa e rullante infatti martellano senza sosta mentre i vari incisi cantati si alternano a delle stoccate di chitarra solista, creando così un effetto di botta e risposta tra la voce e le sei corde, le quali, si esibiscono ora in parti esclusivamente in solitaria ora in dei passaggi armonizzati, accompagnandoci così alla chiusura netta ed improvvisa della traccia. Protagonista di questa canzone è appunto Mary Jane, una ragazza che viene sepolta viva dal padre in quanto accusata di stregoneria; il messaggio è quindi chiaro: i pregiudizi ed i dogmi della stoltezza umana fanno sì che addirittura un genitore uccida la figlia in base ad una stupida credenza, intriso dalla promessa di una futura purezza spirituale che però non arriva, ma anzi dà modo al dolore di penetrare fin sotto la pelle portando lo stolto padre alla pazzia nel vedere la tomba della sua dolce creatura. Perdonala padre perché ella ha peccato dimostrando interesse per un qualcosa di assolutamente proibito, dopo l'efferato gesto però non hai più modo di riabbracciarla, ella ormai è un fantasma disperso in un soffio di vento ed il rimorso farà in modo che tu possa per sempre sentirla chiamarti senza trovare pace per il dolore che ti dilania. Dalla durezza del suolo fino alla leggerezza delle fronde degli alberi, la sua voce si alzerà sempre dolce e sinuosa a chiamarti con il tono bisognoso con cui una bambina si affida al genitore, ma la tua stupidità ha fatto sì che tu optassi per i consensi della tua comunità piuttosto che per l'amore di lei. Il tono in prima persona descrive in maniera molto eloquente la spirale che conduce questo genitore alla follia; egli ormai non può più sottrarsi a quello che ha compiuto ed il dolore lo strazia sempre di più fino a togliergli il respiro. La voce di Mary Jane continua ad implorarlo ed a chiedergli perdono ma ormai lui non sarà lo stesso, ed in men che non si dica anche la sua vita giungerà al suo inesorabile oblio.
Hook In Mouth
A seguire troviamo "Hook In Mouth" ("Uncino In Bocca"), traccia posta in chiusura della titletrack di "So Far, So Good...So What!". Il brano si apre con una base di batteria e basso intenti a sostenere la voce di Mustaine: le pelli procedono su un ritmo lineare ed incalzante, mentre il basso di David Ellefson sfodera una serie di plettrate decise e monolitiche, creando così una un effetto di "botta" iniziale che ci colpisce fin dai primi secondi, gettando poi la base per il successivo ingresso esplosivo delle chitarre. La lunghezza di questa apertura, inizialmente, potrà sembra troppo estesa, dato che Megadave ci canta sopra ben sei versi della prima strofa, ma con l'ingresso delle asce la struttura del pezzo svolta improvvisamente acquistando un tiro davvero coinvolgente. Il secondo capoverso infatti prosegue sempre con lo stesso tempo di batteria, sostenuto però anche dalle pennate in palm muting delle chitarre, che scandiscono la metrica vocale fino al momento dell'accelerazione, in cui gli strumenti raddoppiano il tempo dando una ulteriore spinta allo sviluppo. Un elemento che contraddistinse le composizioni dei Megadeth negli anni Ottanta fu la abbondante ricchezza di parti soliste, ed anche questo pezzo non è da meno, dato che l'aumento dei bpm confluisce immediatamente in una ritmica serrata e lineare per un primo assolo di chitarra dallo stile fortemente neoclassico: lo shredding si fa ingrediente principale della parte ritmica, rendendo l'assolo una vera e propria mitragliata infarcita di pull off e hammer on che rendono lo sviluppo una colata di acciaio fuso sopra i nostri timpani; anche in questo caso, pur essendo abbastanza esteso l'inciso solista, il pezzo nel suo complesso resta contratto ed incalzante senza mai perdere un colpo, ma è con l'arrivo del ritornello che l'impalcatura compositiva viene spezzata con il sopraggiungere di un nuovo passaggio. Con l'arrivo del ritornello infatti, le chitarre si lanciano in un cambio di ampio respiro, vertendo ora sulla ripresa dei powerchord aperti sostenuti invece dall'incedere invariato della batteria, espediente questo che conferisce una maggiore dilatazione alla sessione. Essendo la parte vocale del ritornello particolarmente estesa inoltre, gli accordi distesi consentono a Mustaine una distribuzione più organica delle frasi, dando modo al rosso frontman di recitare le proprie sfuriate con tutta la libertà possibile. Concluso questa prima metà di pezzo, nella quale la doppia ripetizione del ritornello costituisce tutto il blocco centrale della struttura, la canzone riparte con lo start iniziale con solo il basso e la batteria: questo frangente viene eseguito in maniere fedele all'apertura, con Megadave intento a cantare una porzione di strofa diversa a livello di parole ma metricamente identica alla precedente, il tutto poi sfocerà in una nuova apertura, una accelerazione nuovamente al vetriolo che ci accompagnerà al finale del pezzo. Il blocco conclusivo scorre via nel lettore con la stessa struttura della prima strofa, con la differenza sostanziale che la traccia va a chiudersi in corrispondenza del quarto di chiusura del raddoppio, appena il cantante finisce di pronunciare il titolo del brano. Con la definizione di "uncino in bocca", il buon Mustaine si riferisce alla censura, in particolar modo all'opera del P.M.R.C, ovvero il Parental Music Resouce Center (il Centro d'Informazione Musicale per Genitori), l'associazione statunitense nata nel 1985 ed attiva fino a tutti gli anni Novanta, il cui compito era analizzare i contenuti dei testi dei prodotti musicali e valutare quanto essi fossero moralmente educativi oppure scomodi per le orecchie dei soggetti influenzabili, in particolar modo i bambini. Ebbene sì, i genitori dell'America ben pensante erano preoccupati dal fatto che i loro pargoli potessero incappare in testi talmente osceni da traumatizzarli o, peggio ancora, nello spingerli in azioni disdicevoli. Per farla breve, quel simpatico adesivo in bianco e nero con la scritta "Parental Advisory Explicit Content" che compare sulla pressoché totalità dei dischi metal è opera dell'attento, vigile (ed inutile) vaglio di questa associazione. Non c'è dunque da stupirsi se questi vigilanti dei contenuti artistici fossero particolarmente antipatici a Megadave, in quanto diversi testi dei Megadeth vennero tacciati di contenere contenuti immorali; il rosso chitarrista dunque definisce questo comitato come una piattola insita nell'intimità dell'arte, un tribunale d'inquisizione intento ad intraprendere una caccia alle streghe che con la propria crociata contro la musica distoglie l'attenzione da quelli che sono i reali problemi della società statunitense, che guarda caso sono gli stessi che i thrasher americani denunciano nelle loro liriche. Le presunte regole che questa associazione ha scritto per tutelare la moralità all'interno delle composizioni musicali altri non sono che un libro malvagio di regole con il quale si impone una invisibile dittatura su quella che dovrebbe essere a tutti gli effetti una libertà d'espressione. Lo spelling del ritornello cantato da Mustaine compone appunto la parola "freedom" ("libertà"), della quale però non significa nulla per l'artista se poi viene pilotata da questa censura e lo stesso menefreghismo verso la mancanza di privazioni si dimostra uguale nel modo di fare del P.M.R.C.
My Last Words
A chiudere la tracklist di questo singolo troviamo infine "My Last Words"("Le Mie Ultime Parole"), traccia con la quale i Megadeth ci riportano indietro nel tempo di ben due anni, al 1986, anno di pubblicazione del loro secondo album. Protagoniste dell'apertura sono nuovamente le chitarre, Mustaine e Jeff Young infatti ci introducono al pezzo con una suggestiva parte arpeggiata: mentre la ritmica si muove su un'esecuzione sincopata, la solista interviene con degli incisi in distorto, le cui tonalità ora ascendenti ora discendenti arricchiscono notevolmente questa introduzione nei suoi diversi accenti. A sostenere il tutto troviamo inoltre un dinamicissimo ponte ritmico del basso di David Ellefson, il cui tocco dal retrogusto funky conferisce maggiore energia e fluidità a quanto suonato dai compagni. Solo con questa prima sessione, i thrasher americani dimostrano ancora una volta la loro eccellente capacità di rendere le loro parti in pulito particolarmente atmosferiche, creando la giusta attesa prima dell'attesissima partenza. Ecco infatti arrivare il break, a scaldare i motori è la chitarra di Mustaine, la quale, si lancia in un nuovo riff veloce ed old school; giusto un paio di giri ed ecco finalmente entrare anche la batteria di Behler, che immediatamente lancia la band in una intrepida cavalcata thrash metal da headbanging garantito. Ad essere particolarmente interessante, nello scorrere della strofa, è il contrasto compositivo che si crea tra la sessione ritmica e le sei corde: mentre le chitarre sfoderano una serie di powerchord aperti ed incalzanti, la batteria martella imperterrita con un quattro quarti raddoppiato con il doppio pedale, ma è la parte di Ellefson ad essere la più serrata, muovendosi su un continuo fraseggio in tapping che rende davvero funambolica l'intera composizione. Il cantato quindi va a porsi sulle parti dilatate delle asce, dandoci modo di apprezzare l'enorme tiro mitragliante al di sotto di essa, fino a quando anche Megadave e Jeff Young si riallacceranno ai colleghi nel bridge, momento nel quale anche la parte melodica dei chitarristi si complica leggermente orientandosi sulla velocità e la ricchezza di note del quattro corde. Prima di riprendere con la seconda strofa, in cui le parti ritornano a differenziarsi, il collegamento tra i due frangenti viene dato da una coppia di contrattempi conclusi in un dinamico passaggio sui fusti. A precedere l'assolo di chitarra troviamo inoltre un momento di esitazione: sulla strofa infatti il drummer si lancia in una rullata serratissima sul rullante del suo set, ponendoci quindi in attesa della stoccata chitarristica immediatamente successiva. Conformemente al modus compositivo dei Megadeth nella prima fase della loro carriera, la terza porzione di brano si diversifica ulteriormente, le chitarre ora mantengono uno shredding serrato e tagliente sulle basse tonalità, conferendo al pezzo una maggiore linearità ed offrendo al rosso axemen la possibilità di urlare ad oltranza l'ultima frase del testo, una vera sentenza di morte che ci condannerà tutti prima che la band giunga alla conclusione effettiva della canzone. Fulcro tematico di questo testo è la roulettte russa, il macabro gioco d'azzardo nel quale si scommette sulla vita di un uomo, che puntandosi un revolver alla testa, dopo aver inserito un solo proiettile ed aver girato in maniera casuale il tamburo, carica l'arma puntandosela alla tempia e premendo il grilletto; la vita del malcapitato è dunque lasciata al caso, in quanto solo la forza con cui è stato girato il tamburo della pistola stabilirà se il proiettile è finito in canna ed è pronto a partire oppure no. Mustaine si rende interprete di tutte le sensazioni che possa provare un giocatore della roulette russa: attraverso una efficace narrazione in prima persona, egli ci dà quasi modo di sentire il freddo acciaio della canna sulla nostra testa ed immediatamente, di fronte a noi, abbiamo modo di vedere una serie di uomini d'affari intenti a sperare che si avveri ciò su cui hanno scommesso puntando enormi cifre di denaro. Siamo immancabilmente sei contro uno (dato che i tamburi dei revolver, in genere, possiedono sei colpi), ma solo il destino aleatorio deciderà se il percussore scatterà a vuoto oppure se in un instante il nostro cervello andrà a decorare la parete come un dipinto di Jackson Pollock, ma oltre alla paura c'è ben altro a gelarci il sangue, il senso di vittimismo e strumentalizzazione con cui anche un essere umano viene in pochi secondi trasformato in carne da cannone sul quale scommettere; ma perché dobbiamo essere noi le vittime sulla pedana? Perché siamo noi l'oggetto di quella inutile brama di denaro attraverso l'esistenza umana? La pistola sparerebbe alla testa di chiunque, quindi cosa succederebbe se la canna improvvisamente cambiasse bersaglio mirando ora a questo ora a quello scommettitore? Di fronte al destino siamo tutti potenziali vittime ed il colpo può sfracellare indistintamente la testa di un povero operaio schiavo dei debiti o quella di un distinto e miliardario uomo d'affari.
Conclusioni
Il singolo di "Mary Jane" si rivela essere un prodotto assolutamente appetibile ed interessante per tutti i fan dei Megadeth e soprattutto per gli estimatori del Thrash Metal vecchio stile. A rendere particolarmente pregiata questa pubblicazione è la raffinata scelta delle tracce da inserirvi, dato che il gruppo ha meditato ed optato per tre canzoni che, seppur nella loro diversità, costituiscono un prodotto saldo, compatto e decisamente piacevole da ascoltare. La titletrack può essere considerata "la ballad" dell'insieme, vista l'alta particolarità e raffinatezza compositiva degli arrangiamenti melodici che ne fanno una vera e propria chicca; la seconda canzone invece rappresenta la classica pugnalata old school, un pezzo con il quale Mustaine urla in faccia ai suoi oppositori tutto l'odio che un giovane disadattato potesse provare verso chi censurava i suoi testi e lo additava come individuo potenzialmente pericoloso. La terza traccia infine, rappresenta la proverbiale "via di mezzo" tra il pezzo fedele alla tradizione ed un qualcosa di maggiormente sperimentale ed innovativo: su "My Last Words" infatti troviamo mescolati tra loro sia elementi thrash al 100%, come il tempo serrato ed incalzante di batteria o lo shredding mitragliante delle chitarre, sia spunti più raffinati e classici, ed in tal senso vi basterà ascoltare l'introduzione del brano per apprezzare tutta la "scolasticità" e la ricercatezza melodica di questi quattro musicisti. A conti fatti quindi, questo singolo si presenta alle nostre orecchie come un biglietto da visita dei Megadeth, o meglio, come un campionario completo di ciò che i quattro erano in grado di comporre, realizzare e suonare senza porsi limiti di alcun tipo. Il fan della band dunque trova in questo singolo tutto ciò che si poteva aspettare dai propri idoli, potendo contare su un ampio bagaglio di emozioni e stati d'animo provati direttamente dal compositore principale sulla propria pelle, elemento questo che rende ogni canzone degli autori di "So Far, So Good... So What!" un qualcosa di assolutamente sentito e personale. È nelle esecuzioni chitarristiche che si apprezza in maniera particolare tutto il pathos di chi sta suonando, sia Mustaine che Young possiedono un tocco particolare ed immediatamente riconoscibile, ma sono le mani del leader del gruppo ad emergere sempre in tutta la loro sincerità, facendoci percepire sempre le stesse emozioni provate da Megadave durante le varie esecuzioni. Se siete fan del Thrash Metal ed in particolar modo dei Megadeth, questo singolo non può assolutamente mancare nella vostra collezione.
2) Hook In Mouth
3) My Last Words