MEGADETH
Liar
1988 - Capitol Records

MICHELE MET ALLUIGI
07/10/2016











Introduzione Recensione
La campagna promozionale intrapresa dai Megadeth per pubblicizzare il loro terzo album in studio, "So Far, So Good...So What?!" del 1988, andò a concludersi con il terzo ed ultimo singolo pubblicato dalla Capitol Records, "Liar", uno dei brani che forse più degli altri esprime la soggettività di Dave Mustaine facendoci rivivere tutte le sensazioni da lui vissute conseguentemente ad un fatto di vita vissuta. La parabola dei prodotti collegati all'album va quindi a terminare con un disco che torna alla basilarità dopo la parentesi "elaborata" del lavoro centrale di questo catalogo: partendo infatti dal primo di essi "Anarchy In The U.K." si nota come dalla "semplicità" concettuale ed anche tecnica dei singoli contenuti si passi ad un qualcosa di più ricco e variegato per poi tornare sulla pubblicazione di tipo standard. La cover dei Sex Pistols, come abbiamo visto, venne accompagnata nella tracklist dalla ripresa live di "Devil's Island", un estratto live che, salvo le sue pecche dal punto di vista audio legate esclusivamente alla ripresa dello show, diede però ai fan una prova lampante dell'estrema grinta che la band possedeva dal vivo. Questa accoppiata dunque gettò le basi per i successivi singoli fornendo ai sostenitori di Megadave un prodotto valido ma comunque relativamente nella norma per il tipo di formato con cui venne presentato; sarà invece con il successivo "Mary Jane", che i thrasher californiani, forti anche di una maggiore fiducia da parte dell'etichetta nei loro confronti, faranno arrivare sugli scaffali una pubblicazione esattamente a metà tra un singolo ed un ep. Potrà sembrare scontato, e magari anche superfluo, ritenere questo secondo passaggio discografico correlato al terzo full lenght così decisivo, eppure, analizzandolo nel dettaglio, vi si riscontra un ampio bagaglio di ciò che potevano offrire i Megadeth alla fine degli anni Ottanta: un brano sentito e ricco di pathos come la titletrack, una sferzata di puro Thrash Metal old school ideale per gli ascoltatori più accaniti ("Hook In Mouth") ed un brano sì potente ma decisamente più raffinato come "My Last Words", dove oltre alla grande levatura tecnica dei quattro emergeva anche, e soprattutto, l'ampio eclettismo stilistico di un musicista che, data la sua fama di outsider esiliato, non godeva certo di una buona fama sulla scena. Con "Liar" dunque il cerchio si chiude, tornando metaforicamente al punto di partenza: in questo singolo infatti vi è una sola canzone, ma essa stessa basta e avanza per raccontare le travagliate vicissitudini attraversate dal rosso axemen proprio in quegli anni. Conclusa l'avventura del secondo album in studio, il famosissimo "Peace Sells... But Who's Buying?" il gruppo subì una delle tante rivisitazioni di line up: salvo il bassista David Ellefson, fedele Rinaldo di questo metaforico Orlando della saga del Metal e recentemente tornato alla corte del Rattlehead, l'esatta metà del gruppo venne licenziata, Gar Samuelson venne sostituito da Chuck Behler alla batteria, mentre il chitarrista Chris Poland venne brutalmente cacciato dalla band dopo l'ennesima lite con Megadave, venendo sostituito da Jeff Young. Proprio all'ex solista è dedicato il brano in questione: pare che l'attuale chitarrista degli Ohm sia stato licenziato dal gruppo dopo aver rubato alcune chitarre a Dave Mustaine, anche se sulla vicenda è difficile fare chiarezza riuscendo a distinguere dove finisca la verità dei fatti e dove inizino le leggende metropolitane. Il fatto increscioso dunque ispirò il thrasher originario di La Mesa a dedicare questo pezzo all'ex collega ed amico, e non è difficile immaginarsi un giovane Megadave intento a riversare in una canzone tutto l'astio ed il sangue marcio fattosi per un traditore del genere. Con l'ausilio del tempo pare che l'ascia di guerra tra i due sia stata definitivamente seppellita, dato che Poland partecipò alla campagna promozionale per la ristampa di "Rust In Peace" nel 2004 ed ancora , nello stesso anno, tornò in formazione per il tour promozionale di "The System Has Failed". Non è dato sapere quanto la famosa conversione religiosa di Mustaine (avvenuta nel 2002 durante il periodo forzato a causa dello schiacciamento del nervo radiale del braccio sinistro che costrinse il musicista a smettere di suonare) sia stata influente per questo "ritorno del figliol prodigo"; quello che in questa sede ci occorre conoscere è che trent'anni fa si avesse a che fare con un Dave ben diverso, decisamente più rancoroso, irascibile e pronto a dichiarare guerra a chiunque lo ostacolasse. Basterà guardare la copertina del singolo per capire che questa canzone è stata confezionata per un individuo ben preciso, e la copertina in tal senso rappresenta il cartello di pericolo che invita lo stesso Poland a tenersi alla larga dalla band: lo sfondo si caratterizza di uno sfondo beige chiaro, spezzando così le tinte cromatiche precedenti, sul quale compaiono il logo del gruppo in bianco e nero e la scritta del titolo in stampatello maiuscolo anch'essa nera. Al centro dell'immagine troviamo il Rattlehead, il teschio con la piastra d'acciaio posta sugli occhi ed i bulloni all'altezza delle orecchie divenuto la mascotte del gruppo; la sua collocazione al centro con le ossa poste a freccia con la punta rivolta verso il basso ne fanno un vero e proprio segnale di ammonizione, che il diretto interessato non faticherà a comprendere, dato che essa indica il fondo della copertina, dove è presente la scritta "Warning: Contains Potentially Offensive Lyrics" ("Pericolo: questo disco contiene parole potenzialmente offensive"). Il messaggio è chiarissimo, uomo avvisato mezzo salvato, senza contare che l'avvertenza avrebbe inoltre preservato Megadave da eventuali azioni legali da parte del diretto interessato dell'insulto.

Liar
Ad aprire "Liar" ("Bugiardo") troviamo un incisivo riff di chitarra: non si tratta però di un classico fraseggio in shredding, come ci si aspetterebbe in un pezzo ispirato unicamente dall'astio del proprio compositore, la sequenza di note inaugurali si rivela invece molto più raffinata ed elaborata, la mano destra esegue delle pennate regolari, lasciando che la sinistra si muova sulle diteggiature standard alternate poi a degli incisi in hammer on, i quali, forniscono alla parte un dinamismo ed una fluidità particolarmente interessanti. Con l'arrivo della chiusura accentata entra anche la batteria a lanciare la strofa; anche in questo caso, contrariamente alle aspettative, non troviamo un quattro quarti serratissimo e tritaossa a martoriarci le tempio ma abbiamo modo di apprezzare un mid tempo non particolarmente veloce ed al tempo stesso precisissimo eseguito da Behler. L'incedere della strofa quindi è più lento, ma ciò non risulta assolutamente essere un aspetto negativo, anzi, ci consente di percepire meglio la fluidità ed il groove del main riff, che viene suonato in maniera chirurgica sia dai due chitarristi che dal basso di Ellefson, quest'ultimo impegnato a seguire i due colleghi attraverso una parte molto più articolata di una semplice linea ritmica. Tornando nel particolare delle sei corde, ciò che rende la composizione particolarmente fresca e variegata è l'alternanza tra le pennate in palm muting, poste sotto le incisive frasi di Megadave, e gli accordi aperti e tenuti, collocati negli incisi strumentali tra un verso e l'altro del testo. È però nel ritornello che lo schema ritmico della traccia si espande ulteriormente: la parola "liar" viene infatti pronunciata su una sequenza incalzanti di accordi sostenuti dagli accenti della batteria ed è proprio questa soluzione che, nonostante renda questo passaggio apparentemente "zoppicante", conferisce al tutto un movimento più sostenuto. Il ritornello però ha inoltre un'altra funzione nell'impalcatura del pezzo: quello di funzionare da ponte tra le prime due strofe, abbastanza "thrash" a livello compositivo, e la terza, dove la stesura delle parole sulla musica viene completamente rivoluzionata: nelle prime battute anche la seconda strofa prosegue con la stessa struttura della prima, ma con il sopraggiungere del nuovo ritornello il cantato di Mustaine si contrae ulteriormente, arrivando ad essere una rapidissima successione di parole che potrebbe far invidia anche al più veloce dei rapper; si tratta di un frangente relativamente breve ma tuttavia interessante all'interno della traccia, in quanto regala al tutto quella maggiore varietà in più che rende particolari diverse composizioni dei Megadeth, specialmente nei primi album. A svolgere il ruolo del canto del cigno della traccia e la sferzante stoccata solista di chitarra, in cui lo shredding ed il tapping si rendono assoluti protagonisti di una colata di note fluida e precisa, che si conclude con delle impennate della leva del floyd rose (il ponte mobile della chitarra); c'è ancora tempo per un ultima sequenza di insulto, seguita da un rapido inciso di sei corde, prima che la traccia si concluda in maniera netta e fulminea, come è tipico delle prime canzoni della band, ancora non troppo abituata a soluzioni differenti per le chiusure. Come accennato, il testo è dedicato a Chris Poland, il quale rubò delle chitarre a Dave Mustaine e per questo venne cacciato dalla band, non si fa quindi fatica a comprendere come mai le parole di "Liar" siano una lunga ed articolata serie di insulti rivolti all'ex chitarrista del gruppo. Megadave riversa la sua rabbia in prima persona, senza peli sulla lingua, ed anche le ingiurie vengono proferite senza andare per il sottile o ricorrere in metafore superflue; immaginiamo dunque di vedere la vittima del furto faccia a faccia con il ladro, quest'ultimo viene prima di tutto accusato di aver sempre goduto in maniera parassitaria della fama raggiunta dal gruppo, se fosse stato per lui i Megadeth non avrebbero mai concluso niente, ma dagli attacchi personali Mustaine non esita a passare a calunniare anche i genitori di Poland: il padre è tacciato di essere un ubriacone, mentre la madre è una folle demente che sbraita ed urla come un'arpia ogni volta che dà fuori di matto, anche la sorella viene etichettata come una tossica dai facili costumi che non si fa problemi nel saltare da un membro maschile all'altro spezzando le reni a schieri infinite di uomini, per usare un'immagine catulliana, mentre il fratello viene definito il cantante gay di una band inutile da liceo che non suonerà mai al di fuori dell'aula magna e non in altre occasioni se non la festa studentesca; la lista delle persone collegate a Poland ed insultate pesantemente si conclude poi con la sua fidanzata, anch'ella prostituta nota a tutti per le sue eccezionali doti di meretrice che regala ai suoi concubini solo malattie veneree ed aids. Questo però è solo il primo giro di boa prima che le continue accuse di essere un bugiardo, un infame ed un traditore arrivino dritte a bersaglio; egli altro non è che un male che insozza l'umanità, un veleno che scorre nelle vene delle persone oneste ed un inutile sacco di spazzatura traboccante dei più maleodoranti e nauseabondi rifiuti, egli non si merita altro che marcire all'Inferno nei peggiori dei gironi, e può stare tranquillo che i suoi viscidi metodi di ladro lo condurranno presto dove deve stare ed è proprio in questi passaggi che la contrattura vocale di Mustaine ricrea perfettamente il fare frenetico con cui una persona in preda alla collera insulta qualcun altro, dire semplicemente: "Chris Poland sei uno schifoso bugiardo" non bastava all'irascibile Megadave, molto meglio riferire il messaggio attraverso una delle tracce più incalzanti di "So Far, So Good...So What!"

Conclusioni
Sicuramente "Liar" è una canzone validissima e godibile, forse una delle più particolari all'interno del terzo album in studio della band; a livello tematico e lirico non stiamo sicuramente parlando di qualcosa di elevato oppure erudito, anzi, di una mera sequenza di insulti, eppure è proprio la sua composizione musicale particolare a renderla interessante. Trattandosi di una serie di maldicenze rivolte a Chris Poland ci si sarebbe aspettati un tupa tupa incessante dall'inizio alla fine, con un riff mitragliato di chitarra e delle urla rabbiose ed acide tendenti al grindcore, il cui unico fine era quello di far sfogare a Megadave tutto l'astio che aveva in corpo, ma sappiamo bene che un pezzo con queste caratteristiche avrebbe fatto scadere la band nel banale, andando a ricoprire un inutile cliché che non avrebbe fatto altro che fomentare l'immagine di prima donna attribuita a Mustaine già all'epoca a causa dei suoi numerosissimi screzi. L'utilizzo di una base compositiva più articolata e studiata invece consegna il messaggio sotto una luce completamente diversa, facendo del significante un veicolo molto più eloquente del significato per certi aspetti, dimostrando così che per il rosso chitarrista la musica non rappresenta assolutamente un qualcosa di marginale, anzi, in questo particolare caso le liriche sembrano quasi andare a porsi in secondo piano rispetto ad una struttura compositiva articolata ma al tempo stesso energica e ricca di "pacca". Ogni singolo strumento infatti lavora al massimo delle proprie potenzialità: la batteria di Behler, come abbiamo visto, si muove principalmente su un mid tempo, a cui però non mancano rapidi incisi sui fusti, contrattempi e stop and go che rappresentano le classiche chicche che valorizzano la performance del drummer, il basso si muove come se fosse quasi una terza chitarra, esulando quindi dal semplice ruolo di "accompagnamento" per arricchire la canzone con diversi spunti particolari ed estemporanei ed infine, ultime ma non certo meno importanti, le chitarre, le quali lavorano sapientemente sia sulle pennate tritate in palm muting sia sui passaggi più d'ampio respiro, rivelandosi efficacissime sia o e poco interessante, data la presenza di una sola canzone in esso, tuttavia questa stessa canzone si presenta come un prodotto veramente valido.



