MEGADETH

Hangar 18

1990 - Capitol Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
20/10/2016
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Se il proverbio recita "anno nuovo, vita nuova", si può tranquillamente affermare che i Megadeth abbiano interpretato alla lettera queste parole. È infatti il 1990, e la decade degli anni Ottanta, nella quale il Metal ha visto delinearsi le sue principali caratteristiche strutturali, volge alla conclusione affacciandosi ora su altri dieci anni nel quale espandersi ancora. Come abbiamo visto, già con il precedente split di "No More Mr. Nice Guy", la band di Dave Mustaine aveva già lasciato, almeno a livello grafico, una prova tangibile di quello che stava bollendo in pentola; nonostante ciò, non passò molto tempo che sugli scaffali arrivò un altro singolo, quello di "Hangar 18", con il quale il gruppo tornava finalmente sui propri passi dopo l'estemporanea rivisitazione del brano di Alice Cooper. Occorre però riagganciarci al capitolo precedente prima di proseguire oltre in questo viaggio nella discografia del gruppo americano: l'ultima pubblicazione in studio risale al 1988, con l'impeccabile "So Far, So Good...So What?!", stiamo ancora parlando della prima fase della storia della band di Megadave, quella in cui la band è ancora una formazione legata saldamente alle radici del Thrash Metal old school e la cui giuda è affidata ad un giovane chitarrista e cantante tecnicamente dotatissimo ma altresì infervorato da un rimorso verso i suoi ex colleghi (i Metallica) ed una voglia di rivalsa in tal senso. I lavori fin qui realizzati, spallata dopo spallata, hanno fatto guadagnare ai Megadeth un posto di tutto rispetto nella scena thrash mondiale, nonostante all'interno del filone della Bay Area fossero comunque gli ultimi arrivati; è vero che cronologicamente parlando tra gli autori di "Killing Is My Business...And Business Is Good" ed i vari Anthrax, i già citati Metallica e gli Slayer, giusto per menzionare gli altri Big Four, non passa molto tempo, ma in un panorama ricco e frenetico come quello dell'underground californiano, il circuito di gruppi girava sempre freneticamente alimentato dai vari nuovi nomi che si esibivano nei vari locali, anche il gruppo di Mustaine dovette lavorare particolarmente sodo per restare al passo con i tempi. Detto ciò, va sottolineato poi come l'enorme terreno che i quattro musicisti (o meglio, il frontman ed i vari compagni di ventura che di volta in volta fecero parte del gruppo) dovettero recuperare fu percorso alla velocità della luce: in appena cinque anni di attività infatti la band poteva vantare già tre album che non solo riscossero subito i consensi della critica e degli appassionati del genere ma restano ancora oggi degli album imprescindibili per chiunque voglia definirsi thrasher ed immancabili nella collezione di ogni addetto ai lavori. Alla soglia degli anni Novanta, i Megadeth si apprestavano a tornare con un altro disco ad oggi ritenuto uno dei loro migliori lavori, "Rust In Peace", ma per meglio preparare i propri fan alla succulenta portata successiva, Megadave e soci decisero di servire come antipasto il singolo di una delle tracce più famose del loro quarto full lenght; a livello commerciale, il singolo di "Hangar 18" venne stampato in diverse edizioni, che oltre al formato vinile, contenente una toppa del gruppo in omaggio, comprendeva anche il formato cd e la cassetta. Nella maggior parte di esse, la tracklist comprende due brani, la titletrack (in versione MJ12 Edit) e una registrazione live di"The Conjuring", ma noi di Rock & Metal in My Blood andiamo ulteriormente nel dettaglio, proponendo l'analisi della versione destinata al mercato giapponese, la più ricca a livello di contenuti giunta sul mercato il 17 maggio del 1991, che contiene due versioni di "Hangar 18" (quella destinata ai passaggi radio e quella di durata più estesa), la già citata "The Conjuring" e "Hook In Mouth" (entrambe registrate in occasione dello show del 14 ottobre 1990 alla Wembley Arena di Londra durante il Clash Of The Titans Tour, dove i Megadeth suonarono insieme a Slayer, Testament e Suicidal Tendencies) ed uno speciale messaggio della band per i propri fans del paese del Sol Levante. La copertina di questo lavoro riprende anch'essa il tema fantascientifico del singolo precedente, soggetto principale dell'immagine è nuovamente Vic Rattlehead, la celebre mascotte del gruppo, sul cui scheletro ora compare un elegante abito composto da una giacca, una camicia ed una cravatta, per un vero e proprio look da uomo d'affari che si rispetti, o, in questo caso, da agente governativo. Lo scenario è infatti quello di un laboratorio di ricerca scientifica, le cui tonalità cromatiche si concentrano su diversi toni di azzurro che dai più chiari arrivano fino al blu. A spezzare questa predominanza di colori freddi è il rosa della luce sprigionata dall'incubatrice su cui poggia il soggetto, una teca all'interno della quale è contenuto un feto umano immerso nella formaldeide o nel liquido amniotico. Alle spalle del protagonista, infine, compare un'altra teca, di dimensioni più estese, nella quale è però contenuto un alieno, oggetto dei classici esperimenti compiuti dal governo americano di cui raccontano le più grandi serie televisive fantascientifiche (pensate ad X Files, giusto per avere un'idea). Trattandosi di un'edizione giapponese, sulla sinistra della copertina del cd compare un adesivo viola, recante il logo della Capitol Records ed alcune informazioni scritte in ideogrammi gialli. Con l'inizio della nuova decade dunque, i Megadeth si apprestavano a dichiarare nuovamente guerra al mondo tornando sulle scene con una formazione ulteriormente rinnovata, che dopo la parentesi a trio che ha realizzato il singolo per la colonna sonora del film "Shocker" ora tornava ad essere un quartetto con l'ingresso del talentuosissimo Marty Friedman in organico assieme a David Ellefson e Nick Menza.

Hangar 18

La prima traccia della tracklist è "Hangar 18 (AOR Edit)". La sigla AOR infatti indica la dicitura "Adult-Oriented- Rock" oppure "Album- Oriented- Rock", definizione che indicava il format radiofonico nato negli anni Settanta con il quale venivano trasmessi nelle varie radio i brani ritenuti in possesso di un alto potenziale commerciale. Dovendo essere passata via radio, la durata di questa versione ammonta a 3 minuti e 16 secondi, dato che i programmi devono passare sempre diversi brani durante la loro programmazione, le tracce destinate a questo scopo vengono trasmesse in forma ridotta al fine innanzitutto di consentire un palinsesto più ricco ed in seconda battuta anche un ascolto meno "impegnativo" per gli ascoltatori. La canzone si apre con uno start diretto che non guarda in faccia nessuno: tutti gli strumenti infatti partono all'unisono sostenuti da un quattro quarti incalzante il cui compito è quello di sostenere un main riff alcalino e travolgente. La parte di chitarra consta infatti di una serie di accordi a tonalità crescente, che dalla nota iniziale salgono sempre di più in maniera cromatica fino alle note più alti per poi cambiare improvvisamente una volta raggiunto l'apice di questa turbolenta ascesa simile a quella di un velivolo in fase di decollo. A chiudere questa prima sezione di traccia è un preciso passaggio sui fusti eseguito da Nick Menza, che immediatamente lancia la strofa a tutti gli effetti: il tempo resta sempre un quattro quarti lineare e privo di varianti, mentre sono le chitarre ora a modularsi su un riff cavalcato di pura matrice maideniana, sempre strutturato secondo una dinamica che dalla nota più bassa conduce alla più alta diviso in uno schema a quattro battute; le terzine infatti si distribuiscono con le prime due pennate in palm muting a loro volta seguiti dalla terza accentata e di durata raddoppiata rispetto alle precedenti. La voce subentra dopo due giri strumentali, giusto il tempo che ci consenta di metabolizzare per bene questa nuova variante prima che prenda avvio la parte cantata; la voce di Mustaine entra in scena sempre orientata verso la sua peculiare tonalità alta e nasale ma a colpirci immediatamente è il suo restare su un livello più basso rispetto alle urla psicopatiche a cui ci ha abituati con i suoi precedenti lavori. Su questa traccia infatti, il thrasher di La Mesa resta su un registro medio, facendoci apprezzare anche una vocalità più matura e l'intera strofa acquisisce così un gusto più preciso e meditato. Sicuramente, la line up rinnovata ha sicuramente portato un'aria di freschezza al soongwriting della band e ad emergere su tutto sono innanzitutto la maggior precisione ed articolazione del drumming di Nick Menza, mentre quello del predecessore Chuck Behler restava più lineare, ed il gusto più eclettico di Marty Friedman, non eccessivamente relegato unicamente al Metal, la cui creatività si riscontra soprattutto negli assoli, più dinamici e variegati rispetto a quelli suonati da Jeff Young. L'avanzata lineare del pezzo trova il suo punto di arresto nel ritornello, momento nel quale la batteria si lancia in un mid tempo i cui accenti si allineano con quelli delle chitarre. Anche le frasi di questo frangente, due per l'esattezza, vengono cantate da Mustaine seguendo abbastanza pedissequamente la linea seguita dalla sezione ritmica. Ad arricchire questa composizione con il proprio sostegno troviamo infine il basso di David Ellefson, che merita una menzione d'onore data la sua dinamicità soprattutto nei ritornelli e nei passaggi: se durante la strofa le sue quattro corde mantengono la nota tonica senza discostarsi troppo dalle chitarre è nel dimezzamento del ritornello che possiamo ascoltare il suo lavoro fluido e ricco di inventiva. Dopo questa prima porzione di brano, la struttura prosegue con un'altra strofa ed un altro ritornello identici ai precedenti, sarà poi nel finale che troviamo il vero e proprio punto di rottura che sembra quasi "passare di palo in frasca" senza un motivo apparente, ma è proprio in questo estro articolato che risiede il punto di forza dei Megadeth di primi anni Novanta. Una volta conclusa l'ultima porzione di testo cantata da Megadave, la band si lancia in una suite strumentale le cui caratteristiche, a rigor di logica, sembrano più appartenenti ad un brano prog che non ad uno thrash; la tonalità cambia infatti radicalmente ed anche il tempo di batteria viene modificato, portando il rullante dai quarti agli ottavi per ricalcare ancora di più la nuova velocità iniziata. Ora sono le chitarre a dominare la scena, il basso infatti continua a muoversi sulle direttive del main riff principale, mentre Friedman si lancia nella sua parte solista. Qui abbiamo modo di notare nel dettaglio la differenza tra il nuovo axeman ed il fondatore del gruppo: mentre quest'ultimo vanta uno stile maggiormente incentrato sullo shredding, ossia sulle pennate precise date con il plettro, l'axemen del Maryland preferisce invece suonare le proprie parti soliste mescolando le diverse tecniche chitarriste non esclusivamente metal, come l'hammer on e il pull off, che oltre al bending rendono la sua esecuzione più fluida e morbida rispetto alla più pesante mano di Mustaine. Con il sopraggiungere del passaggio successivo ai primi due solos, dove le chitarre seguono i colpi sui fusti del set di Nick Menza, la versione AOR Edit si conclude, tagliando quindi i restanti due minuti di suite strumentale contenuti invece nella versione estesa. Il testo di questa canzone incarna in tutto e per tutto l'aspetto fantascientifico presente anche nell'artwork del singolo e dell'album in cui il brano e contenuto: l'hangar 18 è infatti un hangar, ovvero una struttura normalmente destinata al deposito dei velivoli, che è stato riconvertito all'uso di laboratorio di ricerca per gli esperimenti scientifici del governo degli Stati Uniti. Molto ironicamente, Mustaine riveste ora il suolo di metaforico scienziato intento ad introdurci nella struttura, che dopo il benvenuto di cortesia inizia a farci da Cicerone durante la nostra visita: il tutto è descritto come una fortezza impenetrabile, protetta dalle più avanzate e radicate misure di sicurezza che i budget delle agency americane possano pagare, e la nostra guida ci avvisa subito che spenderà un po' del suo tempo per farci vedere che cosa avviene in quel luogo. A colpirci immediatamente sono le nuove armi in acciaio alle quali stanno lavorando i più rinomati ingegneri, mentre pochi metri più in la vi sono i sofisticatissimi computer nelle cui banche dati si trovano le informazioni per dominare il mondo e gli strumenti per osservare più da vicino le meraviglie del cosmo. Ma già dopo questo sguardo iniziale è probabile che abbiamo visto troppo e siamo ormai a conoscenza di segreti troppo importanti per essere svelati; basterà infatti guardare nella direzione opposta per vedere le teche contenenti le forme di vita extraterrestri sottoposte agli studi dei biologi, reduci dagli atterraggi che, secondo il governo, non ci sono mai stati, gli esperimenti avanzati di criogenia dei corpi umani e di cancellazione controllata della memoria, ideali questi da usare su eventuali testimoni di fatti scomodi. Questo è il meglio che la ricerca militare avanzata dello zio Sam ha da offrire e sono bastati pochi minuti all'interno dell'hangar 18 per renderci istantaneamente delle potenziali minaccie di una fuga di informazioni pericolosissima per gli Stati Uniti d'America.

Hangar 18 (LP Version)

Immediatamente di seguito troviamo "Hangar 18 (LP Version)", ovvero la stessa traccia poc'anzi ascoltata ma nella sua versione estesa, esattamente come comparirà nel full lenght, vale a dire con il minutaggio allungato a 5 minuti e 12 secondi. Innanzitutto, occorre specificare che strutturalmente parlando la canzone resta inalterata: la sequenza di introduzione, strofa, ritornello, strofa, ritornello e parte strumentale finale è nuovamente presente senza altre varianti di sorta nella loro successione ma ad estendere la versione contenuta nell'album sono diverse parti in più che nella versione destinata al passaggio radio sono state tagliate al fine di avere un brano di durata non eccessiva per la trasmissione; si tratta di tagli che non ledono la struttura della canzone in maniera troppo invasiva ma che comunque hanno modo di essere apprezzate in questa traccia, che è del resto la "Hangar 18" integrale, composta e suonata così come l'hanno voluta i Megadeth fin da subito. La prima sequenza che non è presente nella prima traccia di questo singolo è quella contenente l'arpeggio di chitarra distorta posto a metà tra un blocco dell'introduzione e l'altro: se nella versione ridotta dalla serie di accordi ascendenti si passava alla strofa unicamente attraverso una cesura di batteria, qui invece troviamo un ulteriore break, dove il tutto si ferma lasciando solo la sei corde ad eseguire un arpeggio con il suono leggermente distorto, dove Nick Menza entra con dei rapidi incisi sui fusti del proprio set, scandendo così ulteriormente un'apertura già abbastanza variegata. Il secondo taglio si trova nella parte immediatamente successiva al primo ritornello, le parti contenenti il cantato ovviamente sono state lasciate inalterate concentrando dunque le rimozioni solo in alcuni particolari punti delle suite strumentali. Dopo questa prima porzione di cantato infatti, nella versione AOR Edit la seconda strofa iniziava immediatamente dopo il primo inciso solista di chitarra mentre nella versione estesa, ad allungare questo passaggio, troviamo ancora una sequenza intera del main riff ripetuta due volte prima che Mustaine riprenda a cantare. Queste fin qui elencate sono comunque asportazioni di entità abbastanza lieve, è infatti nel finale che la fetta di canzone maggiore viene tagliata per non eccedere in minutaggio. Come accennato, la canzone destinata ai media si concludeva dopo i primi due assoli della parte finale, in corrispondenza al passaggio di batteria con il quale percussioni e chitarre si allineavano per giungere alla chiusura netta, ma originariamente, superato questo settore, il pezzo proseguiva ancora sempre privo di voce, regalandoci delle nuove sferzate soliste di chitarra. Quella contenuta nella versione AOR Edit risulta una sessione strumentale ridotta rispetto a quella effettiva, il passaggio con cui quest'ultima si chiude è in realtà l'apertura di una ben più ampia e dinamica sessione priva di cantato che si ripeterà sei volte prima di arrivare al powerchord definitivo, che dopo essere stato lasciato andare, dopo un quattro dato sul charleston, concluderà effettivamente la canzone. A conti fatti dunque, una volta che la porzione di pezzo riservata al testo viene eseguita si può tranquillamente affermare che inizi "una nuova hangar 18" a sé stante interamente strumentale, dove le stoccate soliste si distribuiscono su sei blocchi a loro volta suddivisi in serie di quattro giri intervallati sempre dallo stesso passaggio di batteria, letta così questa traccia risulterà quindi fin troppo complessa, eppure, i veri thrasher preferiranno sempre, e a ragion veduta, la versione integrale di questo grande classico del genere.

The Conjuring

Arriviamo ora al frangente del singolo riguardante le versioni live: la prima canzone che ascoltiamo è The Conjuring" ("La Congiura"), originariamente contenuta nel secondo disco della band "Peace Sells... But Who's Buying?" del 1986. Come ci si aspetta da una ripresa dal vivo, ad aprire l'ascolto è il boato del pubblico che, come accennato, risulta essere quello presente allo stadio di Wembley per la tappa londinese del Clash Of The Titans Tour. Il brano parte senza nemmeno una presentazione di Mustaine, a parlare sono direttamente le chitarre mentre si lanciano nello start del pezzo, una serie di powerchord lasciati andare dove, sulla profondità delle note, la voce del frontman ha modo di iniziare il proprio rito iniziatico scandito da un rapidissimo inciso arpeggiato. A scandire il tempo vi sono solo la cassa ed il charleston di Menza, il tempo continua ad aumentare diventando sempre più serrato sul piatto, l'adrenalina aumenta e poi ecco il break, una pausa fulminea dopo la quale partirà una prima sferzata. Il drummer infatti inizia a pestare attraverso un incalzante quattro quarti con la cassa in trentaduesimi, ma è solo una parentesi, poiché il brano infatti si stoppa nuovamente, riprendendo gli accordi iniziali e creando così una efficace esitazione prima dell'esplosione vera e propria. Abbiamo infatti già avuto modo di apprezzare quanto fossero articolate le prime composizioni dei Megadeth e questa traccia ne è un esempio lampante, la struttura infatti è modellata sul continuo cambio di tempo, che dai quattro quarti costanti passa ai dimezzamenti attraverso gli stop and go ed i breakdown. Il risultato finale dunque rende questa canzone un vero e proprio vortice ritmico all'interno del quale la nostra attenzione è sempre tenuta ben desta, come una corsa sfrenata a folle velocità piena di svolte, inchiodate e ripartenze che fanno schizzare alle stelle la nostra adrenalina. A rendere "The Conjuring" una delle tracce più corrosive dell'intero album è infatti la sua successione di avanzate serratissime, che in sede live sono una garanzia in fatto di pogo sotto al palco, e dimezzamenti di tempo, in un continuo salto da uno sviluppo all'altro che non ci lascia un attimo di respiro e con il quale Megadave e soci ci frullano le ossa senza pietà. Star dietro a questo incedere frenetico è quindi particolarmente difficile, ma del resto, soprattutto in un live, si desidera che un gruppo come i Megadeth ci lasci uscire dal concerto con le nostre vertebre in un sacchetto ed in tal senso con questa canzone si va sul velluto. Questa traccia, oltre a fornire una efficacia testimonianza della perfetta esecuzione con cui il gruppo la suonò ben ventisei anni fa, si presenta particolarmente fruibile anche a quasi un trentennio di distanza, grazie innanzitutto all'ottima calibratura dei suoni del concerto ma anche alla qualità di ripresa: anche su disco infatti, il pezzo esce nitido e definito, chiaramente con gli standard che una registrazione on stage potesse avere negli anni Novanta, e decisamente gradevole all'ascolto; la sua inclusione in questo singolo si rivela quindi particolarmente azzeccata anche per quanto riguarda l'appetibilità del prodotto che diventa così una chicca da collezione a tutti gli effetti. Sappiamo benissimo che il Dave Mustaine dell'epoca era un soggetto particolarmente adirato verso il mondo e verso tutto ciò che riguardasse il sistema della società del tempo, la congiura di cui parla questo testo è infatti quella ordita dai membri appartenenti alla elité delle alte sfere mondiali. Sempre parlando in prima persona, il rosso trasher riveste ora i panni di un profeta intento ad iniziarci al rito di questa setta super segreta votata all'adorazione di tutto ciò che rende schiavo l'essere umano, dalla religione al denaro; il registro linguistico della lirica infatti è molto "ecclesiastico", ma il concetto espresso può benissimo applicarsi anche alle multinazionali economiche del pianeta. Per seguire fedelmente questo rito non occorre invocare qualche sacerdote, né tanto meno il favore del diavolo o del padre eterno, a noi poveri schiavi basta semplicemente obbedire ai dictat superiori, l'eterna sudditanza che ci legherà per sempre ad un qualcosa di più potente di noi è la chiave con cui una ristretta percentuale della popolazione è in grado, attraverso la gestione della ricchezza, di assoggettarne la fetta più grossa. La congiura è proprio questa, la capacità di pochi despoti di tenerci in catene unicamente attraverso il loro potere e la nostra dipendenza, il comandamento resta sempre lo stesso, eseguire gli ordini senza fare domande.

Hook In Mouth

Come sottolineato nell'apertura della recensione, l'edizione "standard" del 1990 di questo singolo si sarebbe conclusa con questi due pezzi, ma proseguiamo oltre, arrivando ora all'altro estratto del live a Wembley, "Hook In Mouth" ("Uncino In Bocca"), brano estrapolato dal terzo full lenght del gruppo "So Far, So Good...So What!". Ad aprire la traccia è nuovamente il boato del pubblico, che questa volta succede all'incisiva presentazione di Megadave, che cinicamente afferma "This song is about censorship, this song is Hook In Mouth" ("Questa canzone riguarda la censura, questa canzone è Hook In Mouth"). Conclusa questa frase, Nick Menza dà il quattro sul charleston ed ecco finalmente partire la famosa serie di stacchi che avvia il pezzo; dopo questa esplosiva apertura la batteria ed il basso si lanciano in solitaria in una marcia inarrestabile priva di chitarre sulla quale si stanzierà la voce di Mustaine. La prima porzione di strofa dunque viene suonata unicamente dalla sezione ritmica, le chitarre infatti entreranno a gamba tesa nel pre ritornello, conferendo così allo sviluppo quell'ulteriore punta di energia e di aggressività che rendono ancora più granitico questo pezzo. Il tempo suonato dalla batteria è un classico quattro quarti fortemente sostenuto dal doppio pedale, ideale per l'headbanging più sfrenato, e il tiro del drumming di Menza inoltre si rende perfetto per suonare una partitura così imponente in perfetta sinergia con le plettrate decise di Ellefson sul proprio basso. Già così, la canzone suona grintosa e graffiante, pur essendo suonata dalla metà del gruppo, ed è proprio per questo che con l'ingresso delle chitarre di Mustaine e di Friedman viene creato quell'effetto di "mazzata nei denti" che ci tramortisce senza alcuna pietà. Dal procedere lineare della prima parte cantata, la seconda porzione di testo vede il proprio tempo dimezzarsi in corrispondenza dell'ingresso delle sei corde, che entrano in scena con una serie di pennate in palm muting dal tocco particolarmente sostenuto. La linea vocale di Megadave passa da una iniziale contrattura tendente al parlato ad un fare più cantilenato, dove il thrasher americano riprende ad utilizzare il suo stile da pazzo maniaco che lo rese la celebre "testa calda" della scena. Il ritornello viene preceduto da una nuova accelerazione, conforme sempre ai canoni stilistici dei Megadeth dei primi lavori, il tupa tupa riprende a martellare in modo da dare modo ai presenti al concerto l'occasione di mischiarsi un po' le ossa in una sequenza che ospita anche la prima stoccata solista. Si tratta di un inciso abbastanza lungo ma funzionale per la successiva apertura del ritornello, dove le chitarre sfoderano una serie di accordi a tonalità discendenti dove anche il vocalist ha modo di distendere le proprie parole in maniera più catchy. Questo intero blocco viene infatti ripetuto per due volte, tra loro separate da un rapidissimo inciso solista, per poi interrompersi di nuovo bruscamente. A questo punto la canzone "riparte da zero": ecco infatti che Nick Menza e David Ellefson si lanciano nuovamente in un assalto in solitaria per sostenere l'ultima porzione di strofa, evolvendosi in maniera esattamente identica alla strofa precedente con il successivo ingresso delle sei corde; il ritornello però ha avuto già abbastanza spazio nella estesa porzione centrale e a seguire alla struttura ora si trova l'ultimo attacco dei Megadeth alla società, una nuova parte caratterizzata da un raddoppio del tempo che ci condurrà alla successiva chiusura fulminea; un battito d'ali, un istante di silenzio, e poi ecco arrivare la meritata ovazione per una band che ha suonato in maniera perfetta sotto ogni aspetto uno dei suoi pezzi più celebri, ancora oggi bramati dai fans in ogni setlist. Sempre per restare in tema di stoccate alla realtà quotidiana degli anni Ottanta, che poi non molto ha di diverso rispetto a quella attuale, il buon Dave Mustaine dedica questo testo allo spinoso tema della censura, ovvero il bloccaggio di tutti quei contenuti, all'interno dell'arte di ogni genere, che sono ritenuti scomodi e indecenti per la società. Particolare bersaglio dei thrasher è in questa composizione è il P.M.R.C, vale a dire il Parents Music Resource Center (Centro di Informazione Musicale per i Genitori), l'associazione nata negli Stati Uniti nel 1985 per vigilare su tutti quei messaggi contenuti nelle canzoni che potessero essere dannosi per i poveri pargoli dell'America benpensante. Non a caso è proprio la censura attuata da questo ente l'uncino in bocca di cui parla l'ex Metallica: a causa di questa vera e propria caccia alle streghe attuata sui dischi di diversi artisti, e non è difficile comprendere come le liriche dei brani metal (ed in particolar modo dei Megadeth) fossero bollate come indecenti, sulle copertine di molti album compare l'adesivo con l'avvertenza che quel prodotto contiene linguaggio esplicito e dunque inappropriato. Megadave tuttavia non si fa certo spaventare da questo vaglio sulle sue canzoni, anzi, non usa mezzi termini a definire questi genitori dal nasino all'insù delle vere e proprie blatte che strisciano come parassiti all'interno dell'organismo dell'arte, il cui principale pregio è quello di offrire all'individuo la possibilità di esprimersi grazie ad un particolare mezzo, sia esso la musica la pittura, la scultura o quant'altro. Le regole della censura altro non fanno che comporre il regolamento supremo del male, attraverso una ipocrita promessa di proteggere i pargoli dalle minacce dei metallari degenerati, in realtà, non si fa altro che riempire le loro menti di menzogne; la musica metal e la sua critica verso la società offrono infatti un quadro puro e veritiero di come va il mondo ed è meglio che i ragazzini lo scoprano godendosi della musica piuttosto che subire il trauma ad intensità decuplicata una volta infranta la campana di vetro sotto il quale sono stati tenuti per anni. È interessante notare come in ogni frase del ritornello, le lettere rimarcate da Mustaine formino la parola "freedom" ("libertà") e di come essa abbia perso ogni significato a causa della censura. A che cosa serve l'arte se la sua più grande risorsa viene stroncata sul nascere? Ma il leader dei Megadeth è un essere umano ed un artista, non un pesce, e non si farà arpionare con un uncino in bocca, ma anzi, continuerà a far sentire la sua "disdicevle" voce sempre più forte.

Special Message For Japanese Fans

Il singolo si chiude con lo "Special Message For Japanese Fans" ("Messaggio Speciale Per I Fans Giapponesi"), una registrazione audio in cui i membri della band al completo ringraziano i loro supporters nipponici. L'espediente del ringraziamento ai propri seguaci rappresenta la classica ciliegina sulla torta che fa di un singolo un vero e proprio must da avere nella propria collezione, oltre che una reliquia dal punto di vista simbolico, e non è un caso se anche gli Slayer si rivolgeranno ai propri sostenitori con un messaggio speciale all'interno dell'ep di "Serenity In Murder" che uscirà nel 1995. La traccia audio si apre con i quattro membri dei Megadeth che salutano gli ascoltatori e si presentano, partendo da David Ellefson per poi proseguire con Dave Mustaine, Nick Menza e Marty Friedman. A giudicare dai cambi di volume si capisce che è il bassista del gruppo a tenere in mano il microfono per poi passarlo di volta in volta ai colleghi e sarà lui ad iniziare la presentazione del singolo. Nelle sue parole infatti si può ascoltare la descrizione dettagliata della struttura del singolo di "Hangar 18": egli infatti illustra che nel singolo, i fan troveranno le due versioni della titletrack e le due versioni live di "The Conjuring" e di "Hook In Mouth" registrate durante la tappa a Londra del Clash Of Titans Tour. Il secondo a parlare è Mustaine, il quale, dichiara che "Hangar 18" è una delle sue canzoni preferite dei Megadeth, mentre per quanto riguarda le tracce live esse sono accomunate dal fatto di esprimere come egli si senta nei riguardi della società e della censura; proseguendo nell'auto encomio, caratteristica non nuova di un Megadave volutamente pieno di sé agli albori della propria carriera, il leader dei Megadeth sottolinea come la sua band sia stata la prima nella storia dell'Heavy Metal ad addentrarsi così tanto in certi temi e ad essere passata sulle reti mediatiche americane. La parola viene poi passata a Nick Menza, il batterista, che ringrazia tutti i supporter che sono andati a sentirli durante le varie tappe dei loro tour. Per lui, tra l'altro, è la prima volta che ha la possibilità di suonare in Giappone e si sta davvero divertendo in quel paese, auspicandosi inoltre di potervi fare nuovamente ritorno l'anno successivo (a quello della registrazione). Anche Marty Friedman dichiara di trovarsi particolarmente bene nel paese del Sol Levante, tutti gli show che i Megadeth hanno tenuto là hanno registrato il tutto esaurito e che la cosa che maggiormente lo ha emozionato è stato il calore dimostrato dai fan, i quali, hanno reso ogni serata memorabile. Riprendendo la parola, Megadave ritorna a sottolineare come il supporto dei fans giapponesi sia totalmente diverso da quello ricevuto negli altri paesi, dato che è particolarmente sincero e sentito, ed è proprio per questo che anche se il viaggio dall'altra parte del mondo è stato particolarmente massacrante a livello fisico, per i Megadeth è stato un piacere suonare le loro canzoni al meglio delle loro possibilità e non vedono loro di poter avere nuovamente questa occasione. Tornando alle caratteristiche strutturali del singolo, David Ellefson evidenzia inoltre come nel booklet del prodotto, sempre come omaggio al paese che li ha ospitati così calorosamente, i quattro abbiano scelto di inserire le fotografie scattate durante le loro visite nei giorni di day off fatte in qualità di turisti, dove si vedono i caratteristici palazzi e monumenti di Tokyo; un'altra chicca, un vero e proprio gossip per i fan maniacali del gruppo, è l'aneddoto che vede il bassista della band interessato nell'imparare il giapponese non solo a livello parlato ma anche scritto, e la gratitudine del musicista statunitense va nuovamente ai fans di quella terra che si sono sempre dimostrati disponibilissimi nell'aiutarlo in questa impresa, tanto che prova a congedarsi con una frase in lingua locale. La registrazione si conclude sulle parole di Nick Menza, che spiega che cosa sia l'Hangar 18, ovvero una struttura militare che custodisce i segretissimi esperimenti sugli alieni e sugli esseri umani compiuti dal governo degli Stati Uniti, preannunciando che uscirà un videoclip della canzone ed invitandoci a spararcelo nel televisore.


Conclusioni

Il singolo di "Hangar 18" rappresenta per i Megadeth un vero e proprio salto di qualità dal punto di vista commerciale: si tratta infatti del singolo più succulento per i fan, almeno in questa edizione riservata al mercato giapponese che possiede ben tre tracce in più rispetto a quella standard. È vero che anche le prime due canzoni, da sole, offrono agli appassionati una buona dose di musica sfornata dalla band americana, ma indubbiamente l'edizione giapponese si presenta decisamente più appetibile non solo a livello quantitativo ma anche qualitativo. Innanzitutto, la titletrack di per sé è un pezzo che ancora oggi è annoverato come uno dei più belli mai composti dal gruppo californiano; la versione radio edit, ovviamente, rappresenta più un riempitivo con il quale far numero nella propria collezione più che una traccia da ascoltare, dato che questo compito è affidato alla versione estesa, dove gli ascoltatori si possono godere il brano in tutta la sua interezza. La line up rinnovata inoltre ha senz'altro consentito alla band di Megadave di compiere quella crescita che dall'apice della prima fase della propria esistenza la condurrà ad addentrarsi nel livello successivo, quello più "hard rock" se vogliamo, ma che comunque ha regalato al Metal dei dischi di tutto rispetto, anche se meno legati alla tradizione dell'old school. Passando ora sul fronte dei brani live, Mustaine e soci si rivelano essere una vera e propria macchina da guerra, sempre a proprio agio su ogni palco, si tratti della natia Los Angeles o di uno show tenuto dall'altra parte del mondo, facendo della musica dal vivo uno dei fiori all'occhiello della band simboleggiata dal Rattlehead. Sia "The Conjuring" che "Hook In Mouth", come abbiamo sottolineato, ci regalano l'istantanea di un quartetto compatto ed efficiente su ogni fronte, dalla sala prove in fase di composizione oppure su un palco dove bisogna solo spaccare teste, e nonostante il tocco dei nuovi arrivati sia particolarmente diverso da quello dei predecessori, le canzoni dei Megadeth non perdono mai il loro smalto. Per finire, il messaggio speciale per i fans giapponesi è sì un'esclusiva dell'edizione riservata al mercato asiatico, ma è anche vero che molte parole di encomio possono essere traslate e condivise anche dai fans degli altri continenti; anche in questo caso non stiamo parlando di una traccia che vorremmo ascoltare in macchina o dallo stereo, anzi, a dirla tutta potremmo dire che forse questa è la registrazione che si ascolta una tantum giusto per poter dire di aver sviscerato questo singolo, ma negli ascolti successivi verrà skippata senza pietà. Mettiamoci però anche nei panni di un fan giapponese che si compra "Hangar 18", magari ammucchiandosi i soldi da parecchie settimane, questo messaggio fa comunque piacere a chi con il proprio contributo economico supporta una band, la quale, riconosce questo sforzo e in qualche modo lo premia; questa umiltà è una cosa che molti gruppi, al giorno d'oggi, hanno perso, vista anche l'enorme facilità con cui singoli come questo sono reperibili in rete. Possiamo quindi dire che con questo parlato, i Megadeth ci consentono di fare un vero e proprio salto indietro nel tempo, negli anni in cui non solo il singolo era considerato un prodotto più raro dell'album ma anche i gruppi ti ringraziavano quasi personalmente per averglielo comprato. 

1) Hangar 18
2) Hangar 18 (LP Version)
3) The Conjuring
4) Hook In Mouth
5) Special Message For Japanese Fans
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