MEGADETH

Dystopia

2016 - Tradecraft Records

A CURA DI
LORENZO MORTAI
10/02/2016
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

1985 - 2016; ben 31 anni sono passati da quando Dave Mustaine ed il suo sanguinario e mefitico Vic Rattlehead si presentarono al mondo cercando di insegnarli quanto il business dell'omicidio fosse risolutivo ed altamente remunerativo, tanto da marchiarli come i migliori sul campo. Ovviamente non si parlava di uccidere fisicamente le persone, ma piuttosto far loro saltare le orecchie e le terga sulle sedie e durante i live al ritmo del più tecnico e denigratorio Thrash Metal che ci fosse in circolazione. La storia sappiamo tutti, chi più, chi meno, come andò; cacciato dall'albo dorato dei Metallica, e rientrato dopo anni per alcune esibizioni celebrative, ma sempre con un astio di fondo nei confronti di Ulrich ed Hetfield, Dave prese fra le mani quello spirito di vendetta che aveva arso dentro il suo petto dopo l'allontanamento dalla band per cui aveva lavorato così tanto, ed aveva deciso, dopo circa tre anni di sacrifici, eccessi e cacciate di altrettanti musicisti al suo cospetto (fra cui figura anche il nome dell'allora riccioluto Kerry King, che lo appellò come folle dittatore), di mettere in piedi qualcosa di altamente personale; e con Killing Is My Business  l'atomica testata dei Megadeth detonò in tutto il globo. La gloria venne quasi istantanea, la vena compositiva di Mustaine, il suo estro nel suonare, la sua caparbietà, ma anche la sua innata capacità di scegliere i musicisti intorno a lui, fecero si che in pochissimo tempo i Metallica nella mente di Dave e dei suoi seguaci fosse solo un ricordo, latente, ma ormai lontano. Al primo album, come madame storia insegna, ne seguirono altrettanti di enorme successo: dalle scorribande guerrigliere di Peace Sells, alla critica sociale di So Far, So Good, fino alla consacrazione eterna nel 1990 quando, dopo l'ingresso in formazione di Mr Marty Friedman, venne fuori quel mostro di potenza e genialità chiamato Rust In Peace. Da quel momento in poi la gloria fu davvero senza precedenti, quattro album messi a segno uno dopo l'altro, una escalation clamorosa che ancora oggi stupisce, nonostante i vari cambi di formazione nel mezzo e durante i vari album (ad eccezione dell'altro Megadeth originale, Ellefson, che si allontanerà solo nel 2002, per poi rientrare ufficialmente nel 2010). Dall'apertura dell'alieno sarcofago di Rust però, qualcosa sembrava essersi definitivamente rotto nel cuore della band; si, ci furono altri due album (almeno nel parere di chi vi scrive) di medio/alto livello come Countdown to Extinction ed Youthanasia, l'ultimo dei quali molto più Hard Rock/Hard'n Heavy oriented, ma dalla seconda metà dei '90 in poi, vuoi per i nascenti nuovi generi che stavano spopolando in quel periodo, e per la sempre maggior mancanza di voglia dei giovani di avvicinarsi ad un genere come il Metal, che a quei tempi veniva visto quasi come giurassico, insomma, i nostri alfieri del Thrash persero decisamente la retta via, andando a zigzag fra dischi di livello medio, ed altri completamente da dimenticare. Tuttavia, l'entusiasmo e la passione folle dei fan, ma anche di Dave stesso, per questo progetto, gli hanno permesso, più o meno indenni, di attraversare le varie epoche storiche, scavalcando Grunge, Post Rock, Post Hardcore, Metalcore, e tutti quei filoni nati fra anni '90 e primi 2000 che, a detta di molti, hanno completamente snaturato il concetto di "metallo classico", specialmente quello di matrice ottantiana. Sta di fatto, comunque, che nel 2016 i nostri Megadeth sono ancora qui, e nelle sessioni live eseguite in tutti questi anni, hanno continuato a pettinare i capelli degli appassionati e dei meno appassionati, nonostante l'assenza di Friedman (per citare quello che forse è il più amato axeman mai sedutosi nel trono accanto a Dave), nonostante Peace Sells o Rust siano ormai così lontani nel tempo, nonostante la voce di Mustaine non sia più come una volta, loro ci sono, e sanno ancora aprire il palco in due con le loro note. Per iniziare a raccontare la storia odierna però, dobbiamo fare un piccolo balzo indietro, fino al 2013: in quell'anno per la Tradecraft, etichetta musicale indipendente fondata da Mustaine stesso, uscì Super Collider. Il 18 luglio dell'anno precedente fu lo stesso Vic a pubblicare un messaggio su Twitter per annunciare la venuta del nuovo disco: le undici tracce che lo componevano però, vuoi per la stanchezza vocale di Dave, o vuoi per la composizione di fondo, vennero aspramente criticate da una folta schiera di critici musicali, che ne sottolinearono la commercialità quasi senza quartiere, ed il ritorno a composizioni troppo semplici ed assolutamente di non impatto. Molti di loro addirittura fecero il parallelismo con il bistrattato Risk, datato 1999, un altro passo falso che la band affrontò in quel periodo, ed a cui furono mosse critiche molto simili. Come sempre, la caparbietà di Dave non si fece certo scoraggiare da così aspre e denigratorie critiche, ed una buona parte dei fan comunque videro nell'album qualche fetta di luce che risplendeva (molto più di quel che era stato l'esordio del disco ancora precedente, Thirteen, o di Endgame, per andare ancora più indietro nel tempo). Nonostante la fermezza delle sue convinzioni però, possiamo essere abbastanza certi che Dave le critiche le abbia assorbite, ed abbia anche cercato di comprendere come mai gli vennero mosse, magari andando a rianalizzarsi tutto ciò che riguardava la venuta e la composizione di Collider. Superato lo scoglio del 2013, a parte svariate date live, in sede di missaggio e registrazione tutto tace per diverso tempo; nel frattempo, verso la fine del 2014, due componenti della band abbandonano la formazione (quello che ormai sembra essere divenuto una specie di leitmotiv per i Megadeth, fra chi accusa Dave di essere veramente un dittatore come King lo definì nel 1985, chi non regge i ritmi di composizione e registrazione, e chi semplicemente si dedica a fare altro, con altri progetti), si tratta rispettivamente di Chris Broderick, in forze alla chitarra solista dal 2008, e di Shawn Drover, macchina da guerra alle pelli il cui esordio discografico (dopo l'assunzione ufficiale nel 2005) era avvenuto nel 2007 con l'album United Abominations. La storia dunque sembra ripetersi, esattamente come quando Dave stava cercando di metterli insieme, i Megadeth, setacciando fra i luoghi più bui dell'underground americano, in caccia di nuovi talenti. In soccorso arrivano i mad boys Lamb Of God, formazione che viene considerata uno degli astri più luminosi della cosiddetta NWOAHM (New Wave of American Heavy Metal); un gruppo che affonda le proprie radici nel Groove, nel Thrash vecchia scuola, con molte accezioni moderne, ma che nel tempo hanno saputo conquistarsi un'ampia fetta di appassionati. Alle  pelli di questo gruppo, dal 2000 al 2015, troviamo Chris Adler. Egli è un nerd musicale vecchia scuola, abilissimo nel suonare, il suo stile si ispira ai padrini della batteria Metal, come Dave Lombardo, Gene Hoglan e Lars Ulrihc, ma anche accezioni storiche più vecchie come John "Bonzo" Bonham. Mustaine lo vuole, gli piace il suo stile, le sue scorribande aggressive alle pelli, ed un'offerta da parte di MegaDave, per un fan del metal anni '80, non si può rifiutare assolutamente. Forgiato il nuovo posto alla batteria, manca l'altra ascia a sei corde per completare il duetto di chitarre; la soluzione arriva da un chitarrista che, in poco tempo, è riuscito a divenire uno dei guerrieri più amati dal pubblico. Sue proprie caratteristiche sono velocità di esecuzione, pennate senza quartiere, precisione e pulizia, ciò che serve per ridare forza al sound dei Megadeth. Parliamo di Kiko Loureiro, classe 1972, e divenuto celebre per i suoi duetti con   Rafael Bittencourt negli Angra, ma anche per i suoi album solisti. Con l'entrata di Kiko, lo svecchiamento del sound è quasi automatico: i due cavalieri a sei corde compongono, scrivono, si scambiano, fanno scintille, ed il 3 Aprile viene confermato, insieme a Chris, come nuovo membro della band. Formazione rinverdita, è il momento di rientrare in sala prove; ma cosa suonare stavolta? Meglio continuare sulla strada dell'Hard Rock/Hard'n Heavy, o ributtarsi a capofitto in quel Thrash che tanto lustro aveva dato alla band? Si propende per la seconda opzione, ma con un pizzico di moderno. Fra Aprile e Luglio 2015 le sessioni di prove si fanno estenuanti, si compone, si scrive, ci si dedica ad ogni singola nota, ed il 2 Ottobre del 2015, su internet, la prima traccia fa capolino. Si tratta di Fatal Illusion, a cui segue poi il 27 Novembre The Threat Is Real, entrambe accompagnate da videoclip; i pezzi convincono e non convincono, si sente una vena nuova e fresca, data sia dalle pelli che dalla chitarra, ma i veri fan aspettano la venuta del disco intero per esprimersi appieno. E per fare ciò dobbiamo scavalcare il nuovo anno, arrivando al 22 gennaio 2016, giorno in cui sugli scaffali dei negozi vediamo un Vic umanizzato, sempre con i suoi paraocchi d'acciaio e le catene che ciondolano, intento a brandire una katana giapponese, con alcuni droni meccanici intorno, e nell'altra mano quella che sembrerebbe la testa di una robotica statua della libertà. Sullo sfondo si stagliano le forme di una megalopoli futuristica, con un ferreo ponte a collegare il tutto. Il titolo, scritto in caratteri elettronici stile sveglia retrò, viene sormontato dal gigante logo della band; letteralmente il titolo è l'esatto opposto di Utopia. Con questo termine semanticamente si cerca di descrivere una mefitica società altamente indesiderabile e spaventosa, viene spesso utilizzata per concetti futuristici. Un mondo in cui le regole e le convenzioni sociali sono decadute, facendo spazio allo strapotere, alla dittatura ed alla segregazione. Undici tracce per descrivere questo folle mondo, pianeta deturpato e fantascientifico che risponde al nome di Dystopia: benvenuti nel quindicesimo album in studio firmato Megadeth.

The Threat Is Real

Piccoli suoni di catene, seguiti da alcuni rumori di sottofondo, e da uno straziante coro femminile, quasi operistico, sono il viatico per iniziare The Threat Is Real (Il Pericolo è reale): il coro continua, unito ad alcune partiture pre-registrate, come tamburi e catenacci arrugginiti, il tutto finché un possente giro di chitarra elettrica spazza via l'intro, ed il brano può cominciare. La chitarra ricama, gira su sé stessa con grande forza, seguita a ruota dalla batteria, che inizia a martellare prima soltanto la grancassa, poi si dedica ai tom ed ai piatti, sempre con un ritmo da marcia militare, ed infine lascia spazio ad un arabeggiante riff della sei corde. L'entrata in scena di questo ritmo così particolare viene coadiuvato in sottofondo dalle pelli e dalla seconda chitarra, che si dedica al giro sentito in apertura; una volta conclusasi la giostra, è il momento dell'entrata vocale, con Dave in prima linea che, pur non ricalcando perfettamente i fasti del tempo che fu, si assesta su un vocalizzo profondo e quasi sofferente, dando grande forza alla produzione. Mustaine gonfia il petto mentre in sottofondo il martellante ritmo della strumentazione continua a montare la bufera intorno a noi; un colpo di tom segnala il primo cambio di tempo e l'ingresso del ritornello, esso altri non è che una ripetizione di due arpeggi diversi da parte delle chitarre, con Mustaine sopra che ricalca con forza ancor più bruta le frasi che compongono questa parte di testo, dandogli energia da vendere. A questo micro ritornello segue l'inizio di un grande solo di chitarra, tecnico e pulito oltre ogni limite; i saliscendi la fanno da padrone in questa parte, le note vengono pennate con grande forza, e si fa fatica quasi a stargli dietro. Neanche il tempo di accennarlo che purtroppo il solo è già finito, ed un altro colpo della batteria, unito al basso, assente in prima linea, ma sempre nelle retrovie, ci ributta a capofitto nella mischia sentita inizialmente, con le due asce che fanno scintille e Dave che arringa la folla con le sue analisi di distruzione. Stavolta il ritmo prodotto è forse ancora più aggressivo, le corde delle due chitarre subiscono plettrate più rocciose e marciscenti, la batteria quasi si spacca sotto i colpi di Chris, che dimostra qui tutta la sua padronanza, ma anche il gusto per il sound vecchia scuola. Come in un infinito loop torniamo nuovamente al ritornello, con i due arpeggi che si ripetono sopra le parole del testo, ma stavolta, invece di essere rigettati nel baratro con l'andante iniziale, tocca ad un altro solo di chitarra trapanarci i timpani. Stavolta ci si dedica a qualcosa di nettamente più articolato, note veloci, di stampo Thrash e qualche piccola venatura Speed qui e là, dannatamente tecnico, dannatamente pulito, e che non può non conquistarti al primo ascolto; il solo si dilunga come uno squamoso serpente, cambia forma, muta la propria pelle sotto i nostri occhi. Passiamo infatti, sotto le sapienti mani di Kiko, da ritmi che spaziano sia gli anni '80, ma anche i primi '90, specialmente passando nelle falangi di artisti come Malmsteen o Satriani: sentiamo quella vena compositiva esplodere nella nostra testa, mentre la chitarra sembra non voler accennare a smettere la sua corsa. Il ritmo prodotto viene ancor più reso aggressivo dalla batteria che mitraglia colpi in sottofondo come un battagliero gathling: finita la parte centrale si torna al punto di partenza, stavolta alzando ancor di più l'asta della velocità, le pelli quasi diventano meccaniche sotto i colpi di Adler, Loureiro e Mustaine si scambiano le proprie note come giocatori di carte, e la linea vocale diventa, man mano che ci avviciniamo alla fine, sempre più rabbiosa. Il brano si conclude quasi esattamente come era iniziato, con il ritmo sentito per la maggior parte dell'ascolto, che ad un certo punto viene bruscamente interrotto da alcune rullate da parte delle pelli, rullate che sembrano voler accennare ad un nuovo ritmo, sentiamo infatti anche la chitarra iniziare a scaldarsi, ma poi l'intero corpus finisce nel nulla, con un brusco stop che lascia intendere la definitiva fine dell'ascolto. Siamo abitanti di questa fantomatica distopia che circonda il nostro sguardo; violenza, annichilimento, devastazione, queste sono le parole che ormai da mesi solcano la nostra mente, ma noi sapevamo che la minaccia era in arrivo. Avevamo previsto tutto, ed adesso, arrivati all'atto finale di questa umana follia, ci rendiamo conto che nessuno, ai tempi, ci aveva ascoltato. La minaccia ormai è divenuta realtà, le macchine del potere hanno preso il sopravvento, e stanno iniziando a raccogliere i primi cadaveri di coloro che si sono ribellati. Vediamo stagliarsi, mentre sentiamo queste aspre parole, di fronte a noi l'ingresso della città che vediamo sulla copertina del disco; ci muoviamo fra i suoi enormi palazzi e le strade apparentemente dorate, ma sentiamo sempre il fiato di qualcuno sul collo, come se volesse prenderci alle spalle e portarci via. Ormai le speranze sono morte, nessuno più potrà resistere alla venuta di questo regno del terrore, la minaccia ha preso forma, mani, braccia, gambe ed occhi di bragia, si staglierà su questa terra come una vampa demoniaca, e noi non potremmo far altro che rimanere lì a guardare ciò che non abbiamo fermato in tempo.

Dystopia

A ruota, sempre introdotto da alcuni fumi della battaglia in sottofondo, troviamo la title track, Dystopia (Distopia): all'intro quasi cinematografico segue subito un ritmo quasi Power, che affonda le radici tanto nelle tradizioni americane, quanto in quelle europee, soprattutto tedesche. Si sente la batteria che quasi risulta ovattata nella sua resa, la chitarra che ci ricama sopra in un gigantesco vortice in cui entrare e roteare vorticosamente fino a farsi esplodere la testa. Il ritmo teutonico prende vita sotto i nostri occhi, ed inizia a dilungarsi finché distorsioni da parte della chitarra non segnalano il cambio di ritmo. Ritmo che si assesta su un protrarsi della metrica musicale, un saliscendi dal gusto prettamente Metal nella sua resa, senza fronzoli o troppi intralci sopra, soltanto la sei corde e la nostra estasi mentre la sentiamo; il ritmo da puro metalhead si conclude con l'ingresso della voce ed un nuovo cambio di tempo. Cambio che sceglie die essere sempre metallico nella sua resa, ma stavolta nettamente più Thrash nel sound generale; Dave utilizza stavolta la sua ugola quasi al massimo delle capacità che l'hanno resa celebre, e nella mente degli appassionati certamente tornano alla memoria ricordi del tempo passato, quando tale stile vocale veniva utilizzato senza alcuna remora o limite. Mustaine continua a vessarci, mentre in sottofondo le due sei corde duellano fra loro, scambiandosi ritmi e note, accennando ogni tanto a qualche controtempo, ed aiutando la batteria a rendere ancora più famelico il pezzo, sia nella resa finale, che nelle singole sezioni che lo compongono. Alla pronuncia del titolo del brano stesso abbiamo il primo vero cambio di tempo significativo, segnalato da un colpo al piatto della batteria, e da un successivo ricamo della chitarra, che ci manda fuori di testa ad ogni nuovo ascolto. Si ha l'impressione veramente che qui Dave abbia voluto ricalcare i fasti del passato, andando a scavare in quelle che sono le sue origini musicali; si sente il Thrash si, ma si sente anche il metallo classico, e per chi ama gli scambi fra due chitarre elettriche, questo disco è una vera manna dal cielo. Kiko e Dave se la intendono alla grande, riescono a collimare perfettamente i propri stili ed i propri sound, ed ogni volta che sentiamo i pezzi, ci rendiamo anche conto di quanto sicuramente Mustaine si sia divertito a registrarli, perché il sound non ha quella vena forzata in sottofondo (come accadeva in alcuni dischi precedenti), ma piuttosto è fresco, diretto ed anfibiato, un calcio nei denti che non te li spacca del tutto, ma ti fa molto male. Sull'ossessiva ripetizione del titolo si cerca di costruire il solo centrale, solo che tarantola nella nostra testa come un piccolo centipede affamato, facendoci muovere la testa a ritmo; neanche il tempo di apprezzarlo che torniamo al main theme del brano ed il suo carico di odio e rabbia repressa, che in questa seconda ripetizione vengono fuori con ancora più forza. Forza che esplode nel sottobosco del brano, in cui sentiamo Kiko dilettarsi in alcuni cambi di registro sempre più veloci ed intricati, ma soprattutto puliti, ogni singola nota esce dalle sue mani esattamente come dovrebbe essere; ritmo ossessivo che poi si riaggancia nuovamente al ritornello, che consta anche stavolta della ripetizione ossessiva del titolo, vocalmente parlando, mentre in sottofondo abbiamo gli ennesimi accenni di riff, diretti ed articolati, pennate veloci che si susseguono durante l'ascolto, e le pelli a fare da contralto al tutto. Stavolta però, finita questa sezione, non abbiamo il ritorno al ritmo principe del pezzo, bensì un enorme solo di chitarra che ci investe in piena faccia: il ritmo prodotto è del più classico Thrash Metal che gli anni '80 hanno avuto da offrire (e che Dave stesso ha contribuito a plasmare), si parla di un andante pieno di sé e pieno di energia, che continua con alcune accelerate da parte di tutta la strumentazione, e poi nuovamente con i saliscendi sul manico che ormai sono diventati quasi un marchio di fabbrica. Sull'ultimo blocco, il pezzo assume quasi i toni del Groove, con la batteria (che non a caso è di proprietà di un ex Groove Metaller come Chris) che pesta duro sui tom e sulla grancassa, sfociando quasi in un trigger mentre veniamo accompagnati alla dissolvenza, la chitarra di Kiko e quella di Dave che continuano a far parte della stessa medaglia, rimbalzando dal Thrash all'Heavy come se niente fosse, e facendoci andare in estasi. In ultima battuta, i nostri Megadeth riescono anche ad infilarci alcuni blast finali delle pelli, ed una ultima accelerata di tutto il comparto musicale, che come era accaduto nel brano precedente, sembra accennare ad un nuovo blocco, ma poi viene bruscamente interrotta dalla fine della riproduzione. Nel testo ci viene ovviamente descritta la situazione che vivono gli abitanti di questa fantomatica realtà; le leggi umane non valgono più, la socialità comune è un lontano ricordo, i robot, le macchine di controllo, e le sale dorate del potere la fanno ormai da padrone. Non si può uscire di casa senza rischiare di non farvi più ritorno, non si può protestare o dire qualcosa senza finire nelle grinfie di chi ha messo in piedi questa follia. E quindi, cosa si fa? Assolutamente niente, si vive alla giornata; ci si trascina per quelle putride strade di quella che un tempo era una fiorente metropoli, un meltin pot di culture, ed osserviamo che, nonostante la presenza di vetro, acciaio e computer, niente è più come prima. Il moderno ha sovrastato l'utile, il bello adesso è pratico, ed in questa enorme distopia in cui siamo stati catapultati, non c'è alcuna speranza di sopravvivere. Se nel brano precedente la minaccia era reale, qui ci viene descritto l'attimo immediatamente successivo alla sua detonazione; i pensieri di pace si sono incontrati con la rabbia, dice Mustaine in una delle righe di testo, ed analizza anche come, in queste situazioni, purtroppo molti preferiscano mettersi il paraocchi di fronte al proprio viso (un richiamo a Vic stesso, simbolo di chi non riesce a vedere più in là del naso), cercando di convincersi che ciò che non vedono non possa fargli male, e soprattutto non sia reale, ma ahimè, non è mai così. 

Fatal Illusion

Il prossimo pezzo, dal titolo di Fatal Illusion (Illusione Fatale) incede nell'ascolto con un ritmo davvero pesante da parte della chitarra, quasi estremo, e quasi a metà fra il rumore di un macchinario industriale (forse un riferimento al theme del disco, chissà) e l'acceleratore di una fiammante motocicletta cromata che accenna a partire. Questo particolare intro viene seguito a ruota da una marcia militare impostata sulla batteria e su una delle due chitarre, che iniziano a distorcere il suono, mentre l'altra sei corde ricama piccoli sprazzi di metallica memoria in sottofondo. La batteria qui decide di assestarsi su pochi colpi, ma ben assestati, pesanti e sommessi. Si prosegue alternando questi momenti ad altri di piccola accelerazione, con trigger delle pelli e le chitarre che accennano un riff, che viene però stoppato quasi subito. Il primo minuto di brano è qualcosa di davvero pesante nella sua resa, va ad affondare le mani tanto nella ottantiana memoria del Metal, quanto con alcune accezioni più moderne di questo filone musicale, inspessendo l'intero sound con questo ritmo così granitico. Tutto poi all'improvviso tace, ed è la sola chitarra ad introdurci il vero inizio di brano, facendo un piccolo intreccio in solitaria sul  proprio corpo; a questo sentiamo in disparte dei piccoli colpi di piatti, prima che il brano intero deflagri in un Thrash move di forte impatto, e di grande tecnica. Il ritmo è veloce e trascinante, fa venire voglia di moshpit come se non ci fosse un domani, già si stagliano nella mente immagini delle future esibizioni di questo album, mentre durante questo pezzo si scatena l'inferno. A questo ritmo così disarmante fa capolino anche la voce stessa di Dave, che qui abbandona lo stile solito che tutti conosciamo, per dedicarsi a vocalizzi nettamente più bassi, come nel primo brano del disco. Mentre Mustaine continua ad arringare la folla, sotto di esso troviamo Kiko che non si fa attendere più di tanto, ed infatti poco dopo le prime righe di testo, troviamo un riffing da parte della sua sei corde di grande tecnica, con power chords e distorsioni al massimo, ma sempre sotto il vessillo della pulizia. Sua grande caratteristica infatti, come avevamo già accennato in introduzione, è quella di riuscire a suonare una quantità infinita di note, ma mantenendo il giusto spazio fra esse. Molti axeman infatti tendono ad impastare il sound, specialmente nelle accezioni più moderne del Metal, ma Loureiro, pur venendo da una scuola come quella degli Angra, in cui distorsioni e violenza, specialmente nei primi due album , la facevano da padrone, riesce ad essere dannatamente cristallino mentre suona, ed è ciò che lo rende unico. Non è la prima volta che Dave ha a che fare con un chitarrista così talentuoso (basti pensare allo stesso Friedman), e come abbiamo scritto qualche riga fa, si sente una discreta intesta fra loro, soprattutto si sente il divertimento che è stato messo durante la composizione. Il pezzo continua a mondare la bufera sotto i nostri piedi e nelle nostre orecchie, con i vari duelli di chitarra che si ripetono per tutto il corso dell'ascolto, e Dave al di sopra di tutto ciò che continua a vessarci con la sua ugola. A circa due minuti e quaranta secondi, dopo un'altra solitaria della sei corde, accennata, quasi in sottofondo, abbiamo un brusco cambio di tempo, sul filo della velocità. Anche il cantato di Dave qui si modifica e diviene più alto, seguendo le linee tracciate dagli altri strumenti; al cambio di tempo segue un ritmo nettamente Thrash Metal, sotto tutti gli aspetti, con la voce in primo piano, e le due chitarre che accennano a vari tipi di riffing, da scale a tapping, fino ad alcuni aspetti che affondano nelle basi del genere. Prima di lasciarci andare del tutto, al pezzo tocca ancora regalarci altri due soli: il primo di matrice più Metal, il secondo, breve quanto il primo, di spicco nettamente più Speed/Thrash, con la batteria sotto che, per quanto potesse essere resa meno ovattata ed impersonale (cercando per esempio di non chiudere il sound in qualcosa di troppo moderno, ma le tecniche di registrazione odierne spesso portano a questo), riesce comunque a far tirare il brano fino alla fine, in cui si volteggia sulla ripetizione di una frase, con l'intero comparto strumentale che sembra non volerci abbandonare fino all'ultimo secondo. Prima, nel testo del brano precedente, accennavamo a quanto in situazioni scomode molti seppelliscano la testa sotto la sabbia; ebbene, questo pezzo è dedicato a tutti loro. Si cerca di analizzare quanto le illusioni che la gente si mette davanti agli occhi possano essere fatali e devastanti, cercando di non guardare al di là del proprio naso. Il male, come Dave ci ripete alla fine, non muore mai, ed è assolutamente inutile cercare di far si che esso scompaia del tutto: spesso infatti le persone tendono a voler non vedere ciò che in realtà è palesemente di fronte ai loro occhi. Una mestizia nei confronti della libera espressione, del pensiero regolare, e soprattutto delle regole da rispettare, che fanno si che si arrivi al punto di una completa esplosione della società stessa, senza possibilità di tornare indietro. Questo cercano di farci capire i Megadeth in questo frangente; fra iniezioni letali, campi di morte, paraocchi e false promesse, la band porta un solo messaggio con sé, mai distogliere lo sguardo da ciò che accade, perdere di vista il mondo anche solo per un attimo, potrebbe voler dire tornare e non trovarlo più come era prima, ma solo i resti di ciò che un tempo amavamo con tutto noi stessi. 

Death From Within

Con un riffing di chitarra che viene riprodotto quasi come se fossimo in una scatola chiusa, o in una prima produzione di una band emergente (sentiamo i suoni pieni di ovatta mentre andiamo avanti, la chitarra quasi sembra avvolta nel cartone, così come la batteria) entriamo piano piano nel mondo di Death From Within (Morte dall'Interno): il suono bruscamente viene ripulito dalla polvere che sembrava avere nella prima parte, ed entriamo in medias res nel brano grazie alla voce di Dave, che viene preceduta da alcune pennate di chitarra. Il ritmo qui si forma su un tronco fatto di puro Thrash e qualche sprazzo Heavy qui  e là, gli accordi Hard Rock di tanti album precedenti sembrano ormai un ricordo lontano, la nuova ondata di questo genere dimenticato per tanti anni, pare essere tornata alla carica (lo testimoniano le mirabolanti uscite di altrettante band blasonate a cavallo fra 2014 e 2015, Anthrax, Overkill, Exodus e Testament, per citarne quattro famose, più tutto quel bosco di underground mondiale che sembra avere trovato nel Thrash Metal la propria Ellis Island). Si continua con i giri Thrash, inframezzati da alcuni rami da parte della chitarra, che ci trasportano in mezzo alla mischia del pezzo. La batteria qui torna ad essere meno piatta che nel brano precedente, e la sua forza fa sì che l'intero comparto degli strumenti possa aumentare la propria forza a dismisura, penetrando la nostra gabbia toracica e percuotendola dall'interno. Menzione d'onore va anche all'ingresso, per la prima volta in questo album, dei cori, che riescono a fare da eco alla voce di Dave, rendendo l'ascolto ancora più piacevole. Ellefson, che fino ad ora abbiamo nominato sempre poco, se ne sta al suo posto, dando corpo al sound delle pelli, e dettando il tempo; siamo a neanche due minuti di brano ed il ritmo continua ad incalzare nella nostra testa, finché un cambio di tempo viene dettato da alcuni saliscendi della batteria, che fermano il sound e lo fanno concentrare su di lei soltanto. A questo segue un assestamento più Heavy nella resa, con la chitarra che duella con l'altra sei corde nel fervore della battaglia; si ha l'impressione, man mano che si va avanti nell'ascolto, che Dave abbia davvero assorbito le critiche che gli sono state mosse in questi anni. Il livello di composizione, pur rimanendo su parametri semplici ed onesti, è nettamente di alto livello, e si ha la sensazione di trovarsi di fronte (quasi) ad un ritorno ai fasti primordiali di questo magico gruppo. Il pezzo continua la sua corsa ripetendo il ritmo in maniera compulsiva, con la voce di Dave che si barcamena fra toni più alti e più bassi, e poi ci si riaggancia al ritornello con alcuni colpi delle pelli, ritornello che non si forma altro che sulla ripetizione dei cori, con batteria e chitarra sotto che montano il tutto. A questo però stavolta, invece di tornare al filo rosso sentito in partenza, si prolunga un solo di chitarra di tutto rispetto; esso è meno veloce di tanti altri sentiti in precedenza, ma al contempo è aulico e martellante, con le corde che vengono infiammate sotto le sapienti mani di un esperto. Ed è un piacere sentire il solo che si dilunga, con anche l'ingresso dell'altra sei corde sotto a dare forza al tutto; con questo meccanismo riusciamo a sorpassare un'altra parte di brano, arrivando all'ultimo blocco di questa traccia. Blocco che viene aperto da un'altra brusca accelerata degli strumenti, ma stavolta con un ritmo ancora più trascinante di quanto già sentito in precedenza, con i cori a fare da contrasto alla voce di Dave; corriamo come forsennati cercando di stare dietro agli strumenti, finché un colpo ben assestato di batteria e basso da il via all'ultimo solo del pezzo. Solo che risulta aggressivo e fatale per noi ascoltatori, un'ultima botta di energia con il cantato che abbassa il tono per permettere alla chitarra di fare al massimo il suo lavoro, e poi il silenzio si porta via anche questo pezzo. La guerra è in corso; la ribellione degli oppressi della distopia principe di questo brano hanno preso il sopravvento e stanno cercando di rovesciare il tutto. Come in un epico racconto siamo partiti descrivendo gli orrori dell'inizio, poi la città e la realtà malefica che è nata, poi ci siamo spostati su quanto una buona parte della popolazione sia scarna e priva di spina dorsale, ed adesso siamo nella ribellione più totale. La morte di questo ammasso di potere dittatoriale avverrà dall'interno, nessuno verrà ad attaccare una potenza così enorme, e quindi tocca a coloro che ne fanno parte e non vogliono esserci, rovesciare il tutto. Nella notte si sentono spari, clangore di spade e fucili che cozzano fra loro, fiamme, incendi ovunque, e cadrà prima o poi questa maledizione che si è abbattuta sul popolo, facendoli diventare tanti schiavi della ferrea logica militaristica. Un tema che Mustaine ha affrontato svariate volte nel corso della carriera, specialmente nella sua prima parte; la voglia delle persone di ribellarsi ad un sistema oppressivo e che non lascia libero spazio al pensiero comune (in netto contrasto peraltro con molte sue posizioni personali prese nel corso degli anni, specialmente dai '90 in poi). I guerriglieri sono schierati, sono pronti a far battaglia contro coloro che hanno cercato di sopprimere la loro libertà personale, ed in un epico scontro le due fazioni cozzano fra loro, in una enorme orgia di sangue. Ad avere la meglio non sappiamo chi possa essere, ma quel titolo così profetico forse ci fa ben sperare che i soldati della libertà riusciranno a riconquistare questa fetta di mondo, facendolo tornare ai dorati lustri di un tempo che ormai sembra davvero lontano.

Bullet To The Brain

Una batteria che imita la cassa di una carica militare, anzi, più che altro una marcia, da il via a Bullet To The Brain (Proiettile al Cervello); si unisce al tamburo guerresco anche la chitarra, che accenna un piccolo riff di pregio, ma breve. Tutto ciò viene spazzato via dall'incipit del brano vero e proprio, ed un nuovo vortice di suoni distorti inizia a mangiare la nostra carne fin dai primi vagiti. Anche qui abbiamo un sensibile ritorno al Thrash Metal; il sound generale è roccioso e pieno di schiuma alla bocca come un cane rabbioso, lo vediamo guardarci con i suoi occhi insanguinati mentre andiamo avanti in questo ascolto. Dave incede al microfono dopo pochi secondi, e la gloria del suo cantato si professa con uno stile davvero duro e senza quartiere. Nonostante le sue corde siano consumate ormai dal tempo e dalla poca cura a loro dedicate, riesce comunque a sviluppare un vocal tracking di grande impatto e di forte resa, per noi che siamo abituati a molti frontman odierni che preferiscono usare toni gutturali o fortemente distorti, qui ci troviamo di fronte ad una classe pura che, consapevole dei suoi limiti odierni, si dosa senza problemi. Alla voce vengono alternati piccoli duelli fra le chitarre, che con un tiro catchy e davvero pulito nella resa, ci trasportano alla prima variazione significativa del brano; cambio che viene introdotto come sempre da una serie quasi interminabile di giri chitarristici, con Kiko che ricama e ricama sul proprio manico, mentre Dave dietro gli risponde per le rime, sia col proprio strumento, che ovviamente con la stessa voce. La variazione si dilunga, si dipana nel nostro cervello come il proiettile del titolo stesso, e premiamo il pedale del gas a più non posso per riuscire a seguire tutti gli elementi che sono presenti al suo interno. La struttura base del pezzo, nonostante la rabbia che riesce ad esprimere, risulta essere molto semplice; i bridge si legano l'uno all'altro grazie ai cambi della batteria, e passiamo dagli intrecci dell'ascia, al main theme durante la ripetizione del ritornello. Un sensibile cambio di stile dunque, che invece di far da capolino sul futuro, fa un passo indietro, andando a riscavare nel passato del genere, quando i fronzoli e le varie infiorettature venivano cestinate, lasciando semplicemente spazio alla violenza. Violenza che qui esplode in quasi tutta la sua interezza, grazie anche ai duelli fra i due axeman, che, nonostante ormai siamo a metà del disco, continuano a colpire per la loro sagacia. Da segnalare senza dubbio, a due minuti e mezzo dall'inizio, un altro magnifico assolo della chitarra, che stavolta cerca di andare ad esplorare le basi del genere Metal, protraendosi e diventando quasi Power in alcuni punti, con in seconda linea la batteria che non fa altro che dare vigore all'esecuzione. Pulito, aggressivo, di gran classe, questa la ricetta vincente dell'album, che ti prende ad ogni nuovo ascolto, a patto che tu sia disposto a foraggiare i limiti di esso. Limiti che si ritrovano nella parte vocale, ed in alcune strutture non propriamente geniali, ma che fanno il proprio dovere. La penultima parte del brano non è altro che l'allungare all'inverosimile il solo iniziato qualche secondo prima, finché la voce di Dave che ripete il ritornello, non fa da stop alla parte di chitarra, e ci fa tornare in mezzo alla battaglia; veniamo traghettati al finale proprio grazie a questo tema portante, che si dipana in tutte le direzioni, e che prima di lasciarci andare in maniera definitiva, trova anche lo spazio per dare un'ultima possibilità di esecuzione solista alla sei corde, che non se lo fa ripetere due volte, ed è proprio lei che ci tende la mano e ci porta allo stop finale. Dopo aver saccheggiato i temi della guerra, stavolta si parla di sfrenate passioni; un uomo ed una donna in eterno contrasto fra loro. Lui è il classico tipo che cambia donna ogni giorno, mentre lei è la classica tipa che non ne cambierebbe uno ogni venti anni: si incontrano, c'è chimica, tutti e due sono consapevoli di come sia l'altro, eppure nonostante questo decidono di ardere la fiamma della loro passione, e di farla diventare una vera vampa incendiaria che brucia tutto ciò che si trova intorno, lasciando solo la cenere. Esattamente come un proiettile conficcato nella testa, la passione di questi due focosi amanti non porterà niente di positivo, ma loro se ne fregano e continuano a consumare le proprie anime col sesso, il dolce nettare da cui bere sembra non sia mai abbastanza, si vuole sempre andare oltre, scavalcare il giardino proibito e far si che esso sia la nostra segreta dimora. Lei ha la sua fetta di colpe esattamente quanto lui; lei doveva sapere che ad un certo punto tutto questo li avrebbe portati a separarsi, essendo lui volubile come nebbia al mattino, ma se ne è fregata, ed adesso ha il cuore spaccato in due da un colpo di pistola. Lui dal canto suo ha agito come sempre, come con altre centinaia di donne nella sua vita, ma doveva sapere che lei non era come le altre, che lo avrebbe amato davvero e per l'eternità; ciò non gli ha impedito di andarsene, ed è finita in tragedia. Il pezzo infatti si conclude con un suicidio (da qui il titolo), il piombo fuso che esce dalla testa di lei, ormai troppo stanca per andare avanti, ed il sangue scuro che sgorga da quel buco in testa che si è fatta da sola, quando lui se ne accorge, lo strazio per ciò che ha combinato lo spacca in due come una mannaia che fende l'aria, ma ormai è troppo tardi.

Post American World

L'incedere del prossimo brano viene annunciato da alcuni rumori di sottofondo, quasi elettronici, a cui poi segue l'aggressiva chitarra che abbiamo già sentito in precedenza, e che da il via a Post American World (Un Mondo Post Americano). La chitarra così granitica viene aiutata nella sua resa dall'immancabile batteria, che sembra aver abbandonato le ovattate coste sentite qualche pezzo fa, e si sia comodamente adagiata sul fare della violenza. Alcuni piccoli trigger annunciano anche l'entrata in scena di Dave, cui cantato torna ad essere sommesso e molto basso, con la sei corde a fargli da contralto in questa prima parte di esecuzione musicale; qui sentiamo uno stile sempre Thrash si, ma che preferisce esplorare i lidi più moderni della corrente, principalmente quelli che sono giunti a noi dagli anni 2000 in poi. Quando si tendeva a seppellire in maniera definitiva il genere, ci furono invece formazioni (ed i LOG di Adler ne sono un gradito esempio) che invece continuarono a dargli forza e corpo, mantenendo quello stile di base, ma infarcendolo con alcune linee prese dalle nuove correnti che in quel tempo stavano facendo la loro comparsa, specialmente in ambito estremo. In questo pezzo succede più o meno la stessa cosa, salvo il fatto che la base classica è nettamente più consistente di quanto uno si aspetterebbe, e tanti riffing o bridge possiamo tranquillamente trovarli in altrettanti pilastri dei Megadeth, come del Thrash in generale. I ricami di chitarra si fanno più articolati in sottofondo man mano che ci avviciniamo alla parte centrale del ritornello, in cui Dave assume connotati nettamente più aggressivi, abbandonando per un attimo il vocalizzo basso dell'incipit. Di sottofondo, come sempre, sentiamo Kiko che articola le proprie mani allo strumento, letteralmente artiglia le note a sé e le spara a tutta velocità contro noi ascoltatori, mentre Chris si diletta a barcamenarsi fra piccoli trigger, che non disturbano affatto, ed alcune sessioni di pura batteria Metal classica, solo badilate in gola a chi sta ascoltando. Dopo il ritornello abbiamo il primo solo, come sempre dilungato e tecnico oltre ogni limite, le note si infiammano, le nostre orecchie pure, ma la dose non sembra mai abbastanza, e ce ne viene propinata un'altra; mentre il solo viene eseguito, dietro sentiamo il main theme della canzone che spazza via il vento e le foglie del passato, i Megadeth sono tornati, e l'hanno fatto con grande stile. Come in un enorme circolo torniamo al ritornello verso la seconda metà del pezzo, stavolta con una batteria decisamente più aggressiva, i trigger si fanno più lunghi, la chitarra cerca di seguirla con le note più basse del proprio manico, e Dave dal canto suo continua ad arringare la folla dal suo pulpito. Finito il secondo ritornello ci aspetteremo un altro solo di Kiko, ed invece abbiamo un arabesco chitarristico lemme e man mano sempre più alto come volume, prima piccole pennate alla sei corde che entrano in scena, poi la distorsione si fa sempre più accentuata, e sotto quella che sembra una sirena antiaerea, ci si prepara a sparare il prossimo devastante colpo dal proprio cannone. Colpo che arriva grazie ad una rullata sempre maggiore di batteria, e poi la chitarra come impazzita inizia a salire e scendere le note con una velocità disarmante, dando vigore a questa parte e rendendola forse uno dei magici momenti del pezzo; bridge e torniamo al ritornello già sentito in precedenza, pelli in prima linea, le corde di basso si sentono in lontananza, e la sei corde che ormai la fa da padrone e decide che è arrivato il momento di sferzarci la schiena una ultima volta prima di lasciarci andare. Il ritmo si calma e torniamo al tema iniziale per gli ultimi secondi, piccoli sprazzi di solo che si sentono in sottofondo mentre il brano arriva a conclusione, e poi come sempre il silenzio si porta via tutto. Viene descritto un mondo, definito appunto "post americano"; tutti più o meno hanno avuto un motivo nella storia per avercela con gli USA. Lo strapotere militare, le campagne contro qualsiasi cosa fosse minimamente ritenuta socialmente utile o denigratoria per la loro natura ferrea, il cibo, le dinamiche sociali ed ideologiche, la nascita di altrettanti movimenti, scontri, guerre causate da loro stessi. Tutto questo enorme blocco di problemi hanno fatto si che i dorati Stati Uniti divenissero un paese che per alcuni versi viene idolatrato ancora da molti (specialmente per tecnologia, scienza, musica, arti e mestieri), ma per tanti altri, non ci si ostina più a definirla una terra senza problemi, ma piuttosto un posto in cui i problemi, tanto è lo spazio a disposizione, spariscono. E se vivessimo invece in un mondo nel quale il potere americano fosse letteralmente passato di moda? Ai giorni nostri ormai l'Oriente sta prendendo sempre più piede nella testa di chi vuole investire migliaia di dollari in azioni e tutto ciò che porta profitto, e gli USA non sono più considerata la prima superpotenza del mondo. E se lo stesso mondo ormai fosse solo un post americano, ma soprattutto, se avessimo semplicemente barattato un inferno con un altro? E' questa la domanda che Dave si pone durante questo brano; abbiamo fatto si che gli USA, il suo paese, divenissero sempre meno influenti, più deboli ed isolati, a favore di tanti altri stati mondiali, tuttavia, il potere genera potere, e la richiesta di esso è come la sete per un disperso nel deserto, è tanta, e non si estingue mai. Quindi, una analisi, dalla parte più a stelle e strisce, di quelle che sono le dinamiche mondiali in questo momento, e tutto ciò senza mai essere ridondante, ma piuttosto utilizzando quello che è uno dei pilastri del Thrash che si rispetti, lo humor nero senza prigionieri. 

Poisonous Shadows

Delicati arpeggi, sempre dal sapore arabeggiante, quasi spagnolo in alcuni punti, danno il viatico per Poisonous Shadows (Nebbie Velenose); il riffing iniziale viene seguito dall'altra chitarra elettrica, che invece decide di dedicarsi ad un ritmo nettamente più incisivo, mentre i piatti ed i campanelli della batteria vengono percossi in maniera davvero dolce, quasi accennati. I ricami continuano, ogni tanto scanditi dal suono dei piatti, e poi, una sempre maggior pesantezza della batteria, che inizia a suonare i tamburi, da il via al vero inizio di brano, con un andante ipnotico e cadenzato, nel segno della tecnica senza eguali. La nebbia si dipana intorno a noi e sentiamo questo ritmo martellante nella nostra testa, aiutato sia dalla presenza di due chitarre anziché una, e dalle pelli ovviamente, che qui svolgono un ruolo davvero importante, cioè quello di far si che la chitarra abbia amplificata ogni nota suonata. Tuttavia, il sound delle pelli qui torna ad essere leggermente ovattato, ma cosa di poco conto, ci concentriamo principalmente sulle due asce; cori quasi gotici si alternano ad una sincopata combo della batteria e delle chitarre, prima dell'esplosione e del conseguente ingresso di Dave al microfono. Stile quasi completamente pulito per questo frangente, il biondo compositore abbandona le sue ugole al vetriolo per dedicarci un momento di cantato quasi straziato e rotto, a causa forse anche del contenuto lirico presente nella canzone. Con l'incedere del frontman il pezzo può prendere finalmente in toto la sua corsa, ed iniziare a farci scaldare i motori; si tratta del brano più lungo dell'intero disco, ben sei minuti, un rimando quasi a tante composizioni del passato, specialmente in un album come questo nel quale ci si è sempre mantenuti fra i tre ed i quattro di durata. Trigger di batteria accompagnano Mustaine nel suo cantato, mentre in sottofondo alcune pennate della sei corde fungono quasi da cori alla stessa voce, rallentamenti e brusche accelerazioni la fanno da padrone, trasformando il brano quasi in una power ballad in alcuni punti, e abbandonando in parte i lidi del Thrash, per dedicarsi al Metal sperimentale. Inframezzati ed incastonati a questi momenti troviamo i cori dal sapore dark che danno un aspetto funereo al pezzo, ed in sottofondo in altre parti quello che sembra essere un organo liturgico. Un brano assai particolare questo, forse il più particolare di tutto l'album, e quello che probabilmente farà storcere più il naso a coloro che si erano innamorati della prima parte di album; va visto come un esperimento, in cui Mustaine ha cercato di dare vita ad un Thrash dal sapore oscuro, con un compatto groove di base, ed alcuni elementi ripresi dalla musica sinfonica, ma anche dalla sperimentale. Da lodare sicuramente il brusco cambio tempo a tre minuti e quaranta, in cui Kiko cerca di tirare su le sorti del brano improvvisando un solo dal sapore nettamente più metallico di tutto il resto del pezzo; ripeto, non è niente per cui gridare al miracolo, e probabilmente sarà l'unica traccia dell'intero disco che molti salteranno di botto, ma rimane comunque una discreta testimonianza di quello che Mustaine riesce a fare con la propria testa. Gli ultimi due minuti di pezzo lasciano spazio prima al solo di chitarra, che trova il tempo di aggrapparsi alla base della canzone e ramificare le proprie note su di essa, tutto ciò per molti secondi, finché non rientriamo nel main theme del pezzo con quei ritmi oscuri che ci hanno spodestato inizialmente. Tali ritmi ci trascinano di peso fino alla fine, in una atmosfera quasi da Horror Metal, con toni sempre bassi, cori e contralti dal sapore Symphonic, Dark, ma anche nord-europeo, il tutto sormontato dalla voce di Mustaine, che diventa sempre più, e che sul finale quasi sibila le parole, accompagnato solo da un eburneo pianoforte. Il sibillino epitaffio finale si dilunga per gli ultimi secondi, finché sulla scena non rimangono solo i tasti del pianoforte, che suonano le ultime due, tre note, e poi il silenzio mette fine all'incubo. Con una musica così, il testo non poteva che essere da meno; si affrontano i propri demoni all'interno di queste liriche, demoni che con artigli affilati ci strappano brandelli di carne e se li ingoiano tutti interi, digerendoli nelle putride cavità acide del loro stomaco. Abbiamo commesso troppi peccati, ed ora ne pagheremo il prezzo, senza contare che alla fine dovremmo anche soffrire per l'eternità; mentre veniamo puniti ci ricordiamo di tutto il male che abbiamo fatto, di tutto ciò che ci ha portato sulla strada sbagliata, noi stessi la maggior parte delle volte. Ed è allora che le nostre nebbie tossiche si cominciano a palesare di fronte ai nostri occhi, ci alitano in faccia e ce la fanno sciogliere piano piano, convinti che così soffriremo di più. Il sole ormai si è oscurato sotto i potenti colpi del male, niente rimane più in piedi, ed in questa distopia desolata e desertica, nessuno può sentirci urlare. Un testo davvero interessante, unito ad una musica particolare, ma che si incastra bene con esso; non è un pezzo per cui gridare al capolavoro, ma rappresenta un piacevole intermezzo dal sapore strano all'interno di un disco così, sia per contenuto, dinamica, lunghezza e resa finale, piacerà a molti, sarà nauseabondo per tanti altri, per chi vi scrive è un riempitivo, ma ciò non vuol dire che sia da cestinare senza pietà. 

Conquer Or Die!

 In un album così completo, e con un fastoso ritorno alle origini, non poteva mancare un brano strumentale; eccovi serviti con Conquer Or Die! (Conquista o Muori!). Altri non è che un piacevole ed iper tecnico intermezzo che fa da ponte fra la traccia precedente e quella successiva; i primi secondi, anzi, quasi il primo minuto, sono occupati da una serie di arpeggi leggiadri e sommessi, a cui fa capolino ogni tanto il set di piatti che viene suonato con dolcezza. Le corde continuano a venire pennate con grande maestria, assumendo quasi i toni della ballata, e dimenandosi fra le note più alte e quelle più gravi. Neanche il tempo di pensare che il brano sarà completamente così, che una plettrata elettrica entra sulla scena, cominciando a dissipare calore nelle nostre orecchie, e facendole sanguinare. Si tratta di un ritmo militaresco e molto molto compatto, l'intero set strumentale è come un unico blocco che ti si stampa in faccia: al primo riffing iniziale se ne lega uno altrettanto pregno di tecnica nella parte centrale, con alcuni saliscendi della chitarra e distorsioni a non finire. Il ritmo, dopo ciò che abbiamo ascoltato nel pezzo precedente, torna ad essere nettamente Thrash, con le chitarre in prima linea, alcune campane a morto di sottofondo, e la batteria che smette di essere modernizzata come era già accaduto, e pesta duro sul tema della vecchia scuola. La chitarra si annoda, tarantola come una forsennata, e cerca sempre di varcare il limite imposto dalla forza umana; a tre minuti inizia un nuovo solo, che si lega al primo grazie ad un piccolo cambio di tempo. Si tratta dell'ultimo blocco di questo brano, che assume un tono ancor più guerreggiante e scoppiettante nella sua resa, con note alte e riffing a manetta man mano che ci avviciniamo allo stop. Stop che arriva dopo pochi altri secondi, mentre una gutturale voce pronuncia terrificanti parole in una lingua che non si comprende bene quale sia (potrebbe essere spagnolo o latino), e la chitarra distorce le proprie corde sempre più finché la dissolvenza non prende di petto il brano e lo fa finire bruscamente. Si tratta di un passaggio del disco in cui si mettono nettamente alla prova le capacità delle due sei corde; i ritmi prodotti sono di prima qualità, la scrittura dei riff è eccellente, la resa finale atomica sotto ogni punto di vista, e dopo un pezzo come Shadows in cui molti avranno fatto una faccia strana, un pezzo del genere gli farà pensare "ok, sono nello stesso album di prima!". Testo mancante, ma possiamo ispirarci al titolo per capire il senso generale; una furente carica da battaglia che si riversa sul campo, spade e scudi che si scontrano fra loro, conquistare o morire, questo è il mantra, non esiste salvezza, non esiste fuga, soltanto la mera voglia di guerreggiare ed accaparrarsi maggior fazzoletti di terra possibile. Un pezzo che mentre lo si ascolta fa venire voglia di brandire una enorme asia bipenne e sventolarla in faccia a qualcuno, quindi il titolo è nettamente azzeccato, non c'è che dire, e per quanto riguarda la resa generale, beh, parliamo di uno dei migliori compositori Metal di tutti i tempi, che si cimenta col suo strumento principe, cos'altro aspettarsi se non la perfezione?

Lying On State

Brano che invece parte nettamente d'impatto fin da subito è la traccia numero nove, intitolata Lying On State (Mentire sullo Stato); la voce di Dave ed il resto del comparto entrano fin dal primo secondo, e Mustaine dal canto suo si dedica ad una linea vocale nettamente incisiva, andando nuovamente a solcare i lidi della vecchia scuola che lo ha reso famoso ed apprezzato. Il ritmo prodotto è sempre aggressivo e pieno di pathos per tutto il primo minuto, i duelli fra le chitarre si sprecano mentre andiamo avanti, la batteria da vigore al brano e forza a tutto il set, finché una prima variazione sembra essere segnalata da piccoli ricami di chitarra che si sentono in sottofondo, ma in realtà è solo un pretesto per agganciarsi alla nuova parte di testo. Si continua così con la violenza senza quartiere, mentre ci avviciniamo alla parte centrale del pezzo, che consta sostanzialmente di veloci scambi fra tutti gli strumenti, con un riff di sottofondo suonato da Kiko e alternativamente anche da Dave, e che non fa altro che aumentare la resa generale del brano; legato a questo troviamo il primo assolo, come sempre articolato e pregno di note veloci, aggressivo, ma senza risultare ridondante, piuttosto si cerca di rendere il tutto più tecnico possibile, dando fama e beltà all'intero brano. Il solo ovviamente si dipana e si protrae, e sopra di esso abbiamo anche il rientro di Dave alla voce, che stavolta invece di cantare, sceglie quasi di recitare le liriche, probabilmente per alzare l'asta del brano fino al suo massimo livello, e far trasparire la rabbia che cova al suo interno. Pezzo in cui si cerca di fondere assieme vari ritmi già sentiti nei brani precedenti; rimbalziamo dal Thrash all'Heavy più classico, con qualche filo di Speed qui e là, ma anche Power, dato principalmente dalle varie sezioni di chitarra. Un duetto con il brano precedente che ti lascia senza fiato quando arrivi alla fine, pieno di lividi e tumefazioni di vario genere, senza dimenticare i polmoni in fiamme per la corsa appena effettuata; con un rapido saliscendi la prossima variazione viene introdotta, e qui a farla da padrone, oltre alla sei corde, è anche la batteria, che si diletta in quello che possiamo considerare un micro solo degno di nota, con colpi ben assestati e sempre precisi, mentre Kiko e Dave continuano a ramificare i propri strumenti, ora spostandosi verso il tema portante, ora dilettandosi in scambi repentini e sempre sul pezzo, per non far perdere mai concentrazione all'ascoltatore. L'ultimo blocco del pezzo, almeno gli ultimi secondi, vengono affidati alla batteria, che monda e ricalca i fasti del Thrash old school con un tempo sempre più martellante, la voce in sottofondo che le fa da coro, prima quasi sibilata, e poi man mano che ci avviciniamo allo stop sempre più gridata, finché le due parti non suonano all'unisono per farci concludere il pezzo. Si torna qui ad un tema che per i Megadeth esiste fin dal primo album, la feroce critica allo stato americano, ma anche alla società occidentale in generale: si mettono alla berlina le mani insanguinate di quegli uomini che stringono il mondo stesso fra le mani, e lo spremono come un frutto maturo. Un argomento che a mr Mustaine era particolarmente caro nella prima parte di carriera (Vic ne è la personificazione, per fare un esempio), ed in questo frangente il nostro capellone si scaglia proprio contro quegli stati che non fanno altro che far decadere l'intera società dell'Occidente. Stiamo assistendo in questi ultimi anni ad un decadimento sempre più forzato e perentorio del mondo e della società come la conosciamo; schiere di uomini in doppiopetto decidono le sorti di migliaia di persone, ma la punizione verrà anche per loro. Hanno un piano ben congeniato, ma devono avere anche un ferreo alibi, altrimenti quando sarà il momento, tutte le loro certezze cadranno. Possiamo però anche rapportare il testo alla distopia del titolo; il decadimento del mondo potrebbe anche essere la rappresentazione effimera di quel mondo immaginato dalla band ed in cui il disco è ambientato, che per quanto sia di fantasia, non è tanto dissimile dal nostro, e ciò fa paura, molta, molta paura. Le bugie hanno le gambe corte come sappiamo tutti, e dirle per uno Stato non fa altro che aumentare la rabbia che cova quando sarà il momento di esprimere la verità che ci sta dietro; tutti pagheranno nessuno escluso, file di croci per mettere insieme quelle persone le cui mani sono macchiate di potere, soldi, vana gloria e sangue, litri versati per permettere alle loro pance di ingrassare all'inverosimile, ma il prezzo per queste libertà è assai alto, e loro lo pagheranno prima o poi. 

The Emperor

Ci avviciniamo alla fine del disco con The Emperor (L'Imperatore): una voce registrata che ci invita ad avvicinarci, forse per raccontarci una storia, viene subito spazzata via dall'ingresso delle chitarre, che si mettono a duellare fra loro dando vita ad un balletto di morte d'impatto e senza quartiere. Mustaine entra quasi subito assieme alle sue asce da guerra, ed il ritmo che viene prodotto è maledettamente Thrash, si scava nel passato della band, senza dimenticarci che siamo nel 2016, e quindi un pizzico di modernità ci può anche stare. Tuttavia, nonostante la base sia Thrash, abbiamo anche larghi sprazzi di Heavy durante l'ascolto, sprazzi che vengono principalmente dati sia dalla linea vocale, che dalla risposta delle chitarre, le quali non si fanno mai attendere per far sentire la loro voce. E' un disco principalmente dedicato a loro, per tutti gli amanti dei giri veloci, delle cavalcate epiche su quelle corde elettrificate, è un disco per i veri amanti di questa chiassosa musica, ed è dannatamente onesto: i ricami della sei corde si legano alla linea vocale dando vita ad uno scambio degno di nota dall'inizio alla fine, e lo stile di cantato qui adottato pare quasi assestarsi su un mix fra passato e presente. Abbiamo infatti sia toni bassi che alti, sia piccoli acuti accennati (con i limiti che la voce di Dave ha sempre avuto in questo stile), ma anche parti in cui il grave la fa da padrone, donando un sapore moderno al brano. Il primo blocco viene interrotto dalla batteria e dal conseguente solo di chitarra, che si dimena all'interno del pezzo come un animale in gabbia, e ci fa alzare ed abbassare la testa a tempo; si tratta di un Thrash solo con una base quasi Southern in alcuni frangenti, che va a riprendere le tradizioni Groove lasciate sia da formazioni come i Lamb di Adler, ma anche qualche piccolo elemento dei Pantera o degli Exhorder, fusi insieme alla matrice Heavy che aleggia per tutto questo brano. Il ritornello è dato da una totale accelerata degli strumenti, e subito torniamo nella mischia, poi di nuovo accelerazione, e poi di nuovo mischia. Veniamo sballottati da una parte all'altra come carne da macello, e dopo l'ennesimo comparto della sei corde, si riparte con il tema principale che abbiamo udito in partenza, Mustaine in prima linea con la voce, Adler che pesta sulle sue pelli con forza crescente, e Loureiro che non aspetta altro che il momento di esibirsi col suo solo. Solo che arriva quasi a metà, ed è già il secondo che sentiamo; rispetto al primo la resa è nettamente più vecchia scuola dei Megadeth, ricorda quasi alcuni fraseggi sentiti da Marty ai tempi d'oro, così come materiale suonato da Chris Poland ai tempi di Peace Sells. Il solo, dopo essersi dilungato per il tempo necessario, ed aver avuto il tempo di fare alcuni saliscendi, subisce un mutamento sul finale, accelerando a più non posso ed inframezzando questo con la batteria, che in alcuni momenti gli va dietro, in altri si diverte a suonare un tempo in contrasto. Rientro della voce di Mustaine, altra piccola variazione, e mentre il solo infinito continua ad allungarsi, sopra troviamo il ritmo principe del pezzo, e capiamo che stiamo per arrivare alla fine di questa penultima canzone. Finale che arriva dopo qualche secondo, con l'ennesima accelerata della chitarra, la ripetizione del tema portante per l'ultimo secondo, qualche piccola distorsione, ed ecco che un'altra traccia se ne è andata. Siamo arrivati allo scontro finale col capo della distopia; ed eccolo qui. Fiero nella sua manica di potere, il palazzo dorato in cui risiede sembra non avere fine, donne, sangue, potere, sesso e gioielli, questo il suo cocktail micidiale. Eppure il nostro protagonista, un ribelle nell'animo, non perde occasione per vessarlo con le sue amare parole; è facile, dice lui, non dire che il re è nudo quando si ha una maledetta paura che ci faccia fuori. Tuttavia, quando la paura se ne è andata, quando le persone si rendono conto di chi hanno davanti, e cioè un debole, allora è il momento in cui la verità di cui parlavamo qualche riga fa viene fuori in tutta la sua violenza, e si scaglia contro coloro che hanno ammorbato questa terra per anni. Il pastore dei figli smarriti, per citare un noto film, guiderà le persone attraverso la valle delle tenebre, ed il nostro sanguinario imperatore dovrà piegarsi al volere del fato, rendendosi conto che non poteva durare. Il protagonista lo minaccia in ogni modo, dicendogli che succhierebbe via la sua anima se potesse, farebbe a pezzi la sua carne e la lancerebbe in pasto a famelici animali, pur di non vedere più la sua lurida faccia calcare la terra. E' un brano che certamente si fa apprezzare per il suo ritmo sostenuto ed alcune interessanti sezioni di chitarra, ma al contempo sentiamo anche che sembra una specie di riempitivo, messo lì per fare numero. Non è assolutamente un pezzo banale, tutt'altro, ma sfigura forse rispetto a tanti altri slot di ben più alto livello che abbiamo sentito in questo album; tuttavia, l'unione perfetta fra linea vocale, significato del brano e resa del suono, fanno sì che anche il suo ascolto risulti piacevole  e senza problemi. 

Foreign Policy

Per chiudere in bellezza questo disco con tutti gli attributi, dobbiamo volare fino alla città che ha dato i natali allo skateboard, una delle nicchie del surf, ma anche la casa ufficiale dei Megadeth stessi, Los Angeles; la patria dello Sleaze, del Glam, dello Street Rock con molti fronzoli e molte pajettes, ha generato negli anni anche una idolatria per il Punk Rock inglese, fino a fondarne un proprio movimento con stile e dinamiche personali. Fra questi, nel 1977, vennero fondati i Fear da Lee Ving; loro peculiarità era quella di avere si una base Punk che si sente assai bene nel sound, ma inframezzare e alle volte sovrastare tutto ciò con Southern e New Wave, fino a creare un sound unico e particolare, che gli ha valso l'appellativo di folli più di una volta. Un gruppo che non molti conoscono, ma che i diggers più accaniti prima o poi si trovano fra le mani, e ne rimangono estasiati. Dalla discografia dei Fear, precisamente dal primo disco ufficiale della band, The Record del 1983, i nostri Megadeth hanno scelto la traccia numero sette, intitolata Foreign Policy (Politica Estera). Il pezzo dei Fear è un classico Punk americano, inframezzato da alcune strutture riprese dalla tradizione inglese; si parla di un ritmo senza troppi ricami sopra, diretto e preciso, con la voce che invece di cantare foraggia le masse con un cantato/urlato di grande impatto, Lee Ving infatti aveva una voce molto particolare, pulita si, ma anche assai rabbiosa nella sua resa, e questo gli ha valso una folta schiera di appassionati negli anni. Testo breve e conciso, fatto spesso di ripetizioni ossessive, il brano finisce con il suono di una immensa esplosione, a sottolineare lo humor nero e cinico che circondava questi punkers americani, e la loro capacità di scrivere testi semplici e diretti, che portavano un grande messaggio. I Megadeth, Mustaine principalmente, decidono di riprendere quello che è il ritmo base messo in atto dai Fear, ma incattivendolo ancora di più grazie alle dure linee del Thrash Metal. Soprattutto i nostri inseriscono, ed è per questo che il brano dura qualche secondo in più rispetto all'originale, alcune distorsioni da parte di Kiko, che si diverte ad annunciare quelli che sembrano soli di chitarra, ma che in realtà sono semplici note sparate lì, anche se mai a caso. Il brano monta fin dai primi accordi, e come nell'originale il ritmo è diretto e senza limiti, un semplice calcio nei denti di quelli che stavolta fanno davvero male, con la voce che tenta di ricalcare le linee di Ving dandogli però un tocco personale. Una ottima cover senza dubbio, e che fa capire quanto Dave, come se non si fosse ancora ben capito, sia un ascoltatore seriale di musica anche dopo trenta anni dalla sua venuta sulle scene; egli sa scegliere i musicisti, ma anche i pezzi, ed in questa chiusura di Dystopia, considerando gli argomenti che la fanno da padrone in questo intero disco, la scelta è ricaduta su quello che, nonostante molto non lo conoscano, è un classico del Punk americano. Scanzonato, ma diretto come un pugno nello stomaco, la canzone è un enorme attacco al potere militare, soprattutto a quella che appunto viene definita "politica estera"; una scusa spesso per attaccare briga con mezzo mondo, sparando, distruggendo e saccheggiando, in nome di qualcosa di più grande, ma che non si sa bene cosa possa essere. I Fear mettono l'accento su questo argomento, prendendo quasi in giro quello che era il loro establishment dei tempi, ma che ancora oggi risulta essere maledettamente attuale ancora oggi. Considerando l'anno di uscita del disco firmato dai losangelini, è probabile che Dave ci mise le mani quando era stato cacciato da poco dal tempio dorato dei Metallica, e considerando la provenienza del gruppo, forse il nostro uomo aveva anche avuto modo di vederli esibirsi live nella assolata Los Angeles. Quelle linee così cattive, quella resa così aggressiva e quella rabbiosa voce fecero (forse) da colonna sonora assieme a tante altre cose al nostro chitarrista affamato di vendetta musicale, e qui, dopo tanti anni, ha deciso di farcene vedere un pezzettino, per dimostrarci che cosa riuscisse ad ascoltare in quel periodo.

Look Who's Talking

Quattro sono le bonus tracks che possiamo trovare in Dystopia; la prima è presente sulla versione ITunes dell'album, denominata anche "Best Buy Version", e si tratta di Look Who's Talking (Guarda chi sta Parlando). Questo slot inizia con un riff di chitarra dal sapore metallico sotto tutti gli aspetti, a cui poi si aggiunge dopo qualche secondo la voce di Mustaine, che qui torna ad utilizzare una linea vocale quasi recitata, mentre dietro di lui l'inferno musicale si sta per scatenare. Al primo impatto della voce, che ci rimanda ai fasti old school di un tempo, si aggiunge una linea musicale aggressiva fin da subito, con le chitarre sempre in prima linea, ma stavolta anche la batteria non si fa attendere più di tanto, ed inizia a martellare i suoi tom con tutta la forza che possiede. Il brano prosegue su questa linea fino alla variazione musicale, che come sempre viene segnalata da un cambio di tempo, ed è a questo punto che, sul primo ritornello della canzone, l'intera band ci ricama sopra con ramificazioni sempre più complesse ed articolate, dal sapore antico e trascinante. I Megadeth sono ufficialmente tornati a fare Thrash Metal: certo, nel disco non sono mancati alcuni elementi di modernità, ma in generale il gruppo, e Dave principalmente, hanno ripreso la strada lasciata molti anni or sono, ed hanno anche seppellito in un sol colpo anni di dischi da dimenticare. Alla variazione che abbiamo appena descritto ne segue un'altra, che viene introdotta da un piccolo solo della sei corde, e poi veniamo ributtati giù, tornando al tema principale del brano col suo carico di odio. E' un disco infatti, e questa traccia ne è solo uno degli esempi, in cui la rabbia e l'odio escono fuori con grande forza, come se ci fosse nuovamente un sentimento di rivalsa all'interno del gruppo, quasi una voglia di chiudere un capitolo e ricominciarne un altro da capo, riscrivendo una pagina bianca della loro storia musicale. Trovano spazio, mentre ci avviciniamo al centro del pezzo, anche altri arpeggi della chitarra ed una linea vocale se possibile ancora più aggressiva,  sembra che Mustaine stia litigando con qualcuno mentre ci canta le sue liriche, è questa la sensazione che si ha sentendo questa traccia: ritornello e poi abbiamo finalmente il primo assolo completo del pezzo, a due minuti e poco più dall'inizio. Solo old school, pulito e diretto nella nostra testa, si percuote sul brano stesso e si allunga a più non posso, finché gli è possibile; si alternano ad esso altri elementi dati dall'altra chitarra, che in sottofondo suona e risuona lo stesso ritmo in maniera ossessiva, ma tutto ciò serve per dare energia da spendere all'ascia solista in tutto il suo clamore. Finito il solo abbiamo nuovamente il ritornello col suo carico di violenza, stavolta con un ritmo leggermente più veloce, a cui poi si lega una ripetizione scandita del titolo, e l'ultima parte di testo, con Kiko dietro che ricama sul proprio manico per portarci alla fine del pezzo, che arriva come sempre bruscamente e lo fa finire, anche se forse ne avremmo voluto ancora. Testo che, come le linee musicali ed il titolo comportano, è carico di rabbiosa e famelica voglia di vendetta: si parla di quelle persone che non hanno minimamente idea di cosa stiano dicendo, ma nonostante questo spendono fiumi di parole per tutto ciò che gli pare. Questo va avanti finché non trovano qualcuno che gliele canta a dovere, ed allora si rendono conto di tutto ciò che di sbagliato hanno fatto nella loro vita. Si ricordano di quante persone sono riuscite a mettere a disagio col loro modo di fare, e di quanto poi alla fine toccherà anche a loro pagare il prezzo del loro essere stati così cinici e senza scrupoli. Sono in realtà il nulla più assoluto, persone senza spina dorsale che si nascondono dietro frasi fatte, offese e parole che messe in fila suonano bene, ma in realtà sono soltanto fantasmi di un mondo appartenente solo a loro, e dal quale è assai facile strapparli e fargli vedere che non possono comandare come vogliono.

Last Dying Wish

L'altra traccia contenuta nella versione ITunes del disco è Last Dying Wish (L'ultimo Desiderio): il brano ci viene aperto da un riffing non troppo elaborato, ma sicuramente di forte impatto, con le due chitarre che suonano all'unisono lo stesso ritmo, rendendolo più pomposo e roccioso al tempo stesso. Particolarità di questa prima parte è la voce; essa viene riprodotta come da un altoparlante, ed invece che cantare, Dave recita le sue sporche liriche di rabbia contro la società, rendendo il pezzo così ancora più interessante e particolare, una cosa mai sentita prima in questo disco. Il ritmo che ci ha aperto il brano continua a prolungare la sua ascesa fino a circa quaranta secondi dall'inizio del brano, nel quale abbiamo la prima sensibile variazione: variazione che consiste semplicemente in un cambio di tempo, passando da un sincopato dell'inizio, ad un cadenzato di ora, senza freni e senza remore, soprattutto senza limiti. La variazione ed il cambio di tempo vengono accompagnati dal ritornello e da alcuni ricami di chitarra, a cui poi segue il primo solo del brano; solo a cui ormai siamo abituati, tecnico, veloce e pulito, finito il quale la voce, dopo essere tornata "normale" nel ritornello, continua la sua filodiffusione, ed il ritmo riparte esattamente da dove lo abbiamo trovato all'inizio, le sei corde in prima fila, e la batteria dietro a fare da contrasto e da contralto al tempo stesso. In tutto ciò il basso detta il tempo e fa qualche piccolo ricamo personale, ma qui sentiamo proprio che il disco è dedicato espressamente alle parti di chitarra, ed in minor misura alla batteria di Adler, cui ogni tanto viene concesso di esprimersi fuori dai canoni soliti del pezzo. Arriviamo al secondo ritornello esattamente allo stesso modo di prima, ma stavolta, appena esso è finito, abbiamo una nuova variazione; un ritmo Thrash di forte impatto e di grande prestigio, che subito ci entra in testa e fa si che le nostre capigliature folte si muovano a tempo; la variazione viene seguita da un altro solo, stavolta dal sapore southern quasi, a cui di sottofondo si lega la seconda chitarra. Il solo si prolunga, finché alcuni arpeggi di chitarra non danno il via all'ennesimo cambio; cambio che stavolta si barcamena fra micro assoli e ritmi serrati, con la voce di Mustaine che sovrasta il tutto. Così veniamo trasportati al finale di brano, nel quale la chitarra, prima di lasciarci andare del tutto, trova ancora il tempo per ricamare ancora un po', e le pelli dietro che danno bruschi stop ed accelerate al tutto, un ticchettio di orologio mette fine al brano stesso, forse il protagonista alla fine muore sul serio. Il brano è dedicato, ovviamente come si evince dal titolo, all'ultimo desiderio di una persona che se ne sta per andare; che cosa si fa quando si muore o si sta per andarsene? Solitamente ci si mette a fare una specie di analisi della propria vita, cercando di capire se si è fatto tutto ciò che era necessario per condurla in maniera rispettabile. Una volta fatto ciò, è il momento di esprimere un desiderio, di qualsiasi tipo, l'ultima cosa che una persona vorrebbe prima di lasciare questa terra in maniera definitiva. Una volta scelto che cosa chiedere, si esprime, ed aspettiamo che si avveri o no, per capire se la nostra vita è stata vissuta appieno o al massimo delle sue potenzialità. La persona se ne va serena, spegne gli occhi e non li riaprirà mai più, ma avrà per sempre la consapevolezza di aver avuto una vita piena, o perlomeno di potersi dire "ho fatto tutto quello che era possibile per potercela fare". Tutti abbiamo desideri ed aspirazioni nel corso degli anni, che cambiano e mutano con noi, e l'importante non è riuscire a farle tutte, quantomeno a farne la maggior parte, tutto ciò che ci è possibile eseguire, di modo da non avere alcun rimpianto quando arriveremo alla fine

Melt The Ice Away

L'altra traccia bonus è presente sull'edizione "Spotify" del disco, in download sul famoso portale di musica. Si tratta di Melt The Ice Away ( Fate Sciogliere il Ghiaccio); è una cover di quello che potrebbe essere considerato come uno dei gruppi più rappresentativi di quella che è la scena Metal mondiale, ispiratori, innovatori, e spesso e volentieri anticipatori di quel sound che negli anni '80 avrebbe spopolato in tutto il mondo. Parliamo dei Budgie, i pappagalli inglesi capitanati da Bourge e Shelley originariamente, e che nel corso della seconda metà degli anni '70, e per una buona parte degli '80, hanno dato lezioni di stile al mondo senza troppi problemi, assestandosi fra i migliori. I Metallica hanno coverizzato almeno tre delle loro canzoni, contenute in EP o singoli; Dave decide di prendere una traccia estratta da Impeckeable, album datato 1978. Uscito poco dopo i due capolavori del gruppo, Bandolier e Never Turn Back On Your Friend, questa traccia, nella sua versione originale è un Proto Metal britannico con tutti i crismi, tecnico, esaustivo e pieno di idee. Gli intrecci delle chitarre la fanno da padrone per quasi tutto il pezzo, la batteria è in seconda battuta, ma anche essa cerca di ritagliarsi il proprio spazio all'interno dell'ascolto. I soli della sei corde sono nel più puro stile degli anni '70, piogge acide e quasi psichedeliche che cadono addosso all'ascoltatore come una pioggia dorata in cui bagnarsi fino alle caviglie. Il pezzo originale è un piccolo capolavoro del Rock britannico, ed è anche la dimostrazione di cosa si possa fare con gli strumenti in mano; testo non troppo impegnativo, è una piccola analisi sul mondo e le passioni. Quel "rompere il ghiaccio", potrebbe essere riferito sia al classico momento in cui sei con la tua donna e non sai mai che cosa dire e come dirlo, ed allora speranzoso ti affidi a lei, convinto che avrà qualcosa di corretto da fare. Potrebbe essere anche, viste le prime righe che parlano di un malvagio mondo da cui guardarsi, essere riferite al ghiaccio che sembra aver attanagliato il mondo, ghiaccio fatto di indifferenza, inettitudine ed occhi chiusi troppo ermeticamente (temi assolutamente non attuali, vero?). Probabilmente è questo il significato che gli ha voluto attribuire Dave, ed ha deciso di sceglierla come parte del suo ultimo progetto; i Megadeth in questo frangente si limitano a fare ciò che era accaduto per il pezzo dei Fear, e cioè ricalcare il brano in maniera quasi uguale, cercando di incattivire il sound con le proprie linee metalliche. Tutto ciò, unito alla voce di Dave, fa si che questo pezzo, pur non essendo all'altezza dell'originale, risulti essere piacevole all'ascolto, non è un brano su cui consumarsi le dita a furia di sentirlo, ma è un'altra grande testimonianza della cultura musicale di Mustaine, che ha deciso prima di omaggiare il Punk inglese, ed adesso questa perla del Rock anni '70, da parte di un gruppo che ha scritto una importante pagina di storia musicale. Unite ciò alla sua linea vocale graffiata e quasi gutturale qui, ben diversa dalla voce originale dei Budgie, ed otterrete un brano il cui testo sembra voler balzare fuori per acchiapparci, maggiore forza nella parole, minore forza nella musica, mentre nella versione scritta dal gruppo di Cardiff era pressoché il contrario, essendo una linea vocale squillante e molto particolare, non amata da tutti.

Me Hate You

Ultima bonus track, presente solo sulla versione giapponese del disco, è Me Hate You (Io Odio Te), un brano personale scritto dalla band, e che nel disco orientale si colloca alla posizione numero quindici: viene aperta da un ossessivo riff di chitarra, a cui seguono dei rapidi scambi con l'altra ascia. Colpi di batteria veloci e repentini ci fanno entrare nella parte centrale del pezzo, con anche l'ingresso della voce di Dave che alza il tiro generale. Si tratta di un ritmo ancora una volta Thrash fino nell'animo che affonda le proprie mani nella tradizione, nonostante le pelli in alcuni punti risultino essere ancora leggermente ovattate dal sound moderno, ma non disturbano più di tanto. Al ritmo veloce e repentino dell'inizio si legano nuovi ricami di chitarra nella parte centrale, con Kiko in prima linea che suona all'impazzata la sua sei corde, incendiandone quasi il corpo e dando vita ad un balletto davvero particolare e di cui ci si innamora subito. In linea con lo spirito del brano stesso, la canzone prosegue su dinamiche che sfociano quasi nello Speed, alternando esse ad alcune cadenzature qui e là, permettendo a Dave di esprimersi al meglio con la sua voce, mentre ci avviciniamo alle varie dinamiche e variazioni del pezzo, segnalate come sempre dalla batteria e dai suoi cambi di tempo. Considerando che questa traccia è per il mercato giapponese, dove si sa, i fan del Metal sovrabbondano, l'esecuzione qui risulta essere ancora più perfetta, il missaggio e la composizione sono di altissimo livello, alle volte superando addirittura quelle che sono alcune delle tracce presenti specialmente sul secondo lato del disco originale. Riff di chitarra articolati, scambi veloci e piccoli sprazzi di Heavy classico la fanno da padrone dall'inizio alla fine di questo slot, alternando momenti di pura estasi chitarristica, con altri in cui il pezzo gonfia il proprio petto ed inizia a malmenarci in maniera decisa, soprattutto con le pelli. Trovano spazio anche diversi soli da parte di Kiko, ed una enorme parte accelerata nel blocco quasi finale, in cui, dopo una marcia militareggiante della batteria, si entra nel vivo di questa parte di pezzo grazie ad un lungo dilungarsi dell'assolo, che viene reso ancora più altisonante dalla grande tecnica di Loureiro, il quale, come ormai ci siamo abituati a sentire anche nel resto del disco, produce note così pulite da essere distinguibili anche ad un primo, distratto ascolto. Al finale del brano ci veniamo portati così, con la chitarra che continua a suonarcele di santa ragione, la voce di Dave che si fa sempre più fusa alla musica stessa, e le distorsioni che si sprecano ad ogni secondo che passa. Un brano aggressivo e davvero degno di nota, che forse avrebbe trovato sua collocazione perfetta anche nella versione mondiale dell'album, magari sostituendolo a qualche traccia più debole; una fantomatica creatura che viene messa insieme per odiare, alla fine ci riesce, e ghermisce il proprio padrone. Questa, ad una prima analisi, la linea delle liriche: tuttavia, potremmo anche ricondurre il brano ad una sorta di rivalsa contro qualcuno che ci ha fatto davvero stare male. Egli ha fatto qualsiasi cosa umanamente pensabile per poter far si che il nostro cuore si riempisse di odio, ed alla fine ce l'ha fatta senza alcun problema. Siamo una macchina col cuore di pietra, siamo un enorme ammasso di dolore e sofferenza che adesso si scaglierà contro colui che ha generato tutto questo, e se lo mangerà vivo. Perfettamente in linea con la musica, questa canzone risulta essere una delle produzioni migliori dell'album, ed anche della band fatta negli ultimi anni. Ritmi serrati, lame affilate che si scontrano sulla nostra faccia, puro Thrash Metal che scaturisce da una delle menti più prolifiche che la musica alternativa abbia mai avuto.

Conclusioni

Onesto è la parola che userei maggiormente per definire questo nuovo album dei Megadeth; un disco che, per quanto possa essere e sembrare ruffiano (con il ritorno al Thrash old school e tutto il resto, vista la scarsa resa e scelta delle ultime produzioni) non lo è affatto. Dave, ben consapevole di ciò che è accaduto in questi anni, di tutte le difficoltà superate, e maggiormente anche dei limiti imposti dal tempo, ha deciso di fare un grande regalo a tutti fan storici. Soprattutto ha deciso di tappare per sempre la bocca a chi diceva che non erano in grado di suonare Thrash come un tempo, beh, Dystopia mette a posto tutte queste voci. Il disco è veloce, tagliente, rasoiate dall'inizio alla fine, composizioni alte e ritmi dinamici e sostenuti in altri frangenti, mentre la tecnica sopraffina e la pulizia regnano sovrane. Si cerca di mantenere l'ascoltatore sul pezzo per tutta la durata dell'ascolto, infarcendo le sue orecchie con questi ritmi così familiari per chi segue la band sin dagli esordi. Azzeccata anche la scelta dell'argomento principale del disco; l'immaginarsi una società futuristica non troppo dissimile da quella che vediamo ogni giorno, ed alternare ciò con della sana musica, si rivela una scelta davvero encomiabile per i losangelini, soprattutto per il suo carismatico e altezzoso frontman/fondatore. La scelta poi di prendere in squadra due elementi così forti, certamente ha giocato a loro favore; Chris Adler è un batterista davvero eccezionale, e nonostante in alcuni momenti del disco le sue pelli non siano propriamente le mie preferite (mi riferisco a quei rari momenti in cui si sfocia in una batteria dal sapore troppo moderno, ma del resto oggi è così che spesso si suona, si cerca di conquistarsi una fetta ampia di pubblico), in tanti altri momenti dell'album, i suoi colpi sui tom e sui piatti risultano essere vincenti. Di Kiko Loureiro, a parte ciò che abbiamo già detto svariate volte nel corso dell'analisi, c'è da aggiungere ben poco altro; la sua precisione e tecnica alta, le sue composizioni e ramificazioni, soprattutto i suoi duelli con Dave, fanno si che ogni brano abbia comunque quella marcia in più, e che sappia conquistarti al primo ascolto. Il voto non al massimo potrebbe far storcere le orecchie ed il naso a qualcuno, ma per chi vi scrive, comunque non è un disco esente da difetti; onesto si, senza dubbio, ma laddove ci sono ottimi elementi di composizione, resa e missaggio, dall'altra troviamo almeno due o tre brani che andavano scartati, o inseriti al posto delle bonus tracks. Bonus che invece stupiscono forse più che le stesse tracce denigrate or ora, che però purtroppo non possono influire sul voto finale, essendo canzoni che "Non tutti ascolteranno". In poche parole, l'album è ad un passo dalla perfezione assoluta, e salvo qualche piccolo dettaglio da critica funesta, è godibile dall'inizio alla fine. Ottimo lavoro in post-produzione, meraviglioso artwork, dal sapore a metà fra antico e moderno, ed ottima anche la resa finale di tutti i pezzi, compresi quelli più deboli. E' un disco che farà contenti molti dei fan storici, salvo forse lo zoccolo duro che non accetterà il ritorno a certi suoni, e lo etichetterà come una marchettata. Tralasciando tali elementi però, questo quindicesimo album in studio dei Megadeth è una vera bomba atomica pronta ad esplodervi in casa, da ascoltare a tutto volume, facendosi venire quasi una lacrimuccia di commozione nel sentire Dave così divertito mentre suona, scambiarsi note su note, ed assaporare sulla punta della lingua quel gusto che credevamo perso da tempo?bentornato MegaDave!

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1) The Threat Is Real
2) Dystopia
3) Fatal Illusion
4) Death From Within
5) Bullet To The Brain
6) Post American World
7) Poisonous Shadows
8) Conquer Or Die!
9) Lying On State
10) The Emperor
11) Foreign Policy
12) Look Who's Talking
13) Last Dying Wish
14) Melt The Ice Away
15) Me Hate You
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