MEGADETH
Countdown to Extinction
1992 - Capitol Records
MICHELE MET ALLUIGI
10/11/2021
Introduzione Recensione
Ci sono dischi che, al di là dei singoli gusti musicali di ognuno di noi, specialmente in ambito Metal, sono imprescindibili. Per quanto variegato e successivamente specifico sia il nostro percorso formativo in ambito di generi e sottogeneri esistono infatti album che tutti, e sottolineo tutti, abbiamo, o perlomeno dovremmo, ascoltare almeno una volta nella vita; e fra questi vi è senza dubbio "Countdown To Exctinction" dei Megadeth. Il lavoro pubblicato nel 1992 da Megadave e soci rappresenta per l'appunto uno degli apici più brillanti del gruppo americano, soprattutto se si considera il contesto musicale in cui vede la luce: gli anni Ottanta sono ormai trascorsi e l'Hard n'Heavy necessita infatti di nuova linfa e nuove idee da parte dei suoi rampolli se vuole continuare ad esistere anziché schiantarsi al suolo come una proverbiale cometa passeggera. In questi anni è infatti il Grunge a dominare la scena (non dimentichiamoci che "Nevermind" dei Nirvana è uscito giusto l'anno prima) ed in quel calderone di riff minimali e tematiche struggenti serve qualcosa che continui a far scuotere la testa ai vecchi metallari ancora con il luccichio negli occhi portato dai fasti gloriosi. Non è un segreto che tutte le grandi band stiano tirando i loro assi migliori dalle maniche; pensiamo anche solo ai Judas Priest o ai Pantera, che entrano nella nuova decade con rispettivamente "Painkiller" e"Cowboys From Hell", agli eterni rivali Metallica, che hanno anticipato di poco il loro ex membro facendo uscire l'omonimo celeberrimo lavoro noto ai più come "Black Album" ed anzi sono proprio loro a rappresentare per Mustaine l'eterno avversario con cui confrontarsi. Anche se gli anni passano e l'acqua sotto i ponti scorre vertiginosa, pur sotto un atteggiamento di fiera noncuranza, il rosso axeman serva ancora non poco rancore nei confronti dei suoi ex compagni (non è certo questa la sede per riportare in auge la vicenda del licenziamento di Mustaine dai Four Horsemen ma sappiamo tutti che la cosa non si concluse con una amichevole stretta di mano) e proprio loro sono appunto l'eterno sistema di paragone con cui confrontarsi ogni volta, quasi come se ad ogni pubblicazione Megadave dovesse continuare a dimostrare al mondo intero che è in grado di comporre ottima musica anche per i fatti suoi, senza quei "giuda"che lo hanno bellamente messo alla porta. Col senno di poi sappiamo bene che queste sono tutte fisime di Mustaine dovute forse al "trauma dell'abbandono", anche perchè, fin dalla primissima comparsa del nome "Megadeth" sulle scene a tale moniker si è sempre associata della musica di ottima fattura. Non dimentichiamoci che a precedere "Countdown To Extinction" troviamo nientepopodimeno che "Rust in Peace", un altro disco che ancora oggi entusiasma chi scrive e non solo ad ogni ascolto. Per i Megadeth la decade degli anni Novanta si inaugura infatti sotto il segno di una stella fortunata, un disco che appunto stravolge e strabilia pubblico e critica, ed una line up tra le più longeve (rarissima cosa alla corte di Megadave come sappiamo) e memorabili di sempre. Oltre al chitarrista e cantante originario di La Mesa, la formazione consiste appunto in David Ellefson al basso, Marty Friedman alla chitarra e Nick Menza alla batteria, un quartetto che già di per sé potrebbe definirsi la quintessenza di tecnica, raffinatezza e gusto in materia di Thrash Metal. Ma veniamo ora a quello che è "Countdown To Extinction" in materia di score: due milioni di copie vendute nei soli Stati Uniti, una nomination come miglior performance Metal ai Grammydel 1993, diverse edizioni e ristampe negli anni successivi e la collocazione da parte della rivista Rolling Stones alla trentesima posizione nella classifica dei cento migliori album metal di tutti i tempi, non esattamente ciò che ci si aspetta da un album "flop". Del resto non è un caso se brani come "Symphony Of Destruction", "Skin On My Teeth" e la stessa titletrack sono ancora oggi una tappa fissa nella scaletta di tutti i live dei Megadeth. Dal punto di vista iconografico, l'album è accompagnato da una copertina semplice, scarna, ma al tempo stesso impregnata di significato ed aperta a diverse interpretazioni. L'ambiente è quello di una cella di detenzione, spoglia, lurida, con solo un lavello sullo sfondo ed una feritoia a fungere da finestra, anche se la luce che si diffonde sulla scena proviene da ben tutt'altra parte. Al centro dell'immagine troviamo un detenuto, anch'egli ridotto ai minimi termini dagli stenti e dal degrado, che fluttua nell'aria quasi come se se fosse chiamato a giudizio da una divina entità superiore; una sorta di Cristo moderno che in qualità di rappresentante dell'intera razza umana, se non addirittura del concetto stesso di vita sulla Terra, viene a chiamato a giudizio nei suoi ultimi secondi di vita prima dell'estinzione assoluta. A terra un piatto, contenente ormai delle ossa, fra le quali anche due crani, un ultima cena dove non è da escludere che il detenuto abbia dovuto spolpare anche le tenere carni di due bambini (viste le dimensioni) in preda alla fame e alla disperazione. La rappresentazione è al limite dell'inquietante, ma del resto, dobbiamo aspettare solo qualche secondo prima di sparire tutti dalla faccia del pianeta.
Skin On My Teeth
La tracklist è inaugurata da "Skin On My Teeth" (letteralmente "la pelle sui miei denti" ma è da interpretarsi in maniera più metaforica con espressioni come "per un pelo" oppure "per il rotto della cuffia"). I Powerchord iniziali sono intensi e decisi, scanditi con precisione chirurgica da Nick Menza, ma è il successivo intermezzo che prepara lo start per la partenza effettiva: la chitarra infatti ci regala un riff secco e tagliente, al quale si aggiunge in grande stile tutto il comparto ritmico per indurci fin da subito a scuotere la testa. La cosa che ci appare lampante fin dai primi secondi è che Megadave e soci, con questa traccia, non puntano alla velocità ma al groove: non siamo di fronti ad un quattro quarti serrato come ci si aspetterebbe dagli autori di "Rust In Peace" ma apprezziamo ora una soluzione più immediata ed efficace. La strofa per l'appunto si struttura tutta su un riff di chitarra ed una linea di basso che guardano più all'Hard Rock che al Funky anziché al Thrash più primigenio, ma il risultato, come sappiamo, non delude assolutamente. Lo snodo vincente si ha poi con il sopraggiungere del ritornello, una serie di accordi discendenti, arricchiti da un inciso, su cui anche il cantato si fa più disteso, dandoci così non solo un momento per respirare ma anche una soluzione decisamente azzeccata sia per spezzare un po' l'incedere della canzone sia per permetterci di ascoltare una linea melodica destinata ad imprimersi in testa senza troppe difficolta. Nel complesso la struttura del brano è abbastanza semplice, strofa e ritornello infatti si susseguono con molta naturalità ed ogni tassello della composizione consta di una semplicità tecnica che quasi non sembra propria dei Megadeth. Attenzione però, semplice a livello tecnico non significa assolutamente di scarsa qualità, anzi, il brano nella sua intera durata è fruibile e decisamente piacevole da ascoltare, il che lo rende particolarmente catchy anche per gli uditi poco avezzi alle sonorità del gruppo, d'altra parte, nei tanto amati Nineties le band metal dovevano puntare ad allargare la cerchia dei loro seguaci anche a costo di apparire mainstream, e con "Skin On My Teeth" i Megadeth fanno decisamente centro. Concentrandoci invece più specificatamente sulla lirica, in questo frangente troviamo il buon Mustaine, ovviamente sempre narratore in prima persona, a raccontarci ora un suo tentativo di sfuggire alla morte e, per l'appunto, il thrashers sfugge al fendente della falce della nera signora "per il rotto della cuffia". Il racconto si apre con la scena di un tentativo di suicidio, con Mustaine agonizzante a terra con i polsi tagliati,il sangue ormai scorre a fiumi, il corpo ormai a pezzi a terra, poi cambio dnetto di scena un cappio appeso ad un albero e la luce in fondo al tunnel farsi sempre più vicina; il dolore che si prova è senza via, ma quando sembra essere ormai al capolinea eccolo aggrapparsi alla vita con un ultimo spiraglio di forze per salvarsi sul filo del rasoio, giusto per un pelo, un numero di possibilità talmente sottile quanto lo strato di pelle che ricopre i nostri denti. Altre immagini sinistre si alternano sullo scoorere della strofa, un revolver puntato alla tempia, delle bottigliette di sonnifero, tutti espedienti con cui Megadave spera di usare il 911 semplicemente come passaggio all'obitorio, ormai lui è pronto ad essere steso sul tavolo di acciaio chirirgico, con un cartelino sull'alluce che riporti solo nome e causa del decesso, ormai lo attende solo il buio del loculo che si sta per chiudere, ma all'ultimo il condannato si sottrae alla sua autoesecuzione, salvandosi nuovamente per il rotto della cuffia.
Symphony Of Destruction
Proseguiamo con un altro grande classico marchiato Megadeth, "Symphony Of Destruction" ("La Sinfonia della Distruzione"). L'apertura orchestrale è brevissima e minimale, un orchestra intenta ad accordarsi poco prima di iniziare l'esecuzione, ma ad avviare il pezo non sono né archi né fiati, bensì i quattro thrasher americani in tutta la loro maestria. Il main riff è qualcosa di semplicissimo, al limite dell'elemetare, eppure anche qui emerge nuovamente tutta la maestria compositiva di Mustaine, che con pochi semplici ingredienti ci prepara un brano da ascoltare ancora ed ancora, al pari di una pietanza che vorremo gustare infinite volte dopo che essa ha stregato il nostro palato. Il drumming di Menza è altrettanto basilari, un quattro quarti lineare che si sbilancia unicamente sul ritornello passando ad un più agevole mid tempo, a condurre il tutto è infatti il basso di Elleffson, il quale, con le sue plettrate zappate, conduce la sinfonia con una precisione chirurgica ed una possanza pari a quella di un carro armato. Come detto il brano in sé non risulta particolarmente elaborato nel suo complesso, soprattutto se si tiene a mente che questa stessa formazione ha partorito piece ben più articolate come "Holy Wars...", l'intero dialogo della canzone è infatti giocato sul dialogo costruito tra il basso e le chitarre: il primo, come anticipato, lineare e costante, le seconde taglienti e stoppate sull'esecuzione del riff, per poi aprirsi con l'arrivo del ritornello in modo da fornire un ben più ampio respiro al tutto. Di particolare pregio è poi l'assolo di chitarra di Friedman; il riccioluto axeman infatti esce dagli schemi del brano con una parentesi solista di elevatissimo gusto che tocca i picchi del neoclassico attraverso diversi passaggi in sweep, che ci riportano alla mente la sua militanza nei Cacophony insieme al grandissimo Jason Becker. A convincere notevolmente è il testo del brano, una nuova stilettata che il buon Dave sferra ancora una volta alla stupidità della razza umana; il tutto è strutturato al pari di una ricetta culinaria, il tono della voce narrante infatti descrive passo passo tutti gli ingredienti ed i passaggi con i quali si possa preparare una vera e propria sinfonia di distruzione: si inizia prendendo un uomo qualunque, un mortale come tanti, e gli si dà il potere incontrastato. Con poche e semplici frasi fatte egli diventa piano piano sempre più affermato, al pari di un Dio, tanto che i suoi sudditi inizieranno a sostenerlo ipnotizzati ad ogni sua mossa, anche se questa possa recare più danni che benefici alla comunità ma è sul ritornello che Mustaine riassume il tutto attraverso un'immagine cara alla tradizione favolistica folklorica: come un malvagio pifferaio infatti questo leader condurrà tutti i topolini verso l'abisso, questi però, inebriati non dal suono del flauto ma bensì dalle sue promesse lo seguiranno ballando fino a quando il terreno sotto i loro piedi non cederà facendoli precipitare nel vuoto. Come tante marionette infatti, il popolo americano prima, e la popolazione mondiale poi, seguiranno a ruota le fandonie raccontate dai leader delle nazioni arrivando così a compiere un autentico suicidio di massa che nasconde, sotto il suono di tante belle parole, un urlo esasperante di disperazione che verrà coperto come sempre dalla fanfara elettorale.
Architecture Of Aggression
Al terzo posto in scaletta troviamo "Architecture Of Aggression" ("Architettura dell'Aggressione"), uno dei pezzi maggiormente rappresentativi di quella che possiamo considerare la svolta più Hard Rock della band. L'apertura della traccia riporta alla mente "One" dei Metallica attraverso il suono di una raffica di mitragliatrice (e i più facinorosi potranno pensare addiritttura al plagio dell'idea che i Four Horsmen ebbero ben tre anni prima) e anche se di primo acchitto il riff iniziale possa far pensare ad una composizione hetfieldiana ci basterà far sopraggiungere la sezione ritmica per chiarire una volta per tutte che siamo su un altro pianeta. Menza appare sciolto e sicuro nell'esecuzione di questo mid tempo e tuttlo sviluppo si impregna subito di un groove catchy e di facile presa. Ellefson ancora una volta ricopre il ruolo di "chitarrista mancato" regalandoci con il suo quattro corde una spirale ritmica che avvolge letteralmente l'arrangiamento in una spirale sinuosa ed energica. I quattro avanzano poderosi su una strofa che fa del palm muting il suo ingrediente principe, al quale si aggiungono diversi incisi ritmici atti a sostenere una linea vocale ben piazzata e strutturata: la voce di Megadave infatti riesce ad essere ben spalmata sul costrutto ritmico, consentendoci di poter decifrare bene le singole frasi senza troppa fatica; tale espediente si dimostra come vantaggio della scelta generale compiuta dei Megadeth di pigiare meno sull'acceleratore rispetto al disco precedente, senza però perdere in potenza o convinzione. Ancora una volta troviamo una avvincente alternanza fra strofa "contratta" su un riff articolato ed un ritornello fatto su accordi distesi, sempre concatenati secondo uno schema assolutamente facile da ricordare. In questa lirica Megadave riveste il ruolo del sicario, riprendendo quelle che erano le tematiche della celebre "Killing Is My Business": stiamo parlando di una figura solitaria, nata avvolta dallo scuro mantello della notte, che si aggira per il mondo svolgendo il proverbiale lavoro sporco. Per architettura si intende il modus operandi dell'assassino, le regole fondamentali da seguire per svolgere la propria mansione nel più efficiente dei modi riducendo sempre al minimo la percentuale di rischio; muoversi sempre nell'ombra, colpire l'obiettivo quando meno se lo aspetta, tutte nozioni che fanno di un assassino il killer perfetto, le grandi nazioni si costruiscono sulle ossa dei loro bottini e le loro ricchezze si costruiscono con i bottini delle guerre, una verità cinica sicuramente ma che a tanto stoicismo contraccambia l'operato di professionisti senza scrupoli che con il lavoro di una notte eliminano potenziali nemici ed avversari nocivi all'ascesa dei mandandanti delle loro operazioni. Potete nasconervi quanto volete, ma il votro nascondiglio non sarà mai abbastanza sicuro da non rietrare nel mirino di qualcuno.
Foreclousure Of A Dream
Andiamo avanti con "Foreclousure Of A Dream" ("Preclusione di un Sogno"), con la quale apprezziamo subito le abilità tecnico compositive del quartetto ed in particolar modo di Dave Mustaine: a condurre la linea principale infatti è uno splendido arpeggio dalla tonalità discendente, una magnifica piece acustica che rende si il pezzo più morbido, spezzando cosi il tiro dell'album ma solo in maniera provisoria, ma allo stesso tempo ci consente di godere di una nuova sfaccettatura dei Megadeth. A seguire fedelmente le sei corde troviamo il basso di Ellefson, che come sappiamo sembra quasi patire nell'eseguire le proprie parti andando a toccare unicamente le note toniche della sequenza, il biondo bassista deve infatti sbizzarirsi sempre con ricami ritmici di elevatissimo gusto ed anche in questa sede non siamo da meno: il suo tocco infatti è sempre riconoscibilissimo, delle plettrate prcise e nette, date con intensità della mano, atte a circondare quella che è la melodia assunta dalla chitarra. Nick Menza sulle strofe resta provvisoriamente "indiestro", tenendo il tempo subito con solo gli accenti di cassa, ma a mano a mano che la parte cantata si snoda si crea un crescendo ritmico davvero avvincente, che sfocia poi in un ritornello letteralmente mitragliato, con il doppio pedale che incalza perfettamente le pennate della chitarra, facendo sembrare il passaggio appunto una raffica di arma automatica. Sono brani come questi che fanno di una band come i Megadeth un caposaldo del Metal e non solo, stiamo parlando sempre di una composizione riconducibile al Thrash Metal, ma va anche considerato che, come detto, siamo negli anni del Grunge e i "dinosauri metallari dovevano darsi da fare per innovarsi e non venire soppiantati dai ragazzi coi camicioni a quadri. "Foreclousure of a Dream" riassume pienamente questo concetto, poiché nell'arrangiamento c'è tutto, potenza, tiro, ma anche melodia e tocco morbido che lo rende un brano adatto per ogni tipo di orecchio. Le riprese vecchia maniera ci sono, soprattutto sul finale, e l'assolo di Friedman è una vera e propria colata di note ma sta di fatto che abbiamo di fronte una band matura, che conscia dei suoi albori li mantiene vivi e li evolve con questa volta sì più leggera ma comunque convincene. Anche dal punto di vista lirico Dave Mustaine e sempre arrabbiato, ma ora vede il mondo con gli occhi di un uomo che analizza la realtà che lo circonda con gli insegnamenti del vissuto. Il testo della canzone tratta infatti delle problematiche economiche della società, in particolare del salasso a cui dei poveri lavoratori sono sottoposti fra le rate del mutuo e le tasse da pagare: immaginiamoci quindi un artigiano che vuole mettere su la propria bottega, un contadino o un allevatore che voglio vivere con i proventi di quello che producono, che impiegano tutte le loro energie per quella che è alla finela realizzazione di un sogno, che prontamente viene precluso nonappena si presenta lo scotto da pagare. Conti conti conti, solo quelli arrivano, mai delle sovvenzioni, degli aiuti o semplicemente un cenno di gratificazione, si può afre tutto purchè si paga. Non è un caso che Megadave descriva tutto ciò come un olocausto personale, ma al tempo stesso spiega come chi è al potere possa opporsi a tutto questo scempio burocratico. Un governatore verrà costretto dai propri funzionari ad alzare le tasse per appianare gli errori di bilancio commessi da loro, ma quest'ultimo può opporti in quanto più alto in grado dicendo loro "leggete le mie labbra...no!" .
Sweating Bullets
Arriviamo quindi ad un altro capitolo fondamentale nella tracklist dell'album "Sweating Bullets"("Sudando Proiettili"). La canzone è già nota ai più per essere semplicemente la definizione da manuale del concetto di "breakdown": l'intera struttura si compone infatti una serratissima e decisa serie di stacchi accentati, su cui Mustaine stende le proprie strofe col piglio di un folle schizofrenico. Dopo una breve apertura affidati a degli accordi aperti ecco il quattro di Menza fungere da capolinea serafico del tutto, incalzandoci immediatamente con i suddetti incisi composti unicamente da tre accordi scanditi da altrettanti colpi di batteria, rispettivamente sulla cassa, sul rullante e dsul piatto stoppato a mano. Il vocalist è in preda alla propria follia ed anche la scelta di ambientare il videoclip in una lurida cella di un manicomio di altri tempi, che riprende peraltro lo stile di quella copertina, risulta essere la proverbiale ciliegina sulla torta di un vero e proprio elogio alla follia, solo che a differenza del buon Erasmo da Rotterdam troviamo ora i Megadeth a fare da protagonisti assoluti. Sulla sequenza di accordi infatti Megadave sfodera tutta la sua patologia psichiatrica intessendo un dialogo con le sue molteplici personalità, che spaziano dal rassegnato all'aggressivo al sarcastico in rapida sequenza. Arrivati al ritornello il ritmo diventa decisamente più claustrofobico, una serie di accordi di tonalità discendenti ci getta direttamente nel baratro della psiscosi , con la batteria ed il basso di Ellefson a scandire la nostra sinistra marcia verso la pazzia. Le chitarre si lanciano anche in una sequenza di note alte e tenute in bending, in modo da scandire il cambio di tonalità con un effetto stridulo quasi quanto un emicrania perforante, ma del resto, se ci pensate bene, è tutto funzionale a creare la colonna sonora di un dialogo tra uno schizofrenico ed i suoi vari alter ego. Ad essere particolarmente iteressante è l'assolo di chitarra eseguito da Marty Friedman, la sequenza di passaggi cromatici ricrea perfettamente quell'effetto di caduta nel vuoto che ben si amalgama con la mancanza di respiro del tutto, una cascata di note implacabile che si getta a capofitto su un successivo reprise composto da un powerchord lasciato andare ed una batteria incalzante, un provvisorio momento di quiete in quella cacofonia di voci che si staglia dentro la testa di Megadave, Il tutto come detto è strutturato sulla base di un dialogo del cantante con i vari se stessi, il testo si apre infatti con una frase che da sola rappresenta pienamente il concetto di personalità dissociata: "hello me, it's me again" ("ciao io, sono di nuovo io"); con questa premessa inizia un successivo excursus che ci guiderà verso l'origine della diagnosi psichiatrica: un passato burrascoso ed una psiche già di per sé abbastanza contorta hanno contribuito alla nascita dei vari altri Megadave in senno all'ex Metallica. Mentre la personalità principale cerca di ragionare con calma, le altre intervengono a smontare per pezzo i vari passaggi logici costruiti con fatica, se questa condizione mentale è nata è a causa appunto della personalità fragile che di partenza vi era già nel protagonista e le altre sarebbero nate solo per dare sfogo alla troppa vasta gamma di emozioni represse. Con l'arrivo del ritornello però questo momentaneo momento di raziocinio si disgrega e lo stesso Dave non capisce più se davanti a se, nello specchiodella sua cella, vede il suo vero riflesso o un alter ego, il battito cardiaco aumenta, il respiro si fa corto e la sudorazione si fa profusa, tanto che le goccioline lungo la sua schiena sono gelide e pungenti quanto una scia di proiettili di acciaio sulla pelle.
This Was My Life
Andiamo avanti con "This Was My Life" ("Questa era la mia vita"), un brano dal tiro decisamente più heavy oriented con cui Dave Mustaine prosegue il suo viaggio introspettivo. Gli stoppati sono nuovamente presenti, ma nel complesso la traccia presenta una struttura ritmica decisamente più lineare ed orecchiabile della precedente; siamo infatti di fronte ad una tipologia di canzone che non mancherà di far scuotere la testolina anche ai fan più conservatori. Se "Countdown To Extincion" è stato uno dei dischi che ha consacrato i Megadeth nell'olimpo mondiale del Metal è stato proprio per l'enorme evoluzione artistico e compositiva compiuta innanzitutto da Dave Mustaine e successivamente dai suoi compagni d'armi, con questa sesta traccia si torna si sui binari di Heavy-Thrash più tradizionale, ma non manca decisamente la chiave di interpretazione personale, che si nota soprattutto dalla ricchezza di melodia nell'arrangiamento: se Nick Menza e David Ellefson viaggiano maggiormente ancorati ai binari per costruire una solida base ritmica, dando prova di un'alchimia a dir poco perfetta, soprattutto nei cambi di tempo serrati, Friedman e Mustaine riescono a tessere delle trame di ancora maggior pregio. Quando una chitarra esegue l'accompgnamento con gli accordi, l'altra arricchisce il tutto con dei fraseggi melodici, rendendo le sei corde in grado di trasmettere una ampissima gamma di emozioni. La lirica di "This Was My Life" è un concentrato di cinismo, rassegnazione e malinconia ed ecco che prontamente le due asce del gruppo ricreano, con le loro sonorità, una morsa emotiva che quasi ci taglia il cuore a metà. Il tono del testo è sempre serafico e a tratti criptico, come tipico del Mustaine più introspettivo del resto: un nuovo giorno, una nuova battaglia, ed ecco come l'esistenza diventa sempre una sfida piena solo di ostacoli; la narrazione è come di consueto in prima persona, e la voce narrante riesamina tutta la sua vita mentre è disteso su un letto, capendo che c'è qualcosa di sbagliato in lui, che lo rende malvagio, diverso e non adatto alla vita con gli altri. La frase "There is nothing left for us" ("Non rimane più niente di noi") lascia intravedere sullo sfondo u amore andato ormai in frantumi e non più recuperabile. Questa era la vita di Dave, la sua speranza ma ora che è andata persa non resta altro da fare che parlare con un irrimediabile tono al passato, accendendo un interruttore nel desiderio che un ipotetica sedia elettrica gli dia la pena capitale per il più grande crimine che possa aver commesso, quello di perdere la fiducia in se stessi, una volta tutto era pieno di speranze, ora non resta nulla, non si sa di preciso che cosa sia successo, si sa solo che Dave Mustaine resta attonito a guardare quella che era la sua vita.
Countdown To Extinction
Eccoci giungere ad una tappa fondamentale del disco, la titletrack, che oltre a dare il titolo al lavoro ne rappresenta in qualche modo la quintessenza filosofica. "Countdown To Extinction" ("Conto alla rovescia verso l'estinzione") è infatti ricordata dai fan come una della canzoni più oscure e profetiche del lavoro, dall'inizio alla fine del minutaggio infatti tutta la canzone è pervasa da una rassegnazione quasi leopardiana verso l'inevitabile epilogo della stirpe umana, una sorta di pessimismo cosmico che Dave Mustaine fa suo per decantare come l'umanità, attraverso la sua brama di supremazia, si stia inconsapevolmente autocondannando. Protagonista dell'incipit questa volta è David Ellefson, il quale, introdotto da una sontuosa serie di accordi si lancia in un fraseggio solista di basso; immediatamente possiamo riconoscere quelli che sono alcuni dei tratti distintivi del suo stile come le note plettrate, l'uso degli hammer on (ovvero delle note legate con un rapido movimento delle dita) e quel tipico sound caratterizzato da un leggero effetto over drive. La parte viene eseguita sulle note alte, il che rende questo passaggio quasi alla strenua di una terza chitarra, ma è con l'arrivo delle chitarre e della voce che si crea il crescendo ritmico. L'effetto è dunque quello di un climax ascendente che ci fa immaginare Mustaine intento a narrare la sua storia metre alle sue spalle si stia scatenando l'apocalisse e la band sembri suonare in uno scenario prossimo alla distruzione. Inizialmente la batteria tiene il tempo con un mid tempo sul charleston per poi partire in quattro quarti appena le chitarre si distendono. Il tutto marcia all'unisono imponente e marziale, ma è con l'arrivo del ritornello che il brano guadagna maggiore apertura; sugli accordi infatti si stende anche un fraseggio di chitarra che conferisce al tutto un tiro particolarmente epico. La condanna ormai è dichiarata ed il quartetto si muove ormai consolidato, i powerchord sono taglientissimi e gli stacchi di batteria scadiscono perfettamente la marcia verso l'umanità verso la fine inesorabile, soprattutto sulla pronuncia del titolo, le cui sillabe sono accompagnate da una rullata marziale, la stessa che nel medley sostiene l'arpeggio dal tocco classico di chitarra, una perfetta base per la voce femminile che annuncia letteralmente l'estinzione che avverà da li ad un'ora, imaginiamoci quindi una specie di hostess che ci accoglie su un aereo che si schianterà subito dopo il decollo. Come detto, l'atmosfera complessiva della traccià è oscura, quasi noir, ed il tiro puramente thrash che da sempre contraddistingue i Megadeth in questa sede si smorza leggermente per dar spazio alla sontuosità e alla magniloquenza compositiva, un lavoro di fino, curato nel dettaglio per battere secondo per secondo la nostra attesa della fine. Megadave infatti basa la sua narrazione sullo squilibrio he vi è tra uomo ed animale nella caccia, l'essere umano infatti si muove con i mezzi e armato, mentre l'animale è costretto a far affidamento unicamente sul suo istinto e sulle proprie zampe; l'uomo però non è consapevole che sterminando una ad una le specie del pianeta condannerà anche se stesso poiché priverà il proprio ecosistema di tutta quella serie di risorse che lo tengono in vita. Dall'altro lato invece vi è poi l'inquinamento dovuto all'eccessiva industrializzazione: l'umanità sta deturpando il pianeta con fabbriche e cementificazione smisurata, il che non lascia scampo a quello che sarà l'inesorabile vendetta della natura, in fin dei conti anche l'uomo, benchè rutenuto "il più intelligente" fra le specie, è un ospite che può venire ben presto buttato fuori dal suo alloggio.
High Speed Dirt
Spingiamo nuovamente sull'acceleratore con la successiva "High Speed Dirt" ("Polvere ad alta velocità"), dato che ora i Megadeth tornano a premere secondo lo stile che li ha resi famosi. Il tiro infatti è altissimo fin da subito, anche se ora troviamo una band decisamente più matura ed amalgamata rispetto a quella dei fasti gloriosi di "Killing Is My Business..." (che comunque ha il suo perchè). L'apertura è lasciata ad un fade in di chitarra, un accordo distorto che dallo zero alza gradualmente il volume per poi dar spazio al main riff in solistica eseguito da Mustaine; già con questa sequenza di note capiamo che i Megadeth ora voglio farci fare head banging e non passa molto tempo che anche Friedman, Ellefson e Menza si mettono in gioco. I quattro si muovono compatti quanto una testuggine romana, Nick Menza non stoppa un secondo il suo drumming ed il passaggio tra quattro quarti e mid tempo tra una strofa e l'altra smorza provvisariamente l'avanzata per dare un maggiore dinamismo alla struttura. Negli incisi poi è interessante il contrasto tra i powerchrd di chitarra tenuti ed i rapidi passaggi sui fusti, morbidezza da un lato e mitragliata dall'altro per poi riallacciarsi insieme nel timing principale del cantato. Pur non essendo una delle traccie più note del disco (se paragonata invece alla titletrack o a "Symphony Of Destruction" ad esempio) "High Speed Dirt" è un brano che dal vivo sicuramente fa faville ed esalta i fan grazie al suo tiro vecchia scuola. L'incedere inarrestabile alternato agli stop and go tiene infatti sempre vispa la nostra attenzione e ci esorta anche a dare spallata in sede live; lo stesso fraseggio di chitarra tra le sferzate heavy spezza l'energia a tocchetti per poi raccoglierli, rimescolarli e gettrceli in faccia come un unico mattone. Che dire quindi? Una canzone gradevolissima, da ascoltare volto dopo volta senza non stancarsi mai con quella stessa adrenalina che caratterizza il protagonosta della narrazione: immaginate di essere su un aereo ad alta quota, seduti con le gambe a penzoloni nel vuoto pronti a lanciarvi per un'esperienza paracadutistica, siete intenti a raccogliere i vostri pensieri quando una mano infame vi spinge per decidervi a saltare. Dopo aver maledetto in eterno quella mano eccovi lì a cadere con un'accelererazione di quasi dieci metri al secondo. In quella situazione sentite solo due cose, la già citata adrenalina, che scorre impervia nel vostro corpo, e la polvere atmosferica che quasi vi sfrega il viso quasi fosse carta vetrata, siete letteralmente in preda alla gravità, potete compiere le più disparate evoluzioni, ma il vostro paracadute si aprirà? C'è anche da sperare in quello, altrimenti vi dovranno raccogliere con il cucchiaino, il dubbio è atavico ma nel mentre potente crociolarvi nell'orgasmica scarca adrenalinica che in quel momento vi rende immortali, e solo pochi secondi dopo, tirando il cordino, saprete se planerete dolcemente a terra o vi schianterete lasciando nel terreno un cratere simile a quello dei cartoni animati.
Psychotron
Gettiamoci nuovamente nella mischia con la nona spilla sullo smoking di questo album, "Psychotron" ("traducibile in italia come "Psicotrone", ovvero una macchina con una psiche). Come primo suono sentiamo un rumore cibernetico, una specie di obiettivo che zumma o meglio, per essere più precisi, un mirino che mette a fuoco; parte la canzone ed immediatamente, come stile compositivo, possiamo condìsiderarla la gemella di "Symphony Of Destruction", in quanto anch'essa modellata sull'efficace mescolanza ti tempo lineare e stoppati. Subito sono i powerchord di chitarra a dettare legge, l'introduzione è quindi massiccia, scandita come sempre dalle martellate di Menza e dalle fucilate di Ellefson e dopo un breve inciso a terzine, evocante il suono di una mitraliata, ecco che parte un tempo in quattro quarti molto simile alla seconda traccia di questo disco; il riffing è quindi bello granitico e possente ma su "Psychotron" vi è una maggiore ricchezza di arrangiamento: a differenza del secondo brano del lavoro infatti le sei corde si muovono su linee decisamente più variegate (in efficace contrasto con quanto invece realizzato su "Symphony..."), ed anche per quanto riguarda il ritornello in questa sede Megadave e compagni puntano su una linea melodica e vocale di maggior presa, facilmente memorizzabile, tanto che non faremo nessuna fatica ad imprimercela nella testa e a cantarla di conseguenza. Gli accenti eseguiti dalle chitarre rendono tutto lo sviluppo del brano particoarmente marziale, e sotto questa imponente ballata di guerra troviamo in seconda linea una sezione ritmica sempre precisa ed efficiente: Nick Menza in particolare non sembra faticare più di tanto, vista la particolare linearità della sua partitura, mentre per quanto riguarda Ellefson è la precisione assoluta a caratterizzare il lavoro del suo quattro corde, anche se in questo caso non lo troviamo a giocare il ruolo di terza chitarra, il biondo bassista ha comunque modo di dimostrare, come se ce ne fosse bisogno, che il suo è un pistone particolarmente efficiente nel motore dei Megadeth. Quattro minuti semplici quindi, ma decisamente ricchi di energia e di impatto, una nuova concezione di Thrash Metal che ancora una volta decide di non puntare sulla velocità ma sul groove e, soprattutto, sulla precisione, che qui vediamo spiccare particolarmente nei vari stop and go mitragliati, in cui ci sono solo le rullate a le pennate a far si che l'intera band letteralmente riggisca in faccia a noi. Dal punto di vista lirico è ora la macchina la protagonista indiscussa: dopo aver visto come sia facile mettere un uomo qualunque al potere, ora Megadave ci racconta di una macchina da guerra che uccide come un cyborg ma ragiona come un essere umano senza scrupoli, il che la rende l'arma perfetta in combattimento. Lo "psicotrone" è quindi una sorta di robot studiato per la battaglia, ma dotato anche di una specie di psiche, che gli consente di razionalizzare e calcolare con la freddezza di una maccina ma l'avarizia e la sete di potere di un essere umano particolarmente malvagio. Come indicato nel ritornello vi è dunque "una parte meccanica ed una organica, non è proprio una macchina quindi, ma possiamo chiamarlo psicotrone". Sono gli anni in cui nele sale cinematografiche è da poco uscito il film "Terminator" ed i Megadeth prendono spunto da questa pellicola per creare cosi la loro personale macchina da guerra, un assassino che spara con una precisione disumana ma che al tempo stesso sa calcolare con somma perizia quali siano le decisioni da prendere per arrivare al massimo risultato con il minimo sforzo. Un essere umano super intelligente o una macchina "indebolita" da una componente umana? Nessuno può dirlo con precisione, sappiamo solo che è un psicotrone.
Captive Honour
Un bellissimo arpeggio di chitarra riverberata apre la successiva "Captive Honour" ("onore prigioniero"), canzone che trattando di prigionia viene presentata come una bellissima ballad dalle tinte blues: in scena ci sono slo le note della sei corde e la voce di Megadave, ma è solo un interludio prima che i Megadeth riprendano nuovamente a martellare come si deve. Questa decima traccia del disco dal punto di vista strutturale risulta particolarmente ed innovativa: per quanto concerne l'aspetto prettamente strumentale i quattro di muovono su diversi blocchi ritmici il cui scopo è scandire infatti le varie parti della lirica quasi fossero la scenografia di un film. È sempre il groove il padrone indiscusso del campo, il quattro quarti sinuoso suonato da Nick Menza, con degli ottimi stacchi in ottavi sulla campana del ride, sostiene un main riff che possiede la potenze del Thrash ma il groove del blues e dell'Hard Rock, sembra quasi di sentire un'idea originariamente partorità, per assurdo, dai Guns N' Roses ma fatta poi propria dai Megadeth. Come abbiamo detto, l'apertura risulta un capitolo a sé stante a cui fanno seguito due blocchi strumentali carichi di energia e ritmo, scanditi innanzitutto dall'avvincente assolo di Marty Friedman, che come se fosse ancora necessario ci dimostra che è nel neoclassicismo il fulcro del suo stile. Dicevamo che è il testo ad essere particolarmente innovativo ed eccovi subito svelato il motivo: non si tratta di una semplice successione di strofa e ritornello ma di una serie di dialoghi in cui, alla parte di Mustaine si intervallano le varie parti dei personaggi presenti ad un processo, tra cui l'imputato, il capo della giuria ed il giudice che emette la sentenza. La presentazione del tutto è affidata a Megadave, che in qualità di narratore onniscente ci offre subito una visione filosofica sul tema della prigionia: la follia viene e va, ma le guerre restano e come in ogni guerra, oltre ai morti ci sono i prigionieri, solo che in questo caso per guerra si può intendere sia il classico conflitto armato sia quella che ogni essere umano vive ogni giorno. I prigionieri possono essere una risorsa se venendo interrogati forniscono informazioni utili sul nemico oppure un peso se oltre a non dire nulla devono pure essere mantenuti e sfamati; si giunge quindi al finale cinico del ragionamento: uccidine uno solo e sarai un assassino, uccidine molti e sarai un conquistatore, uccidili tutti e sarai un dio. A questo punto del brano però ecco aprirsi dinanzi a noa mo di sipario la scena del processo, l'imputato è al banco e la corte chiede il verdetto alla giuria; alla profetica domanda "Signore e signori della giuria, avete raggiunto un verdetto?"ecco arrivare la sentenza: "Noi Giudichiamo l'imputato colpevole", e la pena stabilita è la carcerazione a vita. A questo punto ecco lo scoppio d'ira del condannato, "Vita?!?!, Ma quale vita? Io non ho più una vita!". La sua esistenza ormai finira rinchiusa all'interno di quattro mura, che col passare del tempo la mente renderà sempre più strette, occorre quindi che in carcere il prigioniero inizi subito a farsi degli amici che lo proteggano prima che diventi la puttana di qualcuno oppure che si guadagni la protezione delle guardie facendo la spia, ma si sa, fare il canarino non è la scelta più onorevole per un prigioniero, ecco quindi che tale onore non è onore se per potersi garantire una presunta intoccabilità bisogna arrivare a tradire quelli che, se anche non in aperta amicizia, sono pur sempre dei compagni in quell'inferno a sbarre.
Ashes In Your Mouth
Arriviamo al finale in grande stile con "Ashes In Your Mouth" ("cenere nella tua bocca"), un pezzo che sia come stile che come durata ci riporta indietro nel tempo a due anni prima, alle suite strumentali in puro stile Thrash Metal create nell'acclamatissimo "Rust In Peace". Fin dai primi istanti infatti i quattri spingono incessantemente sull'acceleratore facendo salire il tachimetro dell'adrenalina ben oltre le soglie limite; lo start infatti alterna accordi lanciati in sequenza discendente di tonalità ad un passaggio più contratto fino allo stacco solista, dove Megadave ci regala una nuova perla della sua bravura e ricchezza di stile. La strofa viene avviata su un mid tempo dal ritmo particolarmente avvolgente, una sequenza articolata di pause, stacchi e accenti che come una ragnatela ci stringe nelle sue trame fino ad inglobarci, ma è nel pre ritornello che i quattro si lanciano in caduta libera su una sequenza più aperta, un assalto all'arma bianca che dopo averci tenuto con la guardia chiusa apre i nostri gomiti e ci colpisce direttamente in faccia. Se tutti i brani precedenti potevano vantare una struttura piacevole, orecchiabile ma sempre abbastanza semplice, diciamo che i Megadeth hanno riservato il meglio verso la fine, spiazzandoci con questa perla da cardiopalma che esalta e coinvolge secondo dopo secondo. In "Ashes in Your Mouth" infatti ogni strumento ha modo di concedersi diversi momenti solisti, da Menza con i suoi fill sui fusti, ad Ellefson, con i suoi incisi di basso fino alle immancabili chitarre, che si sfidano in singolar tenzone a furia di fraseggi armonizzati, botta e risposta ritmici ed assoli sempre diversi ma pur sempre concatenati dalla trama principale di questa regia degna dell'oscar. Dall'inizio alla fine della canzone Mustaine e soci non mollano un colpo, se in apertura abbiamo parlato di quanto "Countdown To Extinction" per certi versi possa aver scontentato i fan della vecchia guardia, più che altro a causa della sua drastica diversità con i lavori precedenti, quest'ultima canzone mette d'accordo tutti e non è un caso che i Megadeth abbiano scelto di porla come postilla finale della tracklist, il messaggio che arriva è chiaro, ovvero "sì, abbiamo cambiato leggermente il nostro stile ma tranquilli, sappiamo prendervi a calci nel sedere come un tempo. Essendo in chiusura dell'album, anche la lirica si pone come una lunga riflessione a posteriori, non tanto sulle canzoni precedenti ovviamente ma sulle varie gesta compiute dall'uomo nel corso dei secoli: catastrofi, innondazioni, carestie e guerre, l'umanità ne ha sopportate di ogni tipo ma gli uomini hanno le spalle abbastanza larghe da poter sopportare il peso di tutti questi flagelli, questa visione ottimistica però viene bruciata nonappena si arriva a capire che tutto questo è un ciclo destinato a ripetersi in eterno. L'umanità sembra infatti assuefatta alla necessità di autoflagellarsi con inutili mattanze guidate solo dall'odio, religioso o politico che sia; come se non bastassero già le piaghe che l'ecosistema ci riserva l'uomo è talmente stupido da sentire il bisogno di scremare le quantità con una qualche guerra e tutto ciò lascia un indecifrabile senso di amaro in bocca, un gusto di cenere, in particolare delle ceneri di tutti i milioni di morti lasciati sul cammino.
Conclusioni
In ultima analisi, "Coutndown To Extinction" è un album solido, compatto e maturo, il perfetto ritratto di cosa sono i Megadeth all'alba degli anni Novanta: Dave Mustaine e i suoi compari sono forse stati fra i primi a comprendere la necessità di innovamento con l'arrivo della nuova decade. Gli anni Ottanta hanno visto nascere ed affermarsi il Thrash Metal, ma ora, con la parallela ascesa del Grunge, per i musicisti metal è giunta l'ora di tirar fuori gli assi nella manica onde evitare di venir eclissati dai capelloni con le camice a quadri di Seattle. "Killing Is My Business..." e "Peace Sells..." sono i primi vagiti della belva chiamata Megadeth, ancora intrisi della rabbia di Megadave per il suo licenziamento dai Metallica, "Rust In Peace" rappresenta il giro di boa, un cambio di stile che sempre mantenendo il legame con le origini anticipa comunque quella maturità che viene raggiunta con "Countdown To Extinction", sia dal punto di vista compositivo che tecnico. Abbiamo infatti potuto ascoltare come nei brani venga nettamente moderata la velocità a favore di una maggiore ricercatezza di gusto all'interno nei vari riff: si tratti di una parte acustica o di una parte più spinta, ogni singola sequenza di note gode di uno studio minuzioso ed attento; anche su brani solo apparentemente "scontati" come "Symphony Of Destruction" i pochi powerchord usati sono stati attentamente selezionati per creare la semplicità "perfetta", un riff semplice, di impatto e destinato a marchiarsi con il fuoco nella nostra testa; sembrerà scontato come ragionamento ma provate voi ad elaborare un riff così semplice ed al tempo stesso così efficace, vedrete che non sarà per niente semplice. Lo stesso discorso può applicarsi per tutti gli altri brani, è nella profondità dell'accordo, non nella sua velocità esecutiva, che si nasconde la vera efficacia compositiva. Anche dalpunto di vista ritmico, sappiamo tutti quali sono le potenzialità dell'ormai ahinoi scomparso Nick Menza, tanto che le parti da lui suonate di questo disco sembrano i classici drumming "di riscaldamento" per un musicista come era lui, eppure si rivelano essere le parti ideali per le canzoni suonate: linee di batteria, lineati, ricche di incisi e minuzie senza esagerare, proprioper far sì che tutto il disco si possa ascoltare di getto, brano dopo brano, senza quasi accorgersi dello scorrere del minutaggio.Il lavoro è stato registrato e mixato agli Enterprise Studio di Burbank, in California, e anche in ambito di produzione emerge lampantemente la differenza con i suoi predecessori: i suoni di "Countdown To Extinction"appaiono leggermente più freddi e poveri di bassi (tanto che la versione con il mastering originale non viene più stampata in favore della successiva modifica voluta dalla band) eppure tale differenza appare fastidiosa solo a coloro che hanno un orecchio più da addetto ai lavori. Certo, le versioni rimasterizzate uscite successivamente a loro modo conferiscono un ulteriore valore aggiunto ai brani, eppure queste nuove sonorità sono state funzionali per rimarcare questo ingresso a gamba tesa dei Megadeth negli anni Novanta. Sono gli anni del momento ibrido fra analogico e digitale e forse questo lavoro potrà sembrare troppo a favore di quest'ultimo, ma "Countdown To Extinction" è, resta e sopratutto resterà ancora a lungo, un disco assolutamente da conoscere ed ascoltare, fondamentale per la propria formazione di appassionati di Heavy Metal.
2) Symphony Of Destruction
3) Architecture Of Aggression
4) Foreclousure Of A Dream
5) Sweating Bullets
6) This Was My Life
7) Countdown To Extinction
8) High Speed Dirt
9) Psychotron
10) Captive Honour
11) Ashes In Your Mouth