MEGADETH
Anarchy In The U.K.
1988 - Capitol Records
MICHELE MET ALLUIGI
29/09/2016
Introduzione Recensione
Il 1988 è l'anno nel quale i Megadeth decidono di dichiarare guerra al mondo: se a gennaio usciva sugli scaffali il loro terzo disco "So Far, So Good... So What!", a tutt'oggi reputato uno dei loro migliori capitoli discografici, l'incalzante sferrata di Dave Mustaine alla società statunitense proseguirà appena un mese dopo, in pieno febbraio, con la pubblicazione del singolo "Anarchy In The U.K."; l'amore che il rosso thrasher nutre per il Punk, specialmente nei suoi anni giovanili, non è certo un segreto, quale migliore mossa dunque per insultare il proprio corrotto ed ipocrita paese se non quello di realizzare la cover di uno dei brani più controversi mai composti, sputatoci in faccia dalla band "anticristo" per antonomasia, i Sex Pistols, riadattandola alla terra dello zio Sam? Occorre però procedere per gradi: per comprendere meglio che cosa siano i Megadeth, ed in particolare quelli di fine anni Ottanta, occorre puntualizzare una cosa: chi fosse Dave Mustaine in quel periodo della sua vita. Tutti sappiamo che la carriera di Megadave iniziò nel 1981 in qualità di chitarrista solista dei Metallica ed è a lui inoltre che dobbiamo la composizione di alcuni grandi classici dei Four Horsemen contenuti nei primi due album, pensiamo alla stessa canzone da cui i 'Tallica guadagnarono il soprannome di "4 cavalieri", a "Jump In The Fire", a "Phantom Lord" e "Metal Militia", per poi arrivare alle successiva titletrack dell'album seguente e di "The Call Of Ktulu". Insomma, è innegabile che quanto fatto dal musicista di La Mesa durante la sua militanza nella band thrash metal più famosa della terra sia di inestimabile valore, ma ahimè, quando si possiede un carattere forte ed autoritario e non si è certo degli asceti in quanto ad abitudini di vita (dato che Mustaine abusò notevolmente di alcool e droghe in quella decade) è inevitabile che le proprie azioni vadano a cozzare con le mentalità altrettanto dittatoriali come sono quella di James Hetfield e Lars Ulrich. Il connubio durò quindi solo due anni e come si può ben immaginare una separazione avvenuta non sotto i migliori auspici, per un soggetto alquanto psicolabile come il giovane Dave, non fu certo una mano santa. Tuttavia, egli si mise subito all'opera fondando un nuovo gruppo, il suo a tutti gli effetti, dove ricopriva il ruolo di chitarrista solista, cantante e compositore, al quale gli altri tre membri erano necessari in qualità di componenti meccaniche della suo nuova macchina da guerra. Dopo il primo ruggito con la prima demo "Last Rites", nel 1985 vide la luce il debutto ufficiale "Killing Is My Business... And Business Is Good", un disco molto più ruvido e diretto rispetto alle più "melodiche" tracce degli ex compagni di band, il cui titolo cinico rappresenta brillantemente la filosofia del rosso chitarrista; egli con quella dichiarazione di intenti sembra infatti dire "uccidere è il mio business, e gli affari sono un bene, non mi importa chi dovrò far fuori, lo farò e basta". Stando a quanto dichiarato da Mustaine egli infatti voleva letteralmente il sangue dei suoi traditori, coloro i quali lo avevano lasciato in mezzo alla strada senza manco un dollaro in tasca, ecco quindi l'origine di tutta la rabbia e l'odio della musica dei Megadeth; i Fallen Angels, la prima band formata dall'ex Metallica, ebbe infatti vita breve, per sfogare tutta la pece che gli inondava le vene, l'axemen americano dovette ripartire da zero per creare qualcosa di nuovo, qualcosa che dopo soli tre album, che dal debutto giunsero poi a "Peace Sells... But Who's Buying?" fino al terzo disco succitato. Sono i dischi in cui gli Stati Uniti diventano metafora della corruzione del mondo intero, l'intento provocatorio della musica dei primi Megadeth è infatti quello di denigrare il pianeta sputando in faccia alla sua super grande potenza, come il soldato che per disperdere le fila del nemico si apposta su una montagna in disparte cercando di colpire alla testa il generale avversario con un colpo di precisione e mandando nel caos più totale i combattenti oppositori. Il singolo di "Anarchy In The U.K" quindi porta avanti questo sovversivo progetto, ripresentando un brano simbolo dell'onda punk, movimento anticonformista per eccellenza sotto una nuova luce: indubbiamente la musica di Johnny Rotten e compagni sfregiò indelebilmente il volto acqua e sapone della società benpensante, ma la corrente londinese stava ormai apprestandosi ad eseguire il proverbiale canto del cigno e per una decade ancora più marcia come quella degli anni Ottanta occorreva qualcosa di più potente, acido e graffiante. Oltre alla cover, nella tracklist troviamo anche un estratto live del gruppo, nel quale i quattro eseguono "Devils'Island", quarta traccia della tracklist di "Peace Sells...". Lo scopo di questo singolo, pubblicato in vinile dalla Capitol Records, è dunque quello di dare ai fan un prodotto old school ed underground in tutto e per tutto: due brani che dai sotterranei del punk omaggiato ci portano dritti nella mischia di uno show ed il messaggio è chiarissimo, loro sono i Megadeth e non hanno bisogno di fronzoli per rompervi il culo, arrivano, suonano, ci tritano le ossa e se ne vanno, semplice ed immediato, come il pugno datoci da un balordo durante un pogo.
Anarchy In The U.K.
Ad aprire le danze è appunto "Anarchy In The U.K." ("Anarchia Nel Regno Unito") il supremo inno alla totale assenza di regole con cui i Sex Pistols shockarono la loro madre patria urlando a squarciagola questo motto e dando agli scaffali il loro famosissimo "Nevermind The Bollocks, Here's The Sex Pistols" del 1977. La versione originale dei punk britannici si caratterizza per una semplicità senza precedenti: pochi accordi, un tempo lineare quasi privo di variazioni (se non un paio di passaggi di cesura), una linea di basso dritta e non sempre nemmeno conforme alla melodia (dato che Sid Vicious è risaputo che non fosse proprio un maestro dello strumento) ed una linea vocale calante e a tratti dissonante, ma in fondo, chissenefrega della musicalità, loro sono i Sex Pistols e non siamo certo ad un esame di conservatorio. Il brano parte con una serie di accenti, dove alle pennate della chitarra fanno da contraltare gli accenti della batteria e dopo l'urlo inaugurale del vocalist parte la struttura della strofa, un tempo in quattro quarti rincarato dalle plettrate in palm muting; il riff è semplice ed immediato, tre semplici accordi in quartine ed una chiusura accentata e, per i canoni degli autori, è già tanto, eppure questo concentrato di sublime ignoranza ha fatto sì che la musica potesse finalmente trovare la sua vena ribelle dopo decadi intere passate nel rispetto delle regole, ma come recita il noto proverbio, se esse esistono è unicamente per poter essere infrante. Volente o nolente dunque, alla band di Johnny Rotten non va il merito di aver scritto della grande musica (sul piano qualitativo perlomeno) ma di essere riuscita a ribaltare completamente il concetto stesso di musica: essa ha sempre dovuto esprimere emozioni nel pieno rispetto dei canoni teorici ed armonici sul piano pratico, allineata poi alla letterarietà o al placet dei sovrani sul piano concettuale, quanto composto dai punk londinesi invece non faceva ne l'uno ne l'altro. Quale miglior musa dunque per ispirare il Dave Mustaine ribelle e sovversivo per il quale la ferita dell'ostracismo musicale dai Metallica, nonostante un fare menefreghista del soggetto, bruciava ancora enormemente? "Anarchy In The U.K" sembra essere il classico pezzo confezionato su misura per un riarrangiamento da parte dei Megadeth e fin dai primi secondi di ascolto le aspettative non restano certo deluse. La prima cosa che balza immediatamente alle nostre orecchie è la migliore qualità dei suoni nel complesso: essendo stata registrata undici anni dopo la versione originale, le migliorie raggiunte dall'audio recording dell'epoca consentirono la riuscita di un prodotto qualitativamente migliore a livello di sound, dove i vari strumenti escono con una definizione più limpida e cristallina dando così alla canzone anche un migliore groove ed una orecchiabilità più organica. Passando dal Punk al Thrash Metal inoltre, è inevitabile che i bpm aumentino, conferendo al ritmo complessivo una velocità più sostenuta ed agguerrita: i thrasher americani viaggiano praticamente al doppio del tempo degli autori primari, dando al brano una tinta decisamente più metal attraverso un incedere da headbanging garantito. A differenza di quanto faranno i Metallica nel 98' con "Garage Inc.", gli autori di "Peace Sells..." restano fedeli alla struttura originale senza aggiungere varianti compositive alla cover; il punto di forza di questa riproposizione sta tutto nel sentimento con cui i quattro americani omaggiano i Pistols e nonostante si senta enormemente il divario tecnico tra i due gruppi, l'ossequio di Megadave emerge attraverso un omaggio sentito ed onesto. Inevitabilmente, la performance di Steve Jones viene eclissata dalla potenza ampliata del chitarrismo di Mustaine e Jeff Young insieme, stiamo parlando di due chitarre che oltre all'essere in maggioranza come numero surclassano il musicista inglese in ambito tecnico arrivando da una generazione molto più "scolastica" (e si ponga attenzione alle virgolette volutamente inserite); lo stesso dicasi anche per Sid Vicious, sulla cui parte David Ellefson ha terreno facile su cui sfogare il proprio estro, ed infine per il drumming di Chuck Behler, il quale, pur rispettando il tempo suonato da Paul Coock, ne aumenta la velocità e vi aggiunge anche qualche raddoppio di cassa. A conti fatti quindi, non bisogna vedere questa "Anarchy In The U.K" come uno sfoggio di tecnica superiore ma come una evoluzione in 2.0 dell'originale; probabilmente, se i Sex Pistols avessero avuto lo stesso background dei Megadeth, l'avrebbero suonata anche loro così, ma non è certo questa la sede per intraprendere sofismi metafisico-musicali, quel che conta è che se un pezzo storico del Punk ha di per sé stesso segnato un'epoca, esso trova un ulteriore riscontro della propria importanza attraverso questa cover fatta dalla band di Mustaine. L'ambito lirico di questa canzone incarna la quintessenza del punk fatto e finito, immaginate d'innanzi a voi un giovane ribelle vestito con anfibi, pantaloni a quadri strappati, canotta dei Pistols, chiodo e capelli sparati, intento a darvi la descrizione di sè e del suo ruolo di individuo in un mondo votato alla massificazione della specie umana; già dall'aspetto egli si pone come bandiera del rifiuto di ogni convenzione e nelle sue parole traspaiono la rabbia ed al tempo stesso l'incertezza di una presa di posizione comunque molto marcata. Egli è un anticristo agli occhi della società borghese, è un anarchico poiché rifiuta ogni tipo di regola che il pensiero umano possa formulare ed il suo disprezzo è talmente accecante e furente da renderlo tuttavia ignaro di cosa egli stia odiando esattamente, non sa nemmeno che cosa voglia di preciso ma sa come ottenerlo ed il suo desiderio è unicamente quello di spaccare tutto, avendone l'occasione. Da questa espressione emerge quindi il blocco di fronte al quale si trova questa ribellione, quello strascico di morale personale che prima di abbandonare il soggetto alla totale devastazione lo blocca momentaneamente per chiedersi se quella sia davvero la cosa giusta da fare, in questo "attimo di lucidità" tuttavia riprende coscienza di sè dichiarando di voler essere egli stesso l'anarchia, non il cagnolino di qualcuno. Nessuno infatti potrà dare degli ordini a questo punk, in quanto egli è il capo di se stesso e si trova a combattere ogni giorno contro una realtà fatta di osservanza a regole inutili e dogmatismi superflui. Per gli Stati Uniti (dato che Mustaine dichiara a gran voce "Anarchy For The U.S.A") come per il Regno Unito arriverà il giorno in cui l'assenza di regole prenderà il sopravvento, ma vien poi da chiedersi se sia davvero questa la soluzione a tutti i problemi; ognuno raggiunge ciò che vuole in diversi modi e con diversi mezzi, il nostro punk sceglie l'anarchia in quanto essa costituisce la sua stessa essenza vitale. Lui sarà anarchico per sempre ed il suo unico dictat sarà quello di distruggere tutto, sempre e comunque.
Devil's Island
La seconda traccia del singolo è una versione live di "Devil's Island" ("L'Isola del Diavolo"), estrapolata, come accennato, dal secondo album dei Megadeth. La traccia bootleg si apre con Mustaine intento a dedicare la prossima esecuzione a tutti i fans ed amici che il gruppo possiede a Londra, dato che si tratta di una ripresa registrata durante uno show in Inghilterra. Con l'annuncio del titolo, la voce del frontman si sporca enormemente, quasi come se Megadave settasse le sue corde vocali per la prossima sferrata di urla per condurci tutti nell'isola del demonio. Behler dà il quattro sul charleston ed ecco partire l'introduzione costituita dalla proverbiale sequenza di accordi aperti in tonalità discendente, che rendono subito l'atmosfera sulfurea quanto basta per farci incontrare faccia a faccia con Lucifero. Assieme ai powerchord, la chitarra solista si lancia in una prima stoccata in tapping, dando al tutto un retrogusto speed metal, ma è con il successivo break che gli americani preparano il terreno per lo scontro: la batteria infatti si arresta e sulla scena resta solamente il basso di Ellefson a far salire l'adrenalina degli astanti con le proprie zappate, un riff semplice e di impatto prima che esploda la vera e propria rasoiata del pezzo. La strofa infatti parte subito incalzante, sostenuta da un tempo terzinato di stampo maideniano grazie al quale le sei corde hanno modo di martellarci con le loro pennate taglienti. Il blocco della prima parte del pezzo procede compatto e serrato, la ritmica è sempre inarrestabile ed a smorzare provvisoriamente questa incalzante pugnalata sono unicamente gli accenti di chitarra e di batteria, prima di arrivare al fulmineo ritornello ripetuto due volte. Giunti al secondo blocco, gli strumenti elettrici salgono di tonalità, dando così quel pathos frenetico che ci smorza il respiro come un arresto improvviso che ci spezza il fiato durante una corsa. Si giunge così al break centrale: la batteria si stoppa nuovamente, lasciando unicamente la chitarra a lanciarsi in un inciso solista. Behler ora scandisce solo gli accenti con dei colpi serrati e precisi e poi si riparte nuovamente a tachimetro altissimo; siamo nella parte solista del pezzo e le sei corde si trasformano qui in due vere e proprie mitragliatrici intente a falcidiarci con le loro scale velocissime. Anche l'ultimo ritornello viene urlato da Mustaine ed arriva così la parte della stoccata chiarristica conclusiva, l'ultima rasoiata prima che il ritornello suonato ad libitum ci faccia giungere alla chiusura del pezzo, un finale netto ed improvviso, al quale fa immediatamente seguito il boato del pubblico. Senza nemmeno una parola di presentazione, nella registrazione si sente la chitarra di Mustaine iniziare il pezzo successivo, il cui riff è immediatamente riconoscibile per tutti i fan della band, si tratta di "Mechanix", settima composizione del debutto album della band, ma ahimè non c'è spazio per questa successiva esecuzione e l'audio si va a chiudere appena conclusa l'intro. Dal punto di vista esecutivo i Megadeth sono ineccepibili, perfetti e chirurgici in ogni singolo passaggio della traccia pur mantenendo quella vena cruda e grezza caratteristica della prima fase della loro carriera, due cose sono però da criticare a questo bootleg: la qualità audio generale e l'infelice chiusura posticipata che mozza sul nascere un altro grande classico del gruppo. Beninteso, per essere un audio live di fine anni Ottanta è tutto grasso che cola, ma un minimo di post produzione in più non avrebbe guastato: il pezzo suona infatti stracarico di gain e riverberi, elementi principali di tutti i bootleg storici del metal come sappiamo, ma purtroppo le distorsioni incredibilmente accentuate, soprattutto sulla chitarra di Mustaine, rendono l'ascolto quasi fastidioso in certi passaggi. Come accennato inoltre, la conclusione della registrazione sembra letteralmente fatta a caso, quasi come se il tecnico al mixer si fosse perso il vero finale della traccia per poi stoppare drasticamente sulla successiva appena resosi conto della gaffe, spegnedo così un'altra potenziale mazzata nei denti che noi megafans attendevamo con la bava alla bocca. L'isola del diavolo di cui si parla nel testo rappresenta simbolicamente l'ultima fermata del treno della vita, il capolinea della nostra esistenza, nel quale giunge il protagonista della lirica, un prigioniero condannato a morte. La sentenza è stata emanata dal giudice, la pena capitale lo attende, e non appena viene ricevuta la notizia, il diretto interessato vede la poca luce presente nella sua cella svanire nell'ombra. Appena la porta si apre per condurlo a percorrere il miglio verde in qualità di morto che cammina, quella stessa porta rappresenta la fine della vita ed al tempo stesso l'apertura dei cancelli degli Inferi pronti ad accoglierlo; similmente al tema di "Ride The Lightning" dei Metallica, la pena di morte viene ora riproposta da Mustaine sotto un'altra prospettiva, che della semplice morte sulla sedia elettrica avanza ora nella penombra dell'aldilà per raccontare che cosa ci attenda. Il rosso axeman immagina che l'Inferno sia un'isola sperduta in mezzo ad un mare pieno di squali, dove Satana attende il nostro arrivo per schiaffarci immediatamente ai lavori forzati; a condurci in questo posto tetro non vi è però il nocchiero Caronte, ma appena precipitati dal mondo al piano di sopra finiamo nelle mare agitate dell'oceano, fino a quando un'onda non ci scaraventa sul nostro ultimo lido; a soccorrerci non ci sono altri uomini, ma dannati come noi che hanno subito lo steso tragico destino e che in un attimo di pausa ci rimettono in piedi prima di venire nuovamente frustati dai loro aguzzini e rimandati a sgobbare; questa è l'isola del diavolo, qui si è e si dovrà restare in eterno.
Conclusioni
Dopo il successo di "So Far, So Good... So What!", l'odissea dei Megadeth prosegue con questo prodotto, un singolo indirizzato particolarmente ai fan più oltranzisti della band saldamente legati agli albori dell'underground. La scelta di inserire una cover ed un estratto live si rivela particolarmente coerente con l'intento della pubblicazione per diversi motivi: prima di tutto, nonostante già nel 1988 il gruppo di Dave Mustaine avesse dato abbondantemente prova del proprio valore tecnico, i quattro vogliono comunque far presente che è nel Punk che la loro furia trova origine, ed anche se i Sex Pistols fossero ritenuti "gli ignoranti" per eccellenza, essi furono comunque di fondamentale importanza nella formazione artistico-concettuale della band americana. Ergo è dall'Inghilterra che tutto "ebbe origine" e l'accostamento di un brano live suonato in terra britannica rincalza in qualche modo l'intento celebrativo della cover. Secondariamente, la parola ai brani in studio è stata lasciata grazie all'album, all'interno del quale questa riproposizione però appariva come la traccia "sottotono" rispetto alle altre, vista l'enorme differenza di songwriting presente; farne un vero e proprio singolo perciò conferisce ad "Anarchy In The U.K" il ruolo di protagonista a sé stante, un estemporaneo omaggio ad una band apparentemente non conforme al Thrash dei Megadeth, che però merita di avere la giusta peculiarità all'interno della discografia e pubblicare un singolo dedicato ad essa risulta quindi la scelta migliore. La scelta del bootleg live come seconda canzone della tracklist possiede invece un altro fine, sempre però coerente con il progetto di offrire ai fan ciò che non sia già stato dato loro con l'album: in studio è già stato messo agli atti che i Megadeth spaccano ma ora i quattro americani vogliono dimostrare che ciò che i loro estimatori ascoltano è tutta farina del loro sacco. Non c'è trucco e non c'è inganno, una canzone degli autori di "Killing Is My Business..." è sempre da cardiopalma sia che si ascolti dal disco che da sotto il palco, perché non conta il cosa ma come viene suonato ed in questo senso Dave Mustaine e soci fanno dell'attitudine il loro faro guida all'interno del vasto mondo dell'Heavy Metal. Proprio per avvalorare ulteriormente questa tesi, la band sceglie uno dei pezzi più alcalini ed incalzanti del proprio repertorio, dimostrandosi inarrestabile ed incontestabile su qualsiasi composizione scritta da loro o da altri. In conclusione l'album ci conferma che i Megadeth sono dei grandissimi musicisti, mentre questo singolo ci dimostra che sono dei veri e propri guerrieri della musica.
2) Devil's Island