MATTEO BRIGO
80's Movies
2018 - indipendente

ANDREA ORTU
26/04/2018











Introduzione Recensione
Il 2018 ha visto l'uscita di 80's Movies, secondo disco solista di un guitar hero tutto italiano: Matteo Brigo. Camice bianco, maglietta della Nerv (l'organizzazione fittizia di Neon Genesis Evangelion) regolarmente addosso, e la fidata sei corde sempre sotto mano, Matteo è un chitarrista di enorme talento nonché l'autoproclamatosi "Scienziato pazzo del Rock": un titolo che gli si addice assolutamente. Come sempre, quando scrivo di un album che ha fatto centro nel profondo del mio immaginario, voglio iniziare partendo dal personale. La mia generazione, quella che ha vissuto l'infanzia e l'adolescenza tra la fine degli anni '80 e primi anni duemila, è stata probabilmente l'ultima a crescere a diretto contatto con i prodotti del decennio ottantiano. O meglio, con le decine d'icone e simboli nati in quel periodo. Se ripenso a quel decennio, vissuto quasi tutto in differita, con la mente e gli occhi di un bambino, mi vengono in mente i baffi di Freddie Mercury, gli Scissor Sisters e il vecchio logo di Mtv, i video colorati e rarefatti di Billy Idol e Cyndi Lauper, tizi vestiti come cattivi di Ken il guerriero e altri con parrucconi cotonatissimi, foto dei miei genitori con maglioni imbarazzanti ma l'espressione felice, e cose del genere. Mi tornano in mente le serate passate a guardare Alien in seconda serata su Rete Quattro, o Fuga da New York e Robocop su Italia Uno, alle due del mattino di estati interminabili, quando passavo le notti disegnando davanti alla televisione, guardando film in una casa in cui non abito più. E naturalmente, da vecchio trekker incallito, mi torna in mente l'equipaggio di The Next Generation e le sue avventure, il suo ottimismo, quella magica percezione che il futuro non potesse che essere migliore del presente; una visione oggi stroncata dal ristagno della crisi e della disillusione. Tutto questo - musica, immagini, idee - è parte oggi di una nostalgia diffusa e radicata, un momento storico che rivive nella mania del remake cinematografico, in serie TV come Stranger Things, nel ritorno di Spielberg con Ready Player One, nella vaporwave e nel cosiddetto retrogaming, e in generale, nella riscoperta di canoni appartenenti ad un'epoca che ci appare più semplice, più interessante, soprattutto più felice: gli '80s. Anche se forse lui ha vissuto quel decennio più da vicino di me, ho il sospetto che io e Matteo abbiamo molte "nostalgie" in comune, tra cui quella per un modo di fare cinema e televisione ancora un po' ingenuo, magico e avventuroso. Decisamente 80's. È proprio da questa passione che il chitarrista trae l'idea per il suo nuovo album: un'opera che vuole essere qualcosa di più, che non una semplice raccolta di pezzi strumentali, ma un vero e proprio viaggio sonoro nell'immaginario del suo autore, un viaggio che incarni idealmente tutta la magia di un decennio dominato dal Rock e dai più grandi Guitar Heroes della storia, in un perenne rapporto a doppio filo tra musica ed immagini. I primi sentori che qualcosa di nuovo bolliva in pentola arrivarono presto, solo alcune settimane dopo la pubblicazione del primo disco solista, It Works!, nel 2016. Poco tempo dopo iniziano ad apparire gli annunci veri e propri, e infine, sul profilo Facebook di Matteo, ecco arrivare l'esplosivo conto alla rovescia, accompagnato dalle immancabili e autoironiche foto del chitarrista padovano. Meno tre!, meno due!, meno uno!, e alla fine l'annuncio ufficiale, entusiasta e sincero, privo di falsa modestia... pure un po' smargiasso, e a buona ragione: "Finalmente il momento è giunto! Da mesi ormai sto lavorando nell'ombra e non vedevo davvero l'ora di poter dare alla luce questo nuovo discone! 10 brani nuovissimi che mi piacciono davvero un casino! Esplosioni, colpi di scena ed effetti speciali a manetta! Spero davvero possa piacervi come sta piacendo a me!"; così Matteo presentava il suo secondo full length, proprio come il primo un concentrato di talento e amore per la chitarra, un disco strumentale in cui il suono, da solo, esprime tutto il significante di cui l'opera ha bisogno. I termini "cinematografici" non sono casuali, così come non lo è l'estetica utilizzata dal chitarrista, anch'essa ispirata a sensazioni che risiedono in opere appartenenti ad un passato insieme distante e vicino, un'estetica che è parte integrante del linguaggio artistico di Matteo e di un ideale di Spettacolo (con la "S" maiuscola) caratteristico proprio di quegli anni e oggi in declino. 80's Movies è l'erede diretto del suo predecessore, album che presentava "lo scienziato pazzo del rock" ed i suoi personaggi, una miriade di figure amabilmente improbabili e contorte. L'idea alla base è ancora una volta figlia del cinema: se il primo disco serviva a tratteggiare l'universo narrativo e i suoi protagonisti, il secondo mette definitivamente le carte in tavola al servizio di una grande avventura, una storia narrata attraverso la musica capace di portare ogni elemento precedentemente delineato al suo compimento. In quest'ottica, non stupisce affatto l'esigenza bruciante dell'autore a buttarsi nel secondo progetto solista a poca distanza dal primo, ché le idee e le intuizioni vanno lavorate ancora calde; e per farlo, il chitarrista s'è avvalso di alcuni dei più abili e ingarbugliati professionisti sulla piazza padovana. È Matteo stesso a presentare il "cast" del sul fi... ehm, del suo album: "Luca Serasin ai bassi memorabili con la gonna e alle spade laser (color rosso sith)"; Luca Serasin è il bassista dei Mieutica, ottima band in cui Matteo Brigo ha militato per anni, e già impegnato nella realizzazione di It Works!, come a dire "squadra che vince non si cambia"; "...Alessandro Arcolin alle batterie (rigorosamente suonate con stecchini); Alessandro Arcolin è un percussionista poliedrico impegnato in varie e differenti realtà, tra cui, oltre l'insegnamento alla Padovarte Musica e all'Art Voice Academy, spicca la militanza negli Zephyros, nei Calicanto e nei Whitevoices; "... e Filippo Galvanelli alle orchestre viventi e tastiere. Filippo Galvanelli è un tastierista vicentino impegnato con band come A Tear Beyond e The Meaning Under. L'axeman padovano cita poi Alex de Rosso per la produzione e Flaminia Spinelli per illustrazioni, idee grafiche e artwork, ed infine Angela Forin per il paziente lavoro dietro le quinte. Un cast affiatato e ben preparato a supporto di un talento più unico che raro, quello dello scienziato pazzo del rock, sfuggito al controllo di Gendo Ikari e della sua Nerv per presentarci dieci tracce di puro spettacolo, passione e divertimento. Andiamo dunque a gustarci la trama di quest'insolito film!

80's Movies
L'antefatto del "film chitarristico" di Matteo Brigo è giustamente la sua title track: 80's Movies - an experiment with an old televition, weird science!, ovvero "film anni '80 - un esperimento con una vecchia televisione, scienza stramba!". L'ultima traccia di "It Works!" ci aveva lasciati in sospeso col titolo assai emblematico di "Who Knows - to be continued", un'attesa ben presto ripagata da questo vero e proprio sequel. Il nostro scienziato pazzo e la sua chitarra mutante si stanno ancora riprendendo da un'avventura che li ha visti sfrecciare sulla loro personalissima macchina del tempo, ma proprio come su Ritorno al Futuro, l'ennesimo, assurdo pasticcio è già dietro l'angolo, e pronto ad esplodere. Questa canzone è come il preludio, un assaggio dell'esplosione imminente e, al tempo stesso, una sorta di sintesi dell'intera opera, un tripudio di suoni e di colori che rimanda al tema stesso del disco: il cinema anni '80 (ma anche un po' settanta e novanta, ché Matteo è un intenditore). La tensione carica su suoni graffianti, in sapiente alchimia con le percussioni prima e con i bassi poi, lanciandosi ben presto in una corsa sfrenata che strizza contemporaneamente l'occhio sia alla magniloquenza di Vai, sia alla divertita sfrontatezza di Satriani, smorzando l'epicità d'immaginarie battaglie spazio-temporali giocando a ricreare musichette da vecchia consolle a otto bit. Insomma, 80's Movies è un calderone in cui Matteo butta dentro davvero tutto, preoccupandosi di prepararci un piatto più pornografico che elegante, senza per questo rinunciare del tutto a una forma invitante che si traduce in miracoloso equilibrio, una stabilità che vive sul filo del rasoio. Un'attitudine, questa, degna dei veri guitar heros, grandi eredi di una tradizione settantiana che viveva la musica sull'orlo del precipizio sonoro, traballando su un piede solo, e trovando proprio in quella pericolosità la sua enorme potenza. Il brano segue quest'apparentemente caotico susseguirsi di toni epici a momenti ora divertiti, ora ironici, a volte quasi rabbiosi, rimarcati da un uso mai eccessivo delle tastiere di Galvanelli, il quale trova proprio nella sintesi il giusto peso nella composizione, regalando tanto sfumature d'inaspettata eleganza, quanto momenti d'ironico disimpegno, rispondendo all'attitudine autoironica del protagonista alla chitarra. Ognuno fa il suo dovere: il batterista impone la sua corsa forsennata e ricca di varianti, il bassista la sua ruggente aggressività, il tastierista quelle esplosioni di colore care all'immaginario anni '80, e il chitarrista, ovviamente, la materia prima. 80's Movies è ben fatta, non banale, divertente. E tanto basta ad aprire l'opera. Ma cosa sarà successo al vecchio televisore su cui Matteo sta conducendo i suoi esperimenti? Cosa uscirà da quello schermo "perennemente sintonizzato su film anni '80"?

Oops
Oops, come suggerisce l'onomatopea, segna il momento in cui qualcosa nell'esperimento va storto. Il brano si presenta con una didascalia autoironica e citazionista, decisamente Brigo's style: A little mistake... again... I'm not stupid, I'm just drawn that way, ovvero "un piccolo errore... di nuovo... non sono stupido, è che mi disegnano così". Jessica Rabbit rimarrebbe compiaciuta dell'omaggio, ma Matteo è tutt'altro che stupido, e lo dimostra con un pezzone dai connotati progressivi vecchia maniera, di quelli belli duri e di non banale esecuzione. Danno spettacolo un po' tutti, soprattutto l'ottimo Alessandro Arcolin, com'era prevedibile in un pezzo basato su questi presupposti. "Oops" è una delle canzoni più strambe dell'album, e una delle più rimarchevoli sotto il profilo delle perfomance, strutturata su cambi di velocità, assoli di chitarra, incontri e scontri tra riff agguerriti e melodie disturbanti. I momenti più raffinati vedono Matteo suggerire boati, lampi di luce, segni evidenti che la situazione è totalmente sfuggita di mano, fuori controllo, e che dal vecchio televisore sta per giungere un caos fatto di esecuzioni vorticose, ritmiche al fulmicotone e bassi ruggiti di guerra, come a lasciar intendere la fascinosa pericolosità di quello che ci aspetta. Prima "l'errore", poi la partenza, le accelerazioni, le colluttazioni, gli istanti di rabbia e di paura, il divertimento, di nuovo le accelerazioni, epica e dramma che si mescolano tra loro in un tripudio di follia e di virtuosismo: mi sembra quasi di rivivere un Mad Max a caso! "Oops" è un gioiellino di canonici quattro minuti che sembrano sette, tante sono le varianti e le ricercatezze, gli attimi di trepidante concitazione e quelli di calcolata destrezza. Insomma, un pezzo tecnico, ma non un mero esercizio di bravura.

I Want to Believe
Nonostante il notevole inizio, è solo dal terzo capitolo che l'opera di Matteo entra nel vivo. Dal vecchio televisore, oggetto di un esperimento andato fuori controllo, iniziano ad uscire tutti i personaggi dei film anni '80: immaginate, in una sorta d'impossibile processione, venir fuori dallo schermo i robot, gli alieni, i machi oliati e le donne d'azione, i goblin di Jim Henson e i gremlins di Joe Dante, Yoda e Khan Noonien Singh, Scarface ed E.T., i Ghostbusters ed Eddie Murphy. Insomma, tutto. Per alcuni potrebbe essere uno scenario quantomeno inquietante, ma per il chitarrista è un'immagine paradisiaca, qualcosa che non potrebbe mai avere luogo in un mondo dominato dalla ragione, ma a cui lui sceglie di credere ugualmente. E così, il titolo della canzone è I Want to Believe (Voglio Credere), sconfinando nei 90's per parafrasare il famoso poster dell'agente Mulder, protagonista di X-Files. A racchiudere il senso ultimo del brano è però il sottotitolo: Fanstastic ideas for a fantastic world, where the illogical is logical, ovvero "idee fantastiche per un mondo fantastico, dove l'illogico è logico", a descrivere perfettamente l'amore per un cinema che senza giri di parole, un po' ingenuamente, andava a colpire la nostra fantasia con le sue "fantastiche idee", i suoi pianeti lontani, i suoi mostri, i suoi eroi. Quel mondo a suo modo romantico, in cui l'irrazionalità si fa logica: ecco, è quello il mondo ideale per Matteo Brigo. Visto il tema, l'inizio del brano è subito un omaggio ai canoni più caratteristici delle colonne sonore di un certo tipo di cinema, anche ma non solo anni '80, con un amore particolare per l'immenso Danny Elfman, e forse qualcosina di John Williams e Jerry Goldsmith. Un background di notevole spessore che ha trovato supporto nelle orchestrazioni di Galvanelli. Citazioni esplicite a parte, le influenze lasciano il tempo che trovano, giacché Matteo mette semplicemente in mostra quel sound che la sua mente associa a ricordi e nostalgie radicate nel profondo della corteccia cerebrale. La sua chitarra indugia in una sorta di marcia scandita con regolarità dalla sezione ritmica, concedendosi tutte le possibili divagazioni e i virtuosismi che un album di matrice shredding necessita, ma senza mai uscire troppo prepotentemente dalle righe, al contrario di quanto avvenuto nei brani precedenti. È come se il suo strumento volesse descrivere la regolare, incessante fuoriuscita di personaggi dal televisore, ma la magia, quella che richiama davvero al grande cinema di una volta, è tutta nelle abili mani del tastierista, nei suoi archi, nei cori, nei campanelli che aprono e chiudono la canzone. In poco più di tre minuti e mezzo c'è tutto: velata inquietudine, meraviglia, esaltazione, sbigottimento, ovvero tutti gli ingredienti per catapultarci al centro dell'azione.

Tokyo Invaders
Nonostante tutta la meraviglia dinanzi allo spettacolo descritto nel brano precedente, le cose precipitano rapidamente... c'era da immaginarselo! Il mondo ora è letteralmente in balìa dei personaggi usciti dal teleschermo; fantasmi, draghi, alieni e terminators compresi. Se cresci nella cultura anni '80, ci sono buone possibilità che tu sia venuto su a pane e Goldrake, e se proprio sei un vero otaku, pure con la grande animazione anni '90. Ovviamente è proprio il caso di Matteo, che omaggia il genere con questo brano dal titolo Tokyo Invaders - The Enemies, Dark Overlords of the Universe (Invasori di Tokyo - I nemici, oscuri dominatori dell'universo). Dopotutto, parliamo di un chitarrista che va in scena con la maglietta a tema "Neon Genesis Evangelion", a rimarcare quanto adori vedere Tokyo, anzi, Neo Tokyo 3, costantemente attaccata da poco angeliche creature aliene, gigantesche e assassine. Rullate forsennate, regolarmente seguite da fills vorticosi, definiscono la preponderante velocità di un brano dai toni eroici, amplificati dalle intuizioni del tastierista e dalle rabbiose mitragliate del basso di Luca Serasin, accompagnato, più che sovrastato, dall'esibizione di un chitarrista lanciatissimo, protagonista ma non preponderante, capace di mettere la sua tecnica al servizio della musica e non il contrario, ponendo così l'idea alla base dell'album al centro dell'attenzione, piuttosto che quel pur necessario autocompiacimento che caratterizza opere del genere. Insomma, Matteo Brigo mette in scena il suo personale concept chitarristico credendo fermamente nella sua idea, trovando un incredibile equilibrio tra presupposti "narrativi" ed esibizione strumentale, come questa folle corsa senza freni, senza il minimo accenno di rallentamenti, sintetizza perfettamente.

Loom
Il Nostro sa chiaramente come gestire la forma della sua opera, il caro, vecchio gioco di luci e ombre alla base di ogni classico; così, alla velocissima "Tokyo Invaders" segue una ballad ben più cadenzata, seppure non del tutto rilassata: Loom - What a Mess! Never give up and good luck will find you; (Telaio - Che casino! Non arrenderti mai e la fortuna ti troverà). Lo scienziato pazzo del rock si trova a dover risolvere un bel pasticcio, un improbabile intreccio spazio-dimensionale che richiama un immaginario telaio impazzito. Il personaggio di Matteo in effetti non si fa scoraggiare da nulla, convinto che la fortuna arrida gli audaci, e chissà, forse qui più che del personaggio parliamo dell'uomo, un chitarrista di estremo talento costretto - come tanti suoi colleghi - a districarsi nell'ingrato "telaio" del panorama artistico italiano. Restiamo tuttavia in ambito del concept, e cerchiamo d'immaginare il capellone in camice bianco armeggiare con i suoi alambicchi e la chitarra, pronto a porre rimedio all'apocalittico ritorno degli anni '80 sulla terra. La traccia si apre inaspettatamente su dolci ed evocative melodie di piano, sintetiche quel tanto che basta per dare meglio l'idea del contesto ottantiano, seguite ben presto da basso e chitarra, strumenti che definiscono ogni movimento rilevante del brano, mentre il batterista scandisce la sua prima, vera esibizione sulle righe. Nonostante tutto, però, "Loom" sembra rifuggire alla tendenza del "polpettone", che fare un gran lento è la cosa più difficile del mondo, e forse, non del tutto nelle corde di Matteo. Direi quindi che lasciare lo spazio a momenti epici e perfino battaglieri, pur non uscendo troppo dai canoni della ballad, sia una buona idea, figlia della consapevolezza dei propri pregi come dei propri limiti. Il brano si ammanta così di un'inedita solennità che non guasta, simbolo dell'idea di prendere di petto le situazioni e combattere in prima linea, rimboccandosi le maniche e lavorando sodo. Il tastierista accompagna l'esecuzione del basso e della sei corde discretamente ma continuamente, delineando sottigliezze e sfumature per portare infine a termine il lavoro, chiudendo "Loom" sulle stesse sonorità con le quali era iniziata, ma con un accenno di malinconia in più.

Level Up
Avete presente quelle sonorità che richiamano le vecchie consolle a 8 bit, quelle appena accennate sul pezzo d'apertura? Beh, eccole prendere il sopravvento nella spassosa Level Up - Time for training... wax on, wax off; (Salire di livello - Tempo di allenamento... metti la cera, togli la cera). Per rimettere a posto il gran casino descritto nel brano precedente, non basta solamente rimboccarsi le maniche, così lo scienziato della sei corde deve allenarsi duramente e superare i propri limiti, salendo di livello nel folle videogioco da lui stesso evocato. Ovviamente il titolo fa riferimento ai vecchi videogames, solitamente strutturati su livelli di difficoltà crescente in cui lo scopo, per l'appunto, è salire di livello fino ad arrivare alla conclusione (a parte quegli inferni digitali nelle vecchie sale giochi, infiniti e difficilissimi). Quanto alla cera, come saprete, non c'è niente di meglio che un sano e robusto allenamento insieme al sensei Miyagi, per affrontare quell'assurdo videogioco che chiamiamo vita. Naturalmente, considerata la natura del brano, è Galvanelli a fare la parte del leone su Level Up, usando le sue "orchestre viventi" per dar vita ad un mosaico citazionista divertente e divertito, solare e disimpegnato come lo spirito dell'intera opera. Nonostante tutto però ognuno fa la sua parte e si ritaglia il suo momento, non solo Matteo Brigo: basso e batteria sono fondamentali per dare il senso d'ineluttabile ripetizione delle vecchie musichette, cambiando impercettibilmente impostazioni a seconda dell'opera omaggiata, o della citazione appena accennata. Il chitarrista, dal canto suo, imita alla perfezione le melodie minimali anni 80/90 col suo ben più nobile strumento, scendendo dal piedistallo del classicismo per imbracciare un autoironia che lo porta - secondo chi scrive - a salire su di un gradino ancora più in alto, senza peraltro rinunciare a tocchi di genuino virtuosismo. Tre minuti di disimpegno che aprono ad un pezzo molto più duro, sebbene anch'esso non troppo serio.

Gremlins Ate My Neighbors
Il buon vecchio metallo pesante di scuola ottantiana si fa più evidente che mai nelle granitiche note di Gremlins Ate My Neighbors - Final Round! The Last Crusade; (I Gremlin hanno mangiato i miei vicini - Round finale! L'ultima Crociata). Il riferimento stavolta è a due capisaldi del cinema per ragazzi: "Gremlins" (1984) e "Indiana Jones e l'Ultima Crociata" (1989). Il primo è un gioiellino intriso di splatter vecchia scuola e sano gusto dell'orrido, il secondo è l'ultimo episodio della trilogia di Indiana Jones, quello con Sean Connery nella parte del padre di Indy. Entrambi i film sono diretti da Steven Spielberg. Ora, a me piace Spielberg, ma credo che per Matteo sia un vero e proprio fetish. Dopotutto, quale regista è più emblematico del cinema fantastico e avventuroso degli anni '80? Concettualmente - non tecnicamente, attenzione - il brano è un po' debole, nel senso che esce fuori dalla narrazione in musica dell'album per omaggiare un'opera in particolare. L'unico legame con la situazione immaginata da Matteo e quella messa in scena su "Gremlins", sta nella visione di un'ammucchiata di creature fantastiche che invadono la nostra quotidianità, devastando, sporcando, divorando ogni cosa in un tripudio di politicamente scorretto. Stavolta a dominare e definire la personalità della canzone è decisamente Matteo, supportato da un basso agguerrito e creativo, da tastiere quasi invisibili ma non per questo prive di scopo, e da una batteria ruvida al punto giusto, creativa all'occorrenza. In effetti il lavoro di Luca Serasin è davvero determinante nel dare al brano la sua aggressiva personalità, ruggendo e scalpitando, mentre lo scienziato pazzo esprime il suo estro senza alcuna barriera concettuale, senza l'impiccio di dover citare per forza qualcosa in particolare, sebbene non manchino velati richiami. Epica, guerresca ed esaltante, "Gremlins Ate My Neighbors" trascina l'album verso la sua fase conclusiva, ed il suo protagonista verso l'atteso scontro finale.

It's All in the Reflexes
Certo, però, che citare John Carpenter è davvero un colpo basso: annulla ogni possibile critica oggettiva e apre le porte all'amore incondizionato. "Questione di riflessi!", si bullava Kurt Russel in "Grosso Guaio a Chinatown", ovvero It's All in the Reflexes. Pare che lo Scienziato abbia capito dove sta l'inghippo, e cosa, nell'esperimento, sia andato storto, ed è intenzionato a porvi rimedio. "I came, I saw, I kicked It's ass", afferma spavaldo, parafrasando Bill Murray in quella meraviglia che era Ghostbusters ("venimmo, vedemmo, e lo inculammo", nella perfino più colorita versione nostrana). Le atmosfere si fanno inaspettatamente molto classiche, in una miscela fin troppo stratificata per poter essere del tutto decodificata... qualcosa a metà tra il John Lee Hooker più elettrico, Mark Knopfler e perfino Eddie Hazel, che non mancano accenni funk, sebbene sia molto probabile che i reali riferimenti di Matteo non siano così diretti, ma già derivativi, così come derivativo è questo brano ricco di spunti e interpretazioni, figlio sia di varie e diverse esperienze musicali, sia della volontà di rendere omaggio a elementi culturali anche molto distanti tra loro. Dopotutto, non mi stupirebbe se Matteo Brigo fosse anche un estimatore di film come The Blues Brothers, sebbene quello dei musical sia un campo minato senza sfumature di sorta: o li ami, o li odi. Il batterista sa qui passare dai numeri spettacolari dell'hard rock e del metal ottantiano ad uno stile differente, più semplice ma di non facile interpretazione, un classicismo che richiede un certo tipo d'eleganza e carattere. Ci riesce perfettamente, ed il bassista non è da meno. È infatti Luca Serasin a definire l'andamento raffinato e guardingo della canzone, come a suggerire all'ascoltatore una sorta di cauto, preciso tentativo di porre rimedio all'esperimento fuori controllo. Mentre il tastierista delinea quegli elementi che regalano all'opera sfumature sonore e culturali diverse, molte delle quali di matrice europea, Matteo costruisce la sua personale reinterpretazione dei grandi classici in chiave moderna, lasciando che tutte le sue influenze, a partire dai capisaldi anni '80, ma arrivando fino ad oggi, contaminino il suo sound per farci dono di qualcosa che definirei quasi inedito, di già ascoltato eppure molto personale: un risultato non banale per un disco che vuol richiamare sonorità già conclamate, e ancor più notevole in un brano dall'anima blues. Essendo chi scrive un amante di stilemi anche molto tradizionali, questo pezzo vince fin troppo facile e raccoglie tutto l'amore possibile, ma "It's All in the Reflexes" dimostra realmente non solo una preparazione non comune da parte dei musicisti, capaci di assorbire influenze diverse a loro piacimento, ma anche uno sguardo tridimensionale da parte dell'autore alla totalità della sua opera, che arricchisce con una varietà talvolta sconosciuta perfino ai Grandi della sei corde, senza tuttavia rinunciare a dare al sound la sua personalissima firma. Insomma, da paura. E poi c'è quella citazione a John Carpenter, non vale!

1.21 Gigawatts
Il primo album solista di Matteo Brigo era già pieno di riferimenti a Ritorno al Futuro, ma questo non è evidentemente un buon motivo per non omaggiare, ancora e ancora, la saga di Doc e Marty McFly. 1.21 Gigawatts, infatti, era l'energia che richiedeva la DeLorean per compiere il salto nel tempo, ed è anche il titolo del penultimo brano in scaletta, una gran raffica di potenza prima del gran finale. A sottolineare l'energia del brano anche la didascalia, citazione di ben due pellicole col macho pompato per eccellenza: "I ain't got no time to bleed... Get your ass to Mars!". Sì, parliamo di Arnold Schwarzenegger, e di nuovo sì, parliamo di "Predator" (non ho tempo per sanguinare...) e di Atto di Forza (...Porta il tuo culo su Marte!). Due grandiosi film d'azione per una canzone altrettanto "action", teatro dell'ultima battaglia contro la minaccia anni '80. Il suono di una scarica elettrica anticipa una corsa sfrenata che pesa tutta sulla sei corde, in un'esecuzione che sembra riportare alle colonne sonore di film capaci di alternare, con disarmante leggerezza, scene d'azione e perfino di dramma ad altre più leggere, solari, addirittura comiche. La ritmica forsennata non impedisce ai musicisti di virare su alcune raffinate divagazioni, ma è Matteo a fare suo il significante ideale del pezzo conferendogli ogni elemento caratterizzante, tra cui una tensione definita da distorsioni squillanti, segnale di un pericolo cui la chitarra stessa risponde correndo ancora più veloce, suggerendo quell'epicità che trabocca dall'intero album, propositiva e agguerrita. Il finale, grazie ad un Galvanelli mai uguale a se stesso, sfocia quasi in una sorta di rock 'n' roll impazzito, un ultimo sprazzo di puro caos pieno di creature impossibili ed eroi fuori contesto, prima dell'improvviso, drammatico ending di questa storia.

May the Force Be With You
L'ultimo pezzo, il gran finale di Matteo Brigo, è un tripudio di citazioni. Il titolo infatti richiama alla saga fantastica per eccellenza: Star Wars. May the Force Be With You, ovvero "che la forza sia con te", come recita l'augurio più caratteristico nella Galassia-lontana-lontana, è anche il perfetto auspicio per il protagonista di 80's Movies. Lo scienziato pazzo del Rock è riuscito a chiudere la falla, ripristinando il normale ordine delle cose... ma la sua eroica azione ha avuto tragiche conseguenze! Da qualche parte nello spazio-tempo, egli sussurra "Lost in space... I'll be back... The spice must flow" (perso nello spazio... tornerò... La spezia deve fluire). Tranquilli, vi spoilero tutto: Matteo cita direttamente la serie TV del '65 "Lost in Space" (o il filmetto del '98), poi il primo Terminator, nella scena che anticipa l'agghiacciante strage alla stazione di polizia, ed infine "Dune", nella versione cinematografica di David Linch del 1984. L'attacco iniziale del brano riporta ad astratte, oscure atmosfere distopiche, qualcosa decisamente alla Blade Runner, per poi lasciar esplodere il boato rauco di basso e chitarra elettrica, ambedue caratterizzati stavolta da richiami piuttosto contemporanei, tipici di molto metal alternativo anni 2000 e del post rock anni '90. Tutto questo, però. senza assolutamente dimenticare l'attitudine alla tradizione né farsi mancare il lato citazionista, più che mai vivo nella divertita esecuzione del Tastierista ed in molte intuizioni dello stesso Matteo Brigo. Dopotutto, con i suoi quasi sei minuti di durata, "May the Force..." è il brano più lungo del disco, qualità che gli consente esecuzioni sopra le righe e una varietà inedita di suggestioni. L'epicità che trasuda l'intera opera si fa sofferta, perfino commovente nel sottinteso sacrificio del protagonista, ma le continue variazioni ritmiche, stilistiche e atmosferiche, suggeriscono anche una reazione, il combattimento, la sofferenza, la determinazione. Pur nella veste necessariamente parodica di cui Matteo si avvale, il chitarrista non rinuncia ai più alti e drammatici valori che il cinema fantastico anni '80, nonostante il suo apparentemente disimpegno, ha sempre coltivato ed insinuato negli spettatori. Il brano ruota su una parentesi meno grave, perfino buffa, per poi tornare su movimenti energici, ruggiti squillanti, deflagrazioni eroiche, in una delle corse più esaltanti di tutto l'album, e forse la più sentita. La coda, sfumata ed echeggiante, suggerisce ciò ch'era sottinteso nella frase di Arnold: "I'll be back".

Conclusioni
Indicare 80's Movies come un buon disco, non privo di sprazzi di vera e propria genialità, non è difficile: belle composizioni, intuizioni sopra le righe ed esecuzioni mai meno che eccellenti, specialmente quelle dell'autore dell'opera: Matteo Brigo. Per non parlare poi dell'ottimo lavoro di registrazione e missaggio ad opera di Alex de Rosso, vecchia guardia del rock italiano. Credo sia tuttavia necessario cercare di capire perché, quest'album, non sia solo un prodotto godibile e ben confezionato, ma un lavoro dalla portata ben più ampia e sopra le righe, nonché la riconferma di un artista da tenere d'occhio. Come spesso accade per opere la cui narrativa è definita dalla forma, la fruizione di 80's Movies inizia fin dalla copertina: un'illustrazione ad opera della già citata Flaminia Spinelli, anche autrice di molte delle idee grafiche e delle illustrazioni dell'opera di Matteo. Sul disegno, realizzato in uno stile parossistico, coloratissimo e caricaturale , spiccano lo Scienziato pazzo, il suo assistente vegetale (!) e la chitarra vivente, mentre sullo sfondo fanno capolino, da una fenditura spazio-temporale, tutte le creature, gli eroi, gli antagonisti, i mostri e le meraviglie del cinema ottantiano (tra cui Yoda, Chucky, Falkor da "La Storia Infinita", Slimer da "Ghostbusters", La mucca di "Top Secret!", Alien, forse Bubo da "Labyrinth", una specie di Robocop, Alien, ed infine un tizio che sembra un mix tra Ash e il punk del secondo Mad Max). È un'illustrazione pregevole ed efficace, ma la sua importanza non è nella buona fattura, caratteristica cui siamo piuttosto abituati, in ambito rock&affini, bensì nel mosaico che compone assieme agli altri disegni, ai poster, alle grafiche sul sito e su facebook, ai banner, perfino alle immagini del profilo e della copertina, ma soprattutto agli spassosi video che Matteo pubblica su Youtube. L'ultimo di questi video, realizzato da Paola Balasso ai Larsen Studio di Luca Shivay, sebbene artigianale mette in luce passione, competenze e soprattutto molto, molto impegno, specialmente se pensiamo alle limitate risorse a disposizione. La stessa attenzione all'immagine era già presente nella realizzazione di "It Works!", forte di un paio di video efficaci in cui, al centro, c'era sempre e comunque lo Scienziato pazzo, scatenato nel mettere in scena il suo personaggio tra facce assurde e mosse ad effetto. Fin qui nulla di strano: nel 2018 qualsiasi entità artistica che speri non dico di uscire da un relativo anonimato, ma anche solo di lavorare, deve per forza curare la propria immagine. E internet, chiaramente, è lo scenario più conveniente. A fare la differenza non il cosa, ma il come. Gli anni '80 che Matteo esalta nel suo lavoro solista hanno segnato, nel bene e nel male, l'inizio della cultura delle immagini: la TV era entrata in tutte le case, e il video uccideva la stella della radio, i trucchi di scena e gli abbigliamenti si facevano sempre più assurdi e gli show sempre più estremi. Lo spettacolo e la dissacrazione hanno sempre fatto parte del rock 'n' roll, dall' "osceno" ancheggiare di Elvis alle "magie" col theremin di Jimmy Page, ma è negli anni '80 che l'attitudine alla spettacolarità diviene regolare forma mentis per un'intera generazione d'artisti, e non c'è categoria che abbia incarnato tale attitudine più dei chitarristi del cosiddetto shredder boom: dai Van Halen a Satriani, passando per Vai e Vinnie Moore, questi geni della sei corde univano creatività, tecnica e smargiasseria per dare al pubblico uno spettacolo unico, portando alle estreme conseguenze un cammino iniziato nelle tre precedenti decadi. Dopotutto, lo show era iniziato da un chitarrista che si diceva avesse venduto l'anima al diavolo. Col tempo, più i videoclip si facevano raffinati, più andava perdendosi la teatralità delle esecuzioni, mentre le chitarre andavano facendosi minimali e ripetitive. Andatelo a dire, a 'sti ragazzini, che una volta suonare non significava eseguire mere copie dei pezzi in studio, ma improvvisare - o quasi - buona parte del repertorio! Matteo Brigo recupera una gran fetta di quel background e di quella mentalità, riproponendola però in una chiave del tutto personale attraverso strumenti contemporanei, costruendo giorno dopo giorno il suo personalissimo personaggio fatto di un nome, un look, una professione e di un universo tutto suo, differentemente dalla gran parte delle band in area metal le quali, semplicemente, tendono cautamente a riproporre modelli conclamati senza guizzi d'originalità. In un contesto come quello attuale, in cui l'offerta audio-visiva è soverchiante e l'attenzione del fruitore sempre più vacua, quella di Matteo a rimettere in primo piano esibizionismo e abilità pirotecnica, è quantomeno una sfida affascinante. E infine, è proprio questa particolare estetica a rendere davvero interessante l'idea del concept strumentale: un format certamente inconsueto ma non del tutto inedito, figlio peraltro di radici classiche che il metal, più di qualsiasi altra corrente contemporanea, ha saputo riscoprire. Ancora una volta sono il personaggio, il suo universo e la sua estetica a fare la differenza, donando all'opera una concretezza d'intenti rara e palpabile, in cui ogni pezzo s'incastra in un puzzle tanto semplice quanto efficace. L'immaginario ottantiano sul quale Matteo Brigo forma il suo personaggio fornisce già situazioni, eroi e antagonisti efficaci, ma soprattutto fornisce la materia prima: la musica. O meglio, il suo "spirito". Al netto di sapienti omaggi e citazioni, il chitarrista non copia un bel niente, ma riesce a far suoi gli stilemi alla base dei vecchi film e delle loro colonne sonore, carpendone l'anima. L'album stesso si trasforma così in una sorta di colonna sonora, la soundtrack di un film di cui percepiamo le immagini senza vederle, lo sfondo di una storia cui lo spettatore stesso delinea la trama attraverso una manciata di citazioni sul titolo, e di cui immagina i personaggi grazie al fitto lavoro d'illustrazioni. Tanto semplice quanto geniale. Legati dallo stesso contesto storico e culturale, virtuosismo e cliché cinematografici formano un mix davvero perfetto, e cosa più importante, al passo con un sentire collettivo diffuso. Se proprio dovessi andare a cercare un difetto, direi che nonostante la presenza di una discreta ballad, "Loom", manchi un pezzo davvero carico di quella malinconia un po' innocente, di quel dramma senza mezze misure che il cinema anni '80 ha sempre saputo regalare. Probabilmente, si è pensato non andasse bene con l'approccio caricaturale e disimpegnato del disco, il che da un lato è senz'altro vero. Dopotutto, senza perdersi in confronti con l'opera di un Satriani oppure un Malmsteen, 80's Movies è un gioiellino di follia, tecnica, velocità e simpatia; niente di più, niente di meno. Matteo Brigo, che tra le altre cose insegna chitarra moderna presso diverse sedi, nonché musicoterapia in numerosi centri per disabili, e che con i The Kolossal ripropone le migliori hit dei film anni '80, confeziona così il secondo capitolo di quella che si spera diventerà una trilogia: perché se con "It Works!" l'estetica e i presupposti narrativi erano ancora mero pretesto, con 80's Movies si fanno definitivamente sostanza, alzando sensibilmente l'asticella della qualità e delle aspettative. In fin dei conti il finale al cardiopalma non lascia adito a dubbi: He'll be back!

2) Oops
3) I Want to Believe
4) Tokyo Invaders
5) Loom
6) Level Up
7) Gremlins Ate My Neighbors
8) It's All in the Reflexes
9) 1.21 Gigawatts
10) May the Force Be With You


