MARDUK

Those Of The Unlight

1993 - Osmose Productions

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
11/02/2015
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Recensione

Recensiamo oggi un capitolo importante della discografia dei Marduk, (i colossi del black metal svedese capitanati dal chitarrista Evil alias Patrik Niclas Morgan Håkansson), ovvero il secondo album dei nostri, intitolato "Those of the Unlight - Quelli dell'Oscurità". Un disco importante per diversi motivi legati alla storia della band ed al suo sviluppo nel crescente panorama scandinavo: partiti nel 1991 con la demo "Fuck Me Jesus", ancora una piccola realtà poco conosciuta, riescono l'anno successivo a pubblicare il loro debutto ufficiale, "Dark Endless", sotto l'ala della "No Fashion Records"; entrambi i lavori, che condividono diverse tracce, mostrano un suono largamente debitore del death, tra andamenti contratti con stop e riprese, e pause doom funeree piene di essenza putrida. S'inseriscono però cavalcate in doppia cassa fredde ed evocative, le quali richiamano il nascente black, così come le grida di Dread (Andreas Axelsson), al momento cantante del gruppo. L'immaginario è inoltre inequivocabilmente occulto e satanico, abbracciando apertamente e con convinzione gli stilemi del verbo nero propagandato dalla Norvegia. Una fase quindi se vogliamo "embrionale", durante la quale i nostri hanno modo di esaurire le influenze death, praticamente inevitabili in un gruppo svedese di metal estremo dell' epoca, raggiungendo un songwriting più propriamente black. Questo mutamento si delinea appunto nel secondo lavoro qui analizzato, il quale inoltre vede l'inizio del lungo sodalizio con la Osmose Productions, etichetta francese ancora oggi attiva nel mondo del metal più duro ed intransigente. La formazione vede il primo sostanziale cambiamento, inaugurando una serie di modifiche che si alterneranno negli anni, segnando diversi periodi e sviluppi nella discografia dei Marduk; Dread lascia, sostituito alla voce dal precedente batterista Af Gravf (Joakim Göthberg) il quale si occuperà di entrambi i ruoli, seguito dal bassista Rickard Kalm,  il quale verrà sostituito dal nuovo membro Bogge (Roger Svensson). Rimangono invece i due chitarristi Evil (naturalmente) e Devo (Dan Everth Magnus Andersson), offrendo anche per l'occasione un doppio apporto per lo strumento a corde; con questa line up entrano ancora una volta presso gli "Hellspawn Studios", sfornando il loro primo album pienamente appartenente al black metal della seconda ondata, che ormai aveva configurato le sue direttive distaccandosi sia dal black primordiale sia dal precedente "thrash nero" (Venom ecc.). Nello stesso anno infatti i Darkthrone danno alle stampe "Under A Funeral Moon", il quale incomincia a distanziarsi più marcatamente dai suoni death precedentemente presenti in maggiore quantità nel loro stile, mostrando anche una produzione più lo-fi, caratteristica che poi influenzerà centinaia di band; Burzum pubblica l'EP "Aske" e l'album "Det Som Engang Var", continuando a delineare i connotati della variante più atmosferica e pagana del genere, mentre i Mayhem vedono immortalati i loro show con l'allora defunto Dead (Per Yngve Ohlin) e l'ancora (per poco) vivo Euronymous (Øystein Aarseth) nello storico "Live In Leipzig". Un pieno fermento quindi, che influenza anche i cugini-nemici svedesi; qui è ancora il death il genere dominante, ma non bisogna dimenticare che Bathory Dissection hanno lasciato un'oscura eredità, che presto verrà raccolta da gruppi feroci  decisi a superare la violenza cacofonica dei norvegesi. In questo quindi i Marduk sono degli apripista, e non a caso saranno presto il nome più altisonante di questa variante del suono nero, legata più alla violenza musicale e all'immaginario fantastico di stampo blasfemo, e meno ai fatti di cronaca e ad azioni realmente dolose (cosa che naturalmente sarà rinfacciata da certi blackster oltranzisti che vedranno il black come un vero e proprio credo militante); "Those of the Unlight" segnerà il loro emergere, ampliato poi da concerti in compagnia di nomi come gli Immortal che li faranno conoscere agli amanti del nuovo suono estremo. Il "nuovo" cantante presenterà un timbro ancora più isterico e gridato, mentre la musica sarà ora più diretta e veloce, in un assalto sempre meno mediato e basato su muri di chitarre fredde ed ossessive. Il mixaggio verrà curato da Dan Swanö, leader degli Edge Of Sanity e produttore, il quale inseguito si occuperà anche dei primi lavori dei Dark Funeral, contribuendo quindi alla nascita e crescita del black svedese.

"Darkness Breeds Immortality - L'Oscurità Porta Immortalità" apre il lavoro con dei rulli di batteria seguiti subito da una corsa di chitarre in tremolo fredde e caotiche, tempestate da blast beat ultra veloci che segnano l'inasprimento del suono dei nostri; ogni tanto abbiamo dei brevissimi stop discordanti appena percepibili, ma l'essenza della sezione è quella di una cavalcata lanciata senza compromessi. Al tredicesimo secondo intervengono le urla in riverbero di Af Gravf , raggelanti e dilatate nella loro empia manifestazione; con esse il movimento prosegue adrenalinico, ma la batteria si fa più ritmata, pur conservando tutta la sua veloce energia; le chitarre costituiscono un loop tagliente continuo, giostrato su giri circolari ripetuti in una distorsione costante. Al ventiquattresimo secondo abbiamo uno stop improvviso, dopo il quale parte un fraseggio frenetico e solenne, tempestato da piatti di batteria dilatati: ecco che esso si sviluppa in un nuovo andamento isterico, sul quale il drumming si lancia folle e il cantante incomincia con le sue vocals maligne e crudeli. Si creano veri e propri fiumi sonori in piena, dove le chitarre instaurano un muro costante, e la batteria ci bombarda con colpi ossessivi; essi si fermano al quarantaquattresimo secondo dando spazio ad una digressione imponente con ritmica dilatata. Essa prosegue strisciante e malevola, con un'oscura tensione pronta ed esplodere. Al contrario però della facile aspettativa di una nuova esplosione, ecco che al cinquantottesimo secondo parte un fraseggio sostenuto dalla melodia incalzante, il quale dimostra come comunque i nostri non abbiano del tutto rinunciato alle tempistiche più controllate; si riprende poi al minuto e nove con il loop precedente, in un movimento a media velocità costante e delineato dai colpi distribuiti di batteria. Af Gravf prosegue con le sue grida taglienti, in un perfetto connubio atmosferico tra performance vocale e strumentazione tetra e solenne; ecco che al minuto e ventidue abbiamo un nuovo fraseggio dilatato con piatti organizzati e rullanti di batteria. Si arriva al minuto e trenta, dove dopo una bordata con breve silenzio, si rilancia la cavalcata selvaggia a tutta potenza: nuove tormente di chitarre impazzite e blast costanti, in un movimento grandioso. Dopo un breve ponte con chitarra distorta, riprende l'andamento frenetico, questa volta accompagnato anche da un fraseggio veloce vorticante, e dal basso greve ben udibile in sottofondo nei suoi giri scordati; al secondo minuto e tre rimane solo un rifting roccioso che riprende la melodia precedente nei suoi appassionati loop in tremolo, tempestato sempre dalla doppia cassa. Su di esso torna a stagliarsi la voce di Af Gravf, piena di riverbero e spettrale nella sua furia senza fine, mentre il drumming cadenzato avanza inesorabile; al secondo minuto e ventitré una leggera accelerazione alza il livello adrenalinico in maniera coinvolgente e trascinate, creando un effetto incalzante. Poco dopo abbiamo un nuovo rallentamento che lascia spazio a chitarre solenni e dilatate, intervallate da punte più serrate in un contrappunto ben studiato; all'improvviso al secondo minuto e quaranta intervengono una serie di riff in tremolo con colpi di piatti, dopo i quali riprende la corsa frenetica. Nuova doppia cassa  e loop impazziti dunque, mentre il cantante si rilancia isterico nelle sue grida. Ma al secondo minuto e cinquantaquattro essa si ferma con un tetro fraseggio, il quale si sviluppa accompagnato da piatti e rullanti di batteria; ecco poi che si riprende velocità con il ritorno del motivo discordante e del drumming in galoppo, segnando una sezione incalzante e imperioso. Su di essa torna lo screaming disperato di Af Gravf, coadiuvato dai colpi serrati di batteria e dalle chitarre taglienti; all'improvviso abbiamo un arpeggio delicato che chiude il brano in maniera decisamente atmosferica che controbilancia le diverse cavalcate affrontate. Il testo narra di una terribile visione: un angelo in estasi  volteggia nel cielo brillante, osservato da basso, nascosti nelle tenebre, da terribili esseri che evocano le forze delle tenebre. Ecco che d'improvviso l'angelo cade, mentre il cielo si fa nero, ed egli grida il suo sconforto ("I hear an angel in vain screaming "why"? - Sento un angelo gridare in vano "perché?"), accompagnato dalla pioggia che inizia a scendere in una tempesta; coloro che osservano hanno negli occhi un'oscurità bruciante, e alzando le braccia sospirano "This is our return - Questo è il nostro ritorno" in un rito malvagio. Il Sole è stato sconfitto, e ora rimane solo l'oscurità, in una notte senza fine, dove il sole "sanguina" scomparendo, infiammando i cieli; infine gli osservatori deridono le forze della luce mentre si ritirano nelle tenebre ("We mock the light") pronti a morire silenziosamente. Un testo quindi nero e malvagio, anche se non apertamente satanico come alcuni incontrati in precedenza, più improntato su connotati fantasy che caratterizzano molta dell'opera; l'ispirazione (come spesso accade nel black scandinavo) è principalmente tratta da Tolkien, i cui personaggi compariranno anche negli altri episodi del disco, autore largamente influenzato sia dai miti celtici e germanici, sia dalla religione Cattolica, che per ironia della sorte sarà largamente ripreso dai blasfemi rappresentanti del nuovo metallo oscuro. "Those of the Unlight  - Coloro Che Fanno Parte Della Non Luce" è la title track, introdotta da un rifting freddo e solenne ricco di melodia atonale; su di esso incominciano a stagliarsi colpi di batteria, che poi prendono velocità mentre le chitarre si lanciano in un loop ossessivo. Af Gravf entra con le sue urla sgolate, aumentando l'adrenalina del turbine in doppia cassa ottenuto; si prosegue quindi con i giri ripetuti in tremolo, in una sezione stordente che ci assalta subito mettendo le cose in chiaro. Al ventisettesimo secondo parte un fraseggio in solitario che riprende la melodia atonale portante, delineato da alcune bordate circolari in un andamento dinamico; ecco che poco dopo la composizione si stabilizza in un bel movimento incalzante, ma controllato, accompagnato da piatti cadenzati e da giri di basso solenni. Proprio un arpeggio dello strumento greve delimita poi il songwriting con una cesura evocativa che ripropone l'andamento melodico che fa da perno al brano; ecco quindi che riesplode la cavalcata iniziale, dove la voce di Af Gravf segue gli andamenti delle chitarre vorticanti, e la batteria si lancia in una doppia cassa serrata. L'atmosfera è gelida e perfettamente black, con tempeste frostbitten modulate dai loop di chitarra, mentre il drumming tirato dritto scolpisce veloce il ritmo trascinante; la melodia atonale crea un'aura malinconica e tetra comune a gruppi come gli Immortal, stabilendo il legame ormai consolidato con il black metal scandinavo. Al minuto e otto piatti di batteria e un grido rauco allungato creano una breve pausa; dopo di essa riprende la corsa ancora più frenetica e serrata. Al minuto e ventidue i connotati si fanno più cadenzati, con una batteria incalzante e rocciosi riff circolari a motosega. Riesplode quindi il turbine estraniante, in una composizione nervosa piena di esplosioni solenni, sottolineate dall'enfasi delle grida altisonanti del cantante; tornano poi le bordate ritmate ad accordatura bassa e drumming cadenzato, in una sezione esaltante e feroce. Si prosegue fino al minuto cinquantuno, dove si delinea un assolo dalle scale stridenti e vorticanti; esso evolve in loop continuo bombardato dai blast di batteria, creando un'ultima corsa ossessiva che si lancia nel finale, che si lega tramite un fraseggio al pezzo successivo. Il testo è più apertamente diretto al mondo di Tolkien; esso infatti parla dei Nazgûl, originariamente nove re degli uomini, corrotti dagli altrettanti anelli creati da  Sauron, il malevolo discepolo di Morgoth che ne continuerà l'opera dopo la sua sconfitta ed imprigionamento. Essi con il tempo diventano spettri asserviti al volere dell'unico anello, a metà strada tra la vita e la morte; cavalcano sulla terra rimbombando come una tempesta, espandendo la loro oscura glacialità, "Evolved into creatures that existed at the edge - Evoluti in esseri che vivono al limite", ovvero tra il regno dei vii e quello delle ombre. Essi non vivono veramente, ma non possono nemmeno morire, condannati quindi a un "non stato" dove odiano tutto ciò che è vivo e puro; "Forever dying but never dead, The nine - Those of the unlight - Sempre morenti, ma mai morti, I nove - Coloro che fanno parte della non luce."  Li definisce il testo, ripetendo il concetto sul loro destino tetro. Essi sono quindi come congelati sul limite della morte, schiavizzati dal Signore Oscuro, ovvero Sauron; sono diventati come un prolungamento della sua ombra, facendo da tramite per la sua esistenza, mente egli è ora incorporeo e incapace di manifestarsi fisicamente. Un testo quindi che mette da parte qualsiasi discorso blasfemo o satanico, parlando invece dell'opera dell'autore inglese, pur con una certa preferenza per il suo "lato oscuro"; è inevitabile pensare che esso sia stato influenzato dall'utilizzo del suo immaginario da parte di altri gruppi (si pensi a Burzum il cui nome deriva dalla lingua immaginaria della Terra di Mezzo) del black, cosa che deve aver colpito gli allora appena ventenni Marduk, desiderosi di rispettare i canoni e i topoi del genere nascente. "Wolves - Lupi" riprende il fraseggio iniziato alla fine del brano precedente, il quale si diretto, accompagnato poi da un drumming incalzante in un effetto crescente; la ritmica è supportata dal basso di Bogge, ben udibile (cosa sorprendente per un album black metal, genere che spesso penalizza tale strumento) nei suoi giri discordanti. La batteria delimita l'andamento con alcuni rullanti, rimanendo però mediamente concisa nel suo spingersi in avanti; al trentaquattresimo secondo continua il movimento, ora più solenne e accompagnato da piatti di batteria in una cesura che fa da collegamento con la parte successiva. Essa arriva al quarantesimo secondo con un grido rauco di Af Gravf, a cui seguono le sue drammatiche declamazioni striscianti e maligne; intanto al strumentazione prosegue nel suo loop costante, sottolineata dagli acuti feroci del cantante. Ecco che al minuto e cinque all'improvviso esplode la doppia cassa, velocizzando il tutto in una corsa piena di chitarre taglienti in tremolo e grida lanciate; ma al minuto e ventitré si torna all'andamento precedente, in una dinamica alternanza dal grande effetto. Si prosegue quindi sulle coordinate ormai familiari fino al minuto e quarantotto; qui un fraseggio roccioso rallenta il tutto, espandendosi nei suoi giri grevi e distorti, sottolineati da rullanti di batteria. Con sorpresa al secondo minuto e due parte un assolo stridente, che si sovrappone abilmente con le vocals di Af Gravf potenziandone la natura tagliente; esso prosegue poi in scale ben elaborate, pieno di atmosfera triste e spettrale. Al secondo minuto e quarantacinque l'assolo si esaurisce, lasciando spazio al rifting circolare solenne e monolitico che avanza greve accompagnato dai colpi controllati di batteria, sviluppandosi in loop ammalianti; al secondo minuto e cinquantasei al melodia si fa ancora più struggente ed altisonante, mentre il cantante interviene con grida gracchianti in riverbero. Si sovrappone poi su di essa un fraseggio freddo e tagliente, anch'esso ricco di melodia atonale struggente e malinconica; tutto si ferma al terzo minuto e venuto, lasciando posto ad una digressione distorta delineata da colpi di batteria e bordate dilatate di chitarra. Ecco poi l'esplosione della doppia cassa e delle chitarre in tremolo, mentre Af Gravf si da ad un sussurro rauco pieno di effetto, ricreando un'atmosfera sepolcrale ed oscura; si prosegue quindi su queste coordinate fino al terzo minuto e cinquantasei, dove un nuovo fraseggio solenne e piatti cadenzati creano un'ennesima cesura. Essa si sviluppa poi in un motivo incalzante ed ieratico, il quale striscia in concomitanza con il drumming cadenzato, mentre Af Gravf torna con le sue esclamazioni rauche piene di pathos; l'andamento è costante in un loop grandioso e trascinante nelle sue note lente e pesanti. Al quarto minuto e cinquantuno una punta altisonante con piatti di batteria crea una nuova pausa ripetuta, la quale si sviluppa in un refrain reiterato, mentre i pedali di batteria creano pedali incalzanti in sottofondo; si continua così mentre il drumming conosce colpi secchi ritmati. Al quinto minuto e ventitré parte per l'ultima volta una fredda cavalcata frostbitten con doppia cassa e loop in tremolo freddi e taglienti, concludendo il pezzo con un'accelerazione frenetica, la quale poi si fa più incalzante e serrata, mentre le vocals del cantante proseguono fino ad un feedback improvviso, il quale segna il finale con un'eco spettrale. Il testo racconta di un gruppo di guerrieri definiti come lupi, i quali percorrono molte miglia ricercando qualcosa di perduto "Before the first rays of light - Prima dei primi raggi di luce", in un terribile tormento; essi disperati dedicano tutta l'esistenza a questa ricerca, seguendo tracce ed esplorando di continuo. L'eternità, la tenebra, l'oscurità sono per loro pezzi di un puzzle, mentre confusi continuano a trovarsi in un labirinto mentale; essi odiano la propria vita, perché ogni volta che stanno per raggiungere il loro obbiettivo, ritornano da capo con "Yet so many lifetimes to go - Ancora molte vite da condurre". Il significato è astratto e non molto chiaro, ma si può pensare alla figura dei Berserker nordici, guerrieri posseduti dal fervore di Odino spesso associati a lupi o orsi mannari; diversi significati possono essere dati alla loro ricerca, forse la loro identità atavica pagana, mentre notiamo i connotati tragici del loro destino avverso, che li condanna in un rivivere costantemente la ricerca, senza che questa abbia mai fine. Ancora una volta quindi niente attacchi satanici, per un album che a discapito degli intenti della band di "essere la più blasfema al mondo" offre uno spazio tematico molto più evocativo e fantasy rispetto al passato; elemento come già detto non inedito comunque, dato che sia gli Immortal, sia Burzum hanno nei loro testi diversi punti mitologici e fantastici lontani dal satanismo più spinto. "On Darkened Wings - Su Ali Nere" ci accoglie con suoni filtrati spettrali, che creano una nebbia sonora evocativa e tetra, sotto al quale percepiamo campionamenti di tempesta che si avvicinano; ecco che al diciassettesimo secondo parte una marcia solenne con blast ripetuti e giri di chitarra epocali. Essa prosegue martellante in un grande effetto incalzante e trascinante; al trentaquattresimo secondo prosegue più dilatata, mentre Af Gravf compare con le sue grida in riverbero iniziando la sua empia performance. L'andamento è cadenzato ed ipnotico, giocato su loop costanti sorretti dal drumming ben organizzato e potente; ecco però che al cinquantaseiesimo secondo esso viene interrotto da un fraseggio solenne e distorto. Prendono piede su di esso piatti serrati di batteria e bordate di basso ripetute, in un effetto adrenalinico in crescendo; l'accentuazione di quest'ultimo è lasciata la primo minuto all'aggiunta di una serie di rullanti imperiosi. Ecco quindi che esplode la doppia cassa, mentre tornano le grida feroci di Af Gravf, e le chitarre proseguono, ora più veloci, con il loop precedente lanciatissimo; i giri si fanno poi ancora più stridenti, supportati in sottofondo dal basso greve e dai rulli di batteria. Riprende poi la corsa, in un'alternanza poi ancora riproposta che dona dinamismo alla composizione. Al minuto e trentadue un colpo di piatto frena il tutto, seguito da rulli di batteria; parte un delicato fraseggio dalla melodia altisonante, il quale si protrae a lungo. Su di esso s'inseriscono chitarre rocciose e grida epiche del cantante, mentre la batteria si mantiene dilatata, salvo poi aprirsi ad un galoppo cadenzato; l'atmosfera creatasi è ieratica ed ammaliante, in un andamento a media velocità incisivo ricco di melodia evocativa, dove il cantante amplia l'enfasi con i suoi toni rauchi e malvagi. Al secondo minuto e otto parte la doppia cassa, al quale accelera i toni in un ritmo turbinante che si consuma al secondo minuto e venti; qui un gemito vocale introduce un fraseggio distorto che fa da ponte verso il secondo minuto e ventiquattro. Esplode d'improvviso la tempesta sonora di doppia cassa, grida e chitarre dissonanti, la quale accelera sempre di più raggiungendo livelli di parossismo quasi grind; ecco però un assolo stridente che si aggiunge al caos ottenuto, in un crescendo di elementi votato alla saturazione sensoriale, nella quale però viene mantenuta una certa epica atmosfera oscura. Esso si sviluppa nelle sue scale articolate, mentre il resto della strumentazione rimane lanciatissima; al terzo minuto e due rimane solo il rifting frenetico accompagnato dai giri di basso e dalla batteria tempestante. Poco dopo tutto si ferma con un motivo solenne di chitarra, sul quale poi ritornano le urla di Af Gravf, lente e ritmate, mentre si delineano cadenzati piatti di batteria; si prosegue poi con una marcia che prende più velocità, pur rimanendo controllata, sulla quale i toni del cantante si fanno ancora più drammatici e convulsi, alternati ai giri ossessivi di chitarra. Al terzo minuto e ventotto abbiamo però l'ennesimo stop, segnato da un grido rauco e da una digressione di chitarra dilungata; ecco che riparte il bell'arpeggio greve pieno di melodia solenne, sul quale incontriamo alcuni inediti archi campionati. Il gran finale è lasciato ad un'ultima corsa feroce dove il precedente movimento permane, mentre partono riff devastanti in doppia cassa, dando spazio ad Af Gravf per uno screaming su di giri ed isterico; il turbine sonoro prosegue chiudendosi poi con una digressione, che segna la conclusione del pezzo. Il testo parla di oscuri guerrieri, probabilmente riferito ancora una volta ai Nazgûl di Tolkien; essi cavalcano su veloci cavalli brandendo spade d'acciaio, facendo "cantare" quest'ultime infrangendo gli scudi nemici. Continua lo s 'contro, con armi rotte contro gli scudi e morti inevitabili, che fanno parte del corso della battaglia; il cielo stesso sembra sanguinare ("The sky is filled with red -  I cielo è ripieno di rosso."), mentre l'anima del protagonista grida la sua dannazione, e desidera solo l'Inferno. Avviene un incontro, o meglio una riunione con un nemico conosciuto, il quale viene invitato a guardare negli occhi dei nostri; "In the sky that is our mind, The dark clouds are gathering - Nel cielo che è la nostra mente, Le nubi oscure si raccolgono." mostra quindi il terribile mondo interiore che si cela dietro essi, dove il loro odio è tutt'uno con la loro anima. S'innalzano i pugni al cielo, rinnovando un rito antico, durante il quale gli spiriti sbiaditi (probabile riferimento al loro stato a metà tra vita  e morte) gridano il loro disprezzo; essi "Rising from the soul as a united force, Carried by darkened wings - Sorgono dall'anima come una forza unita, Guidati da ali nere." In un'immagine epica e maestosa, dopo al quale raggiungono una porta nelle tenebre del tempo, dove possono arrivare al luogo del riposo; ennesimo testo dunque evocativo sempre pregno di malevole oscurità, ma legato ad un contesto fantasy che usa non demoni, ma creature vagamente definite e misteriose. "Burn My Coffin - Brucia La Mia Bara" è un titolo con una storia particolare: pare che inizialmente esso dovesse essere infatti usato per una traccia di "De Mysteriis Dom Sathanas" dei Meyhem, salvo poi un ripensamento di Dead che ne cambiò il titolo; passati alcuni anni dalla sua morte, i Marduk decidono di usarlo, creando il brano qui presente. Esso parte subito con un rifting caotico accompagnato dalla doppia cassa, in una cavalcata maestosa e glaciale lanciata sin dai primi secondi; il suo andamento tagliente è ripetuto in loop sui quali la batteria si apre anche in rulli veloci, creando un ritmo solenne ed incalzante. Al ventiseiesimo secondo s'introducono le grida in riverbero di Af Gravf, mentre in sottofondo troviamo sinistri e freddi fraseggi che creano un'atmosfera dal grande impatto; ancora una volta la corsa continua viene delimitata da alcuni rulli, proseguendo però ossessiva senza tregua o sosta. Al quarantasettesimo secondo il cantante parte con il cantato si da  a declamazioni in screaming, completando perfettamente il continuo marasma sonoro dominato da colpi continui di drumming e muri di chitarre; si prosegue fino al cinquantatreesimo secondo, quando tutto si blocca con un fraseggio tagliente sul quale poi si aggiungono cimbali ritmati e versi di Af Gravf. Ma la canzone è votata alla velocità, e subito dopo si riparte con il loop ossessivi, instaurando nuovamente una tormenta sonora fatta di riff ossessivi, doppia cassa folle e grida isteriche ed altisonanti; un pezzo quindi che non sfigurerebbe nella discografia degli Immortal, evocando la stessa atmosfera frostbitten e disorientante. Al minuto  e otto il drumming si fa più incalzante, in una galoppata feroce sotto al quale si sviluppa una struggente melodia atonale in tremolo; essa prosegue dritta mentre il cantante grida in modo disperato il ritornello, in un grande effetto teatrale che da forma alle parole tetre del testo. Si continua quindi con la ritmica incalzante in una cavalcata da tregenda, solenne e trascinate, che porta con se l'ascoltatore senza mollare la sua presa; essa si consuma al minuto e trentasei con una cesura di piatti di batteria e fraseggi solenni. Ecco quindi una digressione accompagnata da rulli cadenzati di batteria, in una coda più lenta che s'arricchisce di giri malinconici mentre Af Gravf declama in screaming il suo dolore; si crea una sezione strisciante ed ieratica, dove al melodia imponente viene delimitata da alcuni passaggi più stridenti ripetuti in certi punti del pezzo. All'improvviso un grido stridente e rauco ferma il movimento al secondo minuto e dodici, insieme a piatti di batteria e bordate; subito il tutto si sviluppa in una corsa in doppia cassa loop di chitarre in tremolo, riportando la composizione su velocità adrenaliniche lanciate. Le chitarre sono tese in un giro da motosega continuo, mentre il drumming è una grandinata continua, sulla quale il cantante si dimostra altisonante come sempre; anche questa volta solo alcuni rulli sparsi interrompono in certi frangenti l'altrimenti costante cavalcata gelida e caotica. Al secondo minuto e quaranta possiamo percepire in sottofondo, aldilà dello strato di rumore, un fraseggio pieno di melodia atonale, mantenendo nella violenza costante un'atmosfera tetra prettamente black; il movimento è in crescita, con l'aggiunta al secondo minuto e quarantasei di un assolo discordante che taglia il songwriting con le sue scale stridenti, in un ottimo effetto imponente. Esso si consuma la terzo minuto e dieci, dove la batteria si apre a una marcia dai rulli ripetuti; essa si dilunga marziale supportata dai giri grevi di basso, in un andamento ieratico; al terzo minuto e trentacinque rimane solo un fraseggio distorto, il quale prosegue per qualche secondo. Ecco che la scena viene presa da un assolo struggente ed altisonante, il quale si sviluppa in scale solenni mentre la batteria si mantiene cadenzata e Af Gravf interviene con versi sommessi; un'altra coda desolata e più controllata quindi, che fa ad contrasto con le parti lanciate, e che crea paesaggi sonori maestosi, e allo stesso tempo spettrali. Essa avanza con un motivo melodico in sottofondo, fino al quarto minuto quando rimane solo il loop vorticante di chitarra; su di esso riparte poi il drumming cadenzato, accompagnato dai piatti di batteria e da arpeggi grevi di basso, mentre il cantante riprende con la sua performance scenica piena di pathos. Si continua su queste struggenti coordinate, in un loop appassionante ed ipnotico, il quale poi sfuma nella dissolvenza, chiudendo in modo "nebbioso" il brano, in una perfetta conclusione evocativa; ma all'ultimo moneto il suono risale, proseguendo poi in una nuova dissolvenza, questa volta definitiva. Il testo è insolitamente introspettivo e malinconico, se non addirittura depressivo: un animo sconfortato si sente morto dentro, ed anela il rilascio da una vita che è per lui un peso; esso si esprime con toni quindi tetri e "poetici", come nella frase "The blood inside my veins is poisoned by funerals and dreams - Il sangue nelle mie vene è avvelenato da sogni e funerali." Che ci accoglie chiarendo come il protagonista sia sfiduciato, stanco delle sue paure e illusioni. La bellezza della vita è per lui distrutta, ora solo la morte è il suo destino e ragione di essere, in una notte senza sonno che sembra eterna, così come il suo dolore; egli invoca la liberazione della sua anima, tramite la metafora della bara bruciata, il dispiegare del velo che copre ormai la sua esistenza. Ecco che mentre bruciano nere candele, la sua anima vola oltre il velo d'oscurità che si abbassa, viaggiando nella notte in una sorta di proiezione astrale. Ma non è ancora il suo ultimo viaggio: infatti sorge l'alba con i raggi del sole che colorano di rosso la stanza, raggiungendo il terreno. Il nostro leva uno sguardo verso l'inevitabile domani, ma ormai il suo cuore e la sua anima sono bruciati dal dispiacere; troviamo quindi dei Marduk decisamente inediti, riflessivi e tristi, che anche in questa occasione si distaccano da qualsiasi facile blasfemia, creando anche tematicamente un'atmosfera tetra e piena di dolore che mostra un lato decisamente umano che poche volte avrà modo di uscire così allo scoperto nella loro discografia. "A Sculpture of the Night - Una Scultura Della Notte" inizia con un rifting roccioso e distorto, sul quale intervengono bordate e piatti di batteria cadenzati; presto il tutto si apre in un'inevitabile corsa in doppia cassa, sulla quale Af Gravf parte con lo suo screaming malevolo in riverbero. Essa prosegue possente e vorticante e tempestata dai blast serrati, mentre al diciottesimo secondo la batteria si fa più incalzante; le chitarre si manifestano sempre come un muro costane e gelido, in un'immancabile atmosfera frostbitten. A ventiseiesimo secondo dopo alcuni rulli lo strumento a corda si fa più dilatato nei suoi giri circolari, riprendendo poi con il tiro più diretto; ogni cambiamento è sottolineato con dinamismo semplice e controllato da rullanti secchi di batteria. Si ritorna quindi al muro di chitarre precedente, in una composizione sempre veloce, che gioca sull'intensità per modulare il suo movimento; si arriva quindi al cinquantacinquesimo secondo, dove un grido squillante  del cantante blocca tutto lasciando spazio ad un solenne fraseggio roccioso. Esso prosegue mentre si aggiungono piatti dilatati, in un andamento lento; ecco però che il drumming si fa più incalzante, aumentando l'adrenalina in un galoppo a media velocità. Sotto di esso partono anche rullanti di pedale, mentre Af Gravf accompagna il tutto con il suo screaming crudele; ma il movimento è variabile, e al minuto e undici abbiamo un nuovo stop con un motivo distorto di chitarra. Esso si trasforma in un rifting vorticante accompagnato dai giri dissonanti di basso e dalla batteria ritmata sottolineata da rulli; al minuto e trentotto un arpeggio greve segna un nuovo suono, sul quale parte un rullante preparatorio. Si dipana quindi una nuova tormenta sonora con doppia cassa, muri di chitarra in tremolo e grida feroci, riportando il clima frenetico momentaneamente assente; esso sembra volersi rifare con una gelida furia solenne e trascinate. Ma al secondo minuto e quattordici all'improvviso rimangono solo una batteria in marcetta ritmata e un fraseggio stridente, in un andamento marziale e imponente; al secondo minuto e diciannove esso si stabilizza in un loop più corposo e incalzante, scolpito da colpi secchi di batteria. Esso prosegue in scale stridenti ed altisonanti, in un andamento esaltante e regale che sposa bene i toni del pezzo; all'improvviso al secondo minuto e quarantaquattro riprende la cavalcata furiosa con motoseghe in tremolo e doppia cassa lanciata, colpendoci come sempre e distruggendo ogni pace sonora. Essa viene ancora delimitata da alcuni rulli, mentre percepiamo anche i giri di basso in sottofondo, grazie alla produzione di Swanö che provenendo dal death da una certa rilevanza allo strumento, altrimenti spesso negletto nel black; si arriva dritti al secondo minuto e cinquantasei, quando le chitarre si fanno più incalzanti, supportate dalle grida altisonanti in riverbero di Af Gravf. Ecco quindi che la tempesta glaciale prosegue diretta nei suoi ossessivi e taglienti; la conclusione è segnata all'improvviso da un rullo di batteria sulla voce morente, a cui segue una breve digressione. Il testo sembra riferirsi ancora una volta al mondo di Tolkien, questa volta presentando in prima persona l'oscuro antagonista della saga del Signore Degli Anelli, ovvero Sauron; egli era inizialmente Mairon, uno dei Maia (spiriti equivalenti agli angeli nella mitologia dell'autore inglese), ma venne corrotto da Morgoth (equivalente del diavolo nel mondo narrativo della Terra di Mezzo) e reso un essere altrettanto malvagio e pieno di odio, il quale continuerà l'opera del suo signore dopo la sua cattura. Creerà quindi (abile nell'arte della forgiatura, essendo stato discepolo di  Aulë il Fabbro, uno dei Vaiar ovvero spiriti di grado superiore) gli Anelli del Potere, con i quali corromperà prima alcuni elfi, e poi gli uomini, creando dai re di quest'ultimi i Nazgûl; dopo uno scontro epocale egli venne ferito da Isildur, alla guida di un'alleanza tra elfi e uomini, perdendo L'Unico Anello e gran parte dei suoi poteri, rimanendo senza forma corporea. Ed è in questo stato che egli viene qui descritto: durante la notte egli si sposta lentamente con il pensiero, e osserva la desolazione in basso con piacere. Egli osserva, in uno stato dove il tempo non esiste, ma solo un eterno se stesso; è come una scultura nella notte, immobile, ma capace di viaggiare nella notte con la mente, e di osservare le creazioni del suo odio. "A king of this world I am, Thronebearer of hate - Sono un re di questo mondo, Erede al trono dell'odio" dice trionfante, osservando il suo potere nell'oscurità, dove egli ah chiara visione, dato che esiste immerso nelle tenebre; qui non viene raggiunto dal Sole, e la luce (anche morale) è lontana dalla sua mente, eppure può raggiungerla per consumarla, esprimendo il suo desiderio di corrompere ogni cosa. Si definisci volto della saggezza, punizione e dannazione,  e infine si rivela più chiaramente con "The shadow I am, the wideopen eye - Sono l'ombra, l'occhio spalancato." descrivendo l'immagine del suo terribile occhio infuocato in cima ad una torre, suo simbolo e manifestazione; egli è destinato a dominare, mentre le ombre si espandono creando una notte senza fine, suo eterno dominio. Ci ricolleghiamo quindi al tema principale del disco, che pur non essendo un concept album, ruota fortemente verso le immagini dell'opera di Tolkien, concentrandosi naturalmente sui rappresentanti del Male, d'interesse per i giovani discepoli del metal nero che volevano sempre essere malvagi e dalla parte dell'opposizione al Bene. "Echoes from the Past - Echi Dal Passato" è una lunga strumentale, introdotta da un campionamento di ruscello e archi ariosi e solenni, in una grande atmosfera mistica; si aggiungono arpeggi cadenzati e piatti evocativi, in un andamento dolce e struggente che sorprende l'ascoltatore. I synth armoniosi si legano splendidamente con la chitarra leggera, in un connubio interrotto al minuto e ventiquattro da una nota altisonante; rimangono le tastiere con il rumore acquatico,  mentre poi ritorna la chitarra, leggermente più vivace nei suoi tocchi melodici. Permane un'atmosfera onirica che crea una nostalgia atavica  e grandiosa, dando spazio alla faccia più intima dei Marduk, conosciuti più per i loro attacchi sonori devastanti; essa viene incanalata e potenziata dai toni sempre più altisonanti di chitarra, mentre piatti dilatati compaiono ad intermittenza con fare solenne. Interviene poi verso il secondo minuto e dieci il basso, con giri grevi, ma anch'essi delicati, mantenendo l'andamento appassionante pregno di incantevole melodia ariosa; ecco che tornano poi sulle notte archi sognanti e struggenti, in una laconica atmosfera nostalgica. L'impatto emotivo è costante, anche quando al secondo minuto e quarantatré gli arpeggi si fanno più radi, con maggiore spazio alla linea di tastiera ambient; al secondo minuto e cinquanta percepiamo una parola sospirata in modo sommesso, come uno spettro nel vento, ma il pezzo prosegue con la sola musica, mantenendo gli effetti acquatici in sottofondo. Il loop armonioso viene ripetuto varie volte, e al minuto e trenta gli arpeggi riprendono costanza facendosi più incalzanti, ma sempre calmi in un brano armonioso che fa da parentesi epica; una summa di chitarra, basso, synth arioso, e campionamenti ambientali, ripetuta fino alla conclusione dove sono le tastiere e gli archi a tenere il passo, mentre le tastiere di chitarra si fanno rade. Nella chiusura troviamo ancora suoni di piatti epici, in un finale che mantiene tutte le caratteristiche emotive qui  dominanti. "Stone Stands Its Silent Vigilchiude l'opera qui recensita, e parte con un maestoso fraseggio melodico accompagnato da muri di chitarre altisonanti e  batteria cadenzata, in un andamento delicato, ma imponete e grandioso; esso prosegue aggiungendo al dodicesimo secondo un motivo ancora più coinvolgente e struggente, in un crescendo dal grande impatto. Ritorna la venticinquesimo secondo l'andamento precedente, in un continuo atmosferico che sembra voler continuare la tendenza del pezzo precedente, puntando più alle emozioni, in un suono che possiamo osare definire progressivo; qui s'intromettono anche giri di basso grevi, completando la scena in una bella composizione armoniosa e sognante. Un assolo spettrale parte al trentasettesimo secondo, spegnendosi però presto e rilasciando il posto all'andamento precedente; ecco che al cinquantatreesimo secondo una digressione improvvisa ferma tutto con alcuni rullanti di batteria. Dopodiché parte un  drumming incalzante sul quale compare la voce gridata ed altisonante di Af Gravf, mentre le chitarre ricche di atmosfera si prodigano in giri circolari rocciosi; il suono può ricordare i primissimi Katatonia, mantenendosi cupo e gotico, in una violenza non esplosa, bensì mantenuta greve e sommessa. Al minuto e ventidue parte un fraseggio ricco di groove, sul quale si stagliano i colpi secchi di batteria in un movimento ritmato; intanto il cantante continua con le sue grida feroci in riverbero, in un'esibizione piena di enfasi, dove i suoi andamenti vocali ricalcano i giri di chitarra, che poi rimangono protagonisti. Al minuto e quarantotto si prosegue, mentre la batteria si  apre ad esercizi di rullanti ripetuti, in una marcia incalzante che spinge in avanti la composizione; ecco che al secondo minuto e due esplode una cavalcata frostbitten in doppia cassa e dalle chitarre folli ed isteriche. Dopo un ponte con galoppo di batteria essa riprende ancora più cacofonica e claustrofobica, in un loop freddo  e veloce tirato dritto nel suo andamento tagliente e sega ossa; al secondo minuto e ventotto esso si ferma, mentre i toni rauchi di Af Gravf vengono accompagnati da un fraseggio lento che riprende, rallentata, la melodia atonale precedente. Qui le vocals si fanno ricche di effetto in un riverbero saturo che genera echi continui, mentre monotono in sottofondo prosegue lo strumento a corda, stridente ed ossessivo; senza alcuna preparazione il brano si spegne all'improvviso, come una lampadina in cui finisce la corrente, segnando ancora una volta la struttura anomala di quello che è forse l'episodio più "tecnico" e legato al passato recente del gruppo. Il testo ci regala un'immagine desolata di morte e decadenza, chiudendo anche tematicamente l'album con una nota certo non positiva, mantenendo l'oscurità tetra che domina il lavoro; è prima mattina, e la nebbia riempie l'aria, mentre il Sole non sorge contrariamente alle aspettative, lasciando il paesaggio oscuro e solitario, dimenticato persino dal tempo nel suo stato d'immobilità mortifera. "A dark wind sweeps over the desolated land - Un vento oscuro soffia sulla landa desolata." ci viene descritto, incrementando l'immagine malinconica e spettrale qui promulgata, giorni senza sole in un nordico inverno oscuro, dove le pietre hanno "visto" tutto sin dall'inizio dei tempi, uniche testimoni senza vita in un luogo arido e spoglio; una terra fatta di gelo, dove l'esistenza è cessata, e ciò che un tempo era vivo è ora ghiacciato in statue che rimarranno conservate nel loro stato di morte. Parole quindi che non narrano grandi storie od eventi, anzi ripetono in maniera volutamente  ripetitiva concetti d'immobilità e morte, in un'esaltazione molto black dei paesaggi freddi e tetri, della natura spoglia e desolata dove regna la morte e la solitudine; una malvagità quindi ancora una volta non occulta, ma paesaggistica, legandosi a certi temi atavici trattati da altre band del periodo che preferivano concentrarsi sulla cultura e l'eredità nordica piuttosto che sul satanismo. Tendenza che rimarrà confinata qui, dato che poi i nostri riprenderanno con tematiche ben più blasfeme e sulfuree, dando una certa impronta unica al lavoro anche nel suo mondo descrittivo, a metà tra il fantasy e la contemplazione, in un simbolismo dove la desolazione interiore diventa desolazione esteriore, riconoscendosi nel territorio della propria terra; non dimentichiamo i famosi "sei mesi di luce e sei mesi di buio" che di sicuro creano non poca malinconia (se non proprio tendenze suicide) in chi vive in quei luoghi freddi e maestosi, dove la monolitica natura domina spesso sull'uomo.    

Il secondo lavoro dei Marduk è un'opera fredda e violenta, ma allo stesso tempo ricca di un'atmosfera tetra e malinconica prettamente black; l'andamento si fa meno contratto e le accelerazioni in doppia cassa e chitarre distorte prendono più posto, anche se non mancano alcune pause e rallentamenti, posizionati in punti di svolta come cesure più dosate. Superata l'egemonia dell'influenza death nel loro suono, si delinea qui uno stile ora appartenente all'ondata che ormai era esplosa in tutta la Scandinavia, con effetti simili a quelli degli Immortal e dei primi Satyricon; una variante veloce ed ossessiva del suono nero, piena di sfuriate e ritmi convulsi. La produzione di Swanö è ben bilanciata, lontana sia dal lo-fi che invece sarà spesso adottato in Norvegia, sia da qualsiasi eccessiva pulizia; ci sono le distorsioni e i muri di chitarre freddi e caotici, ma ogni strumento è udibile, compreso il basso, spesso invece penalizzato nei dischi del genere.  Questo da un suono distintivo ai Marduk, più diretto e presente, ma allo stesso tempo notturno e malvagio, creando un assalto epico che non difetta di emozioni e pathos, per quanto glaciali siano; un lavoro quindi che trova un posto unico nella discografia dei nostri, successivo alla loro fase iniziale death, e precedente all'ulteriore accelerazione che verrà dopo, definendo i canoni del così detto "norsecore". Ancora esso non permette ai nostri di elevarsi allo status dei mostri sacri, ma di sciuro concorre a farli conoscere sempre di più, e di ottenere diverse date che li aiuteranno ad aprire la strada per la loro vera e propria consacrazione, che avverrà tramite i due album successivi "Opus Nocturne"  e "Heaven Shall Burn... When We Are Gathered", estremizzazione del suono qui incontrato il primo,  ed inizio di una nuova fase il secondo, delineando la mutazione della band che poeterà a nuovi fan, ma anche a diversi detrattori del loro stile sempre più caotico; a questo concorrerà l'apporto di Peter Tägtgren, mente degli Hypocrisy e altro produttore chiave della scena estrema svedese, marchiando molti dischi con il sound tipico del suo "Abyss Studio". Ma stiamo anticipando troppo: per ora i nostri entrano a far parte del black metal della seconda ondata accettandone diversi canoni sia musicali, sia tematici, rendendo però chiaro come saranno un diverso tipo di bestie oscure rispetto ai cugini norvegesi; Evil, mente del progetto, è più che intenzionato a lasciare il loro nome nella storia del genere, senza compromessi e tirando dritto sulla sua strada. Ecco quindi che la seconda formazione troverà il suo apice in "Opus Nocturne", per molti il miglior lavoro dei Marduk  "classici", canto del cigno di Af Gravf il quale verrà sostituito poi da Legion (Erik Hagstedt), il biondo front man che caratterizzerà per anni il cantato della band; un' opera che trova in "Those of the Unlight" un ottimo precedente, di sicuro da ascoltare e apprezzare se siete fan dei nostri, o anche solo del black metal della seconda ondata nelle sue prime manifestazioni. 

1) Darkness Breeds Immortality
2) Those of the Unlight       
3) Wolves      
4) On Darkened Wings        
5) Burn My Coffin    
6) A Sculpture of the Night
7) Echoes from the Past
(Instrumental)      
8) Stone Stands Its Silent Vigil

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