MARDUK

Plague Angel

2004 - Blooddawn Productions

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
22/03/2015
TEMPO DI LETTURA:
8

Recensione

Eccoci arrivati a quello che per molti versi è un nuovo anno zero nella discografia dei Marduk, ovvero il 2004 di "Plague Angel - L'Angelo Della Pestilenza", il quale segue solo di un anno il precedente "World Funeral", ma presenta moltissimi cambiamenti; a fine 2003, dopo aver suonato in varie tappe in Sud America, lo storico cantante Legion (Erik Hagstedt) lascia la band, non più coinvolto con la musica proposta, interessato invece a suonare un misto tra thrash e death con i Devian, dove poi andrà anche il momentaneo batterista dei nostri Emil Dragutinovic. Inizialmente sarà il leader - chitarrista Evil (Morgan Steinmeyer Hakansson) a registrare dei demo con la sua voce e una drum machine, suonando anche basso e chitarra, ma è chiaro sin da subito che è necessario un nuovo cantante; inoltre più avanti anche B. War (Roger Svensson) lascia il gruppo lasciando vacante il posto di bassista, il quale sarà riempito dal rientrante Devo (Magnus Andersson), in passato secondo chitarrista dei Marduk, il quale farà da ora in poi anche da nuovo produttore della band. Ma torniamo indietro: Morgan ha una delle intuizioni più fortunate della sua carriera, e ingaggia come cantante l'allora ancora sconosciuto Daniel Rosten, in arte Arioch con i Funeral Mist, praticamente suo progetto personale con il quale ha dato alle stampe l'anno precedente "Salvation", un disco che in pochi anni farà gridare molti al miracolo e darà il via all'ondata orthodox black metal. Degna di nota anche la sua esperienza di fine anni novanta con la band underground Triumphator. Il nostro è un personaggio molto particolare, titolare di una compagnia di design grafico chiamata "Holy Poison Design" (che naturalmente d'ora in poi si occuperà della grafica dei dischi e del merchandising dei Marduk) e praticante professionale di San Shou, un tipo di boxe cinese, si dimostra molto riservato e taciturno, parlando nelle poche interviste principalmente della sua ossessiva visione che vede il black metal come un'espressione musicale del satanismo; per lui non è il suono, ma questa devozione a caratterizzare il genere, visione controversa che da li a poco sarà adottata da diverse band che contribuiranno a quella branca del black che poi vedrà la sua massima espressione nei Deathspell Omega, tanto ideologicamente intransigente, tanto musicalmente sperimentale e aperta. Sembra che proprio questo, e i testi dei Funeral Mist, abbiano spinto Morgan a contattarlo, sentendo un'affinità d'interessi che invece non aveva trovato in Legion, ottimo mestierante per il quale il black è un genere estremo come molti altri (visione anche questa legittima); entrambi leggono la Bibbia (per trovarne i lati violenti e confutarla, naturalmente) ed entrambi hanno un forte interesse per gli episodi più oscuri della storia, specie la Seconda Guerra Mondiale, e per il macabro. Con il tempo il nuovo cantante, ora chiamato  Mortuus  quando si trova con i Marduk, porterà un nuovo mondo lirico e musicale che potenzierà quanto ottenuto finora dai nostri, fondendo molti elementi derivati dalla sua band personale; per ora comunque il suo apporto, poiché giunto praticamente a brani già formati, e soprattutto in sede testuale e nella sua performance unica. Se in genere i cantanti black metal si basano su uno screaming costante, lo svedese ha un repertorio che nel tempo si farà sempre più vario e drammatico, difficilmente definibile; ecco rantolii rallentati, versi gutturali, urla malevoli, e in generale un tono da predicatore satanico, pieno di malevolo disprezzo. In "Plague Angel" ciò inizia ad emergere, anche se sarà più avanti una volta presa confidenza con il gruppo che mostrerà tutte e sue carte; per quanto riguarda la musica abbiamo invece un ritorno alle velocità devastanti e continue di "Panzer?" con riff a mitra e doppia cassa massacrante, il tutto però alternato con pezzi più controllati e dotato di un'atmosfera più decadente ed oscura. Ciò anche grazie all'uso dell' "Endarker Studio" segnando la fine della lunga collaborazione con l' "Abyss Studio" di Peter Tagtgren (HypocrisyPain) e al mixaggio ad opera del nuovo bassista; un suono che si discosta da quello ultra pulito del passato, ma che allo stesso tempo si mantiene moderno e lontano da elementi lo-fi. Un lavoro quindi di transizione che segna un nuovo inizio e che da linee guida (come per esempio l'inizio delle collaborazioni con il gruppo martial/industrial Arditi con "Deathmarch", che d'ora in poi caratterizzeranno i loro lavori)  le quali saranno nel tempo sempre più ampliate, caratterizzando il nuovo volto e corso dei Marduk, i quali perderanno alcuni fan di Legion e del vecchio stile, ma guadagneranno in pochi anni nuovi estimatori facendosi anche rivalutare da alcuni detrattori; il successo commerciale sarà inoltre esponenziale, giovando tanto alla band, quanto al nuovo arrivato, che diventerà una delle voci più conosciute della scena odierna. Ecco quindi che dopo la pubblicazione del DVD "Funeral Marches and Warsongs" i nuovi membri avranno modo di farsi riconoscere dal vivo, Mortuus per primo al "Motala Metal Festival" in Svezia, Devo in Italia durante l' "Agglutination Festival", mentre alcuni giornalisti fidati verranno invitati per un ascolto anticipatorio prima dell'uscita dell'album, in un'ottima mossa che mantiene il giusto mistero sul lavoro che deve convincere il pubblico sulla nuova formazione; un assalto quindi pensato su tutti i fronti, in modo da rilanciare i nostri nello stardom del black metal mondiale e riaffermare il loro ruolo di prim'ordine anche nella variegata scena del nuovo millennio, piena di nuovi gruppi e tendenze.   

Il possente album si apre con "The Hangman Of Prague - Il Boia Di Praga" e con i suoi toni orchestrali dai fiati grevi e baritonali; ecco che al diciottesimo secondo parte un rifting devastante accompagnata da una doppia cassa a centrifuga. Mortuus esordisce con uno screaming demoniaco e crudele, mentre le chitarra proseguono in un loop tagliente sottolineato da punte di fraseggio; al cinquantottesimo secondo i giri si fanno ancora più imperanti e solenni in una tempesta sonora greve. Ecco che al minuto e sei s'inserisce un fraseggio ieratico e tetro, il quale completa l'atmosfera severa del brano; naturalmente il drumming è sempre sulle coordinate di una tempesta continua in doppia cassa che non ci lascia scampo, mentre il cantante si prodiga in urla malvagie. Si riprende con il loop fatto di giri ossessivi e punte in fraseggio, con la batteria che solo in certi frangenti si fa più controllata; al minuto e trentaquattro le chitarre si aprono a riff dissonanti che creano un effetto dinamico lanciato, mentre Mortuus sgolato e possente si da a sermoni neri. Ecco che riesplode il motivo portante con giri altisonanti e sferrate di batteria, alternato poi con i vortici stordenti e freddi in un gorgo sonoro folle e maligno; tornano poi i fraseggi epici e stridenti, alternati alla furia tecnica dei riff veloci; si continua quindi con la cavalcata ormai senza freni, la quale prosegue fino all'improvviso stop che sfocia senza pausa nel pezzo successivo. Un episodio dunque violento e senza tregua che presenta al  meglio la nuova formazione e il loro nuovo lavoro, riportando in questo cause le atmosfere frenetiche e bombardanti che molto hanno fatto la fortuna dei nostri; il nuovo cantante si dimostra inoltre un performer potente e di presenza, che domina al scena con la sua voce e completa perfettamente la furia sonora della strumentazione. Il testo verte sulla figura di Reinhard Heydrich, gerarca nazista protagonista dell'invasione e repressione sanguinosa della Cecoslovacchia, instaurando il così detto Protettorato Della Boemia E Della Moldavia nella parte occidentale del paese; in particolare si tratta del suo ultimo giorno di vita, ucciso nel 1942 in un attentato da parte dei partigiani cecoslovacchi che poi furono uccisi dai suoi soldati presso la Chiesa Di San Cirillo e Metodio. Nello splendore gotico della Cappella Di San Venceslao I si trova una porta dorata con sette lucchetti, mentre sette chiavi stanno nelle mani del protagonista (indicandolo come Angelo Dell'Apocalisse); l'antica corona della Boemia è ora sulla sua testa (facendo riferimento al suo ruolo di governatore), ed egli affila la sua lancia pronto a portare la morte con la sua disciplina da boia. Un potere assassino il suo, che irradia odio e porta sofferenza, mentre la malignità supera la benevolenza; colpisce i suoi nemici per ucciderli, spargendo sangue nei cieli, un vero è proprio architetto del genocidio, che prende orgoglio nella morte. "The shape of things to come - Allegoria di ciò che verrà" annuncia il testo varie volte, mentre poi si continua nella mitizzazione della figura come un angelo della morte dai mille occhi e dalla spada fiammeggiante, che annuncia il massacro aprendo le sue ali; ma ecco che il cacciatore diventa preda, perché anche i boia muoiono, e la rossa mattinata splende annunciando la sua imminente morte. Un nuovo spargimento di sangue quindi con risposte violente, in un massacro dove si immagina un mare di sangue rosso come il cielo; viene ripetuto poi ancora il testo qui incontrato, ripresentando il paragone con l'Angelo Dell'Apocalisse e ritoccando il giorno del suo omicidio. Un testo decisamente evocativo e dalle immagini grandiose e solenni, che segnano l'abilità del nuovo arrivato nell'andare oltre blasfemie o banalità e di creare affreschi oscuri con versi ben congegnati; parte anche il filone che commenterà le gesta di personaggi oscuri della storia, esaltandone la potenza, ma anche la loro inevitabile caduta nel trionfo della morte su ogni cosa. "Throne Of Rats - Trono Dei Ratti" prosegue la dove il brano precedente termina, aprendosi con un suono distorto di chitarra che presto prende velocità insieme alla doppia cassa annunciata da alcuni battiti di batteria; ecco che anche Mortuus, inumano più che mai, prende posto con le sue esclamazioni ultra distorte mentre il loop ossessivo prosegue. Al diciassettesimo secondo i toni s'inaspriscono ancora di più con scale altisonanti e stridenti dal crescendo solenne; essi poi si alternano con l'andamento precedente in un gioco di contrazioni dinamico, mentre il cantante declama il ritornello veloce e violento. Notiamo come le chitarre creino modulazioni con la variazione dei riff, mentre la batteria prosegue devastante e lanciatissima in una doppia cassa frenetica; questo fino al minuto e cinque quando tutto rallenta in un galoppo quasi doom dalle chitarre tetre e dal drumming cadenzato con rullanti di pedale in sottofondo e piatti. Esso prosegue incalzante fino al minuto e ventotto, quando un assolo tecnico fa da cesura con un grido rauco di Mortuus, espandendosi nelle sue scale insieme alla batteria aperta a rulli e piatti improvvisi; ecco che il cantante assume toni modificati in studio, creando uno stop cerimoniale prima della ripresa della centrifuga di doppia batteria  e loop in tremolo. Si riprende quindi con le alternanze iniziali, in una contrazione trascinate sulla quale Mortuus si da alle sue grida disgustate contornate da blast, in un movimento lanciato che non conosce tregua nella sezione finale, e che anche questa volta s'interrompe all'improvviso lasciandoci appena il tempo di realizzare; l'assalto è quindi l'arma usata finora, disorientando l'ascoltatore con minime variazioni, che mantengono l'andamento sempre dinamico e schizzato. Il testo è una lugubre esaltazione delle piaghe e della peste nera, immaginando un trono dei ratti simbolo della malattia; piaga su piaga, la redenzione bolle di nero, e in un mare di ratti il protagonista siederà sul suo trono con un'aureola di mosche, annunciando una sardonica salvezza tramite la morte per vomito. Solo il fuoco è pulito abbastanza per poter toccare ora le anime degli appestati, mentre si prefigura una spada che porta malattie, mentre i corpi si contorcono e gli arti diventano un cappio di follia (notiamo le vivide figure create abilmente da Mortuus, capace di raggiungere immagini pregne di una malevola poetica), e allo stesso tempo un cappio del pentimento; "Older than time am I, and yes I am for evermore - Più vecchio  del tempo sono, e si sarò in eterno" dichiara la personificazione della piaga, la quale cambia se stessa continuamente per adattarsi ai peccati altrui, in una morte su morte, una redenzione della Peste Nera, dove in un mare di morte essa reclamerà la sua corona. La giustizia è fatta, e solo la morte è ora così pura da poter perdonare, sarcasticamente, i peccati dell'uomo, osservato dal trono della morte fatto di ratti e contornato da un'aureola pestilenziale. Un testo dai toni gotici che mostra un altro nuovo lato legato ad atmosfere medioevali apocalittiche ed oscure, severe e piene di disprezzo nei toni in una sorta di sermone inverso, dove la redenzione è data dall'annientamento e dalla sofferenza; iniziano quindi ad entrare temi orthodox più seriosi che esprimono meglio quanto sviluppato nei testi degli ultimi album dei nostri. "Seven Angels, Seven Trumpets - Sette angeli, Sette Trombe" ci accoglie con un rifting roccioso e strisciante accompagnato da batteria cadenzata, il quale avanza tagliente e solenne; al quindicesimo secondo Mortuus s'inserisce con un cantato mortifero e lento, che si stende sui giri dilatati di chitarra, dall'oscura natura doom, mentre blast controllati si dispiegano nella composizione. Al trentottesimo secondo una digressione fa da cesura, dopo la quale parte un improvviso siparietto ambient con gemiti e suoni oscuri in sottofondo; ma presto un rullante riapre la marcia precedente, ora più incalzante, sia nella batteria, sia nei toni da predicatore satanico di Mortuus. Riecco quindi i giri greve e monolitici che si trascinano pieni di un'essenza decadente e mortifera che perfeziona gli esperimenti degli ultimi lavori dei nostri; si arriva quindi al minuto e trentadue dove un nuovo stop lascia spazio nuovamente ad una parte ambient con cori gregoriani e mostruosi gorgoglii da parte del cantante. Ancora una volta un rullante riapre la marcia oscura, dove si alternano le parti più incalzanti con aperture ariose  e corrosive; ecco che il breve pezzo si conclude quindi con un'ultima digressione ambient che sfocia nel brano successivo. Un pezzo diverso e più sperimentale ed evocativo, che riprende la natura doom e decadente di alcuni ultimi episodi della loro discografia, anticipando altri esperimenti di tale natura che incontreremo sia con i Marduk, sia con i Funeral Mist; i nostri incominciano quindi a mostrare l'alternanza tra bordate continue e brani più striscianti che caratterizzerà sempre di più i loro nuovi lavori. Il testo è un altro affresco medioevale ed apocalittico che rappresenta lo scoppio del Giorno Del Giudizio tramite la Peste Nera, riportando i temi dell'epoca dove la piaga che ha sconvolto l'Europa era vista come la fine del Mondo annunciata nella Bibbia; l'agnello apre i sette sigilli mentre in cielo vi è silenzio, e i sette angeli si preparano a suonate le sette trombe dell'apocalisse. Dio ha mandato la sua punizione, e tutto morirà nella Peste Nera, quindi dobbiamo sapere che questa può essere la nostra ultima ora; la Morte è dietro di noi con la sua corona scintillante e la sua falce, che risplende mentre la alza dietro le teste, mentre sarcastico il narratore si chiede "Who among you will he strike first? - Chi tra voi colpirà per primo?".  Grandine e fuoco si fondono con il sangue, mentre la stella più grande (il Sole) sta per cadere, e forse prima della sera la nostra bocca sarà distorta in un ultimo sbadiglio a metà; come vacche a bocca aperta, con desiderio di vita rigoglioso, ci viene chiesto se abbiamo un anno o un'ora per continuare ad insozzare la terra con i nostri escrementi, mentre l'Angelo Della Morte scende e le tombe si aprono al suo passaggio. Altro fulgido esempio dell'abilità del nostro di mantenere toni apocalittici che ricreano un'atmosfera oscura e medioevale ricca di severo disprezzo misantropo, senza però sfociare in infantili offese  o blasfemie grossolane; una serietà che farà rivalutare la band prima vista come tipico gruppo black metal con testi sui generis, e che dimostra la progressiva rinascita sotto nuova forma. "Life's Emblem - Emblema Della Vita" parte fulminea con una corsa in doppia cassa, blast, e loop stridenti e taglienti dalla glaciale tempesta sonora; al sedicesimo secondo i giri di chitarra si fanno più serrati mentre Mortuus compare con i suoi toni altisonanti, proseguendosi sempre in giri a motosega. Essi si alternano a brevi punte con rullanti, che per contrasto ne delineano l'andamento; al trentaquattresimo secondo parte il ritornello incalzante caratterizzato da riff squillanti e batteria tempestante, e subito dopo tornano le alternanze contratte con rullanti, in un gioco di corsa e ripresa. Il cantante inizia inoltre ad usare un registro vario e drammatico che con il tempo lo caratterizzerà sempre di più, aprendosi a versi gorgoglianti che creano un'esibizione caratteristica che inscena abilmente i temi del testo; al minuto e venticinque incontriamo un fraseggio ieratico che si sviluppa in scale tecniche mentre il drumming prosegue martellante delineandosi con piatti improvvisi. Ecco che Mortuus parte con declamazioni sofferte,  mentre la chitarra lancia un suono squillante dopo il quale si prosegue con una bordata tagliente di chitarre sulla quale le vocals si fanno ultra effettate con suoni da fil horror; la strumentazione sfuma in digressione, mentre subito dopo parte un fraseggio sinistro e tagliente dai toni stridenti. Ecco che al secondo minuto e trenta riesplode la cavalcata violenta dalla doppia cassa a centrifuga, riportando in piano l'andamento violento iniziale il quale si alterna ad aperture ariose gloriose, conservando però la velocità; al secondo minuto e cinquantasette ritorna la galoppata dissonante con rullanti che la delimitano, mentre il cantato raggiunge una folle velocità quasi grind. Si continua quindi con loop vorticanti, mentre il violento ritornello si delinea, dando poi nuovamente spazio alle dissonanze martellanti; il gioco si ripete ancora, con un'alternanza di andamenti coinvolgenti potenziata dai toni mutevoli di Mortuus e dai fraseggi squillanti che creano una melodia atonale che si consuma al quarto minuto e venticinque, lasciando brevemente spazio agli arpeggi grevi di basso. Riesplode quindi al corsa caotica, mentre il cantante assume punte demoniache con effetti da studio, anticipando il finale improvviso con rullanti in digressione; un pezzo martellante e potente che riprende quindi le cavalcate epiche del passato, ora accompagnate dalle esternazioni sentite di Mortuus, istrionico performer che usa la voce come uno strumento modulandola in diverse manifestazioni. Il testo è un'allegoria sulla morte, dal gusto ancora una volta poetico e medioevale, con un tipico dialogo "filosofico" tra un uomo è la mietitrice stessa; in antico inglese solenne ci viene comandato di osservare il marmo con occhi moralizzanti, immaginando l'Eden nei Campi Elisi pieni di ninfee e fiamme splendenti,  dove l'Emblema Della Vita fiorisce in gioventù, ma la ragione ci indica altro. La gioia festosa scompare con grazia che si scioglie, e la pietà visita la faccia che ha un mezzo sorriso; "Where now the dance, the hate, the nuptial feast - Dove sono ora la danza, l'odio, i festini nuziali?" e la passione nel cuore degli amanti, ci viene chiesto con sarcasmo, mentre la ragione indica la tomba. Ecco il dialogo tra l'uomo e la Morte; il primo si chiede cosa ha portato a lui questo nobile straniero nella notte, la seconda dichiara candidamente di essere venuta a toglierlo dalle amarezze della vita. Naturalmente l'uomo incredulo si chiede perché lui e perché ora, al ché la Morte dichiara il suo dominio su tutto ciò che è sulla terra; ritorna quindi l'immagine iniziale festosa e piena di vita, la quale serve da contrapposizione all'amara realtà. L'uomo prosegue poi con la sua protesta dichiarandosi forte e giovane; ma la Morte ha una malattia per ognuno dei suoi peccati, e a niente valgono le dichiarazioni di innocenza del primo, perché la Morte sa che "Neither God or Devil agrees with you! - Ne Dio ne il Diavolo ti danno ragione!". Un altro esempio dell'atmosfera gotica e solenne del mondo tematico dell'album, che gode delle doti narrative raffinate di Mortuus, capace di nobilitare i testi dei Marduk con modi forbiti e classicheggianti; il richiamo è verso le antiche novelle medioevali e le oscure allegorie piene di una morale severa che viene rielaborata in chiave maligna dai nostri. "Steel Inferno - Inferno D'Acciaio" ci accoglie con una digressione rocciosa sulla quale si staglia un grido in riverbero; ecco che subito esplode una corsa in doppia cassa violentissima, accompagnata da loop glaciali. Parte il cantato isterico, mentre la strumentazione si da a giri sconvolgenti e beat pestati, i cui andamenti sono ripresi nelle cadenze veloci ed imperanti di Mortuus; s'inseriscono anche assoli vorticanti, riportando alla mente alcuni episodi di "Panzer?" confermati dai piatti e dal vortice sempre più dissonante che si va creando. Quest'ultimo poi si accompagna ad un grido rauco prolungato mentre si converte in una marcia fatta di bordate squillanti e drumming diviso in colpi cadenzati ed accelerazioni; si riparte poi con la doppia cassa lanciatissima, riaprendo la corsa senza sosta e pietà, dove le chitarre si aprono in giri ariosi proseguendo poi con loop taglienti e diretti. Tornano quindi i fraseggi oscuri, mentre Mortuus assume toni sempre più sgolati, che completano il marasma sonoro ottenuto, pesante e frenetico;   la follia è ormai totale, e solo le minime variazioni nei riff ci danno respiro, mentre troviamo poi al secondo minuto e cinque la ripresa della marcia con bordate e blast potentissimi cadenzati. Quest'ultima prosegue dissonante fino allo stop improvviso, che lascia spazio a campionamenti da guerra con esplosioni; è chiaro l'omaggio veloce e lanciato allo storico album prima citato, sia nello stile, sia nei temi bellici. Il testo riprende quindi il tema della Seconda Guerra Mondiale riallacciandosi agli scenari di guerra di "Panzer?"; è come se i pretoriani romani fossero rinati, in una spirale di morte con lancieri in armatura. E' tempo della prova, del cerchio di fuoco, in un accerchiamento che sfocia in un'irruzione nelle città di Rostow, Charkow, Kursk, Tarnapol, con l'invasione della Russia in un terreno zuppo di sangue; momenti di gloria dunque nella cavalcata mortale dei carri armati, portando Inferno e morte in ogni parte. Dalla gioventù sotto il controllo d'acciaio, i soldati vanno pezzo per pezzo verso la vittoria, usando il Camouflage per non farsi trovare, e continuando a spillare sangue; i mitra sparano in una dose letale, mentre loro strisciano sul campo di battaglia. E' uno scontro tra "Black cross - red star - Croce nera - stella rossa", dove vi sono delle ultime lodi mentre un Sole nero splende, sotto il quale dei soldati di Dio senza un dio, la guardia nera, muoiono senza sosta; fedeli fino alla fine, si muovo in alte onde nell'est, in un diluvio rosso di sangue mentre la morte scende su ali nere. La cavalcata mortale dunque dei carri armati prosegue in un Inferno di acciaio in tutta la sua gloria che porta morte ovunque; un testo quindi che ci presenta una versione più elaborata e legata alla storia di quelli dell'album prima citato, mostrando anche in questo caso lo stile più raffinato ed epico improntato dal nuovo vocalist. "Perish In Flames - Muori Nelle Fiamme" si apre con un lento rifting vorticante dai toni taglienti e grevi, accompagnato da piatti cadenzati e da battiti come di tamburo, mentre Mortuus si dilunga in un verso rauco; al trentaquattresimo secondo la chitarra si fa più incalzante in giri circolari infernali, i quali poi si alternano a fraseggi ariosi. Il movimento si mantiene controllato, mentre il cantante si da ad un cantato serpeggiante e maligno, che segue glia andamenti della chitarra, la quale al minuto e dieci si apre a melodie atonali incalzanti, proseguendo poi con fraseggi "rock" dal grande effetto. Al minuto e trentadue i toni si fanno ancora più epici ed altisonanti, con riff corrosivi sottolineati da un basso greve e dal drumming marciante; si riprende poi con le alternanze precedenti, tra dissonanze ed aperture solenni dove assoli classici aumentano l'atmosfera monolitica del brano, potenziata dalle declamazioni rabbiose e sgolate di Mortuus. Ecco quindi ancora  il susseguirsi di chitarre stridenti e galoppi controllati dai toni imponenti, in un andamento che si mantiene costante senza corse frenetiche, o rallentamenti eccessivi; al terzo minuto e venticinque ecco giri altisonanti ed ariosi accompagnati da piatti di batteria e delimitati da alcuni rullanti in una contrazione ripetuta. Al terzo minuto e cinquantuno si riparte con le melodie atonali vorticanti dalle scale ben congegnate, sulle quali poi la batteria si fa più incalzante, in un galoppo nel quale s'inseriscono rullanti di pedale, mentre i loop si fanno più freddi e  taglienti; si arriva al quarto minuto e trentasette, dove una digressione improvvisa fa da cesura corrosiva, dove si delinea un fraseggio roccioso, il quale prosegue riprendendo il movimento iniziale,  accompagnato come sempre dalla voce mortifera e disperata di Mortuus, vero e proprio demone dell'oltretomba. Ecco allora che torna l'alternarsi di fraseggi squillanti e parti più taglienti e rocciose, in un andamento sempre solenne e ipnotico, che ripresenta molti elementi del precedente "World Funeral"; torna quindi il lento montare di chitarre, che poi lascia il posto a melodie atonali che fanno ad sfondo per le declamazioni ruggenti del cantante. Si continua su queste coordinate in un loop appassionante, il quale si ferma al sesto minuto trentasei; qui sfuma in una digressione solenne con rullanti  e grida in riverbero, la quale si dilunga fino al consumarsi nel finale, lasciando solo spazio a suoni oscuri e cori occulti, mentre Mortuus prosegue con i suoi ruggiti infernali, in una coda ambient che sfocia nel pezzo successivo. Il testo torna a mostrarci piaghe bibliche che uccidono e distruggono; ci viene detto di avvicinarci, in modo che tutto possa bruciare, in uno scenario dove ogni feto è una torcia, mentre le labbra dei missionari bruciano, e anche lo sperma e la Morte bruciano insieme (probabilmente un riferimento a malattie veneree)  come cenere e carbone; Il colpevole e l'innocente sono qui uguali, mentre raggi di luce danzano senza sosta, e cordoni ombelicali e peccati perduti sono anch'essi come cenere e carbone. "Holy or crown of lust the city must burn - Santa o centro del desiderio, la città deve bruciare"  e la carne e il pane devono seguire il suo voto, mentre l'addome, le lingue egli abortiti sono la stessa cosa; tutto brucia, ogni immagine di vita e morte, mentre ci viene detto subdolamente "Come, come closer till nothing breathe - Venite, venite vicini fino a che nulla respirerà" senza nessun avvertimento, come un profeta di cenere e carbone(figure che tornano di continuo nel testo) cieco, ma dalle mille braccia che cercano. "Potete superare le bocche dell'Inferno?" ci sfida sardonicamente, continuando poi con le frasi già incontrate ristabilendo immagini di peccato e bruciatura; tutte le nazioni devono bruciare, i re e le meretrici insieme nella fine, mentre gli addomi, le lingue, i cercatori, i frammenti della tomba e delle foglie, moriranno nelle fiamme; un affresco apocalittico dunque, che usa un linguaggio figurato vivido per creare un'atmosfera severa e senza speranza, dove nulla è risparmiato nel disprezzo totale qui rappresentato. "Holy Blood, Holy Grail - Sangue Sacro, Santo Graal" vede per qualche secondo il proseguimento del finale del brano precedente, aprendosi poi in un rifting roccioso sul quale parte poi una doppia cassa massacrante; ecco quindi una cavalcata oscura dove i loop assumono toni severi alternati a bordate stridenti. Mortuus parte sgolato con un cantato violento, mentre al trentottesimo secondo troviamo atonalità in tremolo ammalianti che creano un'atmosfera frenetica; otteniamo quindi un vortice sonora vorticante che c'investe, assumendo poi connotati più diretti con vocals in riverbero, alternandosi con l'andamento precedente. Al minuto e quindici il tutto si fa ancora più dissonante con scale veloci, mentre il drumming prosegue velocissimo e le vocals si mantengono effettate; riecco quindi i fendenti squillanti, alternati a tempeste ventose fatte musica, per un pezzo decisamente black che ci riporta al passato dei nostri. Si prosegue così mentre Mortuus si da a sgolati versi abissali in riverbero, supportato dalle montagne russe strumentali; ma all'improvviso tutto si ferma lasciando spazio ad una declamazione crudele  e arrancante, al quale sfocia nel pezzo successivo. Un episodio senza fronzoli e al fulmicotone che rappresenta il lato più diretto e frenetico del disco, capace di mantenersi violento e sconvolgente anche più degli stessi episodi del passato a cui fa riferimento; si palesa quindi la natura alternata del lavoro tra pezzi atmosferici e sfuriate veloci, facendo confluire il tutto in un andamento costante senza stacchi che da un quadro generale nero e malato. Il testo breve è una sorta di preghiera malvagia, uno degli episodi più legati ai temi orthodox, usando quelli che potrebbero sembrare termini rivolti a Dio, per glorificare invece il Diavolo; un impero di sangue sorge, vendetta oppure il sacro sangue dei nostri, il loro Santo Graal, in nome del quale uccidono ogni debole. "Vengeance is mine - Mia è la vendetta"  dice il Signore e il narratore gli crede, naturalmente però rivolgendosi ad un Signore Oscuro; non una singola bacca nutrirà il nemico, nessuno lo aiuterà e darà a lui consiglio, perché ogni percorso troverà distrutto e ogni strada sbarrata. Egli sarà accolto solo da morte, annientamento e odio, e si compiono così le parole di vendetta della terribile preghiera nera; una maledizione oscura contro i propri nemici, in un'inversione e rifiutò della pietà cristiana, evocando un dio di sangue vendicativo e distruttore, come quello spesso trovato nell' Antico Testamento. Giocando con l'ambiguità tematica si usano i e termini e le immagini della Bibbia contro i suoi stessi valori, in una blasfemia molto più sottile e corrosiva, che da li a poco sarà l'arma usata anche dai Deathspell Omega e tutta una serie di accoliti raccolti sotto la Norma Evangelium Diaboli, come gli stessi Funeral Mist di Arioch/Mortuus o in futuro i più barbari Teitanblood. "Warschau - Varsavia" ci assalta con bordate distribuite su un rifting granitico; ecco l'esplosione di doppia cassa con vocals crudeli e riff glaciali a motosega, i quali poi si configurano in un loop ossessivo e continuo. Mortuus si apre in riverberi, mentre poi si prosegue con il motivo serrato, fatto di chitarre circolari devastanti e drumming massacrante, violento, ma ricco anche di tremolo ammaliante; al quarantottesimo secondo parte un fraseggio vorticante ed epico, il quale poi cresce d'intensità. Ripartono quindi i riff devastanti con le urla del cantante; ancora una volta poi il suo tono si fa sdoppiato in riverbero, mentre i loop s'inaspriscono bombardati dalla batteria in doppia cassa; freddi fraseggi taglienti si configurano al minuto e cinquanta in una bufera gelida e potente. Riecco quindi i riff inconfondibilmente metal e tetri, i quali creano un'atonalità incalzante; partono poi i giri errati con rullanti omicidi,  i quali sia prono a nuove corse squillanti, mentre Mortuus mantiene il suo tono inumano. E' un tripudio di violenza serrata e continua, al quale si apre a loop taglienti alternati brevemente a fraseggi oscuri che crescono d'intensità, lasciando poi posto alla ripresa dell'attacco di drumming, chitarre e voce sgolata; un'ultima corsa ci accompagna dunque verso il finale improvviso, che chiude il brano con uno stop non preannunciato. Il testo riapre i temi marziali legati alla Seconda Guerra Mondiale; la resistenza viene schiacciata e il dolore inflitto in nome di una profonda devozione per un regno del terrore, mentre misure drastiche segnano il fato dei combattenti, che mostrano con orgoglio monumenti di sangue. Siamo a Varsavia, la capitale della Polonia al centro dell'occupazione nazista e il conseguente sterminio di ebrei, la quale poi si ribellò in una lotta sanguinosa al nemico; un massacro supremo e spargimento di sangue,  un sacrifico dove il liquido rosso è il prezzo per la vittoria. "Iron claws descend, ruling with supremacy - Artigli d'acciaio discendono, dominando con supremazia" in una dichiarazione di morte, e in dannazioni dell'orgoglio dove vale l'occhio per occhio, e i carri armati reagiscono  con annientamento, obliterazione e cremazione, in un genocidio trionfante che è una dichiarazione di morte; vengono poi ripetute le immagini iniziali, continuando con le gesta dei mezzi pesanti che schiacciano i nemici, in un regno del terrore e massacro che non ha fine, portando l'Inferno nella città polacca; ennesimo testo quindi evocativo che qui non da molti riferimenti storici, giocando più sulla glorificazione della battaglia e dei mezzi protagonisti, in una versione esaltata delle vicende belliche che hanno caratterizzato uno dei momenti più oscuri dell'umanità. "Deathmarch - Marcia Della Morte" è la collaborazione con il gruppo martial/industrial svedese Arditi connubio che non mancherà di ripetersi nei lavori successivi; ecco una marcia sinfonica dai tamburi possenti e dagli archi trionfanti, al quale avanza con brusii in sottofondo ed effetti dark ambient epocali. Si continua così in un loop continuo, dalle suggestioni occulte, mentre la minuto e sedici intervengono canti sacrali che qui assumono connotazioni sinistre; si prosegue quindi con i battiti solenni e gli effetti vocali, in una processione funerea fatta musica. Riesplodono gli archi, riproponendo l'andamento precedente, sul quale si stagliano ora suoni meccanici; ecco che al secondo minuto e trentadue arrivano le vocals di Mortuus, qui pesantemente modificate e striscianti, completando perfettamente il pezzo nella sua natura evocativa e marziale. I suoni si fanno più epici e sommessi, mentre proseguono i tamburi ieratici, creando una sorta di malinconia oscura; ma poi riprendono gli  archi severi, in un crescendo trionfante che tiene fede al nome dell'episodio in questione. La voce di Mortuus si fa sempre più gorgogliante ed oscura, fino a consumarsi lasciando posto solo ai cori sacrali, che chiudono così l'esperimento qui presentato; ecco che i Marduk apportano qui elementi nuovi che non ne snaturano il suono, bensì  ne fanno da ottimo contrappunto con suoni non black metal, ma vicini ad esso per atmosfere e suggestioni. Il testo riporta una frase in latino, un nero ammonimento: Ciò che (i morti) erano, noi siamo, ciò che essi sono, è ciò che noi saremo, ovvero senza senso, assolutamente senza senso. "Memento mori - Ricorda che devi morire" ci viene ripetuto, in un frase che come il precedente "Vanitas vanitatum, omnia vanitas - senza senso, senza senso, assolutamente senza senso" viene presa dal Vecchio Testamento, Ecclesiastico 1:2, usate entrambe spesso durane la Guerra Dei Trent'anni e le piaghe che colpirono l'Europa tra il 1600 e il 1700; verso la fine un ultimo monito è dato con "Nemo ante morten beatus dici potest - Nessuno può essere chiamato felice prima della sua morte" in un ricordo dell'effimerità della vita, nelle intenzioni originali un riferimento alla vera gioia dell'aldilà (per chi si era guadagnato secondo i canoni cattolici il Paradiso, naturalmente), professato da Salomone in risposta a Creso che gli chiese se egli era a causa della sua ricchezza l'uomo più felice al Mondo. Qui il tutto assume dei toni macabri ricchi di una nera morale, dove tutto ciò che esiste è vano, perché la Morte avrà il suo trionfo su tutto in un nichilismo supremo. "Everything Bleeds - Tutto Sanguina" riporta il disco su coordinate prettamente metal, grazie ad una corsa tempestosa fatta di loop frostbitten e doppia cassa; al dodicesimo secondo con l'introduzione delle vocals distorte di Mortuus l'andamento si stabilizza in un galoppo vorticante fatto di rulli potenti e riff stridenti, mentre il cantato prosegue lanciato. Al trentanovesimo secondo si riparte con i loop devastanti delineati da piatti e rulli improvvisi, alternati poi a percorsi più furiosi e diretti, dove la voce del cantante assume toni demoniaci; ecco al minuto e nove fraseggi oscuri che avanzano ossessivi e ripetuti in una sequenza atonale incalzante. Il drumming è una centrifuga continua, mentre le chitarre delineano l'andamento con parti serrate ed aperture circolari ariose; il tutto crea un'atmosfera frenetica e schizzata che da forma musicale ad una nera follia devastante. Al minuto e cinquantuno tornano i severi fraseggi squillanti, mentre percepiamo i toni grevi del basso in sottofondo; seguono giri ariosi che si strutturano in loop ripetuti dall'effetto imponente che trascina in avanti al composizione. Al secondo minuto e diciassette una serie di bordate fanno da cesura, prendendo man mano velocità fino a convertirsi in una nuova corsa folle in doppia cassa e riff taglienti, ricreando le suggestioni iniziali; una tempesta vorticante quindi che alterna parti squillanti e altre più ariose e dirette, in un gioco continuo di movimenti frenetici, che s'inaspriscono insieme ai toni demoniaci e sgolati di Mortuus. Si prosegue quindi con il vortice sonoro continuo, dalla tecnica brutale vicina  a certo death, il quale conosce tregua solo nello stop improvviso che ferma il brano, sfociando subito dopo in quello successivo; ennesimo  episodio veloce e lanciato quindi che fa parte dei brani d'assalto dell'album, fonte di materiale per i concerti  dei nostri. Il testo è abbastanza sorprendente, trattando di Giovanna D'Arco e della sua famosa vita; si parte invocando il suo nome, e con la criptica frase "tua madre è molti" , ricordando poi che ogni cosa sanguina. Nessuna ha sentito le labbra dell'aldilà muoversi, nemmeno lei (riferimento probabile alle sue visione uditive), è tutto un vuoto che viene da dentro, e lei ha paura di morire, la si avverte di non abbracciare la spada, e anche el braci sanguinano, tra le sue fredde bocche. Visioni future di morte seguono, con i suoi nemici e traditori che spargono le sue ceneri sulla Senna, come un velo da funerale, e la si avverte di non credere alle sue visioni, ogni cosa da lei nominata è già segnata; "Don't receive the white armor, There is nothing to defend - Non accogliere l'armatura bianca, non vi è nulla da difendere" si continua, avvertendola anche di non inginocchiarsi ai re, perché sangue scorrerà e lei sarà tradita, mentre c'è molto sangue, e le rocce sono fredde.  Le si ripete che non sente le voci, e che la sua spada sarà esposta nelle catacombe come un simbolo, scongiurandola ancora di non credere al vuoto dentro di lei, perché i santi sono morti, non corone appuntate; nella parte finale abbiamo la ripetizione del concetto che ogni cosa sanguina, e un'inaspettata farse dove "con due dita apre la sua camera protetta" riferendosi probabilmente alla masturbazione, attaccando la sua supposta purezza e santità. Un testo quasi dispiaciuto e sconfortato, anche se probabilmente in maniera sarcastica, che presenta la vicenda della santa guerriera come un esempio della follia della fede cristiana, interpretata qui come un mascheramento del vuoto interiore che la porterà tramite le allucinazioni alla morte in vano, ennesimo simbolo della tragedia dell'esistenza e delle sue inutilità; altro esempio della capacità argomentativa sottile di Mortuus, che spazia anche nei temi aldilà dei riferimenti diretti alla religione, capace anche di commenti su figure storiche. "Blutrache - Vendetta Di Sangue" è il gran finale, il quale parte con campionamenti bellici ormai familiari nel suono dei nostri; si prosegue quindi con esplosioni e bombardamenti, rumori di aerei e quant'altro, fino al ventiquattresimo secondo. Qui prende piede un rifting tagliente e distorto che sale di volume prendendo posto sulla scena; si aggiungono grevi arpeggi di basso mentre al quarantasettesimo secondo un altro suono d'aereo annuncia l'inizio di un fraseggio strascinate e solenne accompagnato  da rullanti incalzanti. Al cinquantacinquesimo secondo il movimento si lancia con una doppia cassa sferragliante accompagnata dai freddi loop taglienti di chitarra creando una corsa scolpita dai blast organizzati; al minuto eventi partono una serie di vortici corrosivi sotto forma di giri in tremolo, sui quali si staglia la voce  "rettiliana" di Mortuus, anch'essa uno strumento votato alla tempesta sonora ottenuta. Al minuto e trentasei incontriamo un fraseggio solenne ed oscuro il quale si dilunga bombardato dal drumming possente; riprendono poi i giri più diretti a moto sega, in una furia continua sottolineata dalle grida sataniche del cantante. Si arriva quindi al secondo minuto e nove, dove un rifting distorto fa da cesura tagliente sulla quale incontriamo rullanti sincopati; ecco che si crea una marcia vorticate che avanza imperante mettendo sotto ogni cosa. Ma il songwriting è frenetico, e al secondo minuto  e trentatré si torna in quarta con la cavalcata caotica dove voce, batteria, e chitarre si fondono in un vento nero che dilania l'ascoltatore; ma le sorprese sono varie, e al secondo minuto e quarantotto si rallenta in un fraseggio solenne con drumming cadenzato e vocals in riverbero, il quale avanza poi prendendo velocità in una nuova cavalcata vorticante. Essa prosegue lanciata, ricreando il marasma precedente in una violenza sonora continua; ecco quindi l'esplosione di chitarre altisonanti, doppia cassa e balst delineanti, mentre poi tutto s'inasprisce in toni grind massacranti e continui. Al terzo minuto e cinquantadue si reinseriscono i fraseggi solenni e veloci, creando un'atmosfera adrenalinica e allo stesso tempo greve; ripartono poi i loop a motosega freddi e taglienti bombardati dalla doppia cassa e dalle urla ormai deliranti di Mortuus . Si arriva al quarto minuto e ventitré dove si ripropone il fraseggio solenne con colpi cadenzati, il quale avanza strisciante insieme al riverbero crudele del cantante; la batteria si apre quindi a rullanti di pedale, in un proseguo epico   e solenne che si fa roccioso e cerimoniale, mentre  Mortuus prosegue con il suo ritornello incalzante. Un andamento quindi che prosegue senza accelerare, ricco di una tensione trattenuta che si manifesta con rullanti e giri taglienti di chitarra; un loop ipnotico che va avanti supportato dal disgusto vocale di Mortuus fino al sesto minuto e trentadue. Qui rimane solo al voce con il fraseggio corrosivo, il quale va consumandosi lasciando posto a una digressione e rullanti di batteria; ecco un feedback che si dilunga sempre più squillante fino alla conclusione del lungo brano, segnata da improvvise ultime parole del nuovo cantante. Un perfetta conclusione che fonde le due anime del lavoro, presentando sia accelerazioni, sia rallentamenti decadenti dalla nera matrice; un pezzo lungo, ma che non stanca grazie alle alternanze ben calibrate che danno un percorso narrativo non solo grazie alle parole, ma anche con la musica. Il testo  chiude l'album con un inno alla guerra dai toni apocalittici, in una marcia gloriosa verso al morte; sorge la grande cattedrale dell'umanità dalle cui porte spalancate marciano cantando le nazioni, dirette verso al sconfitta e la morte mentre il Giorno Del Giudizio si avvicina alla sera. Carri armati come tuoni e morte, un Sole nero e sacro dalle dodici braccia che sorge, mentre si gode alla luce di un Armageddon fatto dall'uomo; un inferno umano dove si è mano nella mano con angeli di ferro e di furia. Si prosegue poi a lungo ripartendo i versi finora presentati, con le immagini del Sole dalle dodici braccia, della cattedrale umana, e dell'assalto dei carri armati; un'unione tra guerra e tratti apocalittici biblici, sottolineando però la natura ben poco divina del tutto, provocato dall'uomo e dal suo innato desiderio di auto distruzione. Una cremazione di massa dove gioire, una luce scintillante che deriva dalla morte di massa,  in un caos e in un inferno di carri armati, mentre ogni nazione marcia, e anche i bambini, fino alla fine; una guerra globale che rappresenta una "Sacred dance of death - Sacra danza della morte" da venerare in un ennesimo esempio di nichilismo estremo, in un testo che chiude perfettamente il lavoro nel suo connubio di guerra e morte apocalittica, rappresentando insieme tutti i temi finora incontrati. Ora più che mai i Marduk sono il gruppo che glorifica la Morte in ogni sua forma, superandole facili blasfemie di un tempo, accogliendo un tono severo e più colto che usa immagini bibliche ed altisonanti, e disquisizioni ragionate per confutare l'odiato nemico; tendenza che andrà sempre più espandendosi come avremo modo di vedere.  

Un lavoro potente e devastante, ma allo stesso tempo tetro e solenne,  che segna la rinascita dei Marduk e l'inizio di una nuova era in ascesa; è difficile rimanere rilevanti dopo ben quattordici anni di carriera, e ancora di più rivoluzionarsi dopo la perdita di un cantante caratteristico che per anni ha rappresentato la voce del gruppo, ma i nostri riescono a farlo in modo magistrale. Allo stesso tempo guadagnano un maggiore fascino che ne favorirà il successo commerciale lanciandoli nuovamente e definitivamente nell'olimpo del metal estremo, dall'altro però guadagneranno un'aura molto più oscura che darà un tono greve e "sacrale" alla loro opera da qui in poi, aumentando sempre di più le influenze provenienti dai Funeral Mist  con un apice che si avrà intorno al 2009 in concomitanza con l'uscita del secondo album dei primi e dell'undicesimo dei nostri, opere per molti versi gemelle; intanto come sempre i Marduk non perdono tempo e per l'ennesima volta fanno da gruppo principale per il X-Mass Festival, partendo poi con un tour per promuovere l'album chiamato Deathmarch  ed accompagnato da un omonimo EP limitato, abitudine questa conservata dai nostri che cercano sempre di pubblicare materiale "minore" in concomitanza dei concerti in modo da mantenere vivo l'interesse (e ricavare anche qualche soldo, che non fa mai male). Purtroppo il proseguimento dei tour verrà momentaneamente arrestato dalla rottura del braccio da parte del batterista Emil durante una rissa, ma poi il gruppo trionferà ancora una volta sui palchi del Wacken Open Air festival, proseguendo poi nell'estate del 2005 il tour precedente; esso li porterà poi in Turchia, e ancora in Sud America, ormai territorio caro ai nostri dove ricevono consensi da fan sfegatati amanti del loro suono violento. Si arriva quindi al loro quindicesimo anniversario, celebrato con il live "Warschau" registrato in Polonia, il quale darà testimonianza delle grandi doti della nuova formazione dal vivo e della presenza imponente sul palco di Mortuus; ma prima analizzeremo l'EP che accompagna il tour sopra menzionato, il quale presenta una versione alternativa di "Steel Inferno", un inedito, e due demo dei primi due brani dell'album qui recensito, dimostrandosi come spesso accade con i loro mini album una chicca per gli appassionati e un completamento di quanto fatto nei lavori principali (tanto che poi sarà anche venduto in un boxset insieme a "Plague Angel"  e al DVD "Party San Festival 2006" nel 2008). Un nuovo percorso dunque, che andrà sempre più in crescendo in un tripudio di lavori epici e allo stesso tempo "sperimentali", senza però perderà l'essenza violenta che caratterizza i Marduk, ma presentandocene una "versione 2.0" capace di reggere il confronto con, e anche superare, molte nuove leve; una band quindi che ora entra trionfante nella seconda metà del primo decennio degli anni duemila, con nuovi obiettivi e direzioni che andremo ad esplorare insieme. 

1) The Hangman of Prague
2) Throne of Rats
3) Seven Angels, Seven Trumpets
4) Life's Emblem
5) Steel Inferno
6) Perish in Flames
7) Holy Blood, Holy Grail
8) Warschau
9) Deathmarch
10) Everything Bleeds
11) Blutrache

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