MARDUK
Opus Nocturne
1994 - Omose Productions
DAVIDE PAPPALARDO
13/02/2015
Recensione
Continua il nostro viaggio, sempre più oscuro e violento, nell'immensa discografia dei Marduk, lo storico gruppo black metal svedese guidato dal chitarrista Morgan Hakansson, coinvolto nel frattempo anche nel progetto Abruptum; dopo un inizio in sordina con l'EP "Fuck Me Jesus" e l'esordio per la No Fashion Records "Dark Endless", entrambi caratterizzati da una pesante influenza death metal inevitabile nella Svezia di quel periodo, i nostri stabilizzano il loro suono verso coordinate marcatamente black con "Those Of The Unlight". Questo disco rimane un punto cruciale della loro discografia, dove il precedente Dread (Andreas Axelsson) viene sostituito al microfono dall'allora batterista Af Gravf (Joakim Gotheberg), il quale offre un cantato ancora più drammatico e gridato; l'opera è legata testualmente a tematiche fantasy derivate dal mondo di Tolkien, insolite per una band che poi invece si dedicherà a blasfemie, vampiri, e guerre, ma dal sound come detto virante verso una direzione che inquadra i nostri in maniera più definita. Comincia inoltre la collaborazione con la Osmose Productions, che li accompagnerà a lungo durante la loro carriera; forti del suono trovato, i Marduk s'imbarcano l'anno successivo in un serie di concerti, prima un festival black "in casa del nemico", ovvero in Norvegia, poi in diverse date con gli Immortal nel "Sons of Northern Darkness" tour. Questo permette a molti blackster di entrare a contatto con il suono, similmente freddo come quello della band principale, ma forse ancora più violento, e di riconoscerli tra i gruppi facenti parte del genere; il black metal scandinavo è infatti ormai una realtà consolidata, che nel 1994 vede una serie di eventi musicali e di cronaca cruciali: Burzum (Varg Vikernes) viene riconosciuto colpevole dell'incendio di tre chiese, e dell'omicidio di Oystein '"Euronymous"' Aarseth, mente dei Mayhem e "nume tutelare" della scena, ma nonostante ciò viene pubblicato il suo disco "Hvis Lyset Tar Oss" che fa parte del suo repertorio classico; gli stessi Mayhem vedono la pubblicazione postuma del loro magnus opus "De Mysteriis Dom Sathanas", disco che continuerà a influenzare il black metal anche vent'anni dopo. Inoltre anche altri gruppi incominciano a creare i capolavori che definiranno lo stile adottato poi da chi verrà dopo; i Darkthrone pubblicano quello che sarà il loro lavoro più imitato, trionfo del lo - fi gelido e grim, ovvero "Transilvanian Hunger", mentre gli Emperor con "In the Nightside Eclipse" aprono la strada per la variante sinfonica. Ma non è finita: al di fuori dei confini scandinavi, in Inghilterra, i Cradle Of Filth, futuri rappresentanti dell'immagine più "innocua e commerciale" del genere, pubblicano il debutto "The Principle of Evil Made Flesh" che accentua i toni gotici e dark, mentre tornando in Norvegia i Dimmu Borgir, altri futuri campioni delle classifiche, esordiscono con "For All Tid". Si potrebbe continuare con mille esempi, fatto sta che il metallo nero è ora un genere con una sua mitologia e un suo suono, e con le sue pietre miliari, anche se il futuro riserverà ancora diverse sorprese; in tutto questo quindi i Marduk trovano terreno fertile, pubblicando quello che per molti sarà il capolavoro del loro "periodo classico". Parliamo di "Opus Nocturne - Opera Notturna", il lavoro qui oggi recensito che vede per l'ultima volta Af Gravf come cantante, mentre Hakansson si occupa come sempre della chitarra, il nuovo arrivato Fredrik Andersson della batteria, e Roger Svensson (ora B.War) del basso; il disco verrà mixato ancora una volta da Dan Swano presso il suo Unisound Studio, sancendo il canto del cigno anche di questa collaborazione, nonché di un altro periodo della band. Qui infatti viene sviluppato quanto iniziato nell'album precedente, proseguendo con un black similare a certe uscite norvegesi, in particolare i già citati Immortal, ma che accentua ancora di più certi tratti, con un'atmosfera maligna, ma soprattutto con una violenza nera e oscura espressa in cavalcate gelide con muri di chitarre in tremolo e dalla doppia cassa massacrante; la produzione pur non raggiungendo i livelli volutamente scadenti usati da molte band del genere, è ancora essenziale e tetra, dando tramite l'ampio uso del riverbero una certa connotazione ritualistica tanto alla voce, quanto agli strumenti. Una serie di elementi insomma che innalzeranno la performance dei nostri, prima della loro virata verso un suono "norsecore" non necessariamente peggiore o migliore, ma giocato su altri elementi e con altre caratteristiche; compaiono comunque alcuni temi che saranno poi caratteristici di altri episodi della discografia dei Marduk, in particolare i primi accenni alla figura di Dracula (Vlad Tepes), il sanguinario condottiero transilvano immortalato come vampiro nell'immaginario globale grazie al libro di Bram Stoker. Ad esso qualche anno dopo verrà dedicato l'album "Nightwing", dimostrando il forte interesse di Hakansonn per questa figura tetra e macabra.
Si parte con la strumentale "Intro / The Apperance of Spirits of Darkness - Intro/ L'Apparizione Dei Spiriti Dell'Oscurità", che per circa trenta secondi ci accompagna con una solenne composizione d'organo, stabilendo i toni sinistri e sepolcrali dell'album, delineati con note altisonanti; ecco però l'inizio vero è proprio si ha subito dopo con "Sulphur Souls - Anime Sulfuree" e con l'esclamazione rauca di Af Gravf, a cui segue un muro di chitarre veloce in doppia cassa. Ecco quindi una corsa tagliente e devastante nei suoi blast ripetuti, dove i giri di basso e chitarre creano una motosega lanciatissima, ancora più che in passato; una vera e propria tormenta sonora dunque, che ci avvolge soffocandoci e senza lasciare via di scampo. Ecco che al ventinovesimo secondo essa prosegue ancora più diretta, mentre il cantante parte con le sue grida sgolate in riverbero, ancora più maligne che in precedenza; il turbine prosegue caotico tempestato da piatti e da rulli di pedale senza sosta; ma al quarantanovesimo secondo tutto si ferma con una bordata e un colpo di batteria. Ecco poi un fraseggio solenne e roccioso sul quale si distribuiscono bordate cadenzate e dilatate in un effetto incalzante; si crea quindi un andamento più controllato e strisciante sul quale Af Gravf torna con i suoi toni melodrammatici, mentre il drumming si mantiene pacato nei suoi colpi ben soppesati. In sottofondo percepiamo dei riff taglienti, che mantengono un'adrenalina sospesa, ma sempre presente; al minuto e ventuno dopo un rullo breve di batteria le chitarre si aprono a esuberanti giri altisonanti, i quali si alternano poi in un andamento schizofrenico con veloci accelerazioni di doppia cassa e grida, creando un'onda sonora dal grande effetto. Il clima è assolutamente violento e travolgente, stabilendo la summa del black dei nostri, ora impostato su un attacco con ben pochi eguali nel loro campo; al minuto e quarantotto la batteria si apre in un galoppo, mentre le chitarre proseguono in un freddo loop, sempre accompagnate dalle maligne vocals di Af Gravf. Si arriva quindi al minuto e cinquantatre dove le chitarre si fanno più ariose, ma sempre feroci, in un suono ieratico ed imponente; il drumming si fa cadenzato in colpi secchi e costanti, mentre il cantato drammatico viene potenziato dalla melodia atonale glaciale e malinconica. Al secondo minuto e quindici abbiamo un nuovo stop con colpo di batteria, dopo il quale parte un fraseggio distorto e serrato; su di esso esplode la doppia cassa come un tuono, mentre Af Gravf interviene con voce ultra effettata con un riverbero roboante. Si prosegue poi in screaming, in una tensione ormai esplosa in un gorgo delirante che massacra ogni cosa; solo brevissimi rullanti fanno da pausa, mentre la cavalcata continua senza scrupoli o remore di sorta. Al secondo minuto e cinquanta i toni si mantengono agitati e caotici, ma le chitarre si aprono ad un fraseggio più arioso; ecco al terzo minuto una pausa con digressione, la quale striscia mentre un basso molto greve si dilata. Parte poi un motivo solenne e melodico di chitarra, che ripresenta in chiave molto più controllata l'evocativa melodia portante del brano; esso si dilunga mentre la batteria, calma, si concede alcuni rulli veloci, tornando poi subito stabile. L'andamento è interrotto al terzo minuto e quarantuno da un grido accompagnato da blast e giri taglienti di chitarra; riecco dunque il vortice di doppia cassa, piatti tempestanti e loop distorti di chitarra in tremolo. Subito dopo viene ripresa la sezione dal drumming galoppante, dove le chitarre si mantengono feroci, anche se meno isteriche; al minuto e sette il posto viene preso dal motivo solenne ed altisonante di chitarra, dai connotati struggenti e spettrali. Esso prosegue con una batteria cadenzata, e muri di chitarra costanti in sottofondo, in un andamento ammaliante che non molla la presa; al quarto minuto e ventotto la melodia viene ripresa da tastiere eteree ed evocative, che accentuano l'atmosfera cerimoniale e ieratica qui raggiunta. Si continua in queste coordinate esaltanti fino alla bordata distorta del minuto e cinquanta accompagnata da un blast; prende poi piede un rifting sommesso ed oscuro. All'improvviso partono bordate ripetute in modo martellante, mentre Af Gravf esplode con il suo cantato malvagio in riverbero, in una grande enfasi; si prosegue quindi con giri distorti e colpi ritmati, in una conclusione segnata da giri di chitarra controllati alternati con colpi serrati, che poi sfuma in rulli dissonanze finali. Il testo delinea un immaginario prettamente satanico dai toni combattivi e blasfemi, ricordando quelli che poi saranno anche i testi caratteristici dei discepoli/cugini Dark Funeral, improntati su immaginarie battaglie sataniche che vedono il trionfo delle forze del Male; un seguace del diavolo lo saluta, minacciando poi Dio stesso anticipando la furia demoniaca che verrà riversata su di lui, lasciando solo una vasta memoria nera sulla sua tomba. Dalla loro "Sinagoga di Satana" essi chiamano il popolo black metal ("Black metal warriors of northern lands, Lift your swords up high - Guerrieri black metal delle terre del nord, Alzate in alto le vostre spade.") aizzandolo alla lotta e all'adorazione del diavolo, "Signore delle anime sulfuree"; s'immagina la città di Babilonia, simbolo del peccato, con le mura decorate con i corpi dei cristiani, definiti deboli, i quali supplicano pietà, scatenando però l'odio dei nostri. Si incita ancora "Do never lower your heads in awe, For a god so good and mild - Non abbassate mai la vostra testa in sgomento, Per un dio così buono e mansueto." in una malvagità a tutti costi che raggiunge livelli un po' difficili da prendere sul serio nei suoi stereotipi, ma tipica del black metal più diretto e meno elaborato; il "dio decaduto" viene deriso e disprezzato, così come i suoi discepoli impiccati nudi sulle mura insanguinate di Babilonia. Ora il sole bianco li sorprende, ma essi non hanno paura, perché la "lucente stella del mattino" (chiaro riferimento a Satana) oscura tutto, mentre il regno di Dio è distrutto, e il narratore con delizia si definisce il suo Giuda, il suo traditore. Una sorta di inno black metal quindi, che unisce una seria blasfemia (almeno nelle intenzioni dei nostri) con esaltazioni da "cerchia" che richiama, in maniera un po' furbesca, gli ascoltatori (spesso adolescenti o nei loro vent'anni) come dei devoti in una setta. "From Subterranean Throne Profound - Dal Trono del Profondo Sotterraneo" parte con un riff rocciosi, al quale segue subito un'inevitabile muro di chitarre e doppia cassa delineato da rulli, in una corsa al fulmicotone che ripete, se non era ancora chiaro, il concetto di assalto costante ormai caro ai nostri; ecco che al ventesimo secondo si passa ad un galoppo di batteria e loop di chitarra, sul quale si staglia il cantato in riverbero di Af Gravf, maligno e feroce come sempre. Si prosegue così in un ritmo costante e massacrante, che al quarantatreesimo secondo riprende la corsa iniziale; un turbine costante quindi ci avvolge, glaciale e serrato come sempre, assaltando i nostri sensi. Ancora una volta solo dei rullanti dilatati sospendono per qualche secondo la cavalcata da tregenda, terribile e votata al caos tagliente e feroce; ecco che al minuto e quattro riprende la galoppata più incalzante, ristabilendo un'alternanza ormai chiara tra i due movimenti. Il cantante è sempre possente nelle sue declamazioni in riverbero, dando il meglio di se anche grazie all'apporto della produzione di Swano; la strumentazione intanto prosegue serrata ed adrenalinica in un'atmosfera costantemente violenta e tellurica. Al minuto e ventinove ecco un fraseggio solenne tempestato da colpi secchi, il quale poi si sviluppa in un rifting con drumming ritmato e rulli di e pedale in sottofondo; percepiamo anche i giri di basso ad opera di B.War, i quali riprendono e supportano le chitarre, aggiungendo un valore in più alla musica carica dei nostri. Si continua su queste appassionanti coordinate fino al secondo minuto e diciassette; qui riprende la doppia cassa, supportata da un loop freddo e malinconico che stabilisce l'atmosfera tutta frostbitten. L'andamento è lungo e ripetuto, in un'ammaliante melodia ipnotica ed epica dal grande effetto, tempestata da blast improvvisi; si arriva al secondo minuto e cinquantotto dove tutto si ferma lasciando spazio ad un fraseggio distorto e corrosivo. Esso viene delimitato poi da bordate e piatti altisonanti, in un maestoso crescendo di tensione, che collima in una nuova corsa isterica; Af Gravf grida come posseduto, mentre la doppia cassa ci investe e le chitarre si trasformano in venti sparati a folli velocità, senza darci respiro. Grazie ai loop in tremolo sopravvive la melodia, per quanto stridente e atonale, riuscendo a rendere piacevole quello che è un vero è proprio torrente sonoro in piena; anche il basso discordante partecipa al tutto, in un tripudio di elementi disorientante. Si riparte con la solenne tempesta, ricca di blast e velocità fuori da ogni controllo; essa da spazio al terzo minuto e cinquantasei ad un galoppo serrato coadiuvato a bordate squillanti continue, in una cavalcata da tregenda che prende sempre più velocità. Su di essa il cantante si lancia in urla raggelanti, in una violenza costante ormai dominate; al quarto minuto e diciotto la cacofonia si ferma, grazie ad una nuova solenne cesura con fraseggio. Ma non dobbiamo abituarci; su di esso esplode una nuova corsa con doppia cassa, blast, rulli, e vortici di chitarre taglienti come rasoi e basso stridente, ristabilendo la tormenta terribile e potente. Essa prosegue beffarda, mentre al quinto minuto e ventotto i giri di chitarra si fanno ancora più solenni ed oscuri, sottolineati dalla batteria isterica; al quinto minuto e quarantotto ecco lo stop con digressioni e colpi cadenzati, in una sezione monolitica ed ieratica. Prosegue poi al distorsione di chitarra, mentre versi in riverbero e battiti altrettanto effettati creano un'atmosfera cerimoniale e tetra, dai toni demoniaci; al sesto minuto e ventotto parte la cavalcata liberatoria, dove un grido di Af Gravf si dilunga, mentre doppia cassa e loop in tremolo spaccano ossa e allo stesso tempo tessono fredde melodie epiche atonali. Al sesto minuto e quarantasei parte un galoppo controllato di batteria, mentre le chitarre si fanno più incalzanti e il cantato drammatico; ma ecco la nuova esplosione finale, che trascina nel suo turbine il brano. Ma l'alternanza è dietro l'angolo, e la galoppata riprende posto stabilendo un dinamismo finale che chiude il lungo e serrato pezzo con dei colpi conclusivi di batteria e una dissolvenza. Le parole del testo proseguono le tematiche sataniche della band, che ora tocca un altro topos tipico del black metal: la derisione del sacrificio di Cristo, e la rinuncia alla sua salvezza tramite il suicidio, vissuto come un rituale con il quale raggiungere il proprio signore all'Inferno. "A look on the crucified one, Gives us strength in soul and mind - Uno sguardo al crocifisso, Ci da forza in anima e corpo." esordiscono, chiarendo la propria malvagia ideologia, dove questo momento nutre un odio non divino, glorificando i peccatori perché a causa loro Cristo ha sacrificato la sua flebile vita; egli pende quindi dall'albero maledetto (forse raffigurazione blasfema dell' "holywood", il legno sacro della croce), mentre viene derisa la sua missione sacra, e il suo essersi sacrificato per portare i peccati dell'uomo in nome di Dio. Si passa poi al rituale - suicidio fatto in disprezzo della vita e della salvezza: nessuna agonia, nessuna lacrima, solo il sangue può sancirlo, "Therefore our blood floats in swift streams - Quindi il nostro sangue scorre in fiotti veloci." dichiarano i nostri, mentre hanno le vene aperte, deridendo e calpestando tutto ciò che è rappresentato dalla santa trinità. Ecco che discendono nelle profondità della terra, dove si trova il profondo trono sotterraneo, il regno del loro padre, ovvero Satana. Nessuna luce può salvare il narratore, poiché l'oscurità l'ha bruciato troppo a lungo (un'abile sinestesia), mentre la sua sepoltura è l'inizio di un viaggio verso il regno paterno; possiamo quindi individuare due parti, prima la derisione della figura di Gesù e del su sacrificio, poi la descrizione di un suicidio rituale satanico atto a far raggiungere il regno infernale ai discepoli del male. Essi sono collegati dal tema comune del disprezzo verso la salvezza divina, e l'esaltazione della dannazione; ancora una volta i Marduk vogliono dimostrarsi il più blasfemi e crudeli possibili, attaccando tutto ciò che è buono e sacro con una cieca convinzione. "Autumnal Reaper - Mietitore Autunnale" non perde tempo e s'introduce energica con un galoppo possente di riff taglienti e batteria ritmata, in un andamento pieno di dissonanze in cui si aggiungono anche i giri di basso; al sedicesimo secondo i ritmi accelerano ancora di più, con grida assordanti e doppia cassa inumana, in una tormenta dai connotai quasi grind, per l'ennesima volta interrotta solo da alcuni rulli di batteria. I loop feroci di chitarra riprendono poi gli andamenti vocali di Af Gravf, in un bel "groove" trascinante ed ipnotico; al trentasettesimo secondo le chitarre conosco punte più atmosferiche, mentre le vocals si concedono ad un semi - growl più cavernoso, riprendendo però subito dopo con lo screaming. La cieca violenza viene unita da un solenne ed epico crescendo nel motivo di chitarra glaciale delle chitarre maestose; ecco che al cinquantaseiesimo secondo un veloce fraseggio blocca tutto facendo da cesura, dilungandosi nei suoi giri stridenti. Ma la calma dura poco, ed ecco il ritorno dei loop in tremolo e del drumming in doppia cassa delirante; si arriva al minuto e dieci, dove i toni si fanno più incalzanti in un galoppo sempre combattivo, mentre il cantante prosegue nei suoi versi gridati e malvagi. Le chitarre sono motoseghe lanciate senza controllo, instaurando nuovamente un continuo ipnotico e tagliente fatto apposta per esaltare gli amanti dei suoni più duri e feroci; al minuto e trenta si rallenta leggermente, con una sezione solenne dalle chitarre ariose e dalla batteria sempre dritta, che si alterna anche a rullanti. Per qualche secondo intervengono anche effetti di tastiera evocativi, mentre poi si continua dritto sul trotto costante; la velocità torna ad intensificarsi al minuto e cinquantuno, con venti sonori che c'investono spazzandoci insieme ad essi, mentre i giri di basso fanno da greve e costante supporto. Al secondo minuto e cinque parte lo stop, segnato da un fraseggio distorto e tastiere sospese; ma anche qui non possiamo rilassarci, perché esplode di nuovo il marasma costante, e Af Gravf torna con il suo screaming potenziato dal riverbero, con andamenti ripresi dalle chitarre vorticanti. Non bisogna pensare che manchi l'atmosfera, anzi essa è costante grazie alla melodia tonale feroce e tagliente sempre presente, tempestata da blast ben posizionati in un assalto che non vuole darci scampo; si continua sulle coordinate adrenaliniche in un connubio di strumentazione lanciata che crea un unico movimento, nel quale però riusciamo a discernere i singoli elementi grazie all'ottima produzione. Al terzo minuto e cinque dopo un colpo di piatto le chitarre si fanno più solenni, mentre il drumming prosegue in doppia cassa, e Af Gravf grida tutto il suo disprezzo; ecco però la conclusione improvvisa segnata da una sua esclamazione sommessa, in un finale improvviso che non da il tempo di realizzare cosa è successo. Il testo si allontana dalle precedenti tematiche prettamente sataniche, mantenendo però una certa atmosfera macabra e tetra, proseguendo i connotati "grim" tipici del nuovo metallo oscuro; freddissimi venti spazzano le vallate, mentre da un antico rifugio si erge il "mietitore autunnale", simbolo di morte e decadenza, osservato da una cerchia di occhi senza sonno. "Autumn reaper, dress me in ice, Let my blood freeze in your eyes - Mietitore notturno, vestimi di ghiaccio, Fa gelare il mio sangue nel tuo sguardo." invoca il narratore, desiderando la fredda morte da esso portata, continuando le tematiche di disprezzo della vita e ricerca della morte già precedentemente palesate; dei monoliti creati da mani sconosciute in epoche remote si ergono al cielo, incrementando l'atmosfera solenne e terribile qui delineata, mentre il vento eterno e maledetto soffia, eterno nella sua continua azione. Venti autunnali dunque, che ghiacciano la vita vestendola di gelo, lasciandone le tracce come ombre congelate sotto le stelle lucenti; si continua poi ad evocare l'essere protagonista del testo, rappresentazione del freddo e mortale autunno scandinavo. Connotati quindi più poetici, ma non certo delicati o positivi, esaltando tutto ciò che è tristezza, morte e gelo eterno, in contrapposizione ai valori positivi e vitali della società cristiana; una sorta di mitologia parallela dove la natura viene glorificata nei suoi aspetti più crudeli e oscuri, personificata in spettrali emissari della Morte. "Materialized in Stone - Materializzato Nella Pietra" parte con un rifting distorto e sommesso, ricco di andamenti atonali sferraglianti; ecco che al decimo secondo colpi di piatti introducono le grida in riverbero di Af Gravf e un montante roccioso di chitarra, altisonante e dalla melodia appassionata. La batteria è cadenzata, mentre il cantante segue nelle sue esclamazioni l'andamento dei giri circolari, in un inedito stile "black 'n' roll" che mostra sin dall'inizio un episodio diverso dal solito assalto frontale costante, influenzato molto dai Bathory più epici; l'atmosfera è esaltante e strutturata tramite un loop delineato da piatti distribuiti nella composizione. Al quarantottesimo secondo parte un fraseggio solenne accompagnato dai colpi ritmati di drumming, mantenendo un suono evocativo e struggente; ecco che al minuto e cinque dopo un rullante riprende il trotto roccioso insieme alle vocals maligne di Af Gravf. Un ritornello incalzante fatto per essere seguito nel suo ritmo ieratico, per quello che probabilmente è il pezzo più interessante di tutto l'album, che mostra dei Marduk capaci di pagare pegno alle loro influenze e di allontanarsi momentaneamente dalle cavalcate continue in doppia cassa; al minuto e trentotto le chitarre si aprono ariose in un motivo grandioso, mentre le vocals si fanno ancora più drammatiche e cariche di pathos. I riff si aprono poi a giri taglienti mentre la batteria si fa più incalzante, mantenendo però un malinconico controllo in una fredda armonia; il crescendo è emotivamente potente, e trascina con se l'ascoltatore senza dagli possibilità di distogliersi dalla sua ripetizione ipnotica. Al secondo minuto e dieci tutto si ferma con una cesura, dove una digressione vorticante si sviluppa sottolineata da rulli in riverbero; poi la batteria si apre in un galoppo contenuto, mentre Af Gravf si da a urla rauche dilatate. Al secondo minuto e cinquantotto torna il ritornello roccioso ed epico, vera star del brano esaltante e dominante nella sua melodia altisonante; ecco che al terzo minuto e ventotto torna il fraseggio arioso e struggente, aumentando ancora una volta l'atmosfera solenne ed emotiva qui presente. Esso viene contratto da alcuni giri e da colpi di batteria distribuiti, in un'onda sonora ben organizzata fatta di rimandi; al terzo minuto e quarantacinque torna su di essa il cantato in riverbero di Af Gravf, il quale si lega perfettamente con l'andamento grandioso e struggente della strumentazione. Ecco che al quarto minuto e diciassette parte un gioco di batteria in rulli da marcetta ritmata, mentre il cantante serpeggia altisonante e le chitarre proseguono in un loop freddo e rallentato dalla melodia atonale; riprende quindi al quarto minuto e trentadue il fraseggio appassionante, il quale prosegue sulle sue note evocative. Torna poi la marcia incalzante, al quale si dipana ancora una volta nei toni rauchi di Af Gravf, fino al finale improvviso con un verso cupo e gutturale, accompagnato da una digressione. Il testo introduce il tema dei vampiri, facendo per ora riferimento ad un antesignano del più famoso Conte Dracula, ovvero Varney il vampiro, protagonista dell'omonima novella a puntate di James Malcolm Rymer; alcuni versi del testo sono direttamente tratti da quest'ultima, dimostrando il sincero interesse di Hakansson verso queste tematiche, sviluppato anche tramite letture e ricerche personali. Inoltre avviene una cosa già successa nel disco precedente: il titolo in origine doveva essere usato dai Mayhem per un pezzo di "De Mysteriis Dom Sathanas", ovvero "From the Dark Past", cambiato poi da Dead (Per Yngve Ohlin) il loro primo front man morto suicida nel 1991. Probabilmente un ennesimo tributo alla sua persona (anche perché svedese) e alla sua opera, personaggio poi "santificato" nell'immaginario black come una sorta di martire della causa (mentre in realtà il suo suicidio era legato ad una depressione ed insoddisfazione esistenziale che l'avevano sempre accompagnato). Ecco che nel testo La mezzanotte viene annunciata dal tocco solenne di un orologio antico, mentre l' aria si fa pesante e spessa, e la natura è pervasa da un'immobilità mortale; una serie di tuoni si ergono lontani, mentre nuvole alla deriva oscurano la Luna. Il protagonista, il vampiro stesso, supera il passaggio nell'oscurità, mentre sente un insolito brivido, interpretandolo come risultato del freddo vento. Egli quindi prosegue nella notte, incurante della luce. Quest'ultima è però "A materialization of my fear - Una materializzazione della mia paura.", unica cosa che può uccidere l'eterno non morto, il quale si rifugia nelle ombre e in luoghi oscurati, mentre all'orizzonte emergono le prime luci dell'alba; non è ben chiaro cosa succede dopo, si parla del suo materializzarsi nella pietra, mentre è "Embraced by the woods as my throne - Avvolto dalla foresta come mio trono", forse perché colpito dal Sole e trasformato in pietra (anche se questo è in realtà il destino dei troll se colpiti dal Sole, secondo la mitologia nordica). Comunque egli rimane così irto, solitario in eterno in una posa immutabile nella roccia; un altro testo quindi che si allontana dalle blasfemie e dai satanismi diretti, abbracciando invece un aspetto del fantasy oscuro popolare, ovvero quello dei tragici vampiri, creature notturne condannate in eterno a nutrirsi di sangue, lontani dalla luce e da qualsiasi gioia legata alla vita diurna. "Untrodden Paths (Wolves Part II) - Sentieri Inesplorati (Lupi Parte II)" sembra volersi far "perdonare" per il pezzo precedente più calmo, quindi ci assalta subito con una chitarra roboante e lanciata accompagnata dalla doppia cassa martellante e dalle grida taglienti di Af Gravf; un loop violento che ci travolge senza darci il tempo di capire cosa succede. Al ventesimo secondo abbiamo un motivo freddo e solenne, sempre dalla velocità vorticante, che crea tormente sonore ormai familiari; qui i giri ossessivi di chitarra e basso stridente vengono delimitati da colpi veloci di piatti, in un andamento incalzante e diretto. Riprende poi la cavalcata devastante dalle chitarre a motosega e dal cantato maligno, in un drumming in doppia cassa serrato e potente che non vuole mollare la presa, e che rimane costante anche quando torna il fraseggio precedente, in un'alternanza dinamica che da movimento alla composizione; al minuto e undici abbiamo invece una digressione rocciosa e feroce, tempestata dai colpi di batteria che ormai sono una grandinata continua senza sosta. Il crescendo epocale è continuo, e al minuto e ventuno si aggiungono riff dissonanti che squarciano l'andamento lanciato; all'improvviso al minuto e trentadue parte un galoppo controllato di batteria, accompagnato da un loop solenne e dalle vocals di Af Gravf piene di enfasi crudele. Si prosegue quindi con questa sezione più ariosa, ma sempre incalzante, fino al minuto e cinquantasei; qui una digressione ferma tutto mentre si eleva in sottofondo un suono come di tempesta in arrivo. Si tratta di rulli di batteria in riverbero, i quali continuano ieratici e tribali nei loro battiti, mentre in sottofondo prosegue un loop stridente di chitarre; su di esso il drumming si fa poi controllato e dai movimenti cadenzati, creando una coda strisciante. Al secondo minuto e quarantadue rimane solo la chitarra distorta, ma subito intervengono nuovi colpi dilatati e rullanti di batteria, insieme a riff atonali solenni; ecco che al terzo minuto e cinque si fa strada una nuova digressione altisonante e ruggente nei suoi toni rocciosi. Essa viene delimitata da una bordata di chitarra improvvisa, prima della ripresa dei toni più adrenalinici grazie alla doppia cassa martellante e alle grida aggressive di Af Gravf, accompagnate dalle tormente sonore di giri taglienti e nevrotici; ma tutto si ferma ancora al terzo minuto e trentatré con una ripresa del fraseggio solenne. Esso si lancia a sua volta in una nuova corsa in doppia cassa, per un andamento nervoso che gioca su brevi rallentamenti che poi danno sfogo all'energia violenta raccolta in muri di suono massacranti; un loop quindi vorticante dove gli strumenti creano un vento che strappa le carni (metaforicamente, per fortuna) dell'ascoltatore senza dargli scampo. Si riparte poi al quarto minuto con il fraseggio serrato, scolpito da doppia cassa e piatti di batteria, in un andamento freddo e ossessivo; al quarto minuto e quindici le chitarre si fanno ancora più altisonanti e taglienti, mentre il cantato si apre in riverberi ancora più gridati e crudeli. Seguono montanti di chitarra e doppia cassa, in una montagna russa sonora costante e vorticante fatta di riff glaciali e veloci; ma al quarto minuto e cinquanta un colpo di piatto segna un rallentamento improvviso, dove la chitarra controllata prosegue il motivo precedente in una versione decisamente più struggente. Ecco quindi rulli di batteria e piatti, che poi lasciano posto ad una digressione in feedback che chiude il pezzo nella solita maniera senza fronzoli. Il testo è una sorta di continuo tematico di "Wolves", brano comparso nel precedente "Those Of The Unlight"; si prosegue quindi con i feroci lupi, ora definiti totalmente come tali, forse lupi mannari terribili. Nei Carpazi si trovano sentieri non esplorati, dove nella nebbia si librano echi di un passato lontano, così agghiaccianti e atavici da incutere timore; essi sono un avvertimento, che annuncia una violenta ed improvvisa morte. Nel vento notturno si sentiranno dei gufi, che anticipano ciò che sta per arrivare, tutto in torno, nero e gigantesco; "And with the darkness came death - E con la tenebra venne la morte." viene narrato, nuove gole devono essere saziate, e l'odore della morte accresce la fame dei terribili esseri. Essi emergono dalle ombre, da sempre non agnelli della luce, bensì "Those Of The Unlught - Coloro Che Fanno Parte Della Non Luce." ricollegandosi ancora più apertamente all'opera precedente; le loro nere figure si aggirano nelle tenebre, protette dalla notte, e mentre la Luna splende luminosa, gli ululati tornano nei sentieri non percorsi. Una terribile immagine notturna quindi, dove coloro che osano avventurarsi in luoghi non fatti per la presenza umana, finiscono in pasto alle belve feroci, incarnazione vivente della malvagità e della brama di carne e sangue; un simbolo che verrà utilizzato più volte dai Marduk nel corso della loro carriera, anche a livello grafico, per rappresentare il loro ruolo di implacabili emissari del Male, nascosti tra le pecore miti pronte al loro assalto. "Opus Nocturne - Opera Notturna" ci offre un cambio di direzione in mezzo all'assalto costante orchestrato dai nostri; essa si delinea con un fraseggio delicato e melodico, sul quale si aggiungono alternate digressioni e rulli marziali di batteria dall'andamento epico. Ecco quindi che prosegue onirico e quasi progressivo, mentre il drumming si mantiene cadenzato e leggero; un'atmosfera ora decisamente più eterea, dove il movimento alterna il suono coinvolgente con i rulli da marcia, creando un bell'effetto solenne e maestoso. Ecco che al minuto e ventotto parte il cantato pulito di Tony Sarkka aka It, ospite e collega di Hakansson negli Abruptum, il quale recita melodrammatico come una poesia il testo; le chitarre si fanno qui più sommesse, mentre in sottofondo parte il rullante di pedale. La struttura ricorda molto, anche per la voce non in screaming, certi "lenti" di Burzum, dimostrando come i nostri siano attenti all'opera dei colleghi norvegesi, e non abbiano problemi ad adottarne alcuni aspetti per variare il loro songwriting; si continua quindi con il movimento tranquillo, mentre in sottofondo il motivo si fa sempre più appassionato in scale struggenti. La conclusione della breve composizione è segnata da un rullo e da una ripresa della melodia, che subito però si dissolve; un brano quindi atipico che vuole fare da stacco malinconico prima di concludere l'album con due pezzi dal tiro decisamente più lanciato. Il testo è una sorta di poesia dedicata alla notte, qui personificata come un'amante non terrena, l'unica capace di meritare l'amore del narratore; essa si espande tramite il debole e pallido giorno che sta finendo, strozzando il calore e la flebile luce piena di amore. Il cuore del nostro batte, e si chiede se è a causa della sua signora, dichiarandosi con "Worship you I do and you me never fail oh delightful night - Io ti adoro e tu non mi deludi mai, oh notte deliziosa"; si può pensare ad un semplice adoratore dell'oscurità che si riconosce nella notte nera, oppure continuando un tema precedente, un vampiro che vive solo nella nera notte, e la considera quindi come la sua compagnia eterna. Gli amori umani sono considerati stupidi e deboli, mentre la "propria sposa" è diversa, ed egli lotterà per lei, nella vita, così come nella morte (ampliando l'idea che si tratti di un non morto; la brezza notturna è per lui come un freddo respiro della notte, che accarezza la sua mente, e i suoi desideri. "You I can love for you are me oh precious night - Posso amarti perché tu sei me, o preziosa notte." chiarisce infine, in un connotato più propriamente egocentrico tipico del black metal, dove l'oscuro romanticismo è legato ad un'ennesima esaltazione degli aspetti oscuri dell'esistenza, che trovano corrispondenza decadente nell'animo nero del protagonista. Il testo è comunque giocato su suggestioni e immagini metaforiche, in un gusto presente anche in altri gruppi del genere come i Darkthrone, offrendo una valida alternativa alle blasfemie delle tematiche più dirette e feroci; perfetto per la musica usata più sommessa ed evocativa. "Deme Quaden Thyrane - Trattato Sul Tiranno" ci accoglie con un rifting distorto e corrosivo che si protrae in solitario nei suoi toni grevi e ripetuti; al dodicesimo secondo compaiono piatti in riverbero, mentre al diciassettesimo abbiamo un rullante sempre effettato. Ecco quindi che parte un motivo a velocità controllata sul quale la batteria si espande cadenzata e strisciante; si prosegue su queste coordinate, in un tono solenne e sommesso dalle tinte nere. Esso viene delimitato da alcuni colpi di piatto, proseguendo dritto in un loop ipnotico; al cinquantottesimo secondo dopo un rullante i toni si fanno più serrati, ma la velocità rimane controllata in un atmosfera contenuta ed ieratica. Percepiamo una certa melodia atonale stridente nelle chitarre, fredda ed ariosa, come in turbini ancora lontani; il drumming si mantiene ritmato, mentre compaiono anche giri di basso grevi. Al minuto e diciotto parte una sezione con parlato, pulito ed evocativo nella sua enfasi placida, ma solenne; ecco che al minuto e quarantasei dopo alcuni blast ripetuti parte una cavalcata in doppia cassa dove compaiono le vocals aggressive e distorte di Af Gravf, stabilendo i connotati veloci e massacranti tipici dei nostri. Loop di chitarre taglienti come rasoi, colpi maniacali e grida altisonanti sono dunque i nuovi protagonisti, mentre al secondo minuto e sei le chitarre si fanno ancora più squillanti e serrate in un continuo vorticare; su di esse torna il cantato malvagio, mentre rullanti, piatti, e giri feroci delimitano il movimento contraendolo con grande effetto. Al secondo minuto e ventotto si prosegue tirati, mentre la doppia cassa diventa ancora più veloce in un assalto continuo, sottolineato dalle chitarre a motosega e dalle vocals in riverbero, accompagnando poi nuovamente il fraseggio freddo e continuo; è la chitarra ad offrire delle leggere variazioni mentre la ritmica rimane serrata, come dimostrato dai toni più ariosi, ma sempre distorti, che partono dal terzo minuto e sette. Non manca quindi una certa atmosfera, le melodie atonali sono presenti, ma immerse nella tempesta sonora costante; in sottofondo percepiamo poi dai piatti continui in riverbero, in un effetto incalzante e solenne. Si riprende al terzo minuto e quarantacinque con il motivo più diretto, tempestato da blast, e dove Af Gravf si concede in alcuni punti ad un semi - growl cavernoso; ecco che al terzo minuto e cinquantacinque le chitarre riprendono con i loop taglienti sega ossa, sempre bombardate dalla doppia cassa. La tormenta sonora si ferma solo al quarto minuto e sedici, lasciando posto ad una digressione sommessa e ad un drumming cadenzato; dopo un rullante al quarto minuto e ventiquattro torna il motivo iniziale più controllato, il quale si dilunga roccioso supportato anche dai giri di basso. Nel finale la batteria si fa più incalzante e le chitarre solenni ed ariose, in una marcia con piatti e rulli, la quale prosegue dritta fino alla dissolvenza improvvisa che chiude il brano. Il testo narra in maniera riassuntiva della vita di Vlad III di Valacchia, principe transilvano conosciuto con il patronimico di Dracula, immortalato nel '800 nel famosissimo romanzo di Bram Stoker come un vampiro tragico e terribile; curiosamente però, e forse andando contro molte aspettative, i nostri qui si concentrano sugli aspetti storici della sua figura, piuttosto che sulla sua incarnazione posteriore. Ma non bisogna pensare ad un semplice trattato storico: qui la realtà (o presunta tale, alcuni sostengono che parte delle informazioni su di lui siano state esagerate per motivi politici) supera di molto la fantasia più oscura; il nostro era infatti noto come Tepes (l'impalatore) poiché riservava ai suoi nemici, turchi o paesani ribelli che fossero, un terribile supplizio, ovvero appunto l'essere impalati vivi. In una fredda e nebbiosa mattina di ottobre, nell'anno del signore 1462 dei cavalieri giunsero presso le colline di Brasov, pronti ad iniziare un "processo per la dannazione"; Dracula mostrerà al mondo come si trattano i sudditi rumeni che mancano di forza o rispetto nei suoi confronti, e ci viene detto che quanto sta per essere narrato è solo una delle tante storie su quello che faceva "To outwipe every opposer who didn't him blindly obey - Per spazzare via ogni oppositore che non l'ubbidiva ciecamente." sottintendendo le innumerevoli atrocità compiute dal terribile guerriero. Alcuni vengono uccisi schiacciati dalle ruote dei carri, altri spogliati e spellati vivi, altri vengono impalati su pali di legno, o arsi con braci incandescenti poste sotto di loro; terribili e atroci morti, dove "The cold wind of death follow in his way - Il freddo vento della morte segue la sua strada.", la strada di un tiranno implacabile e senza pietà. Addirittura alcuni vengono impalati contemporaneamente nella testa, nel posteriore fino ad uscire dalla bocca, e nel petto, e in un assoluto tripudio di orrore e crudeltà folle e senza limiti, prima a delle donne vengono impalati i seni, poi sulle stecche vengono impalati i loro figli ancora piccoli; un massacro dove vengono sterminati in molti, con torture così perverse ed elaborate, che solo la mente più crudele e nefasta del peggior tiranno mai esistito poteva concepirle. In seguito egli però venne sconfitto durante alcune battaglie con i turchi, e chiedendo aiuto a Mathias Corvinus, re ungherese e suo ex alleato, ottenne solo di essere incarcerato per dodici anni; ma grazie ai suoi legami di sangue con ?tefan III cel Mare, nobile moldavo, torna libero ed alleato del re ungherese, con il quale inizia la riconquista della Valacchia. Con l'armata di Stephan Bathory, principe transilvano, e con le sue abilità belliche, egli quindi torna far gelare il sangue di tutti i suoi nemici, siano essi ottomani, cristiani, rivali, oppositori; un mini trattato su alcuni punti salienti dell'ultimo periodo della vita del tiranno prima della sua morte in battaglia, una figura che ossessionerà a lungo il leader dei Marduk e che comparirà ancora nei due album successivi in maniera più amplia. "The Sun Has Failed - Il Sole Ha Fallito" è la conclusione dell'album, la quale parte con un una doppia cassa tempestiva supportata da sfuriate di chitarra maestose e taglienti; ecco sin da subito una tempesta sonora vorticante e gelida dai connotati frostbitten. Al ventitreesimo secondo parte un fraseggio solenne subito accompagnato da batteria cadenzata e dai toni rauchi e mortiferi di Af Gravf; il movimento viene delineato da rullanti sparsi, mentre le chitarre creano motivi atonali. Al quarantatreesimo secondo incontriamo un fraseggio distorto che fa da cesura roboante, sulla quale parte di nuovo la doppia cassa sottolineata da blast tempestivi; ecco poi tornare al cinquantacinquesimo secondo l'andamento più solenne, sempre però lanciato e vorticante. Al minuto e quattro si dipana un suono stridente di chitarra sotto al marasma continuo, mentre la batteria si lancia in colpi serrati e rullanti improvvisi; anche questa volta la varietà è data dagli andamenti di chitarra, ora più aperti, ora più serrati, ma sempre distorti e taglienti. Il cantante interviene con una malignità qui ancora più pronunciata, in un'atmosfera dalla tensione tesa continua; l'epicità è data dai muri di chitarra e batteria, che assumono ora coordinate che in futuro domineranno sempre di più il suono dei nostri, e che saranno riprese presto da una serie di band svedesi e non, stabilendo un marchio riconoscibile. Tutto si ferma all'improvviso con una digressione al minuto e trentatré, mentre poi su di essa partono colpi incalzanti di piatti di batteria e bordate; entrambi prendono poi velocità in una corsa in doppia cassa trascinante e potente nei suoi loop avvincenti. Si continua fino al secondo minuto e tre, dove si torna al movimento galoppante più controllato, dove il fraseggio tetro e melodico sottolinea le crudeli grida in riverbero di Af Gravf, e i giochi di rulli delimitano la composizione; al secondo minuto e ventitré dopo un grido rauco dilungato troviamo chitarre più ariose e sommesse, in una digressione solenne, dal drumming ritmato costante. Ecco che al secondo minuto e trentaquattro si aprono scale melodiche accattivanti che instaurano un'atmosfera più "delicata" e struggente; al secondo minuto e cinquantacinque il ritmo accelera facendosi più serrato, mentre versi in riverbero compaiono in sottofondo. Ecco che torna poi il movimento precedente, in un'alternanza dinamica che gioca su calma e inasprimento repentini; si arriva quindi al terzo minuto e trentasette, dove una nuova digressione rocciosa fa da stop. Riprende quindi il fraseggio solenne già incontrato, sul quale si distribuiscono bordate improvvise e blast cadenzati; l'inevitabile esplosione arriva al terzo minuto e quarantotto, con un vortice frenetico di doppia cassa e chitarre a sega elettrica, che raggiunge livelli parossistici. Le grida di Af Gravf sono sature di riverbero, mentre si aggiungono suoni sinistri come di versi di gufi, in una sezione teatrale, ma costantemente violenta; la cavalcata serrata viene delimitata da alcuni giri stridenti e dai piatti di batteria, in un andamento imperante. Al quarto minuto e diciassette si riparte per l'ennesima volta con il galoppo incalzante, arricchito da giri di basso dissonanti e chitarre ruggenti, mentre il cantante grida con veemenza il ritornello malvagio; al quarto minuto e trentasette riprende posto al doppia cassa martellante, mentre i giri feroci proseguono in loop. All'improvviso arrivano rumori di tuono, mentre la musica pian piano scompare in dissolvenza, lasciando loro posto; una tempesta con pioggia si dipana nei suoi tuoni e scrosci, in una sezione estremamente ambient che prosegue così fino alla conclusione per svariati minuti, in una sorta di outro non ufficiale. Il testo presenta ancora il tema dei vampiri, ora più generico nel suo protagonista, un anonimo non morto bevitore di sangue; le sue vene sono fredde, e nelle cripte il Sole non arriva, mentre la sua implacabile fame lo rende tutt'uno con la notte, suo terreno di caccia. Nella foresta illuminata dal chiaro di luna regna il silenzio, interrotto solo dal sussurro del vento; egli vuole usare i suoi denti come rasoi, infilandoli nella carne e nelle vene, in modo da far sgorgare il sangue nella sua bocca e, caldo, nella sua gola. "Il Sole ha fallito" mentre l'oscurità divora il giorno, e i cuori e le anime dei "Lovers of god, his son and the holy ghost - Amanti di dio, suo figlio e dello spirito santo." facendo riferimento alle sue vittime mortali e cristiane; ossessivo come in una cantilena egli continua ad annunciare la morte e il fallimento del Sole, in un'estasi mistica nella quale la tenebra spalanca le sue ali inghiottendo tutto. Un testo dunque semplice giocato sulla ripetizione del concetto basilare, dove l'arrivo della notte è visto dal suo figlio non morto come una vittoria contro l'odiato Sole, simbolo della luce e di Dio, suoi eterni nemici nella sua maledizione senza fine; nuove suggestioni gotiche quindi, che non rinunciano ad un leggero riferimento blasfemo, giusto per non dimenticare l'avversario dei Marduk: tutto ciò che è sacro, buono, divino.
Tirando le somme, "Opus Nocturne" è la coronazione di quello che possiamo vedere come periodo intermedio dei Marduk, e un capolavoro nella sua natura ibrida: superata l'influenza death, i nostri sono ora rappresentati da un black lanciato, ma ancora fortemente atmosferico, dove le sfuriate in doppia cassa si legano a parti più controllate e solenni. Ancora i turbini proposti, per quanto massacranti, non raggiungono le vette praticamente grind che caratterizzeranno le band in futuro, e sono presenti esperimenti legati a connotazioni più cadenzate e ragionate, che spezzano la tensione e danno respiro all'ascoltatore; per molti versi uno spartiacque, sia per i nostri, sia per gli ascoltatori. Infatti grazie a questo disco ormai il loro nome si è consolidato, permettendo l'anno successivo di imbarcarsi in un tour che li porterà anche fuori dai confini dell'Europa; ma il loro leader ha una propria visione di quello che vuole dal suono della band, e nonostante tutto non è soddisfatto dei risultati raggiunti. Per questo decide in futuro di usare gli Abyss Studios di Peter Tagtgren, ancora non conosciuti, ma che presto diventeranno con la loro distintiva produzione pulita e potente un marchio che segnerà il metal estremo svedese, e soprattutto il black più veloce e violento, definito dai detrattori norsecore perché considerato grindcore travestito; sarà però questa nuova fase a caratterizzare la carriera dei Marduk, creando un periodo polarizzante amato da alcuni, e odiato da molti altri, che però porterà i nostri a vette ancora più alte di popolarità (naturalmente anche questo non perdonato dai blackster più intransigenti) e violenza sonora. Ecco l'arrivo di Legion (Erik Hagstedt) come cantante, che sostituirà l'uscente Af Gravf, offrendo un'interpretazione più rabbiosa e crudele che segnerà ancora di più la rinnovata violenza sonora dei nostri; l'espressione di questo sarà "Heaven Shall Burn... When We Are Gathered", disco dal successo enorme che permetterà con il suo tour di preparare anche un disco dal vivo, e di ottenere date insieme ai leggendari Mayhem. La fama dei Marduk sarà sempre più quella di una band senza compromessi sia nel suono, sia nell'immagine e nei testi, che negli anni rimarrà fedele a se stessa in un periodo in cui molti si allontaneranno dalle coordinate iniziali, sperimentando tematicamente e musicalmente con la propria produzione; i nostri vogliono essere i rappresentanti di un black senza limiti, che cerca una nera violenza che rivaleggi con altri generi estremi, sacrificando le componenti più ragionate ed atmosferiche. In realtà però ogni loro disco di questa fase avrà delle proprie caratteristiche, e non mancheranno alcune sorprese, ma sempre nei limiti di un certo suono e "sensibilità" artistica. Per ora comunque viene regalato alla storia del black metal scandinavo un importante tassello che verrà apprezzato sia dai fan, sia anche da persone che poi non seguiranno più il gruppo, arricchito dall'ultima performance di Af Gravf, che in un canto del cigno sembra aver raggiunto il massimo della sua espressività violenta e drammatica, con un'enfasi avvincente; velocità, fredde atmosfere, e momenti di catarsi oscura rappresentano questo nero gioiello, il quale rimarrà come una delle massime punte della loro discografia. Ma adesso tocca all'assalto frontale ai cancelli del Paradiso, la guerra blasfema dei Marduk continua.
1) Intro / The Apperance of Spirits
of Darkness
2) Sulphur Souls
3) From Subterranean Throne Profound
4) Autumnal Reaper
5) Materialized in Stone
6) Untrodden Paths (Wolves Part II)
7) Opus Nocturne
8) Deme Quaden Thyrane
9) The Sun Has Failed