MARDUK

La Grande Danse Macabre

2001 - Bloddawn Productions

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
14/03/2015
TEMPO DI LETTURA:
8

Recensione

Eccoci oggi a parlare di "La Grande Danse Macabre - La Grande Danza Macabra", ultimo episodio della Trilogia Satanica dei Marduk iniziata con "Nightwing" (Sangue) e proseguita con "Panzer Division Marduk" (Guerra); tocca ora alla Morte, ultimo elemento di quello che, secondo i nostri, dovrebbe essere il mondo tematico del black metal. Siamo nel nuovo millennio, aperto dal doppio live celebrativo "Infernal Eternal" e dall'EP "Obedience" e segnato dal cambio di etichetta, lasciando la Osmose Productions  per la nuova casa del leader/chitarrista Evil (Morgan Steinmeyer Hakansson). Freschi del successo del secondo episodio della trilogia la fama dei nostri è ora mondiale, ritenuti da molti il gruppo black più feroce che sia mai esistito. Una serie di live sia in Europa sia in altri continenti hanno mostrato come i loro concerti mantengano, e anzi spesso amplifichino, il massacro costante da loro perpetrato in studio, assicurandogli una fan base sfegatata che ormai supera i confini del puro pubblico di blackster; non è un caso il fatto che sempre più si accompagnino con band inerenti al death più brutale, amplificando il loro distacco dalla più intima scuola norvegese, ed allineandosi come capi scuola dello stile svedese che ora sta avendo un forte riscontro commerciale. Ora però bisogna andare avanti, e al contrario di quanto ritenuto dai detrattori, i Marduk non si sono mai ripetuti due volte con un album completamente uguale, apportando ogni volta delle variazioni in base ad esigenze musicali e tematiche; è destino quindi quello di deludere chi voleva un continuo delle bordate belliche e degli assalti continui, pagando pegno per la propria visione legata ad un progetto incominciato già quattro anni prima. La Morte richiede un suono diverso, mortifero, lento, evocativo di decadenza; la risposta abbastanza semplice a tutto questo è il doom, elemento in realtà non così alieno per chi segue i nostri sin dall'inizio. il loro primo suono era infatti legato ad un death ricco di passaggi di tale tipo, atmosferici e controllati; ma esso non è mai stato così preponderante come adesso, anche se non mancano alcuni episodi più tirati e vicini a quanto fatto ultimamente dagli svedesi. Una maggiore atmosfera quindi, giocata su fraseggi melodici e atmosfere quasi anni settanta, e riff più vari uniti ad assoli struggenti; spesso inoltre le vocals del cantante Legion (Erik Hagstedt) si mantengono controllate accompagnando in modo adatta il trovato andamento cadenzato. Certo, non è una rivoluzione in seno al genere, i riferimenti a Bathory e Celtic Frost sono ben presenti, con un chiaro legame verso il black anni ottanta più lento e roccioso; ma i Marduk sanno quello che fanno, creando una serie di brani memorabili che meritano di essere ascoltati senza pregiudizio. Qualcuno potrebbe notare che Legion qui ha perso potenza rispetto al passato recente, e in effetti è chiaro che la sua voce incomincia a non raggiungere più gli apici iniziali; ma essa è qui più che adatta al suono improntato, anche grazie alla duratura collaborazione con il produttore/musicista Peter Tagtgren (HypocrisyPain) che riesce a valorizzare nel modo giusto ogni elemento. Alla batteria ritroviamo, per l'ultima volta, Fredrik Andersson che poi lascerà la band, e al basso B.War (Roger Svensson), riuscendo quindi a terminare la trilogia con gli stessi componenti che l'hanno incominciata; si chiude qui sotto molti aspetti un'era, mettendo in tavola tutte le carte del suono dei nostri e il loro mondo tematico, presentando una band ancora convinta e capace di creare un disco dall'identità ben distinta in una lunga discografia. Il lavoro vedrà una versione limitata con una cover omonima dei Samhain, la band di Danzig post - Misfits, poi riproposta negli anni in ristampe rimasterizzate varie che vedranno anche un DVD live, o come nell'ultima per la Century Media Records l'unione con l'EP "Obedience" da noi già recensito.     

Si parte con "Ars Moriendi - L'Arte Di Morire", una intro strumentale di quasi due minuti; essa ci sorprende con un fraseggio squillante dai toni progressivi, il quale poi si sviluppa in giri controllati e grandiosi supportati da riff rocciosi e batteria dai piatti cadenzati. Al trentottesimo secondo la chitarra si fa più notturna ed atmosferica, mentre in sottofondo percepiamo grevi arpeggi di basso ripetuti; la melodia instaurata è struggente, dai connotati vicini a certo heavy metal e thrash old school, mantenendo un andamento solenne e monolitico. Al minuto e trentatré parte  il loop finale ossessivo e meccanico, riproposto ad oltranza fino alla conclusione in digressione con feedback. Ecco che senza darci sosta esplode "Azrael" con la sua doppia cassa lanciatissima accompagnata da furiosi riff dissonanti; Legion interviene con un cantato sgolato e maligno, ricco di una profonda rabbia. Si dipanano quindi i vortici continui bombardati dai blast, mentre le chitarre alternano parti più ariose ed altre più lanciate;  ecco al cinquantesimo secondo un fraseggio melodico vorticante, il quale si sviluppa nelle sue note avvolgenti. Al minuto e dieci il motivo muta in un suono roccioso e combattivo, che avanza per qualche secondo; ecco che un grido gutturale di Legion accompagna un rallentamento con batteria cadenzata con rullanti di pedale, e giri taglienti di chitarra. In sottofondo troviamo anche un breve arpeggio progressivo di basso delicato; si prosegue poi con la marcia incalzante, ricca di suoni distorti e freddi, mentre il cantante si da a vocals ruggenti. Una sua digressione con riverbero segna una cesura con fraseggio ammaliante,  il quale poi avanza insieme alla doppia cassa e ai blast organizzati; il montante così ottenuto accelera al secondo minuto e quattordici, in una nuova corsa serrata. Si continua quindi con i loop assassini e i toni crudeli di Legion, mentre il drumming segue devastante; al secondo e quarantatre parte un fraseggiò vorticante ripetuto, il quale completa il tripudio di grida in riverbero  e colpi continui. Arriviamo quindi alla conclusione improvvisa segnata da una bordata squillante, a cui segue il silenzio; un brano decisamente veloce per gli standard del lavoro, che ancora non mette in mostra tutta la natura "mortifera" che troveremo tra poco. Il testo è dedicato all'angelo della morte, rappresentato con una serie di immagini sinistre ed evocative; egli è accumunato alla sabbia delle dune desertiche e al freddo vento della notte, nonché alle onde di un oceano di sangue, e alle spade e ai coltelli che fanno a pezzi i giusti. "I am the time, the withering and the withered, as well as the thorns, burning and sharp - Io sono il tempo, ciò che deperisce e ciò che è deperito, così come le spine, brucianti e affilate" continua il testo, portando avanti la tenebrosa presentazione del terribile simbolo della Morte; esso è anche la pioggia di desiderio che bagna i casti, e la torcia che termina vite, il cui nome ferma cuori e il respiro. Richiama il nostro nome e ci accompagna nella caduta nelle sue fredde braccia, "Just waiting for that kiss of my scythe - Mentre aspettate il bacio della mia falce"; per saggi ed idioti, una sola cosa è certa, ovvero che la vita scorre, e i fiori che una volta fiorivano, muoiono in eterno. Egli sta sopra tutti, sospirando piano parole sconosciute nelle orecchie, sconosciute perché non esiste un linguaggio che possa definire veramente il terrore; un testo quindi apocalittico che ben si adatta alla figura qui rappresentata, e che fa da incipit al tema dell'album. "Pompa Funebris 1660 - Pompa Funebre 1660" è un altro intermezzo strumentale, il quale inizia con un a chitarra rocciosa accompagnata da blast; presto l'andamento si fa strisciante, dai suoni oscuri e suadenti ricchi di fredda melodia atonale. In sottofondo percepiamo un fraseggio greve di basso dai toni progressivi, mentre la batteria cadenzata si apre in alcuni rullanti; in concomitanza con essi il rifting si apre a giri squillanti dalla natura altisonante, creando un effetto trascinate.  Dopo una cesura con colpi cadenzati si riparte al minuto e ventidue con l'andamento lento e pesante, ricco di loop rocciosi che richiamano lo stile dei Celtic Frost di "To Mega Therion"; atmosfere quindi doom appassionanti e a tratti struggenti, portate avanti in modo ossessivo. Il finale prevede un ultimo suono di chitarra che si sviluppa in una breve digressione; ecco ora al doppia cassa di "Obedience unto Death - Obbedienza Fino Alla Morte" la quale avanza insieme a vorticanti loop taglienti di chitarra, ricchi di un'atonalità severa. In concomitanza con il cantato aggressivo di Legion la strumentazione si fa ancora più serrata, con chitarre massacranti e blast, alternate a brevi aperture altisonanti ed epiche; al quarantacinquesimo secondo il movimento cresce d'intensità con arie oscure quasi orchestrali, mentre il cantante assume connotati demoniaci. Si riparte poi con al cavalcata isterica piena di dissonanza e drumming serrato, la quale si alterna con alcune sezioni più atmosferiche, ma sempre ricche di blast e cassa dritta; al minuto e trentadue s'inserisce un epico fraseggio ieratico che sale d'intensità, con un ottimo effetto. Al minuto e cinquantadue si rallenta all'improvviso in una sezione cadenzata dove anche il cantato di Legion segue gli andamenti più controllati, la quale alterna loop ossessivi e aperture ariose accompagnate da arpeggi grevi;  si costituiscono quindi marce solenni ed impennate improvvise, mentre il cantante torna crudele nelle sue declamazioni. Il movimento sincopato ottenuto si ferma solo al secondo minuto e cinquanta con una digressione accompagnata da piatti distribuiti e dallo screaming di Legion; ecco quindi che essa poi prosegue in solitario sforando nel brano successivo. Un esempio più contenuto dello stile qui adottato, che alterna cavalcate feroci e rallentamenti, creando sezioni ripetute poi all'interno del pezzo in maniera lineare, dando un andamento costante; un black quindi più atmosferico, che deve molto ai rappresentanti della corrente anni ottanta, Bathory in primis. Il testo delinea una sorta di collegamento con il tema precedente della trilogia, ma reinterpretato secondo la nuova visione legata alla morte; esso infatti sembra far riferimento ad un militare che lotta convinto fino alla fine. Egli si chiede se le colonne di uomini che vede, possono disperdersi nel vento, disperse e divise, tradendolo e lasciandolo solo; le sue labbra possono anche rilasciare parole folli, ma la sua bandiera cadrà solo se cadrà lui, facendo da sudario per il suo cadavere.  Un'obbedienza quindi totale fino alla morte, mentre non si cede mai, cavalcando sulle ali della morte; "We must be dominated by one will - Dobbiamo essere dominati da un unico volere" enuncia, formando un'unità tenuta insieme da un' unica disciplina ed obbedienza. Le fanfare spingono ad andare avanti, mentre le trombette suonano per l'ultima volta; la battaglia li vede  in un ruolo ferreo. "I shall remain faithful, even though deserted by all - Io rimarrò fedele, anche se disertato da tutti" continua immaginando di portare da solo la bandiera; un cavaliere dai modi oscuri,con un teschio sul petto e sangue sul suo stendardo. "In black we are dressed, in blood we are drenched - In nero siamo vestiti, nel sangue siamo inzuppati" reitera, visionando la testa della morte (la Totenkopf nazista) sul collare dei soldati, i quali rimangono in mezzo alla violenza imperterriti come nulla fosse. Un'immagine quindi solenne e marziale che mostra una volontà ossessiva legata ad un impeto mortale. "Bonds Of Unholy Matrimony - Legami Del Matrimonio Blasfemo" prosegue la digressione del brano precedente aprendosi in riff evocativi ed ariosi pieni di note solenni; ecco al ventisettesimo secondo una marcia con bordate e piatti monolitici, che si mantiene controllata. Essa poi lascia il posto al cinquantasettesimo secondo ad un trotto imperante anticipato da piatti cadenzati; si prosegue quindi con i loop taglienti di chitarra e il drumming pestato, alternandosi con alcune impennate di batteria. S'inseriscono poi in un gioco grandioso anche delineazioni squillanti e fraseggi progressivi, creando un amplio quadro sonoro; ecco che al minuto e trenta Legion parte con il suo screaming rauco, mentre la strumentazione continua  a media velocità nella sua fredda melodia atonale. Essa mantiene un'atmosfera ieratica, mentre percepiamo in sottofondo anche il basso dagli arpeggi grevi e delicati; l'intensità va crescendo, contornata da rullanti ed accelerazioni di batteria improvvise, dove i colpi si fanno più serrati. Abbiamo comunque alternanze melodiche giocate su bordate, per un songwriting che fa largo uso di rallentamenti ed aperture ariose, sviluppandosi in andamenti ammalianti; al secondo minuto e quarantotto una risata del cantante segna una digressione rocciosa contornata da rullanti e fraseggi in sottofondo, mentre Legion declama concitato e con punte gridate la sua nera lezione. Al terzo minuto e diciotto il tutto lascia posto ad una corsa in doppia cassa contornata da chitarre fredde e frenetiche, dai connotati caotici e frostbitten; si prosegue su queste coordinate, con bombardamenti ritmici e loop a sega elettrica reiterati. Al terzo minuto e cinquantotto veniamo sorpresi da un assolo tecnico dalle scale vorticanti ed altisonanti, dal gusto heavy molto classico; si riprende poi con la cavalcata selvaggia, grandiosa nei suoi giri solenni e nelle sue glaciali impennate, dove le vocals in riverbero di Legion si danno a maestosi ritornelli malvagi. Ecco al quarto minuto e cinquanta un nuovo galoppo di batteria e chitarre contratte, riportando l'elemento progressivo; abbiamo poi un fraseggio melodico struggente sul quale la batteria si fa  a tratti più pestata, intervallandosi con rullanti. Al quinto minuto e ventisette ci si blocca con una cesura dai colpi cadenzati; essa però dura pochissimo, riaprendosi al movimento precedente. Riotteniamo quindi le melodie atonali ripetute in loop accompagnati da un drumming vivace dai blast ben organizzati; al sesto minuto e quattro riparte la contrazione ritmata, riproponendo gli andamenti ormai familiari. Si prosegue quindi in una coda ariosa piena di fraseggi sentiti e chitarre struggenti, mentre la batteria avanza solenne; il gran finale è lasciato ad un ultima contrazione ed a una digressione che si perde in dissolvenza. Il testo è un lungo attacco alla figura di Dio strutturato come un accusa diretta a lui; mentre gli idoli decadono come foglie autunnali spazzate via dal vento, ci si chiede dove si trova mentre i peccatori che gli danno potere gridano dal dolore. Si continua, chiedendosi dov'è la sua supremazia mentre il Mondo diventa oscuro oltre ogni comprensione; si prospettano notti sanguinolente per i santi che prima splendevano, mentre non c'è lotta alcuna nello spazio tra la vita e la morte, mentre si cerca disperati di aggrapparsi, ma si scopre un terreno freddo per "miserabili maiali". "Who dares misery love, And hug the form of death? - Chi osa l'amore miserabile e abbraccia la morte?" ci si chiede, presentando una danza di distruzione, in cui la Madre/Morte giunge; si presenta un re del terreno bruciante (il diavolo), che controlla il futuro e che mostrerà  a tutti un mondo senza Dio. Egli rappresenta un cambiamento che la divinità teme, un mondo senza i suoi limiti e il suo controllo; gli idoli muoiono come erbacce, mentre il gelo viene rilasciato, e quando tutto l'amore sarà perduto, rimarranno solo le memorie come pezzi nel vento, quindi rimane solo da abbandonare ogni speranza e morire nel dolore. Il futuro che conoscevamo non esiste, distrutto dal pugno di ferro di Satana, e chi ha stretto alleanza con il Signore e baciato la croce dorata vedrà il suo regno perdersi come nebbia nella Valle Della Morte. Un testo nichilista che coniuga l'attacco blasfemo del passato alla religione cristiana, al tema decadente della Morte che domina il lavoro. "La Grande Danse Macabre - La Grande Danza Macabra" ci accoglie con un fraseggio thrash in crescendo, potente e roccioso nei suoi giri ricchi di melodia atonale, che si fanno sempre più incalzanti nella loro marcia epica; notiamo la natura più atmosferica usata in questo album, al quale dona un'altra visione dei Marduk, capaci di allacciarsi anche alle loro influenze in modo più diretto. Al quinto secondo i giri si fanno ancora più vorticanti, mentre il drumming si apre in blast controllati e rullanti; otteniamo quindi un incedere strisciante dove poi tornano i loop ariosi supportati dai giri grevi di basso. Al minuto e cinquantaquattro Legion interviene con il suo screaming crudele ed altisonante,  completando perfettamente i riff ossessivi e i colpi distribuiti di batteria; il movimento si mantiene giocato su onde taglienti e lenti, le quali poi si aprono in trotti imperanti sottolineati da fraseggi progressivi. Si riprende poi con la marcia thrash ricca di giri ammalianti e batteria cadenzata; Legion segue vocalmente il tutto in un ritornello sentito e maligno. Si ripropongono quindi le alternanze precedenti sempre all'insegna di un songwriting roccioso fino al terzo minuto e cinquanta; qui un assolo struggente si dipana in note articolate dal grande respiro. Si aggiungono poi il drumming controllato tra piatti e rullanti e un fraseggio di basso greve e strisciante; al quarto minuto e quaranta si torna a suoni più dispersi e distorti, in un'atmosfera funerea dove il cantante si da a grida disperate. Torna poi il galoppo incalzante dal grande effetto trascinante, con tutta la sua malevolenza monolitica; riecco quindi il galoppo thrash dominato da chitarre in tremolo corrosive. Si torna poi al groove ipnotico di chitarre e piatti di batteria che perdura a lungo con le grida di Legion, le quali poi vanno in riverbero mentre la strumentazione prosegue in una marcia continua ; essa perdura nei suo riff circolari fino al finale, in un incedere solenne che si perde in dissolvenza insieme al drumming cadenzato e al basso dissonante. Il testo ci illustra uno scheletro ripugnante dalle ossa esposte, che galoppa nello spazio, senza speroni e fruste, anche se il suo stallone va verso l'apocalisse; dalle narici di esso escono sbuffi epilettici, mentre insieme corrono verso l'infinito. Il cavaliere intanto brandisce una spada infiammata, mentre "Amongst the nameless slaughtered horde - Tra l'orda senza nome massacrata" va ad ispezionare come un soprintendente il terreno spoglio e freddo dove sotto un pallido Sole stanno bagliori di piombo; la storia è piena di masse atterrate in epoche vicine e lontane da esso. "Death can on both black and white horses ride - La morte può cavalcare sia su cavalli bianchi, sia su cavalli neri" continua, spiegando come essa ci guida nei meandri dell'infinito, e può ridere mentre si da alla danza, mentre come pedine in un gioco di scacchi non abbiamo scelta; suona anche un tamburo, a volte forte, a volte piano, mentre è giunto il momento per noi di lasciare il piano mortale, e riduce in cenere ogni nostro sogno. Parte poi una sezione del poema di  Johan Olof Wallins "L'Angelo Della Morte" in svedese, che ricalca immagini vicine ai concetti fin qui espressi, in una danza protratta fino alla morte; un testo quindi che illustra con azioni varie le macabre immagini della "Grande Danse Macabre", tipico tema iconografico tardomedievale che proponeva immagini di scheletri tra i mortali, metafora della Morte. "Death Sex Ejaculation" parte con un rifting distorto e graffiante accompagnato da colpi di piatti solenni; al settimo secondo esplode invece la cavalcata in doppia cassa e loop assassini insieme alle grida feroci di Legion. Ecco quindi un vortice continuo sotto il quale percepiamo fraseggi ritmati che fanno da ossatura alla corsa perenne; ecco che i giri di chitarra si aprono poi a freddi motivi ariosi alternandosi con il movimento più diretto. Il cantante continua con le sue grida sgolate in riverbero, completando il clima violento e ossessivo, sotto il quale continuiamo però a percepire i fraseggi progressivi in un'inusuale commistione di elementi; al minuto e ventuno abbiamo una serie di montanti rocciosi che spingono in avanti al composizione mentre il drumming bombarda il tutto. Si esplode poi nel turbine glaciale con le grida di Legion, il quale però presto muta in una sezione dai blast cadenzati che avanza imperante mentre  il cantato si fa sincopato; ecco un assolo stridente in sottofondo dalla melodia struggente che si sviluppa brevemente. Al secondo minuto e undici parte una digressione dai giri distorti, la quale si alterna a blast improvvisi; ecco che poi riprende la cavalcata in doppia cassa supportata dai fraseggi e dalle urla crudeli di Legion; i loop circolari si fanno poi più esaltanti e solenni in note altisonanti piene di motivi incalzanti frostbitten, che generano andamenti vorticanti. Si continua quindi con il massacro continuo, ripetuto ad oltranza nei modi già incontrati, generando una forte tensione sonora protratta; al terzo minuto e cinquantuno si torna ai riff circolari tempestosi ed epici, i quali poi si fanno più serrati insieme ad arpeggi marziali in sottofondo. Il movimento è mutevole,  e presto riprende la sezione cadenzata, dove Legion parte con il cantato cadenzato, mentre nel ritornello le chitarre si aprono alle melodie atonali mentre la batteria cresce d'intensità con colpi veloci e serrati; il finale è lasciato ad una breve ripresa dei battiti cadenzati, mentre una chitarra squillante chiude definitivamente il brano. Il testo perverso parla di un demone infernale che mischia sesso e morte assaltando le sue vittime mortali; egli giunge su ali silenziose tramite l'oscurità delle epoche, guidato dalla sete di sangue e da passioni blasfeme, ed estatico entra nel nostro mondo. La bestia in lui è sempre pronta a colpire, un angelo caduto i cui peccati fanno voltare lo sguardo alle schiere celesti, comandante del settimo reggimento infernale, che ci viene accusati di desiderare segretamente; i toni si fanno più perversi, e ci viene chiesto se abbiamo mai immaginato la morte eccitarci fino a perdere la ragione e il respiro. Parte poi il demente ritornello con immagini di sesso e morte, con sangue spruzzato; "As so many times before he stumbles through the garden of life - Come molte volte prima si aggira nel giardino della vita" continua il testo, giungendo dagli abissi infuocati per uccidere; chi osa gustare il suo corpo, sancisce il suo destino nel sangue. Sudore, sangue e lacrime uniscono carne e anima, il suo nome fa zittire le persone dal terrore, e le sue vittime lo gridano nella notte, penetrate così profondamente che egli non si toglierà più, come la morte che cavalca nella notte e viene  a prenderci; sono fantasie perverse dettate da libido e perversioni della furia omicida demoniaca. Un testo volutamente quindi osceno e morboso che unisce in modo freudiano sesso e morte, piacere e violenza, andando a scavare nei lati oscuri dell'uomo in un'unione tra demoniaco e sensuale. "Funeral Bitch - Troia Da Funerale" viene introdotto da un solenne andamento roccioso accompagnato da batteria dilatata e rullanti di pedale; al ventesimo secondo Legion parte con il suo cantato maligno e rauco, il quale completa perfettamente il suono epico e monolitico della strumentazione mentre la batteria si da a colpi incalzanti e le chitarre a giri ammalianti. I riff  creano vortici dissonanti in loop, ricchi di un'atmosfera mortifera che poi si apre al quarantunesimo secondo a suoni ariosi ed evocativi, mentre il drumming prosegue cadenzato ed evocativo; esso si divide tra colpi dilatati e muri di rullanti, dando un tono marziale all'andamento strisciante. Al cinquantaduesimo secondo si riprende con la marcia tagliente accompagnata dalle vocals crudeli e cadenzate del cantante; ecco che al minuto e tredici ci si ferma con un grido di Legion  che lascia posto ad una digressione dai giri imperanti e solenni. Essa prosegue in un andamento strisciante e ieratico dai connotati doom, nel quale s'inseriscono anche fraseggi melodici progressivi . Il cantante torna  a ruggire nel ritornello mentre un motivo squillante di chitarra completa l'atmosfera tetra con un grande effetto e la batteria si apre a rullanti che trascinano in avanti la composizione ; al secondo minuto e venticinque si accelera leggermente con il ritorno alla struttura cadenzata dominate, la quale si trascina potente e monolitica bombardata da blast distribuiti e dalle urla rauche di Legion. Si riprende poi al secondo minuto e quarantasei con il fraseggio solenne, stabilendo ancora una volta un'atmosfera sinistra che poi si fa ariosa mentre il cantante accompagna il tutto con le sue grida stridenti; notiamo come tutto il pezzo si mantenga controllato ed evocativo, perfetto esempio dello stile qui adottato dai Marduk che riprende le lentezze velenose dei gruppi cari al black anni ottanta. Al secondo minuto e cinquantasei si riprende con le chitarre rocciose che avanzano in una marcia supportata dal drumming incalzante e dalle grida malvagie del cantante; riecco quindi le aperture più ariose che mostrano giri in tremolo gelidi pieni di melodia atonale tagliente, i quali variano nuovamente il movimento del pezzo modulando rallentamenti solenni sui quali Legion si da a grida in riverbero; al quarto minuto e uno parte un campionamento vocale mentre le chitarre proseguono striscianti nel loro andamento distorto e ieratico. Si continua quindi tra giri sommessi, arpeggi melodici in sottofondo, e batteria incalzante, mentre la composizione va man mano verso la conclusione del brano, segnata da rullanti e dai suoni melodici di chitarra; ecco quindi un effetto stridente di feedback che chiude il tutto definitivamente. Il testo prende coordinate decisamente più perverse mischiando il concetto di sesso e morte, rappresentando al meglio il tema dell'ultima parte della trilogia; le piccole campane suonano, e la grande campana grugnisce in una città santificata fatta di tombe, dove morte e sconforto fioriscono. Desideri feroci prendono forma umana in vestiti di pelle, mentre "poeticamente" viene descritto un nero velo che si dispiega nel vento, accompagnato da suoni di tacchi alti all'ingresso del cimitero; "Death among the dead, haunting mausoleums - Morte tra i morti, infestando i mausolei" viene descritta la figura conturbante, la quale prova gioia difronte al macabro spettacolo che si trova davanti. Ora è nuda su un altare di pietra, bagnata dall'eccitazione, la stessa cara al protagonista, legata alla paura e alla morte; la morte e la vita si uniscono come i versi taglienti e le lingue infuocate che si toccano piene di desiderio violento. Il bisogno è forte e la notte è lunga, mentre si consuma questo perverso accoppiamento dai toni necrofili, una sorta di rituale osceno che lega la sessualità e l'oblio in una descrizione piena di suggestioni che vogliono creare un certo tipo d'immaginario macabro e allo stesso tempo sessuale; ancora una volta niente diavoli o imprecazioni, il soggetto è totalmente spostato sulla Morte, nuova musa dei nostri e del loro black, che qui si fa propriamente più lento e mortifero completando l'atmosfera qui delineata. "Summers End - L'Estate Finisce" si presenta con un arpeggio greve dal sapore anni settanta, volutamente sommesso e lo - fi, in un'atmosfera psichedelica inedita per i nostri; ecco che al ventinovesimo minuto il suo motivo viene ripreso da un fraseggio melodico accompagnato dalla batteria cadenzata e dagli arpeggi di basso. Si continua in loop con un movimento strisciante dall'effetto ammaliante, ripetuto ad oltranza; esso crea un mantra ipnotico che trascina l'ascoltatore nei suoi connotati lisergici. Ecco che al minuto e cinquantuno la fiaccola viene passata ad un rifting roccioso più altisonante, il quale però mantiene la melodia precedente; esso prosegue epico nei suoi giri distorti mentre in sottofondo continuano i fraseggi melodici dal grande respiro. L'atmosfera è solenne e struggente, in un pezzo che più di tutti vuole segnare lo stacco con la violenza dei nostri, con una composizione giocata su ripetizioni ossessive; al terzo minuto e sette compare finalmente Legion con le sue vocals ruggenti e crudeli, le quali però si mantengono cadenzate come la ritmica del drumming e delle chitarre stridenti. Il clima è decisamente trascinante, mentre la strumentazione dopo il ritornello incalzante si apre in fraseggi di chitarra struggenti; ecco quindi poi un galoppo roccioso e contratto dal sapore thrash che avanza marziale mentre si prosegue con le note altisonanti. All'improvviso il tutto sfuma in una digressione, chiudendo drasticamente un pezzo molto atmosferico che fa da intervallo sonoro e anche tematico prima dell'ultimo attacco della versione originale dell'album; uno dei brani che probabilmente più ha fatto storcere il naso a chi si aspettava solo brani furiosi e pestati, ma che in realtà offre un'inedita atmosfera oscura che si riallaccia al black più atavico e giocato sulle suggestioni, pagando ancora una volta pegno alle proprie influenze non così palesi nei loro lavori più tirati. Il testo molto breve rappresenta l'abbreviarsi dei giorni e il cambio di stagione; il crepuscolo raffredda i raggi calanti del Sole, ogni giorno sempre prima nell'accorciarsi del giorno progressivo, mentre le foglie secche volteggiano in soffi di vento ai nostri piedi. Mentre ci si muove nell'aria fresca dell'autunno la Luna sorge tra gli alberi; si evocano poi immagine legate al giorno di Samhain, ovvero il giorno di Halloween nell'antichità pagana e celtica, con falò nelle colline, sguardi sacri, e la celebrazione dell'estate che muore lasciando spazio all'autunno, simbolo di morte e decadenza. Un testo insolitamente paesaggistico e suggestivo per i Marduk giocato su accenni ed immagini legate alla natura e ad antiche tradizioni, pur mantenendo in sottofondo il macabro tema generale dell'album. "Jesus Christ... Sodomized" è il gran finale: si parte con un suono in digressione, accompagnato poi da piatti distribuiti. Ecco che poi il tutto va in sottotono per alcuni secondi; al ventitreesimo secondo esplode però la centrifuga di doppia cassa e riff assassini, la quale si lancia fredda e devastante. Legion interviene con un cantato lanciato e crudele, riportandoci alle atmosfere di "Panzer Division Marduk" e dei brani più tirati di "Nightwing"; un tripudio dunque di drumming pestato e veloce con blast ossessivi e chitarre a motosega. La strumentazione si apre poi in giri più serrati, ma in concomitanza con il ritornello esaltante, esposto dal cantante con toni altisonanti, essa si struttura in parti piene di ieratica atmosfera frostbitten; abbiamo così una sezione molto legata al sound scandinavo con chitarre in tremolo atonali che creano tempeste sonore ripetute. Al minuto e trentaquattro si prosegue lanciatissimi, mentre chitarre in buzz creano onde di rifting circolare; ci si alterna quindi con le parti più serrate e il ritornello altisonante, mentre il drumming si mantiene bombardante e omicida. Improvvisamente al secondo minuto e sedici tutto si blocca con una digressione; su di essa si distribuiscono piatti cadenzati e distribuiti, mentre parte un fraseggio vorticante dalle scale progressive. Esso poi lascia posto ad un rifting roccioso con bordate, il quale si lancia in una nuova cavalcata in doppia cassa dove Legion torna con i suoi toni violenti; ecco che riparte il ritornello dove le vocals creano parti ritmate che seguono i giri solenni di chitarra, mentre la batteria avanza dritta. Ci si apre a sezioni in doppia cassa dove i giri circolari creano melodie atonali fredde e ossessive, le quali poi lasciano il posto alla parte più serrata, che evolve in una tempesta caotica dei giri squillanti; il songwriting è isterico e frenetico, e presto ritorna il solito ritornello ritmato, dove il cantante prosegue sgolato nelle sue grida rauche. Si continua su queste coordinate sino al quarto minuto e sette; qui un fraseggio tetro viene accompagnato da suoni funerei di campane, mentre si disperde nella dissolvenza chiudendo definitivamente il lavoro qui recensito nella sua forma originale. Il testo torna per il finale ad un tema caro ai nostri presente negli album precedenti: l'attacco e la radicalizzazione della figura di Cristo con toni spesso grossolani e volgari, che si discostano da quelli più evocativi e solenni usati nei brani precedenti.  Egli viene incalzato, spinto a far fingere di soffrire sulla croce, minacciato di trattamenti più duri prima della sua morte; i suoi lamenti sono considerati falsi, e lui un lupo diventato pecora che merita la morte. E' definito re delle perversioni e delle mosche, in un vortice si troverà dove nessuno sentirà le sue grida, attendendo la sua orribile morte inchiodato alla croce, e si esulta al tentativo fallito di Maria di creare un re; si passa ad ulteriori insulti, definito un ipocrita che ora morirà per primo senza diritto di parola. Si passa poi  a connotati più volgari immaginando la sua violazione, senza rispetto per "un figlio degli angeli" il cui amore verrà distrutto; "Jesus - from the depths your death doom roar - Gesù - Dalle profondità della tua morte il destino ruggisce" viene declamato, mentre i suoi giorni gloriosi appartengono al passato, e si passa ad insulti su di lui definito feccia, e sua madre definita una meretrice puzzolente. Anche i credenti non vengono risparmiati: "Eat his body, drink his blood and be a slave under the yoke of god - Mangia il suo corpo, bevi il suo sangue e sii uno schiavo sotto il giogo di dio" vengono scherniti, mentre poi si spinge a urinare su Cristo e ad uccidere il prete, seguendo la natura e la bestia. Ecco quindi che alla sua morte il suo regno verrà conquistato dalle forze del Male, mentre ora sanguina come un maiale intrappolato dai demoni, colpito, strappato e contorto, mutilato e strangolato; egli griderà con tutto il fiato, mentre con artigli e zanne i caduti lo faranno a pezzi. Si continua con le sevizie, con una ferita per ogni sua menzogna verso gli uomini; una conclusione quindi che porta in scena tutta l'anti - cristianità dei nostri, discostandosi dal tema prettamente legato alla Morte tornando alle esplicite blasfemie violente loro marchio di fabbrica.

Ecco la traccia bonus, la cover "Samhain" dell'omonimo gruppo dalla breve vita di Danzig (formato poco dopo lo split della prima formazione dei Misfits), tratta dal loro debutto del 1984 "Initium"; un brano veloce che non raggiunge il minuto e mezzo di durata, dalla natura punk accentuata. Esso parte con un rifting accompagnato da batteria ritmata quasi tribale, incalzante ed energetico nel suo incedere tagliente; all'undicesimo secondo un incitamento di Legion segna il passaggio ad un alinea più diretta dai giri altisonanti tempestati da blast. Ci si alterna poi con l'andamento precedente mentre  il cantante parte con le sue declamazioni crudeli che seguono l'andamento dei riff circolari ripetuti e del drumming cadenzato; si crea quindi un'atmosfera rituale e oscura perfetta per il soggetto del pezzo. Al trentatreesimo secondo abbiamo il ritornello esaltante che mantiene la carica dell'originale, con versi in riverbero di Legion imperanti e note rocciose dal grande effetto; il tutto si blocca poi al quarantatreesimo secondo dando spazio ad una marcia fatta di bordate progressive e batteria controllata. Un grido rauco segna poi la ripresa della cavalcata del ritornello, dalle chitarre taglienti e dal drumming pestato, la quale si apre in concomitanza con le vocals in riverbero  a giri più ariosi; il finale improvviso è lasciato a bordate di pochi secondi, che chiudono con effetto immediato il brano. Il testo celebra la festa pagana omonima del pezzo e del gruppo, antesignana di Halloween; ; i morti vengono coperti di sale per impedirne la resurrezione e coperti dai sudari, mentre colui che cambia forma e si muove sugli zoccoli (il diavolo) si aggira nel freddo autunno che porta i morti pagani alla ricerca del calore dei fuochi. "Do you want a paradise? Do you want a sacrifice? - Vuoi un Paradiso? Vuoi un sacrificio?" veniamo incalzati, nella note dei festini e delle bevute, dove si ride alla morte; vengono poi ripetute di nuovo queste frasi, in un testo che stabilisce immagini oscure e folcloristiche dell'antica festa secondo la quale i morti tornavano sulla Terra in quel giorno, idea poi ripresa nella versione cristiana che conosciamo oggi e tramutata in una festività come le altre, ma che in realtà ha radici nel culto della morte e nel suo rispetto e timore.

Tirando le somme un lavoro ingiustamente sottovalutato da molti a causa di quando è stato pubblicato e della sua vicinanza con un'opera ben diversa che aveva conquistato diverse persone con la sua velocità costante; un black metal evocativo e tetro è qui protagonista, spesso legato ad influenze doom anni ottanta e settanta, ricche di melodie spettrali ed oscure ripetute in modo ossessivo. Si gettano qui al base per altri esperimenti che verranno più avanti, mostrandoci un volto dei Marduk allora ancora poco conosciuto a chi aveva presente solo l'ultima parte della loro discografia e ignorava i loro inizi più controllati; i nostri dimostrano di avere una propria visione che portano avanti a discapito del resto, da una parte senza accettare modernismi forzati che non gli appartengono, ma dall'altra cambiando le carte in tavola la dove il suono e i temi lo richiedono. La loro intenzione è dimostrare che non sono solo la band di "Panzer Division Marduk", ma in quel periodo la loro immagine è ancora troppo legata al clamore di quel lavoro: spesso pubblico e critica non capiranno, mentre per ironia della sorte molti dei rari estimatori del lavoro saranno persone che normalmente non apprezzavano il sound tirato della band. Nulla comunque può fermare i colossi del black svedese, che si lanciano per l'ennesima volta in una forsennata attività live; prima con un tour europeo di ben trentuno date, poi con uno americano insieme ai Deicide. Si passa poi al  "Graspop Metal Meeting" in Belgio, mentre più avanti passano ad un altro tour più breve in Europa con gli "X-Mass Festivals"; in seguito come annunciato Emil Dragutinovic sostituirà l'ormai storico Fredrik alla batteria, il quale darà prova di se al "With Full Force" in Germania e al "Tuska Open Air" in Finlandia. Nel frattempo i nostri entreranno in studio per registrare il lavoro che segnerà la fine di un'epoca, l'ultimo con il bassista B.War, e soprattutto l'ultimo con Legion alla voce, "Wold Funeral"; ecco quindi il periodo conclusivo di una lunga epopea iniziata con "Heaven Shall Burn?" e che ha trovato nei tre episodi della Trilogia Satanica il suo momento più alto e significativo, definendo i diversi aspetti del suono e del mondo tematico dei Marduk e chiarendo la loro visione e "mission". "La Grande Danse Macabre" è dunque l'ultima occasione di trovare insieme quella che per molti è ormai la line up storica del gruppo; il lavoro successivo tirerà in un certo senso le fila del discorso riproponendo quanto finora sentito nei diversi lavori della carriera dei nostri, ma mostrerà una minore convinzione nelle parti più tirate senza proporre nulla di veramente nuovo, mentre le parti più controllate offriranno spunti e soluzioni che verranno ampliate in futuro.   Ma esso segna soprattutto  l'inizio di alcuni problemi tra i membri rimasti; Legion non sarà più convinto come prima, e il suo screaming si dimostra meno efficace e potente, provato da anni di ferocia che evidentemente non può più reggere. Sarà chiara la necessita di sangue giovane per rinvigorire il suono e i temi dei Marduk, sangue che prontamente sarà trovato da Hakansson in una delle intuizioni più lungimiranti della sua carriera; ma questo è il futuro prossimo, per ora prepariamoci all'addio a Legion in un funerale globale nero come la pece.     

1) Ars Moriendi        
2) Azrael        
3) Pompa Funebris 1660     
4) Obedience unto Death   
5) Bonds of Unholy Matrimony     
6) La Grande Danse Macabre         
7) Death Sex Ejaculation     
8) Funeral Bitch        
9) Summers End       
10) Jesus Christ... Sodomized

Bonus Track:

11) Samhain (Samhain cover)    

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