MARDUK
Iron Dawn
2011 - Regain Records
DAVIDE PAPPALARDO
26/04/2015
Recensione
Eccoci in dirittura di arrivo nella nostra analisi della discografia dei Marduk, storico gruppo black metal svedese capitanato dal chitarrista Evil (Morgan Hakansson) e attivo sin dagli inizi degli anni novanta, rappresentando una delle band più longeve del genere; nel 2009 i nostri hanno dato i natali al loro undicesimo album "Wormwood" il quale aveva rappresentato un episodio molto particolare della loro discografia, votato ad un'atmosfera malsana e gotica molto influenzata dal gruppo solista del cantante Mortuus (Daniel Rosten) Funeral Mist, prodigata tramite soluzioni particolari legate a sperimentazioni stilistiche e di songwriting tipiche di molta della così detta corrente orthodox. Il disco entusiasma alcuni, vogliosi di novità nel suono della band, e scontante alcuni altri che trovano eccessivi i rallentamenti e le irregolarità, o più che altro fuori luogo nel sound "a cassa dritta" dei nostri; come sempre la band non si cura dell'opinione altrui, e avanza dritta per la sua strada, pensando già a cosa verrà dopo e promulgandosi in una serie di concerti, vero perno della loro attività. Nel 2010 continua il loro immenso "Funeral Nation Tour" toccando i Balcani, l'Austria, la Germania e il Regno Unito, mentre poi tocca alla Scandinavia con una serie di festival tra cui l' "House Of Metal"; instancabili volano per l'ennesima volta in Sud America, dove hanno sempre avuto un forte riscontro di pubblico, mentre poi si dedicano all' Est Europa. Largo quindi a varie date europee con Vader e Deicide, mentre poi si dividono tra infinite apparizioni in tutto il Mondo, America e poi Asia comprese; in quest'ultima addirittura sono la prima band black metal a fare un tour completo, il "Asian Black Death Redemption 2010", toccando Cina, Thailandia, Singapore, Indonesia. Eccoci quindi nel 2011, dove non si fermano di certo: partecipano al festival in nave "70 000 Tons of Metal" e contemporaneamente ad alcune date a Miami e in Messico. Ecco quindi qualche data in Guatemala, Honduras e Costa Rica, mentre poi si torna in Europa, dove suoneranno anche con i Mayhem; è arrivato il momento di offrire qualcosa, e contemporaneamente con l'inizio del "Maryland Deathfest" negli USA viene pubblicato l'EP "Iron Dawn - Alba Di Ferro" qui recensito. Un lavoro molto breve di sole tre tracce, il quale offre però un interessante intermezzo che prende una breve pausa dalle tendenze tematiche e sonore orthodox che ormai da qualche tempo dominano la nuova fase della carriera del gruppo; le prime due tracce sono un assalto feroce e continuo che adatta in chiave più dissonnante e brutale lo stile senza compromessi di "Panzer Division Marduk", colpendo duro l'ascoltatore tutto il tempo. La terza è più lenta, ma molto pesante e monolitica, offrendo un episodio oscuro dall'animo doom e tagliente; quasi quattordici minuti quindi serrati e violenti all'insegna di un "norsecore v 2.0" che non nega la maturazione del gruppo, ma che allo stesso tempo regala in un ambito meno legato al formato dell'album intero qualche concessione in più al devasto sonoro. Naturalmente partecipano anche il bassista-produttore Devo (Magnus Andersson) e il batterista Lars Broddesson, portando avanti la line up ormai ben collaudata; infine si conclude qui la breve collaborazione con la Regain Records, che dal prossimo lavoro sarà sostituita dalla Century Media Records.
Eccoci quindi all'analisi del breve lavoro, che si apre con "Warschau 2: Headhunter Halfmoon - Varsavia 2: Il Cacciatore di teste della Luna Crescente" una sorta di "saga" musicale iniziata con il brano "Warschau" di "Plague Angel" e qui continuata; dopo sirene d'allarme parte la doppia cassa massacrante lanciata, accompagnata da chitarre a sega elettrica devastanti. Mortuus interviene al quattordicesimo secondo con vocals isteriche che si uniscono al freddo caos sonoro perfettamente; al ventiseiesimo secondo abbiamo un assolo vorticante e stridente che potenzia ancora di più l'andamento vorticante ottenuto. Ecco che riprendono i loop taglienti, mentre il drumming rimane adrenalinico; ecco alcuni brevi rullanti e bordate che fanno da contrappeso, mentre sentiamo ancora suoni di sirena. Al minuto e nove un fraseggio atonale prende piede mantenendo la velocità intatta, in un'atmosfera dall'alta tensione, dove presto tornano i giri taglienti in tremolo; il cantante prosegue con il suo cantato feroce, mentre i suoi riverberi vengono sottolineati da digressioni squillanti di chitarra e drumming possente. Al secondo minuto e quattro troviamo una nuova fredda melodia atonale, severa e ossessiva, la quale si dilunga nei suoi suoni aspri e tetri; presto una cesura ferma momentaneamente il tutto, lasciando spazio a bordate varie. Si riprende quindi con il malinconico motivo supportato dalla doppia cassa, lanciato fino al secondo minuto e ventotto; qui abbiamo una coda doom strisciante e distorta, dai giri grevi e mortiferi, la quale però presto riprende velocità in una nuova cavalcata in doppia cassa. Ecco campionamenti bellici che accelerano ancora di più i toni, mentre poi s'inseriscono fraseggi vorticanti, e le vocals infernali ed isteriche di Mortuus, come sempre segnate da bordate possenti; il caos si fa sempre più pressante, fino al terzo minuto e trentaquattro. Qui tutto rallenta con suoni squillanti e colpi cadenzati, mentre il cantante prosegue con toni indemoniati il suo nero declamare; la conclusione improvvisa vede uno stop che sfocia poi direttamente nel pezzo successivo. Il testo torna a fare riferimento in toni poetici e romanzati, ma allo stesso tempo feroci, dell'assalto alla città di Varsavia, e in particolare del suo ghetto ebraico, da parte delle truppe naziste durante la Seconda Guerra Mondiale; il fato di quest'ultima viene paragonato a quello dei martiri, mentre essa accetta la propria sconfitta. In modo beffardo viene evocato il Signore, affinché benedica la genia di assassini, mentre fulmini e tuoni di fanno strada tra i venti; un'immagine apocalittica che ben si adatta all'immane ecatombe che colpì in varie fasi del conflitto la capitale polacca. Una mezza Luna evocativa splende nel cielo notturno, illuminando l'opera macabra dei così detti "cacciatori di teste", mentre la tempesta nel cielo ripete quello che accade sulla terra, in una funesta concomitanza di elementi; notiamo come il tema della guerra venga qui trattato con un registro ben più elaborato ed epico rispetto a quello di "Panzer?", riprendendo i toni iniziati in "Plague Angel" con brani come "The Hangman Of Prague" o lo stesso primo episodio di "Warschau". Qui siamo nella fase finale del conflitto, quando la città si ribella ai tedeschi in seguito all'avanzamento delle truppe russe, provocando una sanguinosa repressione che porterà alla deportazione dell'intera popolazione e alla quasi totale distruzione dell'intera città; il tutto espresso con immagini terribili e allo stesso tempo eleganti, che beffarde descrivono gli aspetti del conflitto come in un'epopea sacra ed epica. "Wacht Am Rhein: Drumbeats Of Death - Guardia Al Reno: Marcia Della Morte" si apre con campionamenti di esplosioni e bombardamenti, ai quali segue una doppia cassa devastante accompagnata sempre dai rumori e da un riffing serrato; ecco al ventesimo secondo l'arrivo delle vocals maligne di Mortuus, insieme alle quali i toni si fanno ancora più aspri e vorticanti, in una corsa black metal giocata su loop a moto sega ossessiva. La tempesta ottenuta è raggelante, riportandoci alle atmosfere caotiche e brutali di "Panzer?" qui rese ancora più folli dallo stile secco della strumentazione e dall'interpretazione del cantante, qui più concisa e veloce rispetto alle sue abituali esternazioni teatrali; al cinquantaduesimo secondo una cesura rallenta il tutto con un fraseggio greve, sul quale si organizzano piatti di batteria e versi in riverbero di Mortuus. Ecco che poi un nuovo loop prende strada con rullanti di pedale, accelerando progressivamente i toni; riesplode quindi la doppia cassa insieme ai giri vorticanti, mentre in sottofondo percepiamo campionamenti vocali altrettanto lanciati. Veniamo investiti ancora una volta da un'unione di atonalità serrata, colpi di drumming ossessivi e voce satura di riverbero, come in un vento sonoro che strappa le carni dalle ossa e annebbia i sensi; il songwriting prevede comunque alcuni punti di sosta, e al minuto e quarantatre ancora tutto rallenta con una cesura fatta di colpi incalzanti e bordate, dove s'intromettono anche accenni melodici di breve durata. Si crea quindi una coda ipnotica sulla quale Mortuus si da a grida dilungate, con un malsano motivo progressivo; esso però esplode poi nuovamente in una centrifuga di doppia cassa e chitarre squillanti, brevemente alternata con una digressione ferrosa con vari giochi di stop e riprese. La tensione si libera quindi ancora una volta al secondo minuto e trentanove, mentre un riffing roboante e allo stesso tempo ammaliante si fa strada oscuro e greve, tempestato dalla doppia cassa; riecco i loop devastanti ormai familiari, proseguendo in una corsa adrenalinica che non lascia scampo all'ascoltatore. Al terzo minuto e diciannove ancora una volta tutto rallenta con una serie di bordate e colpi di piatti cadenzati, mentre Mortuus scandisce con malevole calma le sue parole; ancora un andamento strisciante e corrosivo delineato da brevi aperture progressive, il quale prosegue monotono fino al finale, segnato da rulli e da una digressione in feedback, la quale sfocia con continuità nell'ultimo pezzo del mini album. Il testo ci proietta ancora nello storico conflitto, riprendendo il titolo di uno storico componimento precedente ai due conflitti mondiali, di natura patriottica per i tedeschi, ovvero "Die Wacht Am Rein"; qui il tutto ha però un significato ben più tetro e sinistro, prospettando la disfatta che verrà, e il sacrificio umano scandito appunto dai "Tamburi della Morte" che segnano le ore che rimangono a disposizione dei soldati, nutriti da un cieco fervore. "Blood and Ambition - Sangue ed Ambizione" segnano il conflitto, come spade del disastro a venire, forgiate dalla loro determinazione di ferro; si delinea la marcia più oscura, quella diretta verso la morte, durante al quale ora la volontà si tramuta in frustrazione, mentre i soldati si rivolgono a Cristo, che però ora porta una croce di ferro (in una probabile sarcastica allusione alla contraddittoria fede religiosa dei soldati nazisti nonostante la natura delle loro azioni, dettate da un patriottismo senza discussioni). Come detto siamo nel finale del conflitto, e neanche la Germania è più al sicuro: le truppe sovietiche avanzano, e presto Berlino stessa verrà invasa mettendo fine alla fase europea del conflitto. I Marduk non sono certo umanitari, ma allo stesso tempo non provano neanche una particolare compassione per i tedeschi; per loro il conflitto è un'altra glorificazione della Morte, alimentata dai massacri e dalla cieca convinzione dei soldati, qui ironicamente descritta in modo epico, ma ricordando anche il destino ultimo a cui sono condotti al suono delle esplosioni e degli spari. Una nazione ormai sconfitta dunque, che però è ormai troppo stretta nella morsa del suo stesso sogno infranto, incubo per altri; ecco perché le referenze al patriottismo e ai pensieri dei soldati, ormai a loro discapito pedine in un gioco che sta per volgere al termine. "Prochorovka: Blood And Sunflowers - Prochorovka: Sangue E Girasoli" è il brano finale, il quale s'inoltra con una vecchia canzone tedesca con in sottofondo rumori di guerra ed esplosioni; ecco un riffing dissonante che si fa poi strada con le sue scale squillanti, il quale esplode pienamente, lento e greve, al quarantaquattresimo secondo. Qui si accompagna con colpi di batteria cadenzati e pesanti, in un movimento monolitico segnato da chitarre distorte e suoni di guerra ripetuti; le vocals di Mortuus compaiono in un riverbero assoluto, alternate con i riff dissonanti in una cadenza mortifera che segna le differenze con i due episodi precedenti lanciati. Il gioco è basato dunque su un songwriting serpeggiante e tetro, dove al minuto e cinquantasette abbiamo una leggera accelerazione "meccanica" che non raggiunge però fasi adrenaliniche, mantenendo il tutto volutamente greve ed incalzante; al secondo minuto e ventitré si torna ai ritmi precedenti, con un drumming a colpi d'incudine e giri di chitarra in tremolo rocciosi e distorti dalla natura doom. Il loop prosegue quindi ossessivo, mentre il cantante torna con il suo demoniaco declamare modificato con riverberi, sottolineato dalle esplosioni e dalla batteria possente e lenta; la chitarra si prodiga come sempre in ammalianti suoni circolari e taglienti, dilatati e morbosamente estranianti. Al quarto minuto e due il tutto si fa ancora più dilungato ed arioso, in un'attesa nervosa che scolpisce con i suoi riff l'ultima coda che va sfumando in riverbero; ecco quindi la conclusione con esplosioni, che chiude il lavoro qui recensito come era iniziato, sulla scia dei suoni bellici. Il testo ci delinea uno scenario bellico decisamente più elaborato rispetto ai toni usati in "Panzer..." e legato alla realtà fattuale della guerra piuttosto che a slogan satanici; la fanteria impugna le baionette, mentre i soldati si incendiano come mastini da guerra senza controllo, e granatieri dagli artigli d'acciaio avvolgono altre cinque zampe di ferro. "Projectiles of death pounding rage - Proiettili di morte sputano la furia" continua il testo, mentre Sturmovoiks e Stukas dominano i cieli (aerei russi i primi, tedeschi i secondi, protagonisti della seconda guerra mondiale) e i campi senza fine vengono ricoperti di sangue e fiori, il tutto come il colpo di un martello sull'incudine; il cielo è in fiamme, mentre un battaglione di lancia fiamme risplende in modo celestiale, il fuoco mortale regna e "cura" migliaia di anime. "Ravenous locust of steel - Rapaci locuste di ferro" vengono definiti i caccia, mentre i carri armati arrivano come una piaga divina, e l'artiglieria sibila in una grazia mortale, ancora una volta come un martello che colpisce l'incudine. Un testo "poetico" che usa immagini belliche con metafore e iperbole che danno un tono epico e serio agli eventi, presentando una versione più matura delle tendenze dello storico episodio citato all'inizio, evitando le facili ( e a tratti pacchiane) blasfemie in nome di una rappresentazione più asciutta (e anche più sarcastica e crudele) della guerra, argomento di profondo interesse da sempre per i Marduk, e ora ampliato nella loro ormai totale devozione per la morte e ogni forma di decadenza umana.
Tirando le somme un altro EP che fa da pausa in un lungo periodo di esibizioni dal vivo, e che segna l'apertura di un tour importante; esso ha comunque una sua funzione musicale, offrendo per la maggior parte una versione tirata dei Marduk che da tempo non dominava i loro lavori, e il ritorno del dominio dei temi bellici protagonisti dello storico "Panzer Division Marduk". La scelta del formato del mini album permette di mantenere questa formula senza stancare, dando la possibilità ai nostri di non sentirsi legati ai temi strutturali di un album intero; troviamo quindi una versione musicalmente e tematicamente più matura di quello che ancora oggi è per molti il simbolo del gruppo, pur costituendo una minima parte della loro carriera. Il tutto condensato in neanche quattordici minuti, che scorrono veloci trovando un minimo di catarsi solo nel finale, più vicino ai toni striscianti dell'ultima fase della loro carriera; alcuni si aspettano, legittimamente, il preambolo di un ritorno al passato imminente, ma i Marduk fanno come sempre di testa propria. Dopo il tour in America e Canada, che vede l'onore di un'opera di Oluremi White ispirata ai loro testi esposta a New York, la band torna in Europa, dove partecipano a vari festival estivi tra cui l'ultima edizione del "Hole In The Sky" in Norvegia e il "Getaway Rock" in Svezia; si conclude quindi la collaborazione tra la Blooddawn Productions e la Regain Records, mentre subito proseguono interminabili le date sul continente europeo, arrivando al 2012. Questo è l'anno di "Serpent Sermon", il primo disco con la Century Media Records, che vede un video ufficiale per il singolo "Souls For Belial" stabilendo sotto tutti gli aspetti l'appartenenza del gruppo al gota del metal mondiale; un album che continua in realtà le tendenze tematiche e musicali degli ultimi episodi, aggiustando però il tiro con alcune soluzioni melodiche e strutture più regolari che vanno anche a ripescare nel passato della band. Si tratta quindi di un'ennesima coerente evoluzione che offrirà un suono in crescita, con una formazione ormai pienamente confidente dove i diversi input vengono elaborati nel miglior modo per preservare e allo stesso tempo rinnovare l'identità artistica e musicale dei Marduk; i semi lanciati da "Iron Dawn" non saranno però ignorati, e più avanti nel tempo sbocceranno nell'ultima (al momento) opera dei nostri. Per ora comunque si prosegue con "l'anno della fine del Mondo", che in realtà riserverà alla band un ennesimo trionfo che li vede sulla cresta dell'onda del black mondiale; la marcia prosegue al ritmo dei tamburi della Morte.
1) Warschau 2:
Headhunter Halfmoon
2) Wacht Am Rhein:
Drumbeats Of Death
3) Prochorovka:
Blood and Sunflowers