MARDUK
Infernal Eternal
2000 - Blooddawn Productions
DAVIDE PAPPALARDO
11/03/2015
Recensione
Continua l'inizio del nuovo millennio in compagnia dei blasfemi Marduk, ormai all'apice del loro periodo con il cantante Legion (Erik Hagstedt) e a metà della loro trilogia satanica incominciata con "Nightwing" e proseguita con "Panzer Division Marduk"; freschi del successo di quest'ultimo, finora il loro episodio più violento che ha attratto l'interesse anche di un pubblico esterno normalmente al black metal, come spesso fatto i nostri si danno ad una serie continua di concerti che cementificano il momento. Dopo la pubblicazione dell'EP "Obedience" (prima uscita sotto etichetta personale del leader - chitarrista Evil (Morgan Hakansson) dopo la fine della collaborazione con la Osmose Productions), il quale anticipava due inediti del futuro ultimo disco della trilogia "Le Grande Danse Macabre", e presentava una cover dei Celtic Frost, la band prosegue con questa attività, andando in tour con i Deicide e i Cannibal Corpse; non contenti, vanno anche in Messico per due settimane, e nell'estate partecipano trionfanti al Wacken Open Air, al Waldrock e a molti altri festival, dimostrando una ferrea attività live; si arriva quindi ad Halloween, giorno mistico scelto non a caso per celebrare i dieci anni di carriera dei Marduk. Ciò avviene con un mega concerto tenutosi nella città natale dei nostri, ovvero Norrkoping in Svezia; nella stessa notte viene pubblicato il doppio live qui recensito "Infernal Eternal - Eternamente Infernale" registrato in precedenza durante uno dei loro tour in Europa che si sono succeduti in quell'anno, precisamente in Francia durante il "The World Panzer Battle Tour". La scaletta è impressionante, ben diciotto tracce divise in due dischi, concentrate soprattutto sugli ultimi tre dischi, ma con alcune gemme del passato pre - Legion; lo stile adottato è comunque spesso vicino a quello più vorticante e cacofonico instaurato con l'ultimo disco, e anche i brani del passato più legati al death vengono rivisiti sotto questa nuova ottica, presentando un assalto continuo che vuole stordire l'ascoltatore. Una celebrazione quindi di potenza e una vera e propria dichiarazione d'intenti, che sancisce la presa di posizione, per ora, dei Marduk verso un black isterico ed iper violento dominato da blast, chitarre a mitra e doppia cassa; naturalmente oltre ai due componenti già citati ritroviamo il bassista B.War (Roger Svensson) e il batterista Fredrik Andersson, proseguendo con quella che da tempo è la line up stabile della band, e che tale rimarrà ancora per qualche anno. La produzione per questa volta non verrà affidata a Peter Tagtgren, bensì al fondatore della Regain Records Per Gyllenback, il quale comunque farà un buon lavoro nel riproporre i suoni live mantenendo anche la presenza del pubblico (ma solo alla fine dei brani e in alcuni intermezzi), ma eliminando brusii ed effetti troppo lo - fi mantenendo quella pulizia del suono che distingue il black dei nostri dai cugini norvegesi; un lavoro dunque imponente che all'epoca era stato creato come un "dono" per i fan (ben due dischi venduti al prezzo di uno, contenente anche video da visionare al pc) e per iniziare il nuovo millennio con un'uscita topica del momento rappresentante i concerti eseguiti a supporto dal loro best seller "Panzer Division Marduk". Ben cinque brani sono presi proprio da esso, quattro dal precedente "Nightwing", il resto dai dischi anteriori, presentando così una panoramica adeguata ai molti nuovi fan guadagnati in quel periodo, spesso familiari solo con l'ultimo disco, qui comune ampliamente riportato; una scelta "furba", ma coerente con la volontà della band, che considera gli ultimi lavori come la vera espressione del loro suono e il raggiungimento di uno stile a lungo ricercato.
"Panzer Division Marduk - Divisione Corazzata Marduk" apre il concerto con suoni pomposi ed epici da guerra, in una marcia sinfonica dagli archi vorticanti; all'improvviso essa si ferma al quattordicesimo secondo, dove il pubblico accompagna con le sue ovazioni Legion che presenta il titolo del brano con la sua voce tipicamente rabbiosa. Ecco quindi i piatti che annunciano il rifting tempestoso accompagnato da doppia cassa martellante e blast furiosi, ottenendo una in una centrifuga ritmica che ci sovrasta anche in questa sede; al ventottesimo secondo tutto si ferma mentre Legion lancia un grido tagliente. Si riprende quindi con il loop tagliente di giri in tremolo e colpi continui, mentre il cantante si lancia folle in una filastrocca crudele; l'assalto è costante, mentre le chitarre assumono a volte toni più solenni, mantenendosi però sempre fredde e violente. La cacofonia ipnotica domina grazie ai riff ripetuti e ai blast massacranti, i quali ripresentano dal vivo il marasma sonora del brano su disco; a tratti le chitarre si fanno più "ariose", tornando però poi subito ai loro giri più serrati. In tutto questo Legion prosegue imperterrito nelle sue vocals bestiale, completando il quadro qui ottenuto; al minuto e quarantacinque s'inserisce un fraseggio stridente, anch'esso dalla velocità adrenalinica, a cui segue il solito loop, sottolineato da alcuni rullanti di batteria ben posizionati. Si riprende poi con il drumming ossessivo mentre i riff discordanti si fanno strada squarciando la ritmica; al secondo minuto e sei sale l'intensità cacofonica delineata nei soliti giri massacranti mandati avanti ad oltranza. Si continua quindi su queste coordinate in un torrente in pena che si blocca al secondo minuto e trentatré con un suono squillante di chitarra; ecco che parte una digressione distorta con feedback, rullanti, e un assolo stridente, la quale chiude poi all'improvviso il brano con un colpo. Il testo è una dichiarazione di guerra satanica: oscura, terribile, tetro e potente viene definita la Divisione Corazzata Marduk mentre cigola nei campi nemici, colpendo velocemente e duramente le linee avversarie, distruggendo il loro bastione. "The victory is Satan's but the battle is ours - La vittoria è di Satana, ma la battaglia è nostra" ci fa capire come questo non sia comunque un serio trattato storico, bensì una sorta d'interpretazione blasfema della Seconda Guerra Mondiale reinterpretata come una sorta di guerra satanica; una vendetta contro secoli di omicidi, furti e stupri in nome della cristianità, compiuta da una potente macchina assassina, che dopo la sua opera lascerà solo avanzi per gli avvoltoi. Essa è stata forgiata nella fiamma blasfema, dall'angelo caduto in persona (chiaro riferimento a Lucifero), ed è seguita dai mastini da guerra infernali che non possono essere fermati nella loro marcia, dedita all'estinzione di menzogne e bontà. Continua quindi la sua crociata trionfante, contro la cristianità e l'umanità ritenuta inutile; crociata che non è altro che tutto il disco qui affrontato, un assalto continuo. "Burn My Coffin - Brucia La Mia Bara" viene presentata da Legion con il suo solito tono crudele, dopo il quale dei piatti di batteria aprono subito la scena ad una doppia cassa velocissima accompagnata da chitarre taglienti accelerate al massimo; notiamo come questa versione sia molto più adrenalinica, presentando una linea più vicina alle ultime produzioni. S'inserisce al ventisettesimo secondo in concomitanza con il cantato ringhiato di Legion un fraseggio solenne e discordante, il quale completa l'atmosfera tetra e fredda qui raggiunta; al cinquantaduesimo secondo tutto si ferma con una cesura caratterizzata da una chitarra squillante ed ossessiva. Essa prosegue mentre riesplode la doppia cassa insieme alle grida del cantante, riprendendo la cavalcata forsennata che caratterizza il pezzo; un nuovo tripudio quindi di blast, giri taglienti e doppia cassa, che continua fino al minuto e sette. Qui ritorna il fraseggio solenne, ora più altisonante nelle sue scale gelide piene di atonalità; Legion intanto recita in modo sincopato il ritornello seguendo l andamento sonoro. Al minuto e trentuno tutto rallenta in una digressione alternata a parti più veloci, in un gioco di bordate che crea un movimento contratto; qui le chitarre si fanno più ariose ed epiche, in una melodia oscura dal grande effetto. Essa è potenziata da arpeggi in sottofondo, i quali la sorreggono nel suo movimento; al secondo minuto un grido di Legion segna una nuova cesura con piatti cadenzati e giri rocciosi. Essa accelera subito in una cavalcata cacofonica ricca di doppia cassa e blast, segnata dai loop circolari taglienti; al secondo minuto e venticinque le chitarre tornano più melodiche ed ariose, in un andamento solenne sul quale poi il drumming si fa più controllato ed incalzante in alternanze tra rullanti e piatti; ecco quindi una marcia ieratica che avanza contratta nei suoi toni rocciosi fino al terzo minuto e nove. Qui si ferma con una digressione sulla quale poi prende posto un arpeggio ammaliante, mentre il pubblico esulta in sottofondo; ecco quindi un fraseggio dalle scale solenni e vorticanti, il quale striscia accompagnato dal basso greve e dalla batteria dai piatti cadenzati. Legion intanto striscia nelle sue grida rauche in un tono quasi disperato che ben si lega ai giri dissonanti di chitarra; ecco quindi che si arriva al quarto minuto e tredici, dove una serie di rullanti ed una digressione portano il brano alla sua conclusione. Il testo è insolitamente introspettivo e malinconico, se non addirittura depressivo: un animo sconfortato si sente morto dentro, ed anela il rilascio da una vita che è per lui un peso; esso si esprime con toni quindi tetri e "poetici", come nella frase "The blood inside my veins is poisoned by funerals and dreams - Il sangue nelle mie vene è avvelenato da sogni e funerali." Che ci accoglie chiarendo come il protagonista sia sfiduciato, stanco delle sue paure e illusioni. La bellezza della vita è per lui distrutta, ora solo la morte è il suo destino e ragione di essere, in una notte senza sonno che sembra eterna, così come il suo dolore; egli invoca la liberazione della sua anima, tramite la metafora della bara bruciata, il dispiegare del velo che copre ormai la sua esistenza. Ecco che mentre bruciano nere candele, la sua anima vola oltre il velo d'oscurità che si abbassa, viaggiando nella notte in una sorta di proiezione astrale. Ma non è ancora il suo ultimo viaggio: infatti sorge l'alba con i raggi del sole che colorano di rosso la stanza, raggiungendo il terreno. Il nostro leva uno sguardo verso l'inevitabile domani, ma ormai il suo cuore e la sua anima sono bruciati dal dispiacere; troviamo quindi dei Marduk decisamente inediti, riflessivi e tristi, che anche in questa occasione si distaccano da qualsiasi facile blasfemia, creando anche tematicamente un'atmosfera tetra e piena di dolore che mostra un lato decisamente umano che poche volte avrà modo di uscire così allo scoperto nella loro discografia. "Baptism By Fire - Battezzato Dal Fuoco" è introdotta da un breve discorso anticristiano di Legion; ecco quindi il rifting a mitra spianato sul quale s'instaurano le doppia casse in un muro di suono aggressivo. Le chitarre segnano i cambiamenti di direzione passando contemporaneamente da parti più serrate a giri più espansi; abbiamo poi un andamento vorticante sottolineato dai toni altisonanti dei giri continui e dalle urla distorte del cantante, in una corsa frenetica continua. Al trentottesimo secondo parte il ritornello trascinante, la cosa più vicina ad una parvenza di melodia in tutto il brano, caratterizzato da chitarre solenni che ricalcano gli andamenti vocali di Legion; esso è a accompagnato da rullanti continui, in una marcia incalzante. Si torna poi alla velocità serrata, in una ritmica forsennata sulla quale poi tornano i movimenti precedenti, riproponendo tutta la serie di alternanze improvvise che caratterizzano il brano; ecco quindi parti più dirette, giri più ariosi, e il fraseggio ieratico del ritornello. Al minuto e trentanove partono una serie di bordate cadenzate che fanno da cesura, seguite da rullanti che impennano continuamente; ecco quindi l'ennesima corsa sulla quale torna il cantato feroce, mentre la strumentazioni si lancia in fraseggi dalle scale vorticanti. Al secondo minuto e nove troviamo un fraseggio circolare intervallato da colpi potenti e bordate, il quale fa da oasi cadenzata; ogni tanto esso si apre in suoni ritmati, e poi prosegue accompagnandosi con le urla sgolate di Legion e gli assalti di doppia cassa. Al secondo minuto e diciotto riprende la parte più diretta , in un tripudio di loop circolari e doppia cassa con blast; si prosegue quindi su questi toni lanciati e serrati, ricchi di giri stridenti. Al secondo minuto e quarantotto si riparte con i vortici sonori sui quali Legion usa un tono da orco, in una cacofonia che poi si fa sempre più serrata; al terzo minuto e nove riparte il ritornello, dove sono i giri di chitarra e le vocals di Legion le protagoniste, richiamandosi le une con le altre mentre vengono bombardate dal drumming. La conclusione è segnata da una cavalcata tagliente che negli ultimi attimi si dilunga in rullanti che lasciano spazio ad una digressione squillante. Il testo ci presenta un battesimo nel fuoco, invitandoci a provare la furia della fiamma senza sosta di Satana, mentre i desideri demoniaci regnano e Dio è perduto in un mondo dove regna il fuoco infernale; un signore della guerra fa il suo richiamo mentre la morte scende dal cielo, in una grandinata di bombardamenti che ucciderà i poteri divini in un pandemonio infuocato. "Death from above - The hellfire will soon be unleashed, Death rips the sky - Domination gives praise to the beast - Morte dall'alto - il fuoco infernale verà presto rilasciato, La Morte apre il cielo - Il dominio celebra la bestia" è il ritornello che non fa altro che reiterare quanto prima detto; nel cielo si hanno presagi fatali, mentre i soldati infernali bruciano le "bugie sacre" e dall'alto arriva la risposta del caduto, e i nemici soffocano nel fuoco con grida deboli. E' una punizione divina per coloro che vanno in guerra contro chi ha sconfitto la linea nemica, dimezzando ancora di più il destino della cristianità; la morte viene dall'alto con esplosioni che dilaniano l'anima, mentre il bombardamento sta raggiungendo il suo obiettivo. "Hear the bombs falling, The devil is calling - Senti le bombe che cadono, Il diavolo sta chiamando" esultano i nostri, mentre la creazione divina viene annientata; nell'ora finale i nemici proveranno il potere del loro contrattacco e della morte e della dominazione. Tutta la vita sarà un ricordo, ma la fiamma ancora splende, e l'ombra della morte è negli occhi del satanico narratore, alto sacerdote del sacrificio demoniaco; tramite l'Inferno che brucia nella notte, viene mostrato il proprio potere in un battesimo di fuoco continuo. "The Sun Turns Black As Night - Il Sole Diventa Nero Come La Notte" viene come di consueto presentata dallo screaming ringhiante di Legion, aprendosi con un rifting ultra distorto e roccioso, il quale poi si lancia veloce insieme alla doppia cassa e ai blast; una corsa folle quindi che avanza fino al trentaquattresimo secondo. Qui all'improvviso i tempi rallentano con un fraseggio tagliente ed epico che prosegue nei suoi giri, sottolineato poi da suoni evocativi; ecco quindi una sezione ammaliante nelle sue note altisonanti, supportata dal drumming cadenzato in una marcia tribale. Legion ricompare incalzando con le sue vocals graffianti, mentre la strumentazione torna più rocciosa; segue poi un rallentamento doom dai toni tetri e monolitici, il quale striscia mentre il cantante delinea la sua nera lezione. Al minuto e cinquanta la batteria accelera in una serie di cimbali, mentre le chitarre si aprono in sinistri assoli evocativi; ecco quindi un drumming più incalzante che perdura fino al secondo minuto e ventidue. Qui abbiamo una solenne digressione con chitarra roboante, sulla quale poi prendono piede rulli che evolvono in una corsa massacrante con blast e doppia cassa; Legion torna con i suoi ringhi, ma subito dopo un fraseggio squillante segna l'improvviso finale del brano. Il cantante ringrazia ora il pubblico nel suo tono distorto in riverbero, mentre il secondo esulta soddisfatto dell'intensa interpretazione; essa conserva la natura più ragionata del pezzo risalente al primo periodo dei nostri, ma nelle parti lanciate percepiamo una maggiore cacofonia legata al loro nuovo stile. Le parole del testo creano un nero rituale blasfemo, durante il quale il protagonista evoca le forze oscure per sconfiggere la luce e portare la tenebra; "On my knees I prey for the darkest day - In ginocchio prego per il giorno più oscuro." dichiara il nostro, ponderando poi come il Mondo sia pieno di sofferenza, la quale sarà liberata incrementando i poteri delle forze oscure. La sua volontà è quella di essere condotto corpo e anima nella tenebra, essendo un suo discepolo convinto; egli saluta quindi questi dispiaceri, perché la su malvagità è tale, che il dolore ("Pain my greatest joy - Il Dolore è la mia gioia più grande.") viene da lui accolto con piacere, godendo della sua stessa sofferenza, in uno dei topoi tipici del black. Il dado è tratto, è viene minacciata la morte per chi lo deluderà, evocando sangue e canti di morte; dalla luce quindi si viene condotti al "Temple of burning night - Tempio della notte bruciante", probabilmente un'altra prefigurazione dell'inferno. Testi quindi semplici e ricchi di immagini sinistre, i quali più che narrare, vogliono creare scenari generici di occulta malvagità esaltata e cieca a qualsiasi ragione. "Of Hell's Fire - Del Fuoco Infernale" è introdotta dalla presentazione di Legion, durante al quale sentiamo suoni di chitarra; subito dopo colpi di bacchetta anticipano l'esplosione di rifting serrato e doppia cassa, in una corsa familiare. Al trentunesimo secondo la strumentazione si fa ancora più serrata e battagliera, mentre il cantante si da a grida sincopate e ritmate che seguono i giri taglienti delle chitarre, ora più ariosi, ora più lanciati e corrosivi; al minuto e dieci troviamo un fraseggio imperante freddo e veloce, il quale completa con i suoi loop la composizione. Nel frattempo il drumming si mantiene assassino, evolvendo poi in blast massacranti, accompagnando i veloci ritornelli di Legion; al minuto e cinquantuno una serie di colpi incalzanti accompagnano una melodia ieratica di chitarra in un effetto potente. Dopodiché si torna al vortice avvolgente di chitarre taglienti e doppia cassa, proseguendo poi con aperture solenni che mantengono l'atmosfera monolitica e tetra del brano; si riprende poi con le bordate di doppia cassa e con le grida veloci di Legion, in un movimento che si consuma presto al secondo minuto e cinquantasei. Qui il fraseggio tagliente fa da cesura accompagnata da bordate cadenzate; ecco quindi il ritorno dei vortici ammalianti che instaurano una bufera gelida ricca di melodia atonale; al terzo minuto e trenta si passa alla linea più serrata, dove il cantante si da ai suoi ringhi abrasivi. Con un drumming caotico e potente. Si ripropongono quindi i giri massacranti e le altisonanti aperture epiche, dove sinistri fraseggi fanno la loro comparsa per poi lasciare posto agli slanci di riff corrosivi e grida di Legion; quest'ultimo ripete ad oltranza il titolo del pezzo, mentre al quarto minuto e trenta il suono rallenta in una chitarra ossessiva e strisciante segnata dai piatti improvvisi della batteria e dalle bordate distribuite. Il movimento si fa sempre più meccanico, fino al finale con rulli e assolo squillante, il quale segna una conclusone più "tecnica"; troviamo poi come sempre le esultanze del pubblico che anticipa il prossimo pezzo. Il testo inizia con l'esortazione a sentire la chiamata malvagia dei spiriti delle tenebre, e a vedere così la bellezza e il potere del marchio del diavolo; la notte chiama sempre il nome del protagonista, il quale ci sfida con "Gaze into my eyes and see the shadows of the flames - Guarda nei miei occhi e osserva le ombre delle fiamme". Egli desidera le torture e i dolori del fuoco infernale, e che esso s'innalzi fino al Paradiso; oscuri riflessi si stagliano nella notte, un richiamo dalle profondità della terra, l'Anticristo sorge nella su immagine nata dall'Inferno, i venti del nord portano canti negromantici, messaggi di distruzione da parte di Satana e della sua corte. "The toll of damnations bell - La campana della dannazione batte", i cancelli infernali si aprono, e il nostro può sentire l'odore delle anime che marciscono nell'oscurità; segue poi un'evocazione al Diavolo, angelo caduto, mano che ferisce con il Male e desideri impuri, l'oscuro signore della tenebra a cui tutti apparteniamo, evocato da anime dannate nella Gehenna. Ora si continua esortando a scrivere il proprio nome con il sangue degli angeli, mentre si calpestano i visi dei soldati di Dio morti, perché i figli di Jehovah saranno sempre loro prede, mentre distruggono i cancelli celesti e saccheggiano e stuprano il Paradiso; viene richiesto a Satana di dare il "primo potere" mentre dall'inferno sciamano nell'ora funesta, mentre il suolo diventa acido e vengono osservati da un occhio dalla torre infernale più alta (forse un sincretismo con l'immagine di Sauron). Il potere di Cristo non può nulla contro il blasfemo essere, che si inginocchia a Lucifero, esortando ad unirsi alle sue forze, perché il futuro sarà tetro e oscuro; ennesimo testo infernale quindi dove i seguaci del diavolo muovono guerra a suo nome, con tutte le tipiche minacce ed immagini di massacri verso gli angeli, familiari per chiunque abbia dimestichezza con il genere. "502" viene illustrata da Legion che descrive di cosa parla, argomento che poi illustreremo meglio nel testo; al decimo secondo partono una serie di bordate ritmate con un fraseggio vorticante in soffondo. Ecco che il drumming prende velocità in doppia cassa e blast, mentre le chitarre proseguono aprendosi a momenti più serrati; il cantato segue la linea della strumentazione, ossessivo e veloce, completando la bufera continua. La ritmica è sempre serrata, mentre i loop circolari si fanno a volte più serrati, delineando i minimi cambiamenti di tensione; al minuto e ventiquattro la corsa si ferma con una digressione che fa da cesura corrosiva, accompagnata da piatti di batteria e rullanti. Il movimento si fa poi cadenzato, mentre Legion recita in riverbero il testo strisciante. Ecco quindi un'accelerazione che riporta il tutto ad un vortice ammaliante, mentre partono fraseggi epici e sinistri; il cantante esplode di nuovo nelle sue grida, mentre proseguono i riff a sega elettrica e i blast come colpi continui. Si raggiunge un tripudio di elementi mentre Legion reitera il ritornello con violenza, accompagnato dalla velocità impossibile della strumentazione; si continua su queste coordinate ripetute ad oltranza, lasciando poi spazio ai giri freddi di chitarra, i quali all'improvviso si bloccano, concludendo il pezzo qui presentato in maniera ancora più diretta e lineare rispetto alla già serrata versione in studio; un energica cavalcata da guerra che ben presenta il suono raggiunto dai nostri e il lavoro da cui essa è tratta, celebrato nel concerto qui riportato. Il testo ci illustra una marcia di carri armati (usando anche parti di Panzerlied, una marcia nazista) la quale indipendentemente da Sole, pioggia o neve, notte nera o giorno bollente, avanza con visi impolverati, ma spiriti esaltati, mentre i loro mezzi procedono nella tempesta; con motori rombanti veloci come la luce, essi combattono conquistando la loro via tramite vittorie e sconfitte, mentre i nemici cercano di fermarli con barricate e carri, invano poiché i nostri spuntano a piena velocità alla loro preda. "Beast of prey, 2000 hostile tanks they slayed - Animali da preda, Essi sterminarono 2000 carri nemici" viene commemorato, riferendosi alla cinquantaduesima divisione della corazzata pesante tedesca che partecipò all'Assedio di Leningrado del 1941; la loro foga sarà leggendaria e non avrà pari, ma alla fine la loro fortuna non li salverà, trucidati dalle pallottole che suggelleranno il loro fato, rendendo il loro carro armato la loro tomba di ferro. Un testo quindi meno astratto e legato al tema satanico, per quanto non un vero e proprio trattato, che cerca di descrivere con immagini trionfanti la storia del battaglione e la sua tragica dipartita celebrando la sua furia guerriera ammirata per la violenza, ma ricordando che anche loro sono caduti nella morte che non ha parte, e che colleziona anime per il diavolo. "Materialized in Stone - Materializzato Nella Pietra" parte con il pubblico che esulta e Legion che presenta in brano con un feedback stridente in sottofondo; ecco che si delinea poi il fraseggio melodico portante, insieme ai piatti di batteria. Al diciassettesimo secondo il tutto si converte nel trotto appassionate con batteria incalzante, sul quale il cantante declama con enfasi il testo seguendo i giri circolari e rocciosi; al cinquantaquattresimo secondo abbiamo chitarre ariose e struggenti, ricche di atmosfera malinconica ed evocativa, il cui movimento è sottolineato da alcuni rullanti e da versi di Legion. Riprende poi l'andamento portante, sempre controllato ed esaltante, in un connubio di giri rocciosi, vocals aggressivi, ma cadenzate, ed aperture ariose ed epiche, in un'ottima alternanza mantenuta in sede live; al secondo minuto e undici il tutto si ferma con una digressione solenne che si sviluppa in scale epiche. Ecco che riparte su di essa il drumming cadenzato in una marcetta solenne, mentre i piatti si fanno dilatati; riprende poi al secondo minuto e cinquantasei il solito andamento, in una delle versioni più fedeli all'originale da studio qui contenute. I loop di chitarra si sviluppano taglienti ed ammalianti, tempestati dai blast ed accompagnati dalle vocals aggressive di Legion, mentre aperture ariose instaurano un'atmosfera epica che poi si espande nel ritornello con punte più lanciate veramente esaltanti; al quarto minuto e dodici parte una marcia marziale sottolineata da un fraseggio epico, il quale poi si dipana nella sua melodia struggente, mentre la batteria alterna i colpi cadenzati con piatti più ariosi. Ecco che nel finale tutto si consuma in rullanti e digressioni, fino alla conclusione con pubblico che incita i nostri; nel frattempo si confluisce nel pezzo successivo eseguito subito dopo. Il testo usa il tema dei vampiri, facendo ora riferimento ad un antesignano del più famoso Conte Dracula, ovvero Varney il vampiro, protagonista dell'omonima novella a puntate di James Malcolm Rymer; alcuni versi del testo sono direttamente tratti da quest'ultima, dimostrando il sincero interesse di Hakansson verso queste tematiche, sviluppato anche tramite letture e ricerche personali. Inoltre avviene una cosa già successa nel disco precedente: il titolo in origine doveva essere usato dai Mayhem per un pezzo di "De Mysteriis Dom Sathanas", ovvero "From the Dark Past", cambiato poi da Dead (Per Yngve Ohlin) il loro primo front man morto suicida nel 1991. Probabilmente un ennesimo tributo alla sua persona (anche perché svedese) e alla sua opera, personaggio poi "santificato" nell'immaginario black come una sorta di martire della causa (mentre in realtà il suo suicidio era legato ad una depressione ed insoddisfazione esistenziale che l'avevano sempre accompagnato). Ecco che nel testo La mezzanotte viene annunciata dal tocco solenne di un orologio antico, mentre l' aria si fa pesante e spessa, e la natura è pervasa da un'immobilità mortale; una serie di tuoni si ergono lontani, mentre nuvole alla deriva oscurano la Luna. Il protagonista, il vampiro stesso, supera il passaggio nell'oscurità, mentre sente un insolito brivido, interpretandolo come risultato del freddo vento. Egli quindi prosegue nella notte, incurante della luce. Quest'ultima è però "A materialization of my fear - Una materializzazione della mia paura.", unica cosa che può uccidere l'eterno non morto, il quale si rifugia nelle ombre e in luoghi oscurati, mentre all'orizzonte emergono le prime luci dell'alba; non è ben chiaro cosa succede dopo, si parla del suo materializzarsi nella pietra, mentre è "Embraced by the woods as my throne - Avvolto dalla foresta come mio trono", forse perché colpito dal Sole e trasformato in pietra (anche se questo è in realtà il destino dei troll se colpiti dal Sole, secondo la mitologia nordica). Comunque egli rimane così irto, solitario in eterno in una posa immutabile nella roccia; un testo quindi che si allontana dalle blasfemie e dai satanismi diretti, abbracciando invece un aspetto del fantasy oscuro popolare, ovvero quello dei tragici vampiri, creature notturne condannate in eterno a nutrirsi di sangue, lontani dalla luce e da qualsiasi gioia legata alla vita diurna. "Beast Of Prey" inizia senza molte cerimonie su un feedback squillante sul quale Legion presenta il brano; ecco quindi il vortice di doppia cassa massacrante, blast, e giri a moto sega sempre più veloci. Quest'ultimi poi si fanno ancora più taglienti, alternando come sempre parti più dirette e altre più dissonanti; al quarantasettesimo secondo parte un motivo solenne con bombardata menti di drumming. Ecco quindi di nuovo l'alternanza tra chitarre dissonanti e parti più serrate, mentre in tutto questo Legion è lanciatissimo in urla ringhianti; al minuto e ventotto il movimento si fa ancora più vorticante con impennate taglienti e claustrofobiche ripetute ad oltranza. Al minuto e quarantotto si torna sul bombardamento più diretto, sempre costituito da chitarre drammatiche e ritmica assassina con blast e doppia cassa; come spesso accade è lo strumento a corda a dettare le variazioni di direzione, mentre la batteria rimane lanciata sulla sua strada. Al secondo minuto e venti il movimento rallenta in una sezione strisciante e solenne; essa poi riesplode in un loop di chitarre a motosega e batteria assassina. Riecco quindi i ritornelli feroci di Legion e le dissonanze caotiche alternate a parti più dirette, in una tempesta sonora dal grande effetto scolpita da blast e colpi incisivi; la summa della ferocia si ha nel ritornello, ossessivo dove il cantante prosegue inumano in connubio con i giri di chitarra. Ecco nel finale un'esplosione di rullanti e urla, con una coda in digressione dalle note di chitarra vorticanti; rimangono poi solo le esultanze del pubblico che sembra aver apprezzato il veloce e violento episodio qui riportato dal vivo. Le parole del testo delineano nuove scene di guerra; il suono della violenza spezza il silenzio, distruggendo al calma, il suono di un tuono dall'oltretomba, essenza e gioia del cuore del protagonista. I carri armati sono i messaggeri della morte, venuti a far esplodere Dio per mandarlo all'Inferno; "Like Lillith's sons - the demonic ones - Come figli di Lilith - demoniaci" vengono definiti i soldati, mentre irrompono per uccidere tra le nuvole di polveri, desiderando solo la morte dei deboli provandone godimento nel bagno di sangue; i neri carri armati roboanti portano morte e dolore, e tramite i loro cannoni faranno senti re il fiato infernale. Occhi si girano e corpi si contorcono in spasmi di morte, mentre le bocche gridano bruciando, i missili esplodono e l'acciaio schiaccia, mentre le campane del fato suonano e la morte è il premio; tutto ciò che il condottiero demoniaco vuole e necessita è vedere il suo nemico sanguinare. "Guns of annihilation, hell's celebration, Execution of god can begin - Armi dell'annientamento, celebrazione infernale, L'esecuzione di dio può iniziare" celebrano I nostri, bruciando il mondo per uccidere Cristo e far vincere il diavolo; mentre avanzano tra le ceneri sentono l'odore del dolore e della paura, l'anticristo giunge per regnare mentre distruggono con un colpo il trono di Dio. Una guerra quindi contro e in disprezzo a Dio e alla luce, nonché il bersaglio preferito dei nostri, ovvero Cristo, unendo anche in questo caso l'aspetto bellico e la blasfemia costante dei Marduk. "Those of the Unlight - Quelli Dell'Oscurità" parte con il solito pubblico e un suono di chitarra squillante e breve, dopo il quale Legion introduce il pezzo; ecco quindi il sinistro fraseggio che si dipana nelle sue scale vorticanti mentre il drumming tempestato si fa strada con piatti e doppia cassa. Al trentottesimo secondo abbiamo una cesura con note altisonante ripetute, dopo al quale troviamo un ammaliante andamento controllato ricco di melodia atonale struggente; al cinquantottesimo secondo un giro greve di basso riporta un motivo che poi si configura in una corsa veloce e ritmata, dove le vocals di Legion seguono abilmente l'andamento strumentale. Essa prosegue dopo un breve stop, lanciata e trascinante nel suo andamento ricco di doppia cassa e blast gelidi; ecco poi una chitarra più evocativa ed ariosa, ma sempre tagliente. Al minuto e quaranta riprende il vortice sonoro, il quale però va ad alternarsi nuovamente con parti più serrate, in un registro della prima ora più ricco di cambi di direzione dallo stampo death; al secondo minuto e uno si delinea un fraseggio solenne che evolve in loop continuo bombardato dai blast di batteria, creando una galoppata in doppia cassa e rullanti. Al secondo minuto e ventisei parte nuovamente la parte più controllata ed ammaliante, la quale si ripete nei suoi giri grevi e tagliente protratti ad oltranza; ecco al secondo minuto e quarantasette una marcia oscura segnata da rulli di batteria cadenzati e chitarre atmosferiche e rocciose. L'andamento prosegue poi scolpito da piatti incisivi e sottolineato da giri circolari; eccolo accelerare in una nuova corsa potente piena di chitarre solenni e fraseggi tetri. Essa va a rallentare al terzo minuto e cinquantuno reimpostandosi sulla marcetta precedente, mentre poi s'innestano giochi di rulli; tutto si ferma con un assolo dalle scale stridenti e vorticanti il quale evolve in loop continuo bombardato dai blast di batteria, creando un'ultima corsa ossessiva che si lancia deciso nel finale improvviso segnato da una bordata stridente. Il testo è apertamente diretto al mondo di Tolkien; esso infatti parla dei Nazgul, originariamente nove re degli uomini, corrotti dagli altrettanti anelli creati da Sauron, il malevolo discepolo di Morgoth che ne continuerà l'opera dopo la sua sconfitta ed imprigionamento. Essi con il tempo diventano spettri asserviti al volere dell'unico anello, a metà strada tra la vita e la morte; cavalcano sulla terra rimbombando come una tempesta, espandendo la loro oscura glacialità, "Evolved into creatures that existed at the edge - Evoluti in esseri che vivono al limite", ovvero tra il regno dei vii e quello delle ombre. Essi non vivono veramente, ma non possono nemmeno morire, condannati quindi a un "non stato" dove odiano tutto ciò che è vivo e puro; "Forever dying but never dead, The nine - Those of the unlight - Sempre morenti, ma mai morti, I nove - Coloro che fanno parte della non luce." Li definisce il testo, ripetendo il concetto sul loro destino tetro. Essi sono quindi come congelati sul limite della morte, schiavizzati dal Signore Oscuro, ovvero Sauron; sono diventati come un prolungamento della sua ombra, facendo da tramite per la sua esistenza, mente egli è ora incorporeo e incapace di manifestarsi fisicamente. Un testo quindi che mette da parte qualsiasi discorso blasfemo o satanico, parlando invece dell'opera dell'autore inglese, pur con una certa preferenza per il suo "lato oscuro"; è inevitabile pensare che esso sia stato influenzato dall'utilizzo del suo immaginario da parte di altri gruppi (si pensi a Burzum il cui nome deriva dalla lingua immaginaria della Terra di Mezzo) del black, cosa che deve aver colpito i Marduk, ventenni all'epoca della stesura, desiderosi di rispettare i canoni e i topoi del genere nascente. "Sulphur Souls - Anime Sulfuree" è introdotta tramite ad un invito all'adorazione del diavolo, dopo il quale esplode dritta in una tempesta di doppia cassa, blast, e loop di chitarra taglienti; ecco quindi una corsa a moto sega, sulla quale le vocals di Legion seguono gli andamenti circolari delle chitarre nel loro prodigarsi. Al cinquantasettesimo secondo una digressione con piatti distribuiti fa ad cesura, evolvendo poi in un movimento strisciante e roccioso; ecco quindi dei rullanti che anticipano la ripresa delle chitarre squillanti e del drumming serrato dal grande effetto. Le chitarre si aprono ad esuberanti giri altisonanti, i quali si alternano poi in un andamento schizofrenico con veloci accelerazioni di doppia cassa e grida, creando un'onda sonora; il suo apice si ha nel ritornello dal suono ieratico ed imponente, dove Il drumming si fa cadenzato in colpi secchi e costanti, mentre il cantato drammatico viene potenziato dalla melodia atonale glaciale e malinconica. Al secondo minuto e ventitré tutto si ferma con un nuovo fraseggio distorto, il quale avanza nei suoi giri prendendo poi velocità; si aggiungono quindi blast e doppia cassa, insieme allo screaming maligno di Legion. Al terzo minuto e nove abbiamo un nuovo stop segnato da un ringhio greve del cantante; ad esso seguono giri atonali, i quali si sviluppano in una melodia crudele e algida che striscia solenne. Al terzo minuto e quarantasette riesplode il marasma sonoro di drumming potente e loop frenetici e taglienti, proseguendo a lungo; al quarto minuto e sei le chitarre si fanno ariose ed ieratiche, mantenendo la melodia portante, al quale poi si sviluppa in un assolo squillante dalle scale elaborate. Si prosegue poi con un fraseggio evocativo che perdura fino al quarto minuto e cinquantotto; qui abbiamo un nuovo motivo che fa da ponte verso una marcia monolitica con batteria cadenzata e giri infernali, sui quali Legion declama il testo in modo enunciato. Ecco quindi il gran finale con rulli e chitarre taglienti, in una coda caotica che prosegue dissonante fino alla chiusura con ultimi colpi di piatti e giri taglienti. Il testo delinea un immaginario prettamente satanico dai toni combattivi e blasfemi, ricordando quelli che poi saranno anche i testi caratteristici dei discepoli/cugini Dark Funeral, improntati su immaginarie battaglie sataniche che vedono il trionfo delle forze del Male; un seguace del diavolo lo saluta, minacciando poi Dio stesso anticipando la furia demoniaca che verrà riversata su di lui, lasciando solo una vasta memoria nera sulla sua tomba. Dalla loro "Sinagoga di Satana" essi chiamano il popolo black metal ("Black metal warriors of northern lands, Lift your swords up high - Guerrieri black metal delle terre del nord, Alzate in alto le vostre spade.") aizzandolo alla lotta e all'adorazione del diavolo, "Signore delle anime sulfuree"; s'immagina la città di Babilonia, simbolo del peccato, con le mura decorate con i corpi dei cristiani, definiti deboli, i quali supplicano pietà, scatenando però l'odio dei nostri. Si incita ancora "Do never lower your heads in awe, For a god so good and mild - Non abbassate mai la vostra testa in sgomento, Per un dio così buono e mansueto." in una malvagità a tutti costi che raggiunge livelli un po' difficili da prendere sul serio nei suoi stereotipi, ma tipica del black metal più diretto e meno elaborato; il "dio decaduto" viene deriso e disprezzato, così come i suoi discepoli impiccati nudi sulle mura insanguinate di Babilonia. Ora il sole bianco li sorprende, ma essi non hanno paura, perché la "lucente stella del mattino" (chiaro riferimento a Satana) oscura tutto, mentre il regno di Dio è distrutto, e il narratore con delizia si definisce il suo Giuda, il suo traditore. Una sorta di inno black metal quindi, che unisce una seria blasfemia (almeno nelle intenzioni dei nostri) con esaltazioni da "cerchia" che richiama, in maniera un po' furbesca, gli ascoltatori (spesso adolescenti o nei loro vent'anni) come dei devoti in una setta. "Dreams Of Blood And Iron - Sogni Di Sangue E Ferro" è subito introdotta da un fraseggio ieratico e distorto, mentre sentiamo le grida del pubblico; su di esso Legion anticipa il pezzo che verrà suonato. Ecco poi che si sviluppa in un rifting incalzante ed ieratico ricco di una nera melodia atonale strisciante; esso avanza roccioso mentre la batteria si organizza in blast controllati. Si crea quindi un andamento solenne e trascinante che avanza nei suoi giri ripetuti; al minuto e dieci si fa ancora più lento nei suoi soni ariosi, mentre la batteria prosegue cadenzata; Legion interviene con le sue vocals ieratiche seguendo il loop continuo di chitarra che avanza ossessivo. Ecco un fraseggio struggente accompagnato dal drumming controllato con rullanti di pedale; si torna poi a suoni più taglienti, ma sempre striscianti in un pezzo decisamente atmosferico dai connotati narrativi. Al secondo minuto e quaranta ritroviamo l'alternanza con suoni più atmosferici, confermando la struttura giocata sui movimenti proposti in sequenza; al secondo minuto e cinquantaquattro abbiamo una pausa con giochi di blast e digressioni distorte e grevi. Essa si apre poi di nuovo al movimento lento e strisciante, sul quale tornano le vocals di Legion e la ritmica lenta, ma incalzante, sulla quale s'incastrano i rocciosi giri di chitarra; il cantante si dispiega in un groove maligno e distorto, perfettamente completato dai picchi solenni dei loop. Al terzo minuto e cinquantatre ritornano i fraseggi ariosi, con una batteria giostrata in rullanti e colpi cadenzati; riecco quindi l'andamento roccioso ormai familiare, che si dilunga per poi aprirsi alle parti più ariose ed evocative. Quest'ultime trovano il proprio apice al quarto minuto e cinquantadue grazie ad un suono tagliente e dissonnate che avanza sempre evocativo, accelerando poi leggermente in scale struggenti del grande impatto; i giri proseguono poi ad oltranza fino al finale, segnato da rullanti ripetuti e suoni squillanti di chitarra. Il testo segue uno degli episodi sulla vita di Vlad Tepes e la sua famiglia, attenendosi alla realtà storica della cronaca dell'epoca; il padre di quest'ultimo, Vlad Dracul detto Il Dragone aveva conquistato il regno di Sebes e difeso quelle terre dai turchi, infrangendo il suo patto con il sultano Murad e scatenando la sua promessa di vendetta. Per cercare una tregua lui, e i suoi due figli Vlad III e Radu attraversano il Danubio per andare dal sultano, ma vengono catturati dall'altra parte; il padre giura fedeltà a Murad, e lascia i suoi due figli come ostaggi. Passa il tempo, e Dracula sviluppa disprezzo per le persone, mentre sperimenta i piaceri carnali dell'harem; il complotto, l'intrepidezza, e la crudeltà diventeranno parte del suo nome, sia con i cristiani, i musulmani, o le bestie, senza distinzione. Suo fratello diventò come un figlio per Murad, ma alla lunga sarà il potere interiore di Vlad a prevalere e a renderlo re; all'improvviso arriva però la notizia della morte del padre tradito dai boiardi alleati degli ungheresi. Inoltre il suo fratello maggiore Mircea fu accecato e sepolto vivo, e Dracula giura vendetta contro il reggente ungherese John Hunyadi; alleato dei turchi si scaglia contro il suo obiettivo più vicino, ovvero il trono della Valacchia in mano alla dinastia rivale dei Danesti, alleati degli ungheresi. Ma dopo due mesi viene esiliato dal potere, a causa di forze che lo temevano e preferivano forze più miti; per paura degli Ottomani e degli ungheresi, egli fugge in Moldavia cercando l'aiuto di Bogdan, nobile a lui alleato. Ma quest'ultimo viene ucciso da forze vicine allo zio di Dracula. Poi, rinforzato da patti con i suoi cugini, Vlad III costringe i suoi nemici in ginocchio, guadagnandosi la fiducia degli assassini del padre e del fratello; il regno della Transilvania teme il suo ritorno, con ventimila crociati egli impalerà ogni sostenitore di Vadislav II, regnante della dinastia dei Danesti. Si chiude quindi la prima parte del racconto sulla sua vita, e sulle sue gesta, presentando un uomo amorale e spietato, assettato di potere, pieno di rancore verso tutti e pronto a gesti atroci. "Fistfucking God's Planet" è presentata senza molte cerimonie da Legion, dopodiché inizia serratissima dopo alcuni piatti con una cavalcata frenetica piena di giri di chitarra taglienti, sui quali Legion parte con il suo cantato feroce e pieno di enfasi. Presto i suoi andamenti vengono seguiti da un fraseggio atonale che si districa nel mare di blast, in un ritornello violento, ma allo stesso tempo ammaliante nelle sue scale crescenti; riprende poi il bombardamento continuo di piatti e doppia cassa con loop assassini. Al minuto e sette parte un fraseggio tagliente ed altisonante, il quale dona adrenalina sentita al movimento con un suono solenne che crea montagne russe sonore in salite e discese frenetiche; dopodiché riprendono le urla rabbiose di Legion mentre le chitarre creano cacofonie in buzz ossessive e il drumming prosegue schiacciante. Al minuto e cinquantaquattro troviamo una cesura incalzante, ricca bordare e blast cadenzati; essa prosegue con alcuni rulli che la delineano, ripetendosi varie volte. Al secondo minuto e undici esso evolve in una nuova corsa dal drumming massacrante e dai loop circolari a motosega; riprende poi al secondo minuto e ventuno il fraseggio atonale che ricrea il ritornello ammaliante su cui Legion segue con enfasi crudele. Al secondo minuto e quarantuno i toni si fanno più serrati con chitarre taglienti e drumming tempestante, mentre il cantante avanza con i suoi ringhi rabbiosi; rimangono poi i loop enfatici sui quali grida con foga nera. Il finale è riservato ad un'ultima cavalcata violenta giocata su giri continui e sulla ripetizione del ritornello; ecco quindi la chiusura improvvisa con ovazioni del pubblico. Il testo è un'esplosione di enfasi blasfema che unisce la guerra con la distruzione del regno di Dio; viene incitata l'abdicazione del figlio crocifisso (Gesù), morto e dimenticato "sfortunatamente". Egli viene deriso, morto sulla croce dove ha perso la vita, caduto nelle mani dei romani nella Terra Santa; il suo verbo verrà comunque diffuso, ma ora il suo regno viene distrutto mentre la sua visione è ridotta in sabbia nell'attacco alla Terra Santa stessa. "King who was scorned with a crown of thorns - Re disprezzato con una corona di spine" viene definite, accusandolo di essere un sadico che ha tormentato l'umanità sin dalla nascita con le sue menzogne, il cui trono essi bruceranno impedendone il ritorno; la luce non brillerà sul suo Sacro Impero, mentre termina in una roboante tempesta di fuoco, e i "serpenti cristiani" possono decidere se fuggire o rimanere, nel secondo caso affrontando l'oceano di fuoco, sangue e ferro che li spazzerà via. "An ocean which everything you accomplished will erase - Un oceano che cancellerà tutto quello che hai ottenuto" incalzano, lasciando nessuna traccia delle sue velenose zanne tolte dal collo dell'umanità, mentre assaltano le spiagge, affrontando la faccia della guerra e portandogli morte tramite un dolore mai provato prima; è la punizione per aver intralciato la loro opera satanica, e ora vedrà il destino riservato al pianeta di Dio, descritto senza mezzi termini dal titolo del brano. Si compie così l'immaginario blasfemo che presenta il secondo conflitto mondiale come un'opposizione tra forze satanica e forza divine, naturalmente con la vittoria delle prime e lo sterminio dell'umanità; percepiamo una certa "confusione" tematica tra la critica di debolezza alla Cristianità perché troppo buona, e la contradditoria rappresentazione di essa come un serpente velenoso che inganna e corrompe con malvagità nascosta. Ma probabilmente non è intenzione dei Marduk un serio dibattito teologico, sparando tutte le loro cartucce per screditare l'odiato nemico in ogni modo; nessuna tregua, nessun ragionamento, l'assalto termina solo con la distruzione dell'avversario e di tutta la sua opera, cancellando il verbo divino.
Il secondo disco si apre con "On Darkened Wings - Su Ali Nere" e con le acclamazioni del pubblico che richiamano i nostri; ecco Legion che presenta il pezzo in modo sgolato, mentre subito dopo parte il rifting incalzante insieme ai blast cadenzati. Il cantante segue naturalmente i suoi andamenti nelle linee vocali utilizzate; al quarantasettesimo secondo un fraseggio solenne fa da cesura, prolungandosi poi in un loop dissonante insieme a rulli e batteria pestata. Con esso esplode nuovamente la doppia cassa, e le chitarre proseguono, ora più veloci, con il loop precedente lanciatissimo che struttura vortici taglienti che assaltano i sensi; al minuto e ventiquattro un colpo di piatto fa da stop, dopo il quale parte un fraseggio distorto che fa da ponte con le sue note grevi. Ecco che colpi improvvisi prendono posto, anticipando un rifting roccioso che si delinea in giri tempestati da un drumming pulsante e accompagnati dalle urla di Legion; parte poi la doppia cassa massacrante creando una corsa spietata dal grande effetto. Al secondo minuto e sette abbiamo all'improvviso una digressione con rullanti, che si prolunga insieme ai versi distorti del cantante; ecco una serie di dissonanze e feedback che vanno rallentando. Ma subito dopo riesplode la cavalcata, ancora più selvaggia ed adrenalinica nel suo caos fatto di giri circolari stridenti, fraseggi serrati e colpi continui; si arriva al terzo minuto e quattro dove un assolo altisonante si dilunga nelle sue scale, ripreso poi da un lento motivo roccioso sul quale Legion riparte con le sue grida. Ma il tutto è altamente mutevole, e già al terzo minuto e ventisei ci si ferma con una digressione; ecco che riparte fraseggio distorto e greve pieno di melodia solenne. Il gran finale è lasciato ad un'ultima corsa feroce dove il precedente movimento permane, mentre partono riff devastanti in doppia cassa, insieme alle drammatiche esclamazioni e froci di Legion; abbiamo quindi degli ultimi rullanti e suoni distorti di chitarra che chiudono il tutto, lasciando brevemente spazio al pubblico. Il testo parla di oscuri guerrieri, probabilmente riferito ancora una volta ai Nazgul di Tolkien; essi cavalcano su veloci cavalli brandendo spade d'acciaio, facendo "cantare" quest'ultime infrangendo gli scudi nemici. Continua lo s 'contro, con armi rotte contro gli scudi e morti inevitabili, che fanno parte del corso della battaglia; il cielo stesso sembra sanguinare ("The sky is filled with red - I cielo è ripieno di rosso."), mentre l'anima del protagonista grida la sua dannazione, e desira solo l'Inferno. Avviene un incontro, o meglio una riunione con un nemico conosciuto, il quale viene invitato a guardare negli occhi dei nostri; "In the sky that is our mind, The dark clouds are gathering - Nel cielo che è la nostra mente, Le nubi oscure si raccolgono." mostra quindi il terribile mondo interiore che si cela dietro essi, dove il loro odio è tutt'uno con la loro anima. S'innalzano i pugni al cielo, rinnovando un rito antico, durante il quale gli spiriti sbiaditi (probabile riferimento al loro stato a metà tra vita e morte) gridano il loro disprezzo; essi "Rising from the soul as a united force, Carried by darkened wings - Sorgono dall'anima come una forza unita, Guidati da ali nere." In un'immagine epica e maestosa, dopo al quale raggiungono una porta nelle tenebre del tempo, dove possono arrivare al luogo del riposo; ennesimo testo dunque evocativo sempre pregno di malevole oscurità, ma legato ad un contesto fantasy che usa non demoni, ma creature vagamente definite e misteriose. "Into the Crypts of Rays - Nelle Cripte Di Rays" è una cover dei Celtic Frost tratta dal loro EP molto influente per il metal estremo, "Morbid Tales" del 1984; viene velocemente introdotta da Legion, mentre poi partono i montanti di chitarra taglienti, i quali riprendono l'andamento dell'originale in una versione leggermente più serrata, ma sempre ricca di giri. Al sedicesimo secondo un fraseggio distorto fa da breve cesura, dopo la quale riprende la corsa ritmata; la batteria si mantiene controllata nei tempi del brano dei Celtic Frost, con un songwriting che non modifica la struttura, ma semplicemente presenta una maggiore intensità roboante. Partono qui le grida malvagie del cantante, naturalmente più distorte rispetto all'interpretazione di Thomas G. Warrior nell'originale; intanto al strumentazione si apre nel ritornello in giri più taglienti, i quali però hanno bordate ritmate che creano un andamento sincopato. Si riprende con le chitarre in buzz mentre il drumming prosegue incalzante nel suo galoppo continuo, ma presto riprendono i montanti improvvisi e i giri accelerati insieme alla voce di Legion, riproponendo il ritornello precedente; ecco che al minuto venti si torna alla corsa diretta ricca di loop taglienti e drumming tempestante. Ma essa si ferma presto al minuto e ventisei, con una nuova cesura con fraseggio vorticante, dopo al quale parte un rifting roccioso ed accattivante sul quale si staglia lo screaming di Legion, dai toni decisamente più malevoli rispetto all'originale; essa rallenta in una serie di contrazioni solenni dai toni doom, per una sezione strisciante e malevola. Al secondo minuto e quattordici i ritmi accelerano, aggiungendo poi assoli squillanti dalle note caotiche, i quali poi lasciano spazio al solito ritornello ritmato; riecco quindi i momenti contratti con blast e giri accelerati, ormai la parte più caratteristica del brano. in precedenza. Il pezzo prosegue quindi su queste coordinate, dando spazio alle urla aggressive di Legion e ai loop trascinanti di chitarra dalla natura black/thrash; il tutto va concludendosi poi con una corsa lanciata che negli ultimi attimi si lascia ad una digressione squillante accompagnata da rullanti. Il testo tratta del maresciallo di Francia Gilles de Rais, divenuto famoso come simbolo di estrema crudeltà e perversione al pari di Elisabeth Bathory o Vlad Tepes, se non addirittura peggio; egli era un militare che, secondo la tradizione, aveva sperperato in modo irresponsabile la fortuna ereditata dal nonno che l'aveva cresciuto dopo la morte dei suoi genitori quando era bambino. Per questo si rivolse all'occultismo, incaricando il suo cappellano Eustache Blanchet di procurargli personaggi loschi come evocatori di demoni e negromanti; con il tempo venne a contatto con l'ex prete toscano Francesco Prelati, il quale era esperto in materia esoterica, e che lo convinse di poter creare la Pietra Filosofale grazie ad un demone chiamato Barron. La leggenda (oggi alcuni credono che come nel caso di Bathory le accuse fossero legate al desiderio di disfarsi del personaggio, avverso al clero) vuole che i nostri abbiano sacrificato più di 140 bambini seviziandoli in modo atroce; in ogni caso Gilles venne processato e condannato a morte, passando alla storia come un mostro disumano. Il testo dei Celtic Frost segue il filone tramandato, immaginando uno degli empi rituali commessi dal nostro; urla di terrore si dipanano oltre le mura, scene da spavento avvengono nelle camere e nelle segrete, come parole non dette che raccontano di dolore e morte, di centoquaranta vite passate per le sue mani. Egli attirava i bambini per le sue messe nere, derubando e comprando le loro anime sacrificandoli a demoni perversi soddisfacendo la sua sessualità perversa; "So this is for the morbid ones, the braveless and sick - Quindi questa è per i perversi, i codardi, i malati" dichiarano, mentre una risata agghiacciante vagano tra le tombe, mentre avvengono violenze sessuali e riti perversi, dopo i quali Gilles guarda le sue vittime morire, in sogni oscuri fatti di stregoni e tenebre, mentre è a metà del suo obbiettivo. Un misticismo estremo andato oltre unito a satanismo disperato costituiscono per lui solo un piccolo passo verso un aldilà in cui non esistono volontà umane; testo evocativo che non va troppo nei particolari, ma lascia intendere ciò di cui parla, mettendo in evidenza anche il ritratto del mostro in forma umana, e della sua mancanza di qualsiasi moralità. "Still Fucking Dead - Ancora Fottutamente Morto" si apre senza fronzoli con Legion che ne declama il titolo; dopodiché partono devastanti i giri e i blast continui, in una cavalcata infernale sempre più violenta. Al ventitreesimo secondo la cacofonia aumenta in una serie di colpi bombardanti e grida taglienti del cantante; ma ci si ferma al trentesimo secondo con un fraseggio tagliente e vorticante. Anche quest'ultimo evolve in un suoni roccioso e greve, sul quale riparte il drumming, prima cadenzato, poi lanciato in una doppia cassa; qui Legion parte con il suo cantato grezzo e sprezzante, dai toni aspri e lanciati. Ma ecco che ci si ferma di nuovo al cinquantunesimo secondo, dando spazio ad un motivo di chitarra tetro e solenne; esso viene intervallato rulli di batteria e bordate distorte, stabilendo un andamento strisciante ed ieratico. Si torna poi su ritmi accelerati in doppia cassa dove i fraseggi taglienti e solenni supportano i tempi veloci e lanciati a tutto spiano; al minuto e sedici abbiamo un nuovo rallentamento, dove un fraseggio incalzante viene ritmato da blast controllati ripetuti. Qui Legion si prodiga in toni grevi, prima di un'entusiasmante accelerazione della strumentazione, la quale dopo una breve cesura si lancia ancora in una corsa in doppia cassa; ma la composizione è giocata su contrazioni, e al minuto e cinquantacinque dopo un rullante di batteria parte un rifting serrato, ma strisciante, caratterizzato da una melodia atonale; esso prosegue sviluppandosi, mentre il drumming si organizza in colpi secchi e dilatati. Ecco una serie di apocalittiche bordate accompagnate dai giri squillanti di chitarra, le quali avanzano incalzanti in una marcia imponente e trascinate; si arriva al secondo minuto e ventisette dove riesplode il bombardamento di doppia cassa e blast, mentre Legion si da ad urla distorte. Abbiamo quindi un vortice cacofonico che raggiunge il secondo minuto e trentasette; qui prende posto un fraseggio altisonante, il quale prosegue in una cavalcata che si consuma al secondo minuto e cinquantaquattro. Qui una serie di piatti anticipano rulli e distorsioni vorticanti che chiudono con feedback squillanti il pezzo. Il testo è una sorta di oscura riflessione esistenziale maligna, delineata però non da ragionamenti elaborati, bensì dall'immagine di un morto che non accetta la fine della sua esistenza; "The world you see around you, Is just an illusion - Il mondo che vedi intorno a te, E' solo un illusione" avvertono i nostri, un'illusione creata dalla mente per non impazzire difronte all'orribile realtà. Il protagonista è infatti ancora morto, e tale rimarrà senza possibilità di tornare indietro; poi lo si deride, considerando come egli sia si nato sotto l'amore divino ("You were born with the love of god - Eri nato con l'amore di Dio."), ma ora morirà nell'odio di Satana, in una crudele ironia blasfema. La morte è solo l'inizio quindi di un viaggio poco piacevole, perché dall'altra parte lo attendono gli errori del suo passato, in un caos che non lascia spazio alla pace, ovvero probabilmente l'Inferno stesso dove il dannato soffrirà per i suoi peccati; un testo quindi evocativo che mostra connotati decisamente black, provando piacere all'idea della dannazione, deridendo ogni speranza. "Slay the Nazarene - Ammazza Il Nazareno" viene simpaticamente presentata in modo ironico da Legion (Se non sapete qual è questa, che cazzo ci fate qui), presentando poi un rifting serrato accompagnato dalla doppia cassa bombardante, in un ennesimo assalto feroce; blast, colpi e giri stridenti si uniscono in un freddo vortice continuo. Al ventisettesimo secondo il cantante si lascia ad esternazioni veloci e furiose, supportate da vortici dissonanti oscuri e taglienti, sui quali poi parte il ritornello diretto e caotico; quest'ultimo vedo un tripudio di impennate esaltanti sottolineate dai toni drammatici e trascinanti di Legion. Al primo minuto si riprende con il movimento più diretto, dai ritmi accelerati accentuati da blast crudeli e loop ossessivi; riecco quindi la ripresa del ritornello vorticante, ora possibilmente ancora più violento e caotico. Al minuto e quarantatre il tutto torna più diretto con parti più "ariose" alternate ad incalzanti sezioni dirette dal grande effetto; improvvisamente al secondo minuto e quattordici una serie di bordate poste su un fraseggio roccioso fanno da cesura, la quale prosegue prima che parta la doppia cassa sul loop che va a svilupparsi ossessivo e dissonante, accompagnato dai ringhi furiosi di Legion. L'intensità si alza in piatti ancora più altisonanti e oscuri giri di chitarra ariosi, mentre al secondo minuto e cinquantacinque per l'ennesima volta riprende piede il ritornello ossessivo; si continua quindi con l'assalto senza sosta, in un crescendo di blast e loop taglienti. Si torna poi su una cavalcata serrata arricchita di colpi continui, la quale esplode poi con urla demoniache mentre la strumentazione si lancia in riff a moto sega; si tratta del gran finale, dato che all'improvviso il pezzo si conclude con un growl cavernoso che segna la chiusura che lascia brevemente spazio al pubblico esultante. Così come nella versione in studio abbiamo qui un pezzo diretto e veloce senza fronzoli, uno dei più rappresentativi dell'ultimo corso dei Marduk che poi troverà il suo apice in "Panzer Division Marduk"; un attacco costante e dissonante dove il black è sinonimo di tempeste ossessive e violente. Il testo è un tipico attacco blackster alla figura di Cristo: era stato predetto che i romani avrebbero portato a lui dolore con ogni mezzo, mentre le persone nei suoi piani dovevano essere condotte a Dio, e le truppe infernali sconfitte; egli quindi dovrebbe essere Re sulla Terra, insultato dal narratore come il figlio bastardo di una vergine. Si esorta poi ripetutamente e in maniera ossessiva ad ucciderlo, nel ritornello che riprende il titolo; "On your command man should do what god wilth - Al tuo comando gli uomini dovrebbero fare ciò che dio vuole" riprende, parlando della glorificazione della feccia e melma cristiana con sarcasmo, così come delle fiere crociate atte a liberare gli impuri, ripetendo che dovrebbe essere il Re dei re, ma ora invece sente le ali di Lucifero. Ora è inginocchiato innanzi ad esso, contemplando i suoi sogni distrutti nel mare delle possibilità perdute, mentre si continua ad esortare al suo massacro; viene definito umiliato come nessun altro mentre cerca conforto nel suo debole padre, crocifisso e deriso come un ratto. Si continua poi ossessivamente ad incitare al suo massacro, fino al finale; senza molte sorprese un testo blasfemo che disprezza e deride la figura cardine del concetto di salvezza ed espiazione, definendo il suo sacrificio inutile e godendo del suo dolore. Una malvagità quindi grossolana e a tratti da macchietta tipica dell'immaginario black del periodo, comune a molti gruppi e non certo originale, ma che inserisce i nostri pienamente nel genere. "Departure From The Mortals - Dipartita Dai Mortali" è subito annunciata da Legion, aprendosi poi con un apocalittico rifting distorto e roccioso di chitarra, delineato da colpi di piatti di batteria serrati; su di esso tetro fraseggio solenne, che si consuma presto lasciando di nuovo spazio all'andamento iniziale. Ecco poi l'accelerazione in una galoppata alternata da alcuni brevi rallentamenti, dove i loop grevi vengono segnati da un drumming cadenzato che porta in avanti la composizione; al quarantesimo secondo una serie di bordate stridenti e di piatti fanno da cesura improvvisa. Ecco quindi che parte una corsa massacrante in doppia cassa piena di giri taglienti, mentre Legion interviene con grida rabbiose, quasi sommerse però dalle chitarre lanciatissime; ecco che quest'ultime accelerano insieme al cantato sempre più sincopato. Ma al minuto e sedici ci si ferma nuovamente con alcuni colpi di piatti e una digressione distorta; essa avanza sempre più altisonante fino ad aprirsi al motivo precedente. Al minuto e trentasei si rallenta leggermente in un galoppo costante arricchito da giri taglienti, alternato ancora una volta da alcuni rallentamenti, ed accompagnato dallo screaming di Legion; al secondo minuto si accelera di nuovo, in un gioco ben giostrato di tempi mutevoli. Ecco quindi al secondo minuto e undici uno stop con un sinistro fraseggio distorto pregno di melodia atonale, il quale poi si accompagna a d alcuni blast; prosegue quindi ipnotico in un andamento martellante, ma lento , che striscia oscuro ed ammaliante. Ci si blocca ancora la secondo minuto e trentaquattro con piatti e giri grevi, dopo i quali riprende piede il fraseggio tagliente delineato da colpi distribuiti; al secondo minuto e quarantuno si prosegue in un motivo strisciante e solenne, ricco di melodie stridenti ed atonali che si sviluppano in scale supportate da suoni grevi. Al terzo minuto il tutto si fa ancora più altisonante grazie a riff rocciosi dalla natura molto doom; al terzo minuto e dodici alcuni rullanti anticipano la riduzione dell'andamento in un fraseggio che riporta la melodia precedente in scale squillanti. Ecco quindi al terzo minuto e diciannove l'ultima corsa veloce in un turbine sonoro fatto di loop ossessivi, grida e doppia cassa; essa si lancia per chiudersi all'improvviso con un ultimo verso del cantante in riverbero. Il testo è un classico esempio dei temi cari al black scandinavo dei primi anni novanta; un individuo malvagio arriva al giorno della sua morte, ma non vi è tristezza: egli disprezza la vita e si sente liberato dall'ora giunta, concludendo la sua esistenza terrena con visioni nere pronto a tornare sotto forma di uno spirito malevolo, rimanendo nel mondo dei vivi per tormentarli. "Departure from the mortals, As my life ends, Departure from the mortals, But I will remain - Dipartita dai mortali, Mentre la mia vita termina, Dipartita dai mortali, Ma io rimarrò." recita uno dei versi, presentando la sua oscura volontà e la sua gioia difronte all'idea di poter seminare crudeltà; il suo desiderio sarà esaudito, mentre "In the forest of the dead, My evil soul will dwell - Nella foresta dei morti, La mia anima malvagia dimorerà." prefigurando il suo prossimo status occulto in cui infesterà una foresta (uno dei luoghi tipici dell'immaginario black metal). Poche parole, semplici e ripetute, che si rifanno a fantasie nere e blasfeme lontane da qualsiasi ideologia complicata o elaborata, ma vissute con trasporto e serietà da quelli che erano dei giovani vogliosi di scioccare e attaccare i valori della società cristiana, in un'esaltazione che ha forgiato e condizionato indissolubilmente la nascita della seconda ondata del black metal. "Legion - Legione" è la conclusione del disco qui recensito, anticipata da un discorso di Legion rivolto al pubblico, in cui viene ringraziato per essere portavoce del "vero spirito del black metal"; ecco quindi che dopo una preparazione con piatti cadenzati e uno squillo di chitarra, si parte con un torrente di chitarre e doppia cassa, in un turbine caotico e martellante. Al quarantesimo minuto intervengono le vocals vomitate del cantante, completando quello che è un assalto fatto di giri taglienti, i colpi serrati, e i ritornelli sincopati; le chitarre si lanciano in fraseggi sega ossa, per poi aprirsi in solenni arie tempestose, creando anche questa volta la variazione di andamento, mentre il drumming ossessivo prosegue dritto calpestando ogni cosa sul suo cammino. Al cinquantunesimo secondo un grido feroce segna l'innalzamento ulteriore dei toni, in un loop greve a motosega, sul quale poi si stagliano i versi di Legion, in un growl cavernoso e demoniaco; intanto la batteria si fa più incalzante in un galoppo solenne coadiuvato dalle chitarre circolari e dal cantato trascinante, in una sezione più controllata che dona un attimo di respiro, pur nella sua nervosa tensione. Al minuto e trentacinque si riprende con la corsa più serrata, ristabilendo i soliti giri folli e caotici a motosega; notiamo come invece la batteria si faccia più cadenzata e trascinante, mentre Legion prosegue con le sue declamazioni taglienti. Si prosegue poi aggiungendo chitarre ancora più ariose e ieratiche in un crescendo solenne ed arioso; al minuto e cinquantadue un riff accompagnato da colpi incalzanti fa ad cesura improvvisa, la quale si sviluppa subito in un movimento veloce che intervalla giri stridenti e parti più serrate ed evocative dai fraseggi altisonanti. Il cantante si lancia in un grido rauco, dopo il quale esplodono una serie di dissonanze di chitarra ripetute; nel frattempo le raffiche di chitarre instaurano venti neri, a cui seguono i loop e stridenti ripetuti. Si continua su queste coordinate, mentre al terzo minuto e due i toni si fanno possibilmente ancora più serrati e violenti; ma all'improvviso al terzo minuto e tredici un verso in riverbero ferma tutto, mentre si delinea un freddo motivo solenne di chitarra, il quale viene delimitato da alcuni piatti organizzati. Quest'ultimo si lancia poi in una corsa vorticante sulla quale Legion torna con le sue grida rabbiose, mentre la doppia cassa si lancia sempre più violenta; al terzo minuto e cinquantasei si rallenta con un galoppo ammaliante che avanza nei suoi giri taglienti, alternato con parti più dirette sulle quali si stagliano le vocals del cantante. Al quarto minuto e ventotto riesplode i vortice cacofonico, ma con sorpresa quasi subito s'inserisce un assolo ammaliante dalle scale vorticanti il quale crea un'atmosfera fredda e struggente; esso si sviluppa in un forte impatto che si ricollega al black tradizionale più giocato sulle atmosfere. In sottofondo al quarto minuto e cinquantasette si staglia un grido distorto di Legion, mentre poi la strumentazione ancora una volta si da all'andamento più cadenzato con galoppi di batteria e maestose chitarre in tremolo; le grida del cantante sono ora caratterizzate da un forte riverbero atmosferico. I loop proseguono dissonanti, mentre al quinto minuto partono dei blast tempestivi e ritmati che incalzano l'andamento in una marcia feroce; ecco poi un suono più arioso che si alterna nei suoi fraseggi solenni con l'andamento precedente, salvo poi aprirsi in un'ennesima marcia imperante e maestosa che si consuma al quinto minuto e trentotto. Qui un giro di chitarra delineato da piatti di batteria fa da cesura, rallentando greve e roccioso sempre più; ecco quindi un rullo continuo di pedale, il quale accompagna i toni stridenti di chitarra man mano si consumano, creando nella conclusione una cacofonia di feedback. Rimangono solo i ringraziamenti di Legion, visibilmente affannato e senza fiato, ma che riesce ancora ad usare lo screaming, augurando ai presente di rivederli, naturalmente all'Inferno; si conclude quindi il lunghissimo live qui recensito, senza molte cerimonie, ma in maniera efficiente e diretta tipica dei nostri. Il testo finale ritorna sulle tematiche sataniche predominanti nell'album, con una nuova glorificazione maligna delle forze oscure; il protagonista demoniaco osserva con occhi pallidi e con delizia oltre l'orizzonte, nella notte eterna. Il suo cuore è nero e freddo come il ghiaccio, e la sua anima forgiata e battezzata nelle fiamme infernali, ed egli esulta ricordando che Lucifero è il decaduto portatore di luce, e che per la sua gloria tutti devono bruciare, lui compreso; si riferisce poi ai figli dell'oscurità, altri discepoli, intimando "Raise your blood-filled cups to our father with horns - Innalzate le vostre coppe piene di sangue verso il nostro padre cornuto." in una cerimonia blasfema dove si denigra Gesù, definito colui tormentato dalle spine. Una nuova era sorgerà mentre gli angeli neri dell'abisso volano, e i demoni giungono in un cielo tempestoso e senza nuvole con occhi brucianti di malvagità squarciante; "I am given strength from a thousand sinners - Ho forza ottenuta da mille peccatori." esulta il nostro, ricordando come essi dimorano nelle eterne, brucianti e rumorose profondità dell'Inferno. Con i demoni che hanno il suo cuore e anima, egli combatterà per il trionfo di Satana e per raggiungere gli obiettivi infernali, anticipa con esaltazione, mentre poi ripete il ritornello rivolto ai suoi confratelli; ecco che si dichiara come Legione, intimando di sentire la tenebra mentre lui e i discepoli si avvicinano, formando un gruppo di molti che diventa una sola cosa, grazie al quale Il paradiso brucerà accompagnato dalle grida degli angeli, invertendolo mentre trionfanti gridano "DEATH TO PEACE - MORTE ALLA PACE." completando la visione blasfema che sintetizza il tema di tutto l'album, ovvero l'assalto tematico e musicale alle forze del bene in un assedio demoniaco ben rappresentato nella copertina originale dai connotati decisamente fantasy. Nessuna raffinatezza o ragione quindi con i Marduk, ma una cieca blasfemia che non trova quiete, e si prolunga sempre più in ogni lavoro, caratterizzandoli sempre di più in una mancanza di compromessi che li renderanno una delle band, nel bene e nel male, più ostinate e fedeli ai canoni del black metal più feroce e massacrante.
Un live celebrativo immenso che vuole catturare la carriera dei nostri con alcuni dei brani più caratteristici della loro già lunga discografia; la scaletta è variegata pur concentrandosi come detto molto sugli ultimi episodi, dando una panoramica dell'evoluzione del suono da loro rappresentato. Abbiamo quindi assalti costanti ed ossessivi, brani più controllati nelle loro alternanze death legate agli inizi, alcuni "lenti" rocciosi del medio periodo dalle coordinate black 'n' roll, e alcuni pezzi più vicini al sentito norvegese ricchi di atmosfera frostbitten; qui la costante è data dagli assalti di doppia cassa e blast, i quali caratterizzano le accelerazioni della band, ricordando comunque in queste occasioni la loro fama di band più violenta del mondo black metal. Alcuni potrebbero obiettare la necessità di un secondo live dopo così poco tempo dal primo, e parlare d mossa commerciale; sicuramente non è stato fatto per beneficenza, ma è anche vero come detto in precedenza che si tratta di due dischi venduti (almeno nelle intenzioni della band) al prezzo di uno, sembra quindi chiara la volontà di fare il punto della situazione con un lavoro accessibile che presenti la loro forza dal vivo a tutto un nuovo pubblico che li ha scoperti da poco. Legion si dimostra ancora all'altezza del suo compito, perdendo colpi solo nel finale, cosa comprensibile dopo il continuo assalto senza sosta; il resto della squadra si mantiene efficiente ed organizzata, anche se per ovvie ragioni qui il basso è più penalizzato rispetto alle versioni da studio, coperto da chitarre e batteria. Un altro tassello insomma della consolidata fama dei Marduk, ora presentati dalla critica spesso come il gruppo black meno intransigente, e di conseguenza adorati da molti giovani blackster "duri e puri", con buona pace dei puristi ormai alienati da quel suono privo delle atmosfere ragionate care speso ai norvegesi; ma al contrario di quanto pensato sia da estimatori, sia da detrattori, la band svedese segue una sua volontà, e non ha intenzione di ripetersi ad oltranza. Molti li aspettano al varco, pensando a come potranno superare la cacofonia di "Panzer Division Marduk", mentre i Marduk pensano a ben altro; ora bisogna completare la trilogia iniziata, con il loro ultimo episodio, nonché il primo album intero in studio ad uscire sotto la nuova etichetta personale Blooddawn Productions. "La Grande Danse Macabre" avrà spesso un suono sorprendentemente lento e mortifero che ben raffigura il suo tema, ovvero appunto La Morte, ultimo stadio della Trilogia Satanica cominciata con Sangue e Guerra; esso offrirà quindi un suono che in teoria dovrebbe allontanare le accuse di monotonia e ripetizione che qualcuno, familiare solo con gli ultimi lavori, lancia alla band. E' chiaro però che le aspettative sono fin troppo orientate verso un suono qui non ritrovato; ecco quindi una reazione tiepida, se non fredda, da parte di pubblico e critica, che accuseranno i Marduk di aver sbagliato i colpo in questa occasione. Segue quindi quello che è probabilmente il loro lavoro meno compreso e più sottovalutato, in realtà anticipatore di certe tendenze che in futuro invece saranno elogiate in altri lavori; l'oggetto di tanta discordia sarà il protagonista della nostra prossima recensione, mentre proseguiamo con i lavori finali del periodo intermedio del gruppo, prima della loro rinascita di metà anni zero.
Disc 1
1) Panzer Division Marduk
2) Burn My Coffin
3) Baptism by Fire
4) The Sun Turns Black as Night
5) Of Hell's Fire
6) 502
7) Materialized in Stone
8) Beast of Prey
9) Those of the Unlight
10) Sulphur Souls
11) Dreams of Blood and Iron
12) Fistfucking God's Planet
Disc 2
1) On Darkened Wings
2) Into the Crypts of Rays (Celtic Frost cover)
3) Still Fucking Dead
4) Slay the Nazarene
5) Departure from the Mortals
6) Legion