MARDUK
Here's No Peace
1997 - Shadow Records
DAVIDE PAPPALARDO
20/02/2015
Recensione
Termina con l'EP "Here's No Peace - Qui Non C'è Pace" la nostra parentesi sul 1997 dei Marduk, anno che vede la pubblicazione di "Live In Germania", un secondo tour in Europa (denominato "Legion"), il supporto sempre in Germania ai redivivi Mayhem (che cementificherà ulteriormente la loro fama), e la pubblicazione dell'EP qui recensito da parte della svedese Shadow Records, la quale l'anno dopo per un gioco del destino pubblicherà il debutto dei Funeral Mist "Devilry", band che come vedremo sarà importantissima, per via della figura del leader Arioch (Hans Daniel Rosten) per il futuro della band nel nuovo millennio. "Here's No Peace" consiste in un mini album che sin da subito si dimostra un lavoro per i "completisti", presentando come solo vero inedito, una strumentale di quarantaquattro secondi, seguita dalla versione demo di due pezzi comparsi nel debutto "Dark Endless". Bisogna andare quindi indietro nel tempo: nel 1991 i Marduk sono ancora una realtà sconosciuta ai più, che si affaccia nel mondo del metal estremo con "Fuck Me Jesus", un demo auto prodotto che presentava un suono death metal unito con un'immagine più prettamente black e uno screaming diverso dal solito growl. Grazie a quest'ultimo i nostri saranno notati dalla "No Fashion Records" che pubblicherà il loro primo album ufficiale nel 1992; ma in realtà già a fine dell'anno precedente, i nostri erano entrati in studio registrando le due tracce qui contenute, probabilmente pensando ad un EP. Quest'ultimo non uscirà, probabilmente per velocizzare la realizzazione del debutto, ma in qualche modo circolerà per anni come rarità nel circuito del tape trading, allora molto attivo. Passano gli anni, la formazione cambia varie volte, e così il suono, ormai caratterizzato da un black metal compulsivo giocato sulle sfuriate di doppia cassa, blast ossessivi e muri di chitarre. Il successo è crescente, e i Marduk sono un nome adesso familiare per i fanatici del black scandinavo, e non solo per loro; mentre infatti molti rappresentanti dell'ondata norvegese si allontanano dalla scena iniziale, o perché morti, in galera, o semplicemente virando il loro suono su altre coordinate, i nostri diventano sempre più barbari e violenti scendendo sempre meno a compromessi. Questo guadagna loro un pubblico fedele, e gli inevitabili detrattori, confermando con entrambi la loro posizione fuori dall'anonimato; è naturale quindi che l'etichetta svedese abbia colto l'occasione di accaparrarsi i diritti di questa curiosità, sapendo che molti completisti non se lo sarebbero fatto scappare, complici i vari concerti e la fama dell'ultimo "Heaven Shall Burn ..". Un'uscita dunque "vintage" dove alla voce ritroviamo il cantante Dread (Andreas Axelsson), primo vocalist del gruppo, alle chitarre il sempre presente leader Morgan Hakansson, al basso Rickard Kalm, e alla batteria il futuro secondo cantante Af Gravf (Joakim Gothberg); essa sarà poi pubblicata di nuovo nel 2008 dalla Regain Records con l'aggiunta di due cover dei Bathory già comparse nella ristampa di "Fuck Me Jesus" della Osmose Productions (probabilmente giusto per allungare il brodo e rendere il lavoro più appetibile). E' chiaro che si tratta di un tassello non imprescindibile della discografia dei nostri, ma interessante perchè ci mostra un anello mancante, ovvero il periodo tra il demo e il primo disco, permettendo di fare il confronto con le versioni di "Still Fucking Dead" e "Within The Abyss" qui contenute, e quelle comparse in "Dark Endless"; un suono sempre collegato al death metal svedese dell'epoca, ma qui più grezzo nella produzione naturalmente più vicina a quella del demo precedente. Alcuni estremisti del black probabilmente potrebbero preferirlo, ottenendo una versione più lo - fi e vicina a quella usata spesso nei lavori ufficiali dai norvegesi, Darkthrone in primis; certo ascoltarle ora con il senno di poi toglie molta della sorpresa e di quello che poteva essere l'impatto senza un confronto più pulito, ma rimangono dal punto di vista filologico dei pezzi d'archivio di pieno interesse.
Si parte con l'omonima intro strumentale della breve durata di quarantaquattro secondi, caratterizzata da un arpeggio melodico che si dipana nelle sue note, mentre parte anche una batteria cadenzata; sentiamo già il suono molto lo - fi e grezzo, il quale offre un mix ovattato. Al ventesimo secondo ecco un riff più roccioso, il quale si unisce agli altri elementi in un loop continuo; si continua così quindi fino alla conclusione segnata da una digressione. Ecco quindi che parte "Still Fucking Dead - Ancora Fottutamente Morto" con un grido di Dread e una doppia cassa pestata e massacrante; le chitarre sono un buzz molto in sottofondo, notando come le vocals abbiano molta più rilevanza insieme alla ritmica. Ecco che le chitarre discordanti si fanno strada in un atonalità sinistra, in un movimento squillante ripetuto; all'improvviso al diciottesimo secondo il galoppo si fa più serrato, inciso dai colpi di batteria secchi. Al ventinovesimo secondo tutto si ferma con un colpo di piatto, dopo il quale parte un fraseggio distorto e greve, sul quale poi parte il drumming cadenzato; ecco che al trentanovesimo secondo riparte la corsa insieme ai versi rabbiosi di Dread. Curiosamente l'andamento è molto "punk", con vocals meno effettate e più umane nel loro gridare, e una strumentazione sferragliante; il songwriting è ancora molto death, giocato su fermate e riprese costanti. Ecco che al quarantottesimo secondo troviamo un nuovo motivo tagliente, supportato da giri grevi di basso; esso prosegue con rulli e piatti dilatati, in una sezione strisciante. Ma presto dopo alcuni colpi ritmati e bordate riparte la cavalcata veloce, con un muro di chitarra e le grida isteriche del cantante; ma l'andamento è mellifluo, e al minuto e sedici abbiamo un bel fraseggio accompagnato da drumming incalzante. La composizione è ora più solenne ed esaltante, spinta in modo controllato in avanti, sottintendendo una tensione pronta ad esplodere; in sottofondo parte una recitazione in pulito dai toni sacrali e cinematografici. Al minuto e ventinove dopo un rullante di batteria abbiamo un giro lento e greve di chitarra delineato dalla batteria lenta dai colpi in riverbero; dopo un grido stridulo al minuto e quarantatré una serie di colpi precede la ripresa del solenne motivo sinistro. Ma la svolta è dietro l'angolo, e al minuto e quarantotto torna la doppia cassa martellante, mentre Dread si lancia con le sue grida veloci ed incisive; la corsa è costante, delimitata solo da alcuni rullanti secchi e veloci, proseguendo nel suo loop tagliente. Al minuto e cinquantasette un piatto di batteria ferma tutto, dando spazio nuovamente al fraseggio dalla melodia oscura ed ammaliante, il quale prosegue distorto nel mixaggio greve, mentre colpi dilatati lo scolpiscono; si prosegue così con alcuni rullanti marziali, in una sezione strisciante dai connotati doom. Al secondo minuto e dodici il drumming si fa più ritmato, mentre suoni di tastiera atmosferici fanno la loro comparsa; si crea così un andamento orchestrale e solenne che ci accompagna insieme a grida rauche di Dread. Ecco che poi le chitarre partono in un rifting squillante e controllato, tenendo in sottofondo le melodie di tastiera epiche; al secondo minuto e trentatré esplodono le declamazioni maligne del cantante, mentre la batteria parte in un galoppo incalzante. Si arriva così al secondo minuto e quarantadue, dove torna il fraseggio distorto e sinistro con i suoi toni da motosega; esso evolve in un loop vorticante ricco di atonalità, sopra il quale si staglia la doppia cassa veloce. Essa prosegue lanciata e tempestata da colpi secchi e blast, fermandosi poi all'improvviso con dei piatti e bordate che segnano la conclusione del brano. Il testo è una sorta di oscura riflessione esistenziale maligna, delineata però non da ragionamenti elaborati, bensì dall'immagine di un morto che non accetta la fine della sua esistenza; "The world you see around you, Is just an illusion - Il mondo che vedi intorno a te, E' solo un illusione" avvertono i nostri, un'illusione creata dalla mente per non impazzire difronte all'orribile realtà. Il protagonista è infatti ancora morto, e tale rimarrà senza possibilità di tornare indietro; poi lo si deride, considerando come egli sia si nato sotto l'amore divino ("You were born with the love of god - Eri nato con l'amore di Dio."), ma ora morirà nell'odio di Satana, in una crudele ironia blasfema. La morte è solo l'inizio quindi di un viaggio poco piacevole, perché dall'altra parte lo attendono gli errori del suo passato, in un caos che non lascia spazio alla pace, ovvero probabilmente l'Inferno stesso dove il dannato soffrirà per i suoi peccati; un testo quindi evocativo che mostra connotati decisamente black, provando piacere all'idea della dannazione, deridendo ogni speranza. I Marduk si mostrano quindi tematicamente già improntati nel genere di cui vogliono entrare a fare parte, abbracciandone totalmente l'ideologia e l'estetica. "Within The Abyss - Nell'Abisso" ci accoglie con un colpo di batteria, dopo il quale partono giri grevi e rocciosi di chitarra, in un andamento strisciante accompagnato da fraseggi solenni; quasi subito però dopo una bordata con rullo rimane solo un loop distorto, il quale viene scolpito da alcuni blast dilatati. Ecco che al sedicesimo secondo ci si assesta su un fraseggio tagliente, mentre il drumming si apre in colpi cadenzati e controllati; al ventesimo secondo un grido sgolato di Dread annuncia la doppia cassa, in una corsa senza preavviso. Essa si sviluppa in un attacco che muore subito, ridando spazio all'andamento precedente; ecco quindi un'alternanza schizofrenica che crea una dinamica nervosa ed esplosiva. Al ventisettesimo secondo la batteria impenna, ma al trentesimo rimane solo il fraseggio distorto che ancora una volta fa da cesura; ecco he riparte la doppia cassa tempestante, in una nuova accelerazione veloce. Su di essa Dread torna con vocals gridate in riverbero, con un effetto di eco accentuato; ma ci si ferma ancora, tornado ai toni striscianti supportati dalla batteria cadenzata, in un songwriting irregolare molto death. Ecco in sottofondo il fraseggio solenne iniziale, ricco di una sinistra melodia atonale evocativa; esso viene delineato da rullanti distribuiti, mentre torna il cantato sgolato. Al minuto e tredici interviene il loop distorto e roccioso, dopo il quale torna la cavalcata massacrante in doppia cassa dai colpi secchi e veloci; su di essa Dread si lancia in un cantato vorticante e crudele, ricordando molto certo thrash oscuro come quello dei Kreator. Il muro di chitarre e drumming possente prosegue, fermandosi all'improvviso al minuto e ventinove con una serie di bordate; ritorna quindi il lento fraseggio evocativo con batteria cadenzata e grida in riverbero, sempre delimitato da rulli. Al minuto e cinquantasei esso rallenta ulteriormente, in un movimento roccioso e oppressivo dai connotati doom; quest'ultimo si espande inciso da piatti di batteria sparsi, e dal cantato greve e gracchiante di Dread. Al secondo minuto e cinque un blast segna la ripresa della cesura con fraseggio distorto, dopo al quale riprende la corsa in doppia cassa con urla sgolate; ecco che le chitarre si organizzano in giri stridenti, mentre il drumming prosegue martellante e diretto. Abbiamo al secondo minuto e ventuno uno stop improvviso, dopo il quale troviamo degli arpeggi sommessi di basso; il loro andamento viene poi ripreso dopo un colpo di batteria da un solenne rifting altisonante. Quest'ultimo viene tempestato dai piatti, proseguendo poi insieme alla batteria cadenzata; torna così il cantato in riverbero di Dread, dai toni disgustati e striscianti, in una nuova sezione malevola e lenta piena di mortifera atmosfera. Su di essa poi abbiamo il motivo melodico portante, espresso dal solito fraseggio tagliente ed evocativo; la batteria si apre a rullanti che lo delimitano, in un movimento fatto di onde lente. Si prosegue quindi con la riproposizione di quanto poco fa sentito, con vocals possibilmente ancora più aggressive; al terzo minuto e venticinque dei colpi di piatti segnano la cesura con giri taglienti e grido prolungato di Dread. Si prosegue pi in un loop circolare continuo tempestato dai balst dilatati, fino alla chiusura improvvisa del brano. Il testo delinea un oscuro rituale negromantico, che punta a resuscitare un'armata demoniaca di non morti per attaccare i mortali; le loro anime malvage vengono richiamate dallo stregone, assaporando il ritorno degli antichi e la paura dei vivi. "Kingdom of the dark, That has made our souls so strong - Il regno delle tenebre, Che ha reso le nostre anime così potenti." viene evocato dall'adoratore del Male in estasi mistica, poiché le parole blasfeme fanno ormai parte del suo essere, scorrendo nel suo sangue; ecco quindi che sorgono i non morti dalle tombe ("Dead walks from their graves, The gathering is here - I morti escono dalle tombe, La raccolta è qui") i quali non moriranno mai più, uniti nell'abisso. Essi organizzano in un empio esercito che si dirige poi verso una caverna, dove sarò tenuto un Sabba demoniaco ("Incense fills the cave, Where the Sabbath is held - Incenso riempie la caverna, Dove il Sabba è tenuto.") in una tipica scena dell'immaginario fantasy - satanico del black scandinavo. Il finale è segnato dall'arrivo dello stregone, figlio del diavolo, il quale darà inizio alla fine del Mondo, in un epilogo semplice legato ad immagini che vogliono essere piene di una blasfema esaltazione di tutto ciò che è visto come contrario al sentito e alla morale comune.
Si passa ora alle due cover dei Bathory "In Conspiracy With Satan - Complotto Con Satana" e "Woman Of Dark Desires - Donna Dagli Oscuri Desideri", prese rispettivamente dall'omonimo debutto del 1984 e dal terzo album del 1987 "Under the Sign of the Black Mark", entrambi album leggendari che fanno parte di un trittico black/thrash che influenzerà nei suoni e nelle tematiche la seconda corrente del black metal; in questo caso troviamo alla voce l'attuale cantante Legion, il cui stile è caratterizzato da uno screaming greve e ringhiato diverso dallo stile più drammatico usato da Af Gravf o quello più umano e sgolato di Dread. Ecco quindi un rifting distorto che riprende in versione più altisonante quello del pezzo originale, bombardandolo anche qui con bordate aggressive e colpi di batteria. Al decimo secondo parte una corsa in doppia cassa, anche in questo caso fedele alla versione di Quorthon, solo con una produzione decisamente più moderna e una velocità più forsennata; essa procede caotica mentre Legion delinea i suoi vocalizzi sulfurei (più cupi rispetto alla voce "da goblin" usata da Quorthon), coperti dai loop taglienti di chitarre e dalla cascata di colpi serrati. Al trentesimo secondo il tutto si fa più cadenzato grazie a galoppi di batteria e chitarre rocciose, in una serie di impennate potenti; riprende quindi la tempesta sonora dai toni imperanti e cacofonici, delineata da alcuni colpi di piatto e fraseggi distorti circolari. Naturalmente il songwriting rielabora quanto sentito nella versione originale, dandone una chiave pertinente alla seconda ondata scandinava; velocità quindi più convulse e chitarre in tremolo fredde, evoluzione dello stile thrash/proto-black caratteristico di gruppi come i Venom, o i Bathory stessi. Al minuto e tredici tornano i piatti tempestanti e i giri calibrati, dando una linea più incalzante alla composizione rendendola ancora più avvincente; al minuto e venti invece si prosegue dritti con chitarre a trapano, in un andamento solenne ed altisonante. Si aggiunge poi un inedito assolo dalle scale conturbanti, dando una versione più elaborata e stridente di quello che compare nell'originale; esso si consuma con una coda squillante, lasciando la scena la rifting massacrante e al drumming serrato. Si continua su queste coordinate fino al secondo minuto e sei, quando tutto si ferma concludendo il pezzo con una digressione prolungata; abbiamo quindi un finale diverso rispetto al brano originale, il quale continua invece in corsa dritta per qualche secondo, salvo concludersi all'improvviso. Il testo è la confessione di un eretico blasfemo che rinuncia alla fede e abbraccia le forse oscure, anticipando di diversi anni quelli che saranno i capisaldi del futuro black metal; alle "menzogne di Cristo" si preferisce con consapevolezza l'Inferno, continuando poi con la dichiarazione altisonante "I have turned my back on Christ, to hell I have sacrificed, I have made love to the Pagan Queen, the gates of hell I have seen - Ho voltato le spalle a Cristo, ho fatto sacrifici per l'inferno, ho fatto l'amore con la Regina Pagana, ho visto I cancelli infernali." La quale con toni epici crea una serie di immagini solenni che delineano la propria convinzione anticristiana. Si parla poi di grida di angeli e di streghe, unendo vari elementi sparsi in modo da creare un immaginario legato a vari aspetti dei culti satanici secondo la cultura popolare; si passa alla lettura di libri magici e a patti che legano l'anima del protagonista all'Inferno stesso. Egli ha guardato la morte in faccia e affrontato labirinti mistici in groppa ad un caprone insanguinato, in un'ennesima immagine dal gusto empio ed onirico, che usa un'astrazione quasi poetica per declamare il volere anticristiano del nostro; infine ci viene raccontata la visita dell'Inferno stesso ("I have kissed my master's hand, I have seen the children of the damned, I heard the demons call, and seen a thousand virgins fall - Ho baciato la mano del mio padrone, ho visto I figli dei dannati, ho sentito la chiamata dei demoni, e visto mille vergini decadere. ") completando l'oscura visione qui descritta. Inutile dire che I topoi qui presenti (la volontaria dannazione, I viaggi mistici, la raffigurazione di angeli sofferenti) torneranno infinite volte nei testi praticamente di quasi tutte le band del genere, debitrici anche tematicamente dei primi album dei Bathory, i quali poi anticiperanno un'altra tendenza passando a quello che poi sarà chiamato Viking metal. Il secondo pezzo parte con un rullo di batteria (come nella versione di Quorthon), seguito da un rifting roccioso, ma meno cavernoso rispetto al pesante riverbero usato nell'originale; si prosegue quindi con al corsa ossessiva tempestata dai colpi secchi di batteria, dove interviene il greve cantato di Legion. I giri in loop sono massacranti, dando una versione violenta e frenetica del brano dei Bathory, lanciata a tutta velocità; in maniera fedele al trentacinquesimo secondo tutto si rallenta, dando spazio ad una galoppata cadenzata dove il cantante delinea l'empio ritornello tenebroso. Notiamo certe differenze rispetto l'originale, in primis la batteria meno "a cannonate" e i fraseggi distorti qui più melodici e meno roboanti; ciò è dovuto probabilmente anche alla produzione meno "sotterranea" qui usata. Inoltre compaiono in sottofondo delle tetre tastiere ad organo, le quali aumentano l'atmosfera solenne; al minuto il movimento si fa granitico in una serie di scosse telluriche devastanti di chitarre a sega elettrica. Legion 's'intromette tra i giri massacranti con le sue rauche grida feroci in riverbero, in una cavalcata frenetica; ma dopo una cesura con rullanti riprende l'epico ritornello accattivante, creando una sezione catchy dal grande effetto. Al minuto e cinquantotto si riprende con i riff serrati e taglienti, scolpiti da colpi secchi di drumming in un andamento lanciato e imponente; al secondo minuto eventi incontriamo uno stop solenne con fraseggi altisonanti e rulli di pedale. Esso si sviluppa in chiave più incalzante sottolineato da tastiere (presenti anche nell'originale con i loro toni tetri) che ne riprendono il motivo melodico atonale; ma al secondo minuto e quarantatré prende posizione un assolo stridente e vorticante, il quale si sviluppa in scale squillanti e tecniche dilungate che ricalcano quelle presenti nel pezzo dei Bathory. Ecco che prosegue legandosi al marasma sonoro di chitarre e batteria, mentre Legion vomita aggressivo e tagliente le sue nere declamazioni infernali; l'atmosfera è caotica e forsennata, in un torrente sonico che travolge l'ascoltatore e lo trascina fino al terzo minuto e trentotto. Qui riprende, dopo un rullante, l'ormai familiare ritornello, lanciandolo verso il finale, questa volta coerente con quello dell'originale, in un loop ammaliante che si chiude con feedback improvviso. Il testo è un omaggio ad una figura storica molto tetra, dalla quale Quorthon ha tratto il nome per il suo progetto, ovvero Elizabeth Bathory, la contessa ungherese accusata di aver ucciso centinaia di fanciulle per fare il bagno nel loro sangue, in modo da avere l' eterna giovinezza; oggi alcuni storici dubitano della veridicità di queste accuse e pensano ad una congiura contro di lei, ma nella cultura popolare è rimasta come una spietata assassina vampiresca, qui celebrata nei suoi macabri toni da leggenda. Vestita in abiliti eleganti viola e dorati ella attende la notte, mentre ""The thought of young fresh blood makes the hours go so slow, But the yearn for eternal life and beauty makes her hazelbrown eyes glow - Il pensiero del sangue fresco e giovane fa trascorrere lente le ore, Ma il desiderio della vita e bellezza eterne fa brillare I suoi occhi color nocciola." dandogli connotati sin dall'inizio perversi e malevoli, in un sanguinario desiderio di giovani vittime; l'ora del massacro si avvicina, e si pensa ai corpi delle vittime che saranno trovati il giorno dopo, ( "And by the sunrise 60 bodies will be found raped from their blood and souls, The beauty patiently selects the victims for the night, Innocent blood will give eternal beauty eternal life - E per l'alba 60 corpi saranno ritrovati strappati del loro sangue e anime, La bella seleziona pazientemente le vittime per la notte, Sangue innocente darà vita e bellezza eterne. ") mentre la contessa seleziona le sue giovani vittime. Con uno stacco temporale si salta poi a quando il suo orribile segreto viene scoperto: essendo di famiglia nobile, scampa all'esecuzione, ma verrà confinata fino alla morte in delle stanze del Castello di Csejte dove verrà murata; "No more beauty or life for eternity, Cold walls entombs your secrets but there's nothing you regret, Embrace death with a smile as the highlands face sunset - Mai più bellezza o via per l'eternità, Fredde mura fanno da tomba ai tuoi segreti, ma non ti penti di nulla, Accetti la morte con il sorriso mentre la colline affrontano il tramonto." racconta ora il testo, presentando un essere malvagio che non si pente dei suoi atti, e che abbraccia la Morte orgogliosa di quanto fatto e con un beffardo sorriso sul volto. Notiamo una certa raffinatezza narrativa che mantiene toni oscuri e sanguinosi, ma con immagini meglio delineate e più vivide, dimostrando la crescita anche a livello di testi che avvenne negli anni tra i vari album dei Bathory, sempre più lontani da facili blasfemie elementari; quest'ultime faranno però molto colpo sui gruppi scandinavi di inizio anni novanta, ma anche i testi sempre truculenti, ma più elaborati, come quello qui presentato.
In definitiva, come detto, un lavoro per chi già ha tutti gli album dei nostri, e vuole ora completare la sua collezione con ogni uscita disponibile sul mercato; l'unico inedito è la brevissima strumentale, mentre i due pezzi principali sono una versione demo di due brani poi comparsi nel debutto "Dark Endless"; è interessante comunque sentire queste versioni death/punk ben più sporche e lo - fi, che ci offrono dei Marduk ben diversi da quelli feroci, ma cristallini, delle produzioni dell' Abyss Studio che stavano uscendo in quel periodo. Un tuffo nel passato che ci ricorda i primi passi in un contesto underground dove i nostri ancora non avevano ben presente come strutturare uno stile proprio, facendo riferimento a quello che gli era familiare, ovvero il death che imperversava in Svezia; l'immagine e i contenuti erano già decisamente black, mostrandoci un periodo storico in cui ancora il genere era in fase embrionale, definendosi musicalmente negli anni a seguire grazie a gruppi chiave come Mayhem, Darkthrone, Burzum, Immortal, etc. Per ora abbiamo un songwriting ancora giocato sui cambi repentini e costanti dal gusto più tecnico, lontano dalle lunghe bordate di blast e loop in tremolo come mura sonore; qualche amante dei Marduk ultima maniera potrebbe storcere il naso, o lanciarsi nel risibile argomento usato per i Darkthrone che li vorrebbe come dei modaioli passati al black solo per far parte della cosa "hip" del momento, ma ciò sarebbe sbagliato. In realtà qui troviamo una band alle prime armi, che è stata capace di evolvere sopprimendo alcuni aspetti del proprio suono e accentuandone altri, ottenendo sempre più quello che era nella testa del leader Hakansson; anche il modello norvegese, in parte ripreso in "Those Of The Unlight" e "Opus Nocturne", verrà superato, stabilendo i nostri come una realtà a se stante capace di influenzare un intero sottogenere del black, imitati e copiati sia da cloni, sia da gruppi che sapranno poi dare un apporto proprio. Si chiude così il 1997 del gruppo, anno impegnato sia a livello di uscite, che di concerti; imperterriti i Marduk tornano in studio, registrando l'inizio dell'ambiziosa trilogia satanica, formata da Sangue, Guerra, e Morte. "Nightwing" dispiega le sue oscure ali, presentando un suono che si divide tra una prima parte più veloce, e una seconda più solenne, quest'ultima completamento dell'ossessione dei nostri verso la figura di Vlad Tepes, colui che poi sarà alla base di Dracula di Bram Stoker; il sangue scorrerà, insieme ai riff taglienti e alle doppie casse, portando avanti la marcia mortale fin qui sviluppatasi.
1) Here's No Peace (instrumental)
2) Fucking Dead
3) Within the Abyss
Bonus "Regain Records" 2008:
4) In Conspiracy with Satan
(Bathory cover)
5) Woman of Dark Desires
(Bathory cover)