MARDUK

Fuck Me Jesus

1991 - Independent

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
08/02/2015
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Recensione

Inizia oggi un oscuro viaggio nella lunga, satanica e violenta discografia di uno dei gruppi cardine del black metal svedese e mondiale, ovvero i Marduk,  attivi ormai da oltre vent'anni e autori, sotto diverse reincarnazioni (dove l'unica costante è la presenza del chitarrista-fondatore Patrik Niclas Morgan Håkansson a.k.a Evil,  presente anche negli Abruptum fino ad oggi) di ben tredici album in studio e svariati EP e live; una vera e propria istituzione, rappresentanti della scuola svedese,  più violenta e contaminata dal death metal rispetto ai cugini/nemici norvegesi, generalmente fautori di un black più atmosferico e legato alle mutazioni del thrash. I nostri nascono ad inizio anni novanta per volontà di Evil, intenzionato a "creare il gruppo più violento e blasfemo mai esistito" secondo lo slogan altisonante da lui usato poi in alcune interviste, tipico della pomposità della scena black scandinava del periodo; nel giro di un anno i nostri danno alle stampe la demo "Fuck Me Jesus", la quale farà conoscere subito il gruppo in una scena in pieno fermento, complice la celebre copertina blasfema che chiariva sin dall'inizio il messaggio dei nostri. Grazie a questo lavoro otterranno in poco tempo un contratto con la "No Fashion Records", in futuro etichetta anche dei colleghi Dark Funeral, sotto la quale pubblicheranno il loro debutto "Dark Endless" prima di passare alla "Osmose Productions"; quest'ultima nel 1994 ristamperà la demo come un EP, ampliandolo poi nel 1999 con tre tracce bonus: una versione alternativa della title track dell' album di esordio (registrata nel 1994 con una line up diversa che vedeva Af Gravf a.k.a Joakim Göthberg alla voce, B.War a.k.a Roger Svensson al basso, Håkansson  alla chitarra e Fredrik Andersson, da non confondere con l'omonimo batterista degli  Amon Amarth, alla batteria), e due cover dei Bathory, fondamentale influenza dei nostri e del black tutto, ovvero "In Conspiracy With Satan" e "Woman of Dark Desires", registrate nel 1996 con Legion a.k.a Erik Hagstedt alla voce. Per l'occasione delle cinque tracce originali,  la formazione vede oltre ad Evil (chitarre, testi) anche Dread a.k.a Andreas Axelsson (voce), Rickard Kalm (basso) e Af Gravf (batteria), primo nucleo che sopravvivrà solo per il primo album con un'aggiunta (quella dello storico chitarrista Devo a.k.a Dan Everth Magnus Andersson che tornerà in diversi punti della discografia del gruppo), per poi vedere già importanti cambiamenti nella formazione; il suono è stilisticamente ancorato ancora a molti elementi e modi del death metal, grandissima influenza del metal estremo in Svezia patria di gruppi storici come DismemberEntombedGrave, etc., ma l'immagine e i temi blasfemi e misantropi sono già decisamente black. Ecco quindi come oltre a testimoniare gli inizi del gruppo, questo lavoro fotografi anche un certo periodo d'incubazione, durante il quale il black metal della seconda ondata si stava definendo ("A Blaze In The Northern Sky" dei Darkthrone  e l'omonimo di Burzum usciranno l'anno successivo) musicalmente, ma già aveva ricavato molta della sua immagine da predecessori come SarcofagoMayhem, gli stessi Bathory, i primi Slayer, i Venom  King Diamond; ecco quindi il corpsepaint, così come i pentacoli e i crocefissi inversi, qui ora presi "sul serio" non più come semplice immagine scenica, ma come simboli di un convinto anticristianesimo che accompagnerà questo nuovo nero figlio del metal durante tutta la sua storia. Naturalmente la produzione è "grim e necro", anche per i mezzi reali disponibili presso i "Gorysound Studios" dove venne registrato l'EP, anticipando quella che poi sarà una tendenza di tutto il genere, ovvero la ricerca del lo-fi e del grezzo (anche se poi gli album sotto etichetta avranno un suono decisamente più curato, per quanto lontano da qualsiasi pulizia e sempre feroce), presentando quindi un'atmosfera distorta e fangosa che domina tutto il lavoro; un'opera quindi " di culto" che lancerà i nostri preparandone la strada, e i cui brani saranno poi ripresi nel debutto con una veste leggermente diversa.

Si parte con la intro omonima, non un brano suonato, bensì un campionamento tratto dal film "L'Esorcista" durante il quale viene opportunamente tratta la scena in cui la protagonista Regan, posseduta dal demone Pazuzu, emette una serie di osceni insulti verso la figura di Cristo, ripetuti poi fino alla conclusione dei trentotto secondi in un loop blasfemo; di certo l'essere sottili non è l'obiettivo dei nostri, che anzi desiderano sputare il più possibile sull'odiata religione cristiana e sulle sue figure, anche usando topoi culturali fuori dal loro contesto originale. Superata l'introduzione, ecco quindi il primo brano vero e proprio "Departure From The Mortals - Dipartita Dai Mortali", il quale si delinea con un suono tagliente e distorto di chitarra, avanza ritmato da colpi improvvisi di batteria e giri imponenti di chitarra, stabilendo un'atmosfera oscura e palpabile molto semplice e diretta, ma di sicuro impatto; su di esso s'improntano fraseggi solenni mentre avanza la composizione tetra e maligna. Ecco che al ventesimo secondo il muro di chitarre viene accompagnato dal drumming cadenzato e dai colpi secchi, facendosi più deciso; esso viene poi frammentato da bordate taglienti e rulli di batteria, sfociando subito dopo in un loop ossessivo che conosce ancora stop e riprese in un songwriting ancora molto legato alla varietà di tempi tipica del death. Al trentottesimo secondo parte la corsa frenetica e fredda che mostra chitarre in tremolo glaciali che anticipano le venature frostbitten che caratterizzeranno poi il black, tempestate dalla doppia cassa massacrante lanciata a tutta velocità; le vocals in riverbero di Dread hanno uno stile gridato che ancora conserva parte della cavernosa ferocia del death, ma che allo stesso tempo si avvicina allo screaming che poi diventerà il cantato preferito dal metal dall'anima nera. Ecco quindi che si configura una tormenta sonora fatta di riff  a sega elettrica e colpi serrati di batteria, in un'atmosfera dura e solenne; quest'ultima si fa ancora più incalzante grazie al cantato sincopato e al drumming galoppante, trascinando in avanti.  I toni del cantante si mantengono feroci e inumani, perfetti per il suono estremo qui rappresentato; all'improvviso al minuto e dodici abbiamo uno stop con piatti di batteria striscianti a cui segue un sinistro fraseggio distorto pregno di melodia atonale ieratica. Esso viene scolpito da alcuni colpi secchi di drumming, fino all'accelerazione ritmica che ricrea la corsa serrata arricchita da loop di chitarra a sega elettrica: questi si fanno poi ancora più grevi e distorti, richiamando i fuzz sporchi e mortiferi di certo death metal; ecco quindi un nuovo rallentamento roccioso al minuto e quaranta, dopo il quale ci si lancia a tutta velocità in un turbine di chitarre, batteria e ritornelli feroci in riverbero. Persistono i stop and go, che mantengono ancora il songwriting di stampo death dall'andamento nervoso e mutevole, creando un'onda sonora malevola e frastornante; ecco quindi l'ennesima cesura al secondo minuto, greve nei suoi suoni rallentati di chitarra trionfanti, sulla quale s'instaura un andamento cadenzato di batteria, instaurando una sezione quasi doom.  Si prosegue con rullanti dilatati e chitarre distorte, mentre in sottofondo si delineano  macabre tastiere da fil horror; si riprende poi con il fraseggio roccioso, vicino a certi momenti epici e solenni dei Celtic Frost e Bathory, inevitabili influenze tanto dei nostri, quanto del black in generale. Al terzo minuto rimane solo un motivo di chitarra grezzo e ad accordatura bassa, sul quale poi dei colpi di batteria segnano l'ultima corsa isterica in un turbine sonoro fatto di loop ossessivi, grida e drumming serrato, troncata da un ultimo verso in riverbero, a cui segue subito l'inizio del pezzo successivo. Il testo è un classico esempio dei temi cari al black scandinavo dei primi anni novanta; un individuo malvagio arriva al giorno della sua morte, ma non vi è tristezza: egli tornerà sotto forma di uno spirito malevolo, rimanendo nel mondo dei vivi per tormentarli. "Departure from the mortals, As my life ends, Departure from the mortals, But I will remain  - Dipartita dai mortali, Mentre la mia vita termina, Dipartita dai mortali, Ma io rimarrò."  recita uno dei versi, presentando la sua oscura volontà ; il suo desiderio sarà esaudito, mentre "In the forest of the dead, My evil soul will dwell - Nella foresta dei morti, La mia anima malvagia dimorerà." prefigurando il suo prossimo status occulto in cui infesterà una foresta (uno dei luoghi tipici dell'immaginario black metal). Poche parole, semplici e ripetute, che si rifanno a fantasie nere e blasfeme lontane da qualsiasi ideologia complicata o elaborata, ma vissute con trasporto e serietà da quelli che erano dei giovani vogliosi di scioccare e attaccare i valori della società cristiana, in un'esaltazione che ha forgiato e condizionato indissolubilmente la nascita della seconda ondata del black metal. "The Black... - L'Oscurità?" ci accoglie con un fraseggio distorto in tremolo, sul quale intervengono bordate acustiche di chitarra ripetute; ecco poi che parte la doppia cassa martellante insieme alle grida di Dead, stabilendo la vorticante corsa piena di loop ammalianti e freddi. Si prosegue su queste coordinate in un andamento ipnotico e lanciato, il quale però s'interrompe al diciassettesimo secondo;  ecco quindi una cesura solenne a cui segue un fraseggio distorto  e roccioso, sul quale poi riparte il drumming incalzante. S'instaurano delle onde sonore raggelante ed epiche, mentre i colpi secchi di batteria continuano ad espandersi diretti e senza tregua; dopo un altro stop ritmato si riparte con la cavalcata, dove Dread grida in maniera velenosa , mentre la strumentazione si lancia in cacofonie feroci, intervallate da brevi rallentamenti. L'atmosfera è fredda e monolitica, stabilendo già molti di quelli che saranno gli elementi caratteristici del suono dei nostri, e del black svedese, creando un muro di chitarra altisonante e distorto; al cinquantottesimo secondo seguono una serie di bordate dopo le quale abbiamo un fraseggio tetro. Esso prosegue ripetuto mentre intervengono colpi dilatati di batteria; subito dopo riparte la doppia cassa, mentre il loop tagliente prosegue come una motosega. Ma l'effetto schizofrenico è mantenuto, e già al minuto e diciannove tutto rallenta con un motivo oscuro e solenne dai giri lenti e dal drumming controllato; qui Dread si da a grida velenose dalle punte sottolineate da malevoli sussurri in pulito, in una sezione monolitica e greve piena di atmosfera mortifera. Ma non bisogna abituarsi: al minuto e quarantasette un giro tagliente anticipa l'esplosione di una nuova cavalcata isterica, dove la doppia cassa diventa un martello pneumatico impazzito, e le chitarre una tormenta costante. Intervengono ancora una volta brevi ed improvvisi rallentamenti, in un andamento contratto e irrequieto; esso collima poi in una serie di colpi e grida dilungate, segnando un nuovo cambiamento. Largo quindi a giri di chitarra distorti e batteria marziale, creando un movimento che poi accelera in una corsa in doppia cassa frenetica e ossessiva nei suoi loop circolari taglienti; al secondo minuto e trenta tutto rallenta e parte un motivo lento e solenne, re instaurando le atmosfere tetre già incontrate. Esso si dilunga riproponendo le grida con sussurri e i colpi controllati, in una sezione doom dal grande effetto; al terzo minuto dopo un colpo secco prende spazio una marcia di chitarre rocciose, sulla quale riparte la doppia cassa ristabilendo la corsa, subito però interrotta. Sopravvive una digressione di chitarra, la quale si dilata mentre partono colpi di piatti cadenzati; con sorpresa al terzo minuto  e ventinove  prende piede un motivo di chitarra maestoso  e altisonante, il quale crea un'epica atmosfera trascinate che si accompagna al drumming strisciante. Ecco quindi la conclusione in dissolvenza, proseguendo su questa linea melodica che mostra ancora una volta un songwriting ibrido a metà tra due mondi, ricco di stilemi appartenenti al death, ma proiettato verso certi suoni e atmosfere più prettamente black.  Le parole del testo raccontano di una riunione infernale, durante la quale si glorifica il Male, e si preannuncia la caduta dell'odiata Cristianità, nemico giurato di sempre;  "Thou who rejoice and bring terror to mortals - Tu che provi gioia nel portare terrore ai mortali" si rivolge ai compagni (in un errore grammaticale viene usato il "thou" per dare un'enfasi epica, non sapendo che si usa solo con la seconda persona singolare) apostrofandoli con le loro doti malvage, naturalmente qui viste come aspetti positivi. Non abbiamo un vero e proprio racconto di eventi, bensì una sorta di evocazione durante al quale si parla del "The black goat of the woods with a thousand young - Il nero capro della foresta con mille cuccioli."; notiamo come i nostri, in maniera comune agli altri rappresentanti del genere all'epoca, traggono più dall'immaginario fantasy, piuttosto che da serie conoscenze occulte, il riferimento a Lovecraft e alla sua divinità immaginaria Shub-Niggurath è lampante. Una sorta quindi di "satanismo fai-da-te" che oggi fa sorridere, ma che in un'epoca senza internet e dove certi argomenti non erano certo alla portata delle masse, creava un'atmosfera oscura convincente per molti appassionati del nuovo metal oscuro, esaltati dalla promessa della distruzione del nemico cristiano, per loro simbolo di ogni oppressione e ipocrisia sociale. "Within The Abyss - Nell'Abisso" parte con un colpo di batteria, a cui segue un frenetico rifting distorto e roccioso, sul quale parte anche un fraseggio vorticante, nonché tamburi solenni e potenti; si continua quindi con l'intervallo tra questi elementi, in un andamento contratto e ieratico. L'atmosfera è ancora una volta monolitica, quasi cerimoniale, creando un'oscurità sonora semplice, ma efficace; con il proseguire s'intromettono improvvise accelerazioni di doppia cassa con grida di Dread, le quali però s'interrompono subito, come una sorta  di scosse ripetute. Al trentesimo secondo prende posto un fraseggio distorto in solitario: ecco che su di esso parte, stavolta in pianta stabile, la doppia cassa, mentre il cantante si lancia alle sue malevole declamazioni in riverbero, creando una corsa frenetica. Ecco quindi il caotico e ormai familiare muro di suono, il quale ci investe in un turbine di chitarre gelide e drumming lanciato, mentre Dread assume toni demoniaci;  al quarantasettesimo secondo però tutto si ferma, dando spazio ad un nuovo motivo lento e greve dalle chitarre rocciose. Esso avanza distorto mentre la batteria segna il ritmo con colpi precisi e controllati, in una processione sonora funerea; in essa intervengono fraseggi malinconici e altisonanti, in un collegamento molto atmosferico che ricorda certi passaggi death/doom. Dread interviene con un ritornello aggressivo che segue nei suoi toni da troll gli andamenti delle chitarre, risultando insolitamente catchy ed emozionale; tutto si ferma al minuto e quattordici con il ritorno del fraseggio distorto, il quale presto evolve in una cavalcata caotica in doppia cassa e chitarre taglienti. Si prosegue fino al minuto e trenta; ancora una volta le carte in tavola cambiano  e  torna il fraseggio distorto e greve, il quale prosegue monolitico e solenne contornato dai colpi secchi e grida in riverbero da parte di Dread. Al minuto e cinquantasette si fa ancora più lento con toni da meccanismo rallentato, quasi fermandosi; un verso maligno di Dread anticipa poi una serie di colpi, a cui seguono la ripresa della corsa granitica. Essa veloce si dipana come un turbine fino al secondo minuto  e ventitré; qui all'improvviso parte un basso in trotto, mettendo per la prima volta in rilevanza lo strumento suonato da Kalm, evento raro nel black metal. Esso prosegue greve, mentre poi si aggiunge un rifting altrettanto roccioso delineato dai colpi dilatati di drumming; ecco poi che, mentre Dread si da ai suoi toni malevoli in riverbero, le chitarre si stabilizzano su un fraseggio solenne e lento, mentre i piatti di batteria sottolineano gli andamenti e le vocals feroci. Gli ultimi secondo vedono un giro distorto di chitarra tempestato dai colpi autorevoli del drumming, chiudendo d'improvviso il pezzo.  Il testo delinea un oscuro rituale negromantico, che punta a resuscitare un'armata demoniaca di non morti per attaccare i mortali; "Kingdom of the dark, That has made our souls so strong, It's floating in our blood, The words of unholiness - Il regno delle tenebre, Che ha reso le nostre anime così potenti, Scorre nel nostro sangue, (come)Le parole blasfeme."  viene pronunciato da un adoratore del Male in estasi mistica, mentre poi prosegue la sua cantilena malvagia. Ecco quindi che sorgono i non morti dalle tombe ("Dead walks from their graves, The gathering is here - I morti escono dalle tombe, La raccolta è qui") i quali si riuniscono in un empio esercito; esso si dirige poi verso una caverna, dove sarò tenuto un Sabba demoniaco ("Incense fills the cave, Where the Sabbath is held - Incenso riempie la caverna, Dove il Sabba è tenuto.") in una tipica scena dell'immaginario fantasy - satanico del black scandinavo. Il finale è segnato dall'arrivo dello stregone, figlio del diavolo, il quale darà inizio alla fine del Mondo, in un epilogo semplice legato ad immagini che vogliono essere piene di una blasfema esaltazione di tutto ciò che è visto come contrario al sentito e alla morale comune. "Outro: Shut Up And Suffer - Outro: Zitto E Soffri" è la conclusione strumentale della versione originale del demo/EP qui recensito; chi è familiare con la discografia dei nostri potrebbe avere un déjà vu ben giustificato: si tratta infatti di un motivo di tastiere arioso che poi nel 1994 sarà riadattato come omonima traccia del loro Magnus opus "Opus Nocturne", il terzo album in studio dei Marduk. Ecco quindi effetti solenni e malinconici dal crescendo orchestrale, tra archi campionati  e note tristi; s'intromettono anche campionamenti vari, tra cui una sorta di risata sommessa finale, che segna il termine della brevissima traccia di poco inferiore al minuto.    

Analizziamo ora le tracce bonus presenti nella versione pubblicata dalla Osmose Records nel 1999; si parte con la versione ri registrata  di "Dark Endless - Oscurità Eterna" (presente nell'omonimo disco successivo a quanto qui recensito), che vede come cantante il precedente batterista Af Gravf , il quale presenta uno stile vocale pienamente black caratterizzato da uno screaming in riverbero spettrale. Un solenne arpeggio delicato apre il brano, stabilendo toni melodici e accattivanti; la sua linea viene poi ripresa da un riff incalzante, mentre la batteria  si dipana in colpi ben organizzati, alternati  a rulli che delimitano al composizione e i giri dello strumento a corda. L'atmosfera ottenuta è ammaliante ed ieratica, ed essa striscia calma, ma ricca di pathos epico; al cinquantaseiesimo minuto dopo un rullo di batteria parte un fraseggio tagliente e sgraziato. Esso evolve in un rifting devastante sul quale prendono piede le vocals infernali di Af Gravf, stabilendo un movimento esaltante dai giri circolari ripetuti, delineati dai colpi di piatti di batteria e dalla ritmica serpeggiante; al minuto e ventiquattro troviamo un nuovo stop, dopo il quale abbiamo un altro fraseggio gelido  e imponete. Esso si trasforma, dopo un feedback assordante, in una cavalcata in doppia cassa turbinante e potente, lanciatissima nelle sue chitarre a sega elettrica; al minuto e quarantasette l'andamento si da ad un galoppo cadenzato di drumming ritmato e loop solenni, mentre il cantante prosegue con le sue rantolanti declamazioni. Ecco però che al secondo minuto e sei si riparte con il vortice sonoro in doppia cassa e seghe elettriche massacranti; dopo un brevissimo stop esso s'intensifica con un fraseggio glaciale dalla forte atmosfera atonale, proseguendo in una tempesta costante ed ossessiva. Al secondo minuto e quarantatré il drumming torna a farsi ritmato, mentre le chitarre proseguono distorte e corrosive; ad un ascolto attento possiamo anche percepire i giri di basso in sottofondo, coperti dal resto del muro sonoro. Al terzo minuto e uno all'improvviso viene ripreso il rifting esaltante, il quale si spinge ancora una volta in avanti feroce e deciso nei suoi giri rocciosi; dopo una cesura con rulli ed accordature basse si continua con le falcate imperanti, mentre Af Gravf prosegue malevolo nel suo cantato gracchiante. La conclusione vede dunque una digressione improvvisa con un'eco vocale, creando poi una coda rumoristica di feedback, i quali si consumano nel finale. Il testo ripresenta molti dei temi già incrociati in precedenza:  l'unione con l'oscurità e il Male, delineata in una foresta oscura e antica, piena di orrori altrettanto atavici; "Overshadowed by ancient evil, My bones are black from sadness, My soul is cold as ice, I will dwell in hell Adombrato da un male antico, Le mie ossa sono nere di tristezza, La mia anima fredda come il ghiaccio, Sprofonderò nell'inferno." narra il protagonista, in un'esaltazione della tristezza  e della propria sofferenza tipica del black, dove si vuole essere così malvagi da godere della propria distruzione. Egli sta quindi morendo in questo luogo selvaggio,  dove regna la tenebra ("Dark endless forests, From another age, Darkness it shall be, Not a sign of light - Foresta oscura senza fine, Da un'altra era, La tenebra verrà, senza un filo di luce."), ma l'evento è visto con perversa esaltazione: diventerà un nero seme che nutrirà il suo "Father - Padre", ovvero il maligno stesso, felice del suo sacrificio per la causa satanica. Altro testo quindi semplice che gioca più su suggestioni terribili, piuttosto che su un racconto complicato dai vari eventi, con diverse ripetizioni che vogliono creare toni sacrali da evocazione blasfema, dove l'Inferno è preferito al Paradiso, in una negazione oltranzista di tutto ciò che è sacro e "buono".  Si passa ora alle due cover dei Bathory "In Conspiracy With Satan -Complotto Con Satana" e "Woman Of Dark Desires - Donna Dagli Oscuri Desideri", prese rispettivamente dall'omonimo debutto del 1984 e dal terzo album del 1987 "Under the Sign of the Black Mark"; in questo caso troviamo alla voce Legion, caratterizzato da uno screaming greve e gracidante. Diverso quindi ancora dagli altri due stili vocali qui incontrati. Ecco quindi un rifting distorto che riprende in versione più altisonante quello del pezzo originale, bombardandolo anche qui con bordate aggressive e colpi di batteria. Al decimo secondo parte una corsa in doppia cassa, anche in questo caso fedele alla versione di Quorthon, solo con una produzione decisamente più moderna e una velocità più forsennata;  essa procede caotica mentre Legion delinea i suoi vocalizzi sulfurei (più cupi rispetto alla voce "da goblin" usata da Quorthon), coperti dai loop taglienti di chitarre e dalla cascata di colpi serrati.  Al trentesimo secondo il tutto si fa più cadenzato grazie a galoppi di batteria e chitarre rocciose, in una serie di impennate potenti;  riprende quindi la tempesta sonora dai toni imperanti e cacofonici, delineata da alcuni colpi di piatto e fraseggi distorti circolari. Naturalmente il songwriting rielabora quanto sentito nella versione originale, dandone una chiave pertinente alla seconda ondata  scandinava; velocità quindi più convulse e chitarre in tremolo fredde, evoluzione dello stile thrash/proto-black caratteristico di gruppi come i Venom, o i Bathory stessi. Al minuto e  tredici tornano i piatti tempestanti e i giri calibrati, dando una linea più incalzante alla composizione rendendola ancora più avvincente; al minuto e venti invece si prosegue dritti con chitarre a trapano, in un andamento solenne ed altisonante. Si aggiunge poi un inedito assolo dalle scale conturbanti, dando una versione più elaborata e stridente di quello che compare nell'originale; esso si consuma con una coda squillante, lasciando la scena la rifting massacrante e al drumming serrato. Si continua su queste coordinate fino al secondo minuto e sei, quando tutto si ferma concludendo il pezzo con una digressione prolungata; abbiamo quindi un finale diverso rispetto al brano originale, il quale continua invece in corsa dritta per qualche secondo, salvo concludersi all'improvviso. Il testo è la confessione di un eretico blasfemo che rinuncia alla fede e abbraccia le forse oscure, anticipando di diversi anni quelli che saranno i capisaldi del futuro black metal; alle "menzogne di Cristo" si preferisce con consapevolezza l'Inferno, continuando poi con la dichiarazione altisonante  "I have turned my back on Christ, to hell I have sacrificed, I have made love to the Pagan Queen, the gates of hell I have seen Ho voltato le spalle a Cristo, ho fatto sacrifici per l'inferno, ho fatto l'amore con la Regina Pagana, ho visto I cancelli infernali." La quale con toni epici crea una serie di immagini solenni che delineano la propria convinzione anticristiana. Si parla poi di grida di angeli e di streghe, unendo vari elementi sparsi in modo da creare un immaginario legato a vari aspetti dei culti satanici secondo la cultura popolare; si passa alla lettura di libri magici e a patti che legano l'anima del protagonista all'Inferno stesso. Egli ha guardato la morte in faccia e affrontato labirinti mistici in groppa ad un caprone insanguinato,  in un'ennesima immagine dal gusto empio ed onirico, che usa un'astrazione quasi poetica per declamare il volere anticristiano del nostro; infine ci viene raccontata la visita dell'Inferno stesso ("I have kissed my master's hand, I have seen the children of the damned, I heard the demons call, and seen a thousand virgins fall  Ho baciato la mano del mio padrone, ho visto I figli dei dannati, ho sentito la chiamata dei demoni, e visto mille vergini decadere. ") completando l'oscura visione qui descritta. Inutile dire che I topoi qui presenti (la volontaria dannazione, I viaggi mistici, la raffigurazione di angeli sofferenti) torneranno infinite volte nei testi praticamente di quasi tutte le band del genere, debitrici anche tematicamente dei primi album dei Bathory, i quali poi anticiperanno un'altra tendenza passando a quello che poi sarà chiamato Viking metal. Il secondo pezzo parte con un rullo di batteria (come nella versione di Quorthon), seguito da un rifting roccioso, ma meno cavernoso rispetto al pesante riverbero usato nell'originale; si prosegue quindi con al corsa ossessiva tempestata dai colpi secchi di batteria, dove interviene il greve cantato di Legion. I giri in loop sono massacranti, dando una versione violenta e frenetica del brano dei Bathory, lanciata a tutta velocità; in maniera fedele al trentacinquesimo secondo tutto si rallenta, dando spazio ad una galoppata cadenzata dove il cantante delinea l'empio ritornello tenebroso. Notiamo certe differenze rispetto l'originale, in primis la batteria meno "a cannonate" e i fraseggi distorti qui più melodici e meno roboanti; ciò è dovuto probabilmente anche alla produzione meno "sotterranea" qui usata. Inoltre compaiono in sottofondo delle tetre tastiere ad organo, le quali aumentano l'atmosfera solenne; al minuto il movimento si fa granitico in una serie di scosse telluriche devastanti  di chitarre a sega elettrica. Legion 's'intromette tra i giri massacranti con le sue rauche grida feroci in riverbero, in una cavalcata frenetica; ma dopo una cesura con rullanti riprende l'epico ritornello accattivante, creando una sezione catchy dal grande effetto. Al minuto e cinquantotto si riprende con i riff serrati e taglienti, scolpiti da colpi secchi di drumming in un andamento lanciato e imponente; al secondo minuto eventi incontriamo uno stop solenne con fraseggi altisonanti e rulli di pedale. Esso si sviluppa in chiave più incalzante sottolineato da tastiere (presenti anche nell'originale con i loro toni tetri) che ne riprendono il motivo melodico atonale; ma al secondo minuto e quarantatre prende posizione un assolo stridente e vorticante, il quale si sviluppa in scale squillanti e tecniche dilungate che ricalcano quelle presenti nel pezzo dei Bathory. Ecco che prosegue legandosi al marasma sonoro di chitarre e batteria,  mentre Legion vomita aggressivo e tagliente le sue nere declamazioni infernali ; l'atmosfera è caotica e forsennata, in un torrente sonico che travolge l'ascoltatore e lo trascina fino al terzo minuto e trentotto. Qui riprende, dopo un rullante, l'ormai familiare ritornello, lanciandolo verso il finale, questa volta coerente con quello dell'originale, in un loop ammaliante che si chiude con feedback improvviso. Il testo è un omaggio ad una figura storica molto tetra, dalla quale Quorthon ha tratto il nome per il suo progetto, ovvero Elizabeth Báthory, la contessa ungherese accusata di aver ucciso centinaia di fanciulle per fare il bagno nel loro sangue, in modo da avere l' eterna giovinezza; oggi alcuni storici dubitano della veridicità di queste accuse e pensano ad una congiura contro di lei, ma nella cultura popolare è rimasta come una spietata assassina vampiresca, qui celebrata nei suoi macabri toni da leggenda. Vestita in abiliti eleganti viola e dorati ella attende la notte, mentre ""The thought of young fresh blood makes the hours go so slow, But the yearn for eternal life and beauty makes her hazelbrown eyes glow  -  Il pensiero del sangue fresco e giovane fa trascorrere lente le ore, Ma il desiderio della vita e bellezza  eterne fa brillare I suoi occhi color nocciola." dandogli connotati sin dall'inizio perversi e malevoli, in un sanguinario desiderio di giovani vittime;  l'ora del massacro si avvicina, e si pensa ai corpi delle vittime che saranno trovati il giorno dopo, ( "And by the sunrise 60 bodies will be found raped from their blood and souls, The beauty patiently selects the victims for the night, Innocent blood will give eternal beauty eternal life - E per l'alba 60 corpi saranno ritrovati strappati del loro sangue e anime, La bella seleziona pazientemente le vittime per la notte, Sangue innocente darà vita e bellezza eterne. ") mentre la contessa seleziona le sue giovani vittime. Con uno stacco temporale si salta poi a quando il suo orribile segreto viene scoperto: essendo di famiglia nobile, scampa all'esecuzione, ma verrà confinata fino alla morte in delle stanze del Castello di  Csejte dove verrà murata; "Cold walls entombs your secrets but there's nothing you regret, Embrace death with a smile Fredde mura fanno da tomba ai tuoi segreti, ma non ti penti di nulla, Accetti la morte con il sorriso", racconta ora il testo, presentando un essere malvagio che non si pente dei suoi atti, e che abbraccia la Morte orgogliosa di quanto fatto e con un beffardo sorriso sul volto. Notiamo una certa raffinatezza narrativa che mantiene toni oscuri e sanguinosi, ma con immagini meglio delineate e più vivide, dimostrando la crescita anche a livello di testi che avvenne negli anni tra i vari album dei Bathory, sempre più lontani da facili blasfemie elementari; quest'ultime faranno però molto colpo sui gruppi scandinavi di inizio anni novanta, ma anche i testi sempre truculenti, ma più elaborati, come quello qui presentato. 

Un esordio potente e feroce per i Marduk, i quali si configurano sin dagli albori come tra gli esponenti più violenti e diretti del black metal della seconda ondata, sia musicalmente, sia tematicamente; ancora il loro stile è fortemente debitore del death metal svedese, specie nei rallentamenti e riprese fulminei e continui, e in certi passaggi morbosi rallentati, ma il cantato è più vicino allo screaming black piuttosto che al growl, e le chitarre sono fredde e sature di melodia atonale creando quelle tempeste sonore che caratterizzeranno gruppi come gli Immortal. Non manca anche una certa atmosfera maligna, anche grazie allo sporadico uso di tastiere, ma rispetto a molti cugini norvegesi qui l'azione è concentrata più sull'attacco di chitarre e batteria, e meno sulla creazione di ambientazioni aspre e lo-fi, dimostrando una minore influenza post - punk e dark ambient; la scuola svedese si dimostra quindi più diretta, tendenza che proseguirà con il tempo caratterizzandola in quello che poi con il tempo molti definiranno "norsecore". Per ora comunque non abbiamo tirate piene di blast dai connotati quasi grind, bensì un'estremizzazione dei suoni presi dal heavy metal e dal thrash più oscuro degli anni ottanta, qui velocizzati ulteriormente sotto la già citata influenza death; uno stile senza fronzoli e accattivante, che riesce a creare un'aura malvagia e tagliente che all'epoca ha colpito non poche persone, deluse dalla commercializzazione e dalle derive tecniche del death, vogliose di un suono nuovo e pericoloso. Il demo funziona, e come detto la No Fashion Records prenderà sotto di se i nostri (salvo però scaricarli dopo il loro primo album), i quali in poco tempo registreranno il loro album "Dark Endless", nel quale verranno riproposti con una produzione più professionale tutti e quattro i brani principali qui recensiti; lo stile sarà quindi ancora quello di un (usando un termine moderno anacronistico) "blackened death" a metà tra i due mondi, proseguendo questo periodo da zona grigia che caratterizzerà gli albori dei nostri, che man mano sposteranno le coordinate verso un black più definito, ma che conserverà una certa feroce irruenza rispetto ai colleghi norvegesi. A dire il vero comunque dovranno passare anni prima che i Marduk siano considerati tra i grandi nomi del genere, rimanendo al momento un po' in ombra rispetto ad altre band; a poco a poco scaleranno però le posizioni di fama e gradimento, anche grazie alla fuoriuscita della scuola svedese e alla tenacia del leader Evil, che spingerà sempre più il gruppo anche tramite una serie di concerti in compagnia  di grossi nomi come gli Immortal. Ma questo è il futuro: per ora parliamo di una piccola, ma combattiva realtà che ha deciso di marchiare il mondo del metal con la sua presenza blasfema, iniziando una discografia che va avanti tutt'oggi a più di vent'anni di distanza, fondata su diversi dischi che creeranno fan fedeli e detrattori (quest'ultimi soprattutto tra gli amanti delle variante più malinconiche e atmosferiche), ma che allora doveva lottare come molte altre band per emergere. Prosegue dunque la storia dei nostri nelle prossime recensioni!         

1) Intro: Fuck Me Jesus        
2) Departure From The Mortals     
3) The Black...           
4) Within The Abyss
5) Outro: Shut Up And Suffer        

Bonus Osmose 1999:

6) Dark Endless
(Re-recorded)        
7) In Conspiracy With Satan
(Bathory cover)                    
8) Woman Of Dark Desires
(Bathory cover)  

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