MANILLA ROAD
Crystal Logic
1983 - Roadster
CRISTIANO MORGIA
09/08/2022
Introduzione Recensione
Lo sappiamo bene, l'Epic Metal è sempre stato uno dei figli dell'Heavy Metal più messi da parte, con pochissime band che sono riuscite a farsi conoscere ad un pubblico ampio, ma altresì ricco di band che nonostante la sfortuna sono riuscite a ritagliarsi il proprio spazio e la propria cerchia di fan affezionati. In questo contesto fatto di guerrieri poderosi, mitologia, fantasy e Storia, i Manilla Road sono sicuramente tra le band più conosciute, una di quelle che portano alto lo stendardo del genere e ne hanno plasmato gli stilemi. Sì perché in quanto a popolarità non stiamo certo ai livelli dei Virgin Steele o addirittura dei Manowar, ma parliamo lo stesso di un gruppo che è riuscito a sfornare una manciata di album definitivi e imprescindibili per l'Epic Metal; e diciamo pure che nel corso dei decenni hanno mantenuto una certa attitudine e stile, riuscendo quindi a sfornare album quasi fino alla fine. Fine che coincide con la morte del fondatore e leader indiscusso Mark "the Shark" Shelton nel 2018. Ma andiamo per ordine. I Manilla Road si formano nel 1977 a Wichita in Kansas, grazie proprio a Shelton, al bassista Scott Parker, al batterista Benny Munkirs e al chitarrista Robert Park. Certo, le premesse non sembrano ottime per la nascita di un gruppo Epic. Nascita al centro degli Stati Uniti, un nome che sa di tutto tranne di Epic? In effetti, il nome della band venne fuori da una serata alcolica passata a vedere uno show di Monty Python. Eppure sappiamo com'è andata. In ogni caso, la band all'inizio non si può definire proprio Epic, visto che i primi due album "Invasion" (1980) e "Metal" (1982) mostrano un suono ancora molto hard rock, se non addirittura space o progressive rock, anche se va detto che nel secondo comincia a vedersi qualcosa di ciò che sarà, e basta anche leggere i titoli dei brani per rendersene conto. Tuttavia, non è ancora qui che la band getta le fondamenta per l'Epic Metal. Diciamo che stava raccogliendo i materiali necessari. Tutto sembra essere pronto nel 1983, quando vede la luce l'album che andremo a recensire, ovvero il leggendario "Crystal Logic". Troviamo ancora Shelton e Scott Park, ma rispetto ai primi momenti della band alla batteria troviamo Rick Fisher, mentre non c'è più un chitarrista ritmico, e questo ha permesso allo Squalo di dedicarsi completamente alle chitarre, che siano ritmiche o soliste. Che dire, è con quest'album che la band trova la sua vera natura, ma bisogna anche aggiungere che è qui che troviamo uno dei primi manifesti dell'Epic Metal tutto. L'anno precedente era uscito "Battle Hymns" dei Manowar - ancora acerbo anch'esso per certi versi, ma con un'iconografia e due canzoni Epic Metal al 100% - sempre nel 1983 escono anche "Guardians of the Flame" dei Virgin Steele, "Into Glory Ride" ancora una volta dei Manowar, che stavolta confezionano un album totalmente Epic, e l'EP "Deliver Us" dei sfortunatissimi Warlord. Ecco quindi il gruppo di band che ha poggiato i pilastri di questo sottogenere glorioso e solitario, ognuna di queste band con il suo approccio unico. Altre band, tra l'altro, avrebbero detto la loro di lì a poco. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che "Frost and Fire" dei Cirith Ungol è addirittura del 1981, ma parliamoci chiaro, qui vale lo stesso discorso dei primi due album dei Manilla Road. Comunque, per apprezzare al meglio quest'album, entriamo nei suoi meandri.
Prologue
Prima di entrare davvero nel vivo, i Manilla Road piazzano una breve intro narrata, che ha il merito di farci subito capire quali saranno le atmosfere e i temi trattati nell'album. All'inizio sentiamo soltanto oscuri sustain di chitarra, i quali sembrano far scendere il buio intorno a noi, mentre con spada alla mano avanziamo attraverso l'ignoto. Dopo poco è Mark a comparire dal buio, con la voce filtrata in modo da farlo sembrare qualcun altro, magari di poco umano. Egli ci indica la nostra posizione: "Nelle nebbiose giungle dello Stige si nasconde la perduta città dei morti, la tomba degli antichi re, l'antico cimitero di Volusia: Necropolis". Volusia sembra proprio un nome uscito fuori da un fantasy - visto che ricorda tantissimo la Valusia di Kull - ma in realtà abbiamo una necropoli di Valusia proprio in Italia, a nord di Roma per l'esattezza. Magari Mark ne era a conoscenza, altrimenti sembra una coincidenza troppo grande, oppure chissà, era solo un modo per eludere i diritti d'autore e non menzionare Valusia? Chissà.
Necropolis
In un attimo il riff leggendario di "Necropolis" ci colpisce come una spinta nel buio, non abbiamo nemmeno il tempo di rendercene conto che la canzone parte con un ritmo veloce e incalzante sul quale spicca la voce nasale e particolare di Mark, che all'inizio può sembrare strana, ma più passano i secondi più ci rendiamo conto della sua forza narrativa. La prima strofa riprende in parte quanto detto nel prologo: il guerriero, simil-Conan me lo immagino, vaga attraverso le giungle del fiume Stige, che è un fiume presente proprio nell'universo del barbaro cimmero, e si ritrova circondato da strutture realizzate da qualcuno, non sono più gli alberi e la vegetazione fitta, bensì mura e tetti dietro i quali si nascondono ombre. Il guerriero dunque è "Perso a Necropolis". Proprio così recita il ritornello, tre parole molto semplici e ripetute che però restano in testa e viene subito voglia di cantare col pugno al cielo. Non c'è tempo da perdere però, perché il nostro Conan si rende conto che bisogna andarsene al più presto, c'è anche puzza di stregoneria nell'aria: "Ora so com'è stare dentro alla città dei morti, tutto ciò a cui penso è scappare dagli incantesimi incatenati alla mia testa". Chiunque conosca il personaggio, conosce bene la sua avversione per la stregoneria, la sua invece è una via di spada e ascia, ed è grazie a loro che seguirà la luce per uscire questo buio cimitero. Il ritornello spunta nuovamente e sembra essere più vigoroso di prima, come per ribadire la situazione drammatica da cui bisogna fuggire. Terminato il refrain, riascoltiamo il riff di apertura, ma stavolta ci conduce ad un rallentamento epico in cui la batteria sembra scalpitare per ripartire ancora una volta a tutta velocità ed è tenuta calma solo dai versi enfatici cantati dallo Squalo. Tuttavia, anche quest'ultimo decide di ripartire a briglia sciolta e lo fa con un assolo che si inserisce bene sulle ritmiche veloci di Fisher. Siamo quasi fuori dalla necropoli, ma c'è ancora un po' di tempo. C'è una tomba diversa dalle altre, sembra più antica, costruita con uno stile perfetto ed equilibrato. Bisogna entrare per vedere cosa c'è: "Nella cripta dei Re Atlantidei, ho trovato ciò che stavo cercando: il Tridente Magico del Mare di Volusia. So che è come vivere in un sogno". Ecco allora che la quest di Conan termina, così come termina questo brano di apertura, che è già un manifesto imperituro della band e di tutto l'Epic Metal. Cominciamo bene!
Flaming Metal Systems
Proseguiamo con un brano che dalle ristampe dal 2000 in poi appare come "bonus track", che però stranamente lo troviamo nella terza posizione della scaletta. Come mai? "Flaming Metal Systems" (Sistemi di Metallo Volanti) fece la sua prima apparizione sulla raccolta "U.S. Metal Vol. III" proprio del 1983 per Shrapnel Records. Come si può immaginare, era una raccolta di brani di diverse band (non band affermate ovviamente). Evidentemente la band era abbastanza affezionata al pezzo, visto che, come già detto, nel 2000 viene inserita su "Crystal Logic", e non alla fine come capita per tutte le bonus track, bensì praticamente all'inizio dell'album, a testimonianza del fatto che la canzone vuole essere parte di esso, non un'aggiunta messa alla fine. L'inizio della canzone è tutto uno shredding impazzito di Mark, che lascia la sua chitarra a briglia sciolta, e lei corre velocissima. Dopo più di un minuto sentiamo i primi riff, e notiamo anche la produzione è leggermente diversa da quella del brano precedente (per la questione spiegata pocanzi), leggermente peggiore a dire la verità, ma poco male, perché quando i suddetti riff lasciano il posto ad un altro assolo - stavolta meno "sbrodolato" e più liberatorio - e il brano acquista le fattezze di una bella cavalcata, non possiamo far altro che lasciarci andare. Già dalla prima strofa, che è impossibile non adorare, scopriamo il significato del titolo, che non ha nulla a che fare con il metal: "Attenzione, lo shrapnel vola fiammeggiando nella notte, questa notte, stanotte! La febbre per il sangue sale, il fulmine colpisce dal cielo, questa notte, stanotte!". Mark parla di ben altri pezzi di metallo che volano, parla del proiettile shrapnel, famoso per essere ripieno di sfere metalliche che aumentano il suo raggio distruttivo. Una canzone battagliera dunque, che però cita anche la casa discografica che ha licenziato la raccolta in cui il brano era presente originariamente. In ogni caso, il ritornello non si fa attendere molto. La sua carica resta inalterata e non vuole assolutamente interrompere la galoppata, però risulta essere leggermente più lento, soprattutto grazie ai riff, e questo permette un approccio più ragionato che ovviamente favorisce la resa di un ritornello che nonostante sia abbastanza lungo è facile da ricordare. Chiaramente anche qui abbiamo un inno al proiettile, il quale vola dopo che un comandante baffuto dà l'ordine di spararlo da dietro una trincea. Dall'altra parte, i poveri soldati, anch'essi in trincea, ne temono l'arrivo temendo di essere dilaniati dalle sue sfere roventi. Una nuova strofa e riparte la galoppata verso le fiamme, un altro ritornello e ci prepariamo a sganciare un nuovo proiettile verso le trincee nemiche, ormai coperte dal fumo proveniente da innumerevoli esplosioni precedenti. L'ennesimo assolo rende il tutto ancora più concitato e elettrico, e un nuovo ritornello ci fa alzare nuovamente i pugni al cielo. Tuttavia, accompagnata da un altro assolo (sì, la canzone è piena di parti solistiche) la canzone pare rallentare improvvisamente e ci porta verso la parte più memorabile del brano, quella che davvero va cantata a squarciagola durante i concerti, duettando con il cantante: "Il fulmine colpisce, il martello di Thor? sistemi fiammeggianti di metallo! I titani si scontrano, i cannoni ruggiscono? Sistemi fiammeggianti di metallo! Navi d'acciaio, pira funeraria?" Un finale col botto che fa finire questa "bonus track" tra i pezzi migliori dell'album e uno dei brani più eroici della band.
Crystal Logic
Siamo solo a inizio disco ed è subito ora di un altro pezzo incredibile, cioè quello che dà il titolo all'album "Crystal Logic" (Logica del Cristallo). Il riff d'apertura è lento e oscuro, ma la band non perde occasione per ripartire con un'altra cavalcata frizzante in cui spicca sempre la voce nasale del cantante, il quale stavolta, con i suoi versi che si alternano repentinamente, si scaglia contro chi fa parte della lega di Satana e non berrà mai dalla Fonte. Come recita il brevissimo ritornello, infatti, ciò che si troverà lì dentro sarà la Logica del Cristallo. La seconda strofa ci permette di avere una visione più chiara del testo, e vediamo che Mark chiama in causa addirittura Dio, il vero baluardo contro Satana, e così facendo la band fa capire di non voler seguire la strada intrapresa da certo metal precedente e/o contemporaneo (vedi Venom e altri), ma di interessarsi ad altre tematiche e alla ricerca del bene e della ragione: "La Magia di Dio brilla così forte, con la Spada di Fuoco e Luce la pazzia non potrà mai vincere. Se tu sei puro di mente non abbandonare mai la lotta, e tu non brucerai nel peccato". Delle parole sorprendentemente cristiane, ma ciò non deve stupire molto, visto che anche i colleghi Warlord avrebbero intrapreso una strada simile, e dopotutto uno dei poemi epici più importanti di sempre è il Paradise Lost di John Milton. La canzone scorre molto velocemente, ma dopo questa seconda strofa il ritornello cambia faccia, riportando alla luce la lentezza sulfurea del riff di apertura, come se le menzogne di Satana cominciassero ad entrare nella mente dell'Uomo e a portarlo verso l'oscurità. Per ora niente da fare però, visto che il ritmo torna ad essere veloce, riproponendo l'alternanza tra le due strofe e il ritornello che alla seconda ripetizione propone un rallentamento. Quest'ultimo stavolta continua e dura non poco, in effetti si propone come vero e proprio rallentamento centrale della canzone, con Mark che canta versi declamatori e orgogliosi, di chi è sicuro che non cederà mai al Male e seguirà sempre, la luce, la logica e la ragione: "Oh signori dell'oscurità, attenti alle nostre canzoni, poiché loro vi distruggeranno e salveranno solo i forti. C'è il bene e c'è il male, non c'è niente nel mezzo, poiché noi uccideremo il male con la logica". Segue dunque un assolo stratosferico del buon Mark, che si va ad inserire proprio su queste ritmiche rallentate e quasi opprimenti, non alterandole ma facendole proprie. Quasi sicuramente l'assolo migliore dell'album, ma anche uno dei migliori dello Squalo in assoluto. La canzone potrebbe quasi concludersi così, ma perché concludere con quest'atmosfera cupa? Ripartiamo veloci quindi, per un'ultima cavalcata che ci porta fino alla fine della canzone, che è un altro manifesto perfetto dell'album.
The Riddle Master
"The Riddle Master" (Il Maestro degli Enigmi), altro pezzo simbolo dell'album - ma è difficile trovarne uno che non lo sia. Pure qui l'inizio è sulfureo e opprimente, con un riff cadenzato impreziosito da un gong che rende l'atmosfera decisamente particolare. Rispetto al brano precedente, però, qui il tempo cadenzato rimane, trasportandoci in una valle circondata da alte e scure formazioni rocciose che bloccano la luce e ci costringono a seguire il sentiero davanti a noi, che porta verso luoghi sempre più bui. Il testo, dopotutto, è altrettanto misterioso: "Cosa giace nei sotterranei delle paure degli Uomini Santi? Per cosa i re tremano e gli uomini affogano nelle lacrime? Cosa porta morte e piacere, crescita e sfacelo? Cosa rende la vita degna di essere vissuta? Chi è il padrone oggi?". Versi criptici, enigmatici, come suggerisce il titolo, parole scritte su una nota che viene fatta scorrere sotto la porta del narratore/cantante (come recita la seconda strofa). È proprio il riddle master ad averle scritte, per mettere alla prova il protagonista, il quale però non sembra molto contento di questo, come testimoniano i famosi "no no no no" ripetuti, disperati e graffianti del ritornello. Qual è la risposta all'enigma? Il protagonista deve trovarla, e le due strofe che seguono, sempre cadenzate, ci parlano proprio di questa sua cerca, che però sembra proprio essere infruttuosa. Dopotutto il maestro degli enigmi non sembra essere l'ultimo arrivato? è Lucifero in persona. Dopo questa rivelazione scioccante, Mark può lasciarsi andare ad uno dei suoi assoli, mentre la sezione ritmica resta salda su quanto proposto finora, confermando l'atmosfera opprimente e sulfurea. Ancora per poco però, visto che c'è spazio per una galoppata che arriva a sorpresa, quando meno uno se l'aspetta. È la risposta del protagonista alla rivelazione, la volontà di vincere quando la partita sembra persa. Certo, c'è comunque confusione, ma bisogna combattere, sia metaforicamente sia praticamente. Come quando nei versi si legge di combattere con la spada contro la figlia dell'Inferno, che sembra quasi una delle tipiche difficoltà di una classica quest. Sconfitto il demone, il protagonista ha un'illuminazione: "E poi venne da me, come in un sogno ad occhi aperti, la risposta doveva essere la Realtà". Ecco allora che Satana si ritrova sconfitto e, seduto sul suo trono fiammeggiante, guarda il vincitore della sfida, la persona che è riuscita a risolvere l'enigma: è stato sconfitto da un semplice uomo. Così com'era cominciata, l'accelerazione svanisce improvvisamente, lasciando solo fumo e puzza di zolfo.
Feeling Free Again
Con "Feeling Free Again" (Sentirsi Nuovamente Liberi) abbiamo a che fare con il brano più debole dell'album, anzi, con il brano più debole dei Manilla Road da qui ad almeno "The Courts of Chaos". La canzone in sé forse non è neanche malaccio, ma messa in un album del genere stona tantissimo. Vediamo meglio perché. La fuga solistica di Shelton posta in apertura fa quasi pensare ad un'altra "Flaming Metal Systems", e anche il riff che segue non è male, il problema è che quando il brano parte per davvero, con la prima strofa, scopriamo che questo è uno di quei brani hard rock edonistici tipici del decennio precedente: "Ho una predisposizione per il piacere, ho una predisposizione per il dolore, ho una predisposizione per te ragazza, hey baby, mi sento libero di nuovo". Stesso discorso con la strofa che segue. Ci immaginiamo quasi un ragazzo in moto che si atteggia a bad boy per conquistare l'ingenua ragazza di turno che però, alla fine, lo cambierà. Il ritornello, molto melodico e positivo, sembra parlare proprio di questo, visto che il protagonista afferma di non aver mai pensato di potersi sentire in questo modo. In poche parole: innamorato. Fortunatamente Mark riesce a risollevare leggermente le sorti di questo pezzo con un altro bell'assolo, che però non riesce comunque a farci venire voglia di promuovere questo brano oppure di non saltarlo la prossima volta che prenderemo in mano questo CD. C'è però una strofa interessante nella canzone, una strofa che riesce a spostare la canzone verso le tematiche dell'album, più o meno almeno: "Ho una predisposizione per la Magia, Ho una predisposizione per i giochi, ho un amore per la vita ragazza. Hey baby, mi sento di nuovo libero." È chiaro quindi che ormai il dado è tratto, Mark potrà pure sentire un'attrazione per il rock degli anni '70 con le sue tematiche più spensierate, ma ciò che preme per uscire è tutt'altro. In ogni caso, un brano che salto ogni volta che ascolto "Crystal Logic", a volto mi scordo anche che esiste! È tuttavia una testimonianza storica del percorso della band.
The Ram
Lasciatici alle spalle un pezzo di cui non sentiremo la mancanza, veniamo colpiti dalla potenza dell'Ariete "The Ram", che ci riporta verso lidi metal. Il riff è decisamente accattivante e procede imperterrito senza preoccuparsi di inserire qualche abbellimento o virtuosismo, vuole solo mostrarsi deciso e robusto, un po' come un ariete. Le linee vocali, invece, sono piuttosto melodiche e leggere, ma pure qui riescono a portare una certa aria di mistero, come nella seconda strofa: "Oltre le montagne, perduto nella sabbia, la statua d'oro dell'ariete." Difficile dire di cosa si tratta, però leggendo queste parole viene in mente la cosiddetta statua dell'ariete nel boschetto, conservata nel British Museum e trovata tra il 1928 e il '29 tra le rovine di quella che un tempo era l'antica città di Ur. Ecco allora che Mark ancora una volta ci porta lontani nel tempo e nello spazio, confezionando poi un ritornello molto melodico che valorizza anche la sua particolare timbrica. Una fuga solistica e si riparte col riff portante e con un'altra accoppiata di strofe, le quali purtroppo non ci danno un'illuminazione sul significato del brano, che resta fermo su versi che appaiono sibillini e dal vago sentore misterico/religioso: "Combatti il fuoco col fuoco, dai l'inferno ai dannati, lunga vita al desiderio, lunga vita all'Ariete." Questi versi in particolare mi fanno quasi pensare al culto di qualche idolo dimenticato, più antico delle divinità conosciute, un po' à la Lovecraft insomma. Dopotutto nel corso della carriera Shelton non ha mai nascosto la sua passione per lo scrittore americano. In ogni caso, il ritornello melodico fa nuovamente la sua comparsa, dicendo che il costo per seguire questo apparente culto è la mente. Ecco allora che le pulsioni "lovecraftiane" rifanno capolino, ma potrebbe anche essere solo una mia suggestione che fatica ad andarsene via una volta che è nata. Comunque, se il costo è così alto, e se bisogna perdere la propria mente, meglio fuggire. Quale miglior modo se non con una bella accelerata e un assolo altrettanto veloce? Come per "Riddle Master" la band lascia l'accelerazione alla fine, ma stavolta è tutta dedicata all'assolo, il quale striscia tra le sabbie e scappa il più lontano possibile dall'Ariete. Finale affidato alla chitarra dunque, che chiude un buon pezzo che forse è leggermente inferiore ad altri mostri sacri qui presenti.
The Veils of Negative Existance
Il brio di "The Ram" lascia presto il posto al riff dal sapore doom e l'atmosfera sulfurea di un'altra perla dell'album, la quale risponde al nome di "The Veils of Negative Existance" (I Veli dell'Esistenza Negativa). Già il titolo parla chiaro, e si sposa benissimo con la musica proposta; anche la voce di Mark in effetti è a tratti più bassa e, ma non è una sorpresa, con un forte gusto narrativo. La prima strofa ci porta subito in altri mondi, e vediamo una nave che solca delle acque grigie circondate da nebbie: "Navigo i mari della negatività, per bandire il male da questo luogo, combatto con la spada di fuoco e fulmine, sono il guardiano di questo luogo". Difficile non cedere al fascino di queste parole, soprattutto se si è fan di determinata letteratura e estetica. Il ritornello possiamo dividerlo in due parti: una in cui la batteria di Fisher pare dettare un ritmo più incalzate, un'altra in cui la negatività prende nuovamente il sopravvento, come le nebbie succitate che inglobano la nave del protagonista, facendo rallentare nuovamente la canzone e rendendola ancora più misteriosa se possibile. Il riff portante però non accenna a demordere e continua imperterrito nella suo incedere distaccato e cinico. Il protagonista nemmeno, verosimilmente un guerriero in una sorta di quest, accenna a demordere, poiché il suo sentiero è ormai tracciato e vendetta deve essere fatta. Niente potrà fermarlo, armato del suo scudo di cristallo, nemmeno le piogge infernali. Riecco quindi il ritornello "spezzato", che grazie alla sua doppia faccia rende il tutto più variegato e fluido, e inoltre grazie alla suo rientro repentino ci fa anche capire che il brano giocherà anche nei prossimi minuti su questo schema, con strofa e ritornello così vicini, come in un'antica ballata. Comunque, la nuova strofa riesce a far demordere il riff portante, e in effetti la canzone sembra rendersi per un attimo più soffusa: ormai la nave è arrivata sulle coste dell'Isola della Dannazione, e quindi bisogna essere guardinghi e temere le urla che si nascondono dietro la nebbia. L'assolo arriva quasi per assistere il guerriero nella sua battaglia a suon di fendenti, ma non porta con sé accelerazioni di sorta, e il ritmo resta lento e crepuscolare: pare di vedere il guerriero con la sua spada, ma non lo vediamo bene a causa della nebbia che copre l'isola. C'è tempo per un'ultima ripetizione del ritornello, che ora però dà vita a una marcia fiera ed epica: "Dentro l'oscurità, tra i piani, una dimensione tesseratto, pochi ne conoscono il nome. Su Prydwen, la mia nave dalle vele argentate, Excalibur al mio fianco, noi non falliremo!" Ergo, grazie alla menzione di Prydwen e la più celebre Excalibur, capiamo che il protagonista altri non è che Re Artù, magari pronto a tornare tra i vivi dopo il suo lungo sonno, pronto a guidare l'umanità verso una nuova età dell'oro. Gran pezzo.
Dreams of Eschaton
Arriviamo allora all'ultima canzone dell'album, che poi è anche la più lunga. "Dreams of Eschaton" (Sogni di Eschaton), è una canzone che si differenzia un po' dalle precedenti, visto che i discorsi mitologici vanno a mischiarsi con paure attuali, o che per lo meno erano attuali nel 1983. Anzi, diciamo che sono attuali ancora adesso e siamo tutti d'accordo! La parola eschaton/eschatos infatti porta all'italiano escatologia, ovvero una dottrina che studia o indaga sul destino dell'Uomo, che in molte religioni e mitologie dovrà affrontare la fine del mondo prima o poi. Ma andiamo per ordine. L'inizio del brano è soffuso e acustico, gli accordi sono bellissimi e hanno un che di nostalgico e quasi sereno, una sensazione che viene amplificata non appena Mark, con voce "doppia", comincia a narrare le visioni del suo sogno. Il tutto ha un certo gusto anni '70, ma soffermiamoci un attimo sulla seconda strofa: "Mi svegliai, il sudore colava sulla mia faccia, non mi ero mai sentito così strano. Pensare che questo potrebbe essere il nostro destino, di ghiacciare in un dolore oscurato. Poi il sonno mi riportò i sogni, di guerre che cambiano le sorti? il mondo che commette un suicidio nucleare." Ecco allora che quanto ho scritto poco più su acquista un senso, e la paura "attuale" è proprio quella di una guerra atomica che distrugge ogni cosa. A questo punto la magia acustica viene investita dall'onda d'urto di un riff galoppante e inarrestabile, che, anch'esso, cambia le sorti della canzone, facendone uscire un lato metal sì narrativo ma anche preoccupato e quasi ansiogeno a tratti. Mark nelle due strofe gemelle che seguono ci dice che un evento del genere è stato chiamato in molti modi nel corso dei secoli - dato che ogni cultura parla della fine del mondo - e che l'anticristo (nella versione cristiana) è pronto ad alzarsi dalle acque per portare a compimento il suo destino. Le linee vocali del ritornello sono leggermente più melodiche, ma non necessariamente più pulite, e servono per mostrare un altro volto della fine di tutto: "Prima che gli dèi dell'Inferno ti condannino a morte, ricorda bene amico mio che un signore della guerra non piange mai. Queste sono le parole che ho sentito nella mia mente, quando il Ragnarok giungerà nessuno di noi avrà più tempo." Il riff galoppante e imperterrito continua rimanendo ovviamente fedele alla sua natura, ricordandoci che il destino ormai è segnato e stiamo andando tutti verso quella direzione, a meno che? Mark propone una soluzione che è alquanto ottimistica e fantasiosa, ma che comunque è in linea con la poetica del gruppo e forse sotto sotto piacerebbe a tutti, soprattutto nei momenti di crisi totale, tipo quello in cui scrivo, tra pandemie, guerre e cambiamento climatico: "E io dico a te, guarda i cieli in alto, poiché quando l'oscurità cadrà e i fiumi si trasformeranno in sangue, allora Artù tornerà per combattere per la pace e la verità, per uccidere la bestia dell'Inferno e salvare i pochi giusti". Ecco allora che c'è spazio anche per un po' di tradizione celtica e per un personaggio a cui Mark è evidentemente legato. Un moto di speranza ci invade e il ritornello fa la sua comparsa proprio nel momento giusto. Eppure, l'attenzione si sposta subito verso l'assolo psichedelico e a doppia traccia che, sorretto da un buonissimo lavoro di basso, ci accompagna per più di tre minuti tra le fiamme dell'Apocalisse e del Ragnarok messi insieme, con la speranza però che Artù ci salvi. Cala il silenzio in effetti, il mondo è distrutto e vuoto, resta solo un solitario pianoforte a narrarne le macerie, e c'è un ultimo breve ma intenso momento in cui Mark può dire "sic transit gloria mundi" seguito da un grido acido e disperato. Con la fine del mondo passa pure la gloria di Crystal Logic. Non che sia finito per sempre ovviamente, possiamo sempre rimettere il CD e sentircelo da capo! Fatto sta che l'album finisce e possiamo trarre le conclusioni.
Conclusioni
Da qui passa la storia dell'Epic Metal. Potremmo quasi concludere così la recensione. Già dalla copertina, veniamo catapultati in luoghi fuori dal tempo e soprattutto fuori dall'ordinario, ed è proprio quest'ultimo uno dei punti forti di questo genere, il quale ci fa vivere situazioni che non potremmo mai vivere altrimenti, se non leggendo o guardando film o quadri e così via. Insomma, l'Arte in generale a questa capacità. La musica però, grazie alla sua immaterialità riesce, secondo me, a penetrare ancora meglio all'interno di noi, rendendo tutto più profondo e, paradossalmente, più tangibile. Alla fine è tutto collegato: letteratura, musica, immagini? Diciamo quindi che non è solo la musica, che comunque da sola basterebbe a definire il concetto di epicità, ma è tutto il pacchetto. Come dicevamo, già la copertina è abbastanza eloquente, ma anche aprendo la custodia ci ritroviamo davanti un teschio dai capelli lunghi e un elmo. Il senso della vista quindi è soddisfatto così. I testi poi vanno a chiudere il cerchio e confermano le sensazioni nate non appena abbiamo preso il CD in mano. Suddetto discorso, tra l'altro, può essere fatto anche per gli album Epic contemporanei a questo. Nella storia dei Manilla Road, "Crystal Logic" è l'album della svolta, come abbiamo già detto all'inizio, perché è proprio qui che inizia il periodo classico e d'oro della band, ed è qui che vengono abbandonate definitivamente tutte le pulsioni hard rock e psichedeliche che rendevano la band di Mark una band abbastanza anonima se vogliamo, una band che non sarebbe arrivata da nessuna parte se avesse continuato su quella strada. Ok, diciamo che su "Crystal Logic" c'è ancora "Feeling Free Again", la quale mostra chiaramente i segni di ciò che la band faceva in precedenza, quindi quello stile non viene abbandonato proprio del tutto, ma è anche vero che è un brano che nessuno si fila più! Diciamocelo. L'importanza e la bellezza dell'album sta in tutte le altre tracce. È un po' come per "Warlord" dei Manowar in "Into Glory Ride": sembra un po' un brano fuori posto se comparato all'imponenza di tutto il resto, ma - a parte che è comunque migliore rispetto a "Feeling Free Again" - è testimone di un passaggio da una fase ad un'altra. Ergo, "Feeling Free Again" dobbiamo tenercela lì purtroppo, dicendoci che ha un'importanza storica. Poi si salta e facciamo finta che nell'album non ci sia. Per fortuna, d'altro canto, un brano che invece non era presente è stato poi aggiunto. Parlo ovviamente di "Flaming Metal Systems", la quale fa ormai parte dell'album da più di 20 anni ed è un classico al pari di altri pezzi. Certo, si sente la produzione leggermente diversa (peggiore), però poco male, ce la facciamo andare benissimo così. Ecco, non possiamo dire che quest'album abbia chissà quale produzione, ma diciamo che anche qui va bene così, visto che forse il fascino dell'album deriva anche dalla produzione un po' retrò. Detto questo, dopo quest'album la vena creativa di Mark Shelton non era certo finita, anzi? Ne parleremo con "Open the Gates".
2) Necropolis
3) Flaming Metal Systems
4) Crystal Logic
5) The Riddle Master
6) Feeling Free Again
7) The Ram
8) The Veils of Negative Existance
9) Dreams of Eschaton