LOU REED & METALLICA

The View

2011 - Warner Bros. Records

A CURA DI
MARCO PALMACCI
22/08/2016
TEMPO DI LETTURA:
6,5

Introduzione Recensione

Che "Lulu" non sarebbe stato l'apice della carriera dei Metallica, tutti lo avevano intuito già dalla pubblicazione del singolo di lancio, "The View", brano scelto per fungere da cerimoniere-apripista del pocanzi citato disco. Un'operazione di certo coraggiosa ed inusuale, per una band estrema, quella di voler collaborare con un personaggio del calibro di Lou Reed. Grande interprete e profeta del Rock più particolare, sperimentale; una proposta, quella di Reed, non per tutti. Meno accessibile dei furiosi ed immediati riff di "Master of Puppets" o "Kill 'Em All". Una musica più sofferta, quella dell'illustre collaboratore dei Four Horsemen. Più viscerale, lisergica, trascendentale, per molti inarrivabile. Chiariamoci, quest'ultima dissertazione non vuol certo configurarsi come un panegirico in onore del buon Lou e come un'invettiva archilochea ai danni dei Metallica. Si tratta solamente di "dividere in due" le metà che andarono a comporre "Lulu", due metà almeno sulla carta per nulla conciliabili. Del resto, non è raro (ma non SEMPRE possibile) che chi ami Reed non impazzisca per i Metallica, ed anche viceversa. Questo perché, alla fin fine, il mondo della musica Rock e Metal è a dir poco sconfinato. Ce n'è veramente per tutti, senza distinzione di credo o personalità. Chiunque può essere accontentato, basta in fin dei conti saper cercare, e legarsi successivamente a ciò che si sente più in linea con il proprio modo di essere, di pensare. Cosa succede, però, quando si cerca di unire quasi "forzatamente" fra di loro due mondi, anche se questi potrebbero in alcuni casi non essere necessariamente agli antipodi? La storia insegna, diverse volte l'esperimento riesce. Basterebbe ricordarsi dei Celtic Frost di "Into The Pandemonium", capaci di unire fra di loro orchestra, new wave, goth e Metal, in un ibrido folle che solo inizialmente non venne capito, ma che fu destinato in seguito a divenire un punto saldo e fermo per ogni amante del cosiddetto Avant Garde Metal. Per non parlare dei norvegesi Ulver, slegatisi passo dopo passo dal Black Metal delle origini per perdersi in eteree e trascendentali sperimentazioni. Chi avrebbe mai immaginato un disco come "Shadows of the Sun", rimanendo memore di album come "Bergtatt.."? Ben pochi. Capolavori realizzati, tuttavia e ad onor del vero, quando la mente del gruppo è stata "lasciata sola" e libera di seguire le proprie inclinazioni del momento. Maturare passo dopo passo, lasciando scorrere la propria personalità artistica. Voler sperimentare facendo subentrare un collaboratore esterno, invece, si dimostra tutt'altra cosa, sempre. Due "galli nel pollaio", due menti indirizzate verso lidi differenti, che troppo spesso debbono conciliare "a forza", non lasciando spazio ad un qualcosa di genuino e veritiero; troppo spesso, i risultati che ne conseguono si configurano in un qualcosa di raffazzonato e fin troppo "adattato", piegato sotto i colpi di una onnipresente "ragion di stato". Elemento, quest'ultimo, che ha forse minato la buona riuscita del prodotto "Lulu", già perentoriamente stroncato dall'audience ancor prima di debuttare nella sua interezza. Il singolo "The View", citato in apertura di articolo, funse infatti da "punta dell'iceberg", da segnale infausto, da presagio. Si trattò di un fulmine a ciel sereno, più che rivelarsi un concreto e rassicurante indizio su di una collaborazione certamente particolare, ma anche affascinante, sotto molti aspetti. E dire che la confezione iniziale era stata curata nel dettaglio: "The View" fu infatti associato ad un videoclip girato nientemeno che da Darren Aronofsky, già autore di film memorabili come "Requiem For A Dream", "The Wrestler", "Noah" ed "Il Cigno Nero". Non certo l'ultimo arrivato, quindi. Un regista in odore di premio Oscar, un professionista stimato e rispettato, autore di pellicole molto sentite ed emozionanti, particolari. Il tutto, sul lato musicale, unito ad un nome imponente come quello di Lou Reed. Più il naturale clamore che il monicker "Metallica" è da sempre capace di suscitare. Eppure, quel tre dicembre del 2011, la pubblicazione del video su "Youtube" rivelò in toto la debolezza della collaborazione. Il numero dei dislikes superò di circa la metà quello dei likes effettivi, ed ovunque cominciarono a piovere critiche negative, anche se la stampa di settore si rivelò assai più clemente. Dunque, prima di scendere nel dettaglio dell'intera operazione ed analizzare in maniera assai più imponente un album controverso come "Lulu", buttiamoci alla scoperta di questo singolo, cominciando a prendere confidenza con il prodotto che ci appresteremo a recensire nella prossima uscita. Let's Play!

The View

"The View (La Prospettiva)" viene dunque aperto da un colpo di crash poderosamente vibrato da Ulrich, il quale inizia dunque a portare il tempo battendo sul suddetto piatto, battendo con precisione anche sul rullante. Le chitarre di James Kirk, roboanti e massicce, oscure ed ipnotiche (a tratti quasi doom) ben si sposano con la voce declamatoria e "malata" di un Reed particolarmente sul pezzo. Con fare sciamanico, il leggendario frontman sciorina i versi del pezzo, rendendo splendidamente l'idea di un'atmosfera lisergica e straniante. Un Reed che "parla" più che cantare, ma tant'è: il suo stile unico riesce a conferire una dinamica unica e particolarissima a questo brano, il quale scorre così pesante ed avvolgente, sospendendo la nostra mente in un limbo fatto di colori oscuri e strani bagliori. Il tratto più prettamente "metallicano" vien dunque fuori con l'arrivo del refrain, in cui una decisiva accelerazione muta pelle al brano, facendolo assomigliare ad un qualcosa di più vicino ai Metallica più "moderni" e meno in vena di "amarcord" (scordiamoci dunque quel che fu "Death Magnetic", in quanto viene ripreso a gran voce più di qualche stilema presente in "Load" "Reload", senza trascurare la gravità di "St. Anger". Fortunatamente, lasciando da parte la scarsa resa sonora di quest'ultimo). Passato dunque il momento più adrenalinico, i riff tornano "doomeggianti" e lo sciamano Reed può dunque fare la sua comparsa. Lars continua a picchiare i suoi piatti, l'ex Velvet Underground a dispensare versi malati, Trujillo a macinare tempi allucinanti mentre Het fa il suo dovere in fase di supporto ad un Hammett che si diverte a far ruggire la sua elettrica. Torna dunque il refrain ed i Metallica, passata la strofa, tornano ad accelerare; celeberrima, all'interno proprio del ritornello, la frase "i am the table", uno dei tormentoni che più divertirono i fan dei Metallica e non, quando il singolo fu lanciato. Ci avviamo alla conclusione, ed Hammett può finalmente sfoggiare un bell'assolo, poderoso e rugginoso quanto serve; gli oscuri e massicci riff di Het fanno da sottofondo ad una velocissima scarica di note oscure e taglienti, le quali subiscono in conclusione una brusca frenata che dunque si esaurisce nel riff portante. Il brano può dunque dirsi chiuso. Sperimentazione sui generis che, diciamolo chiaramente, fila via senza intoppi e di certo non macchia il curriculum di nessuno degli artisti coinvolti. Sembrerebbe, a tratti, di ascoltare i Christian Death uniti ai Celtic Frost del periodo "Into The Pandemonium".. qualcosa di simile, profondamente lento e languido, massiccio, pomposo a tratti ma essenziale nella sua struttura. Episodio "dark", straniante, magari non un trionfo di varietà ma nemmeno di malvagità. Il testo, di contro, risulta assai criptico e difficile da decifrare: a parlare in prima persona è un individuo intento a definirsi in più e più modi, a presentare la sua persona in mille varietà differenti. Egli è un portavoce, l'ugola principale del coro, in grado di attirarci e respingerci, quasi come se comandasse a piacimento le leggi del magnetismo; e fosse egli stesso un suadente ammaliatore, capacissimo di farci suoi ma poi di scaricarci per pura noia. Lanciandoci via, lontano dalla sua persona. Una sorta di strano edonista, il quale ci comunica che la nostra vita è troppo breve per credere nel peccato e nelle seconde opportunità. Dobbiamo cercare il bello e farlo nostro, come se questa fosse l'unica missione per la quale siamo stati messi al mondo. Vivere al massimo, apprezzare la bellezza; possederla, non solo bramarla. Dobbiamo fidarci di questo individuo: egli è la verità, egli saprà condurci al cuore di questa aristocratica bellezza.. facendo in modo di sgretolare i confini entro i quali ci siamo volutamente reclusi. La morale non ha senso, come non ce l'ha nemmeno la religione. Dobbiamo allontanarci dal popolo e seguire l'esempio di quell'angelo il quale votò la sua vita alla lussuria. Citazione, quest'ultima, che potrebbe rimandare a Lucifero e ad alcuni precetti del satanismo spirituale LaVeyano; a loro volta, direttamente mutuati da Anton attraverso l'attenta lettura degli scritti di "Crowley", il Maestro del "Do what Thou Wilt will be the whole of the Law - Fa ciò che senti, è questo il cuore della Legge". Insomma, come fu per Cristo nel deserto, anche noi veniamo tentati da una sorta di Diavolo. L'individuo misterioso vuole spingerci a cambiare, ad uccidere i nostri vecchi "noi stessi". A dubitare di tutto ciò che fino ad oggi abbiamo considerato sicuro e vero. Egli è il tutto in uno, e l'uno in tutto. Il suo è l'unico principio da seguire. Riuscirà a spingerci verso il suo mondo? Probabile ed impossibile al contempo.

Conclusioni

Giunti dunque alla fine di questo breve episodio, verrebbe quanto meno difficile giudicare la validità di un intero lavoro unicamente basandosi su di un pezzo di cinque minuti di durata. Chiariamoci: quel che abbiamo udito difficilmente calza nel nome Metallica. Sembra un qualcosa di totalmente opposto, di diametralmente contrapposto allo stile classico della band; ma anche distante anni luce dalle parentesi più moderne, per quanto alcune soluzioni ricordino, per certi versi, il famoso trittico "maledetto" (da "Load" "St. Anger"). Una scelta intelligente, dunque, quella di presentare "The View" e quindi "Lulu" non come un album dei Metallica o di Lou Reed, ma bensì come un lavoro frutto dalla collaborazione degli artisti qui coinvolti. Nessun monicker che scavalca l'altro, una mossa astuta che per lo meno ha avuto modo di non scatenare "troppo" dei fan che non esitarono un secondo a bocciare quanto abbiamo appena sentito, presi dalla stizza e dalla delusione. Sbagliando, a mio avviso. Perché giudicare male un brano come "The View" è stata un'azione più "di pancia", che ragionata. Non si può certo esaltare questo prodotto come un qualcosa di unico ed innovativo, ma non si può nemmeno cestinarlo senza appello; solo perché, difatti, si pretendeva dai Metallica un lavoro ""classico"" sulla scia di Death Magnetic. Non un nuovo "..And Justice..", ma almeno qualcosa che ci somigliasse e che riprendesse, come appunto "Death..", idee risalenti agli '80s. In troppi si dimenticano quanto il processo creativo, per ogni artista, non sia mai in rettilineo e sempre monocorde; e di quanto e le variabili da mettere in conto siano innumerevoli. Forse, ad Het e compagni, in quel momento ispirava di più un qualcosa del genere, un qualcosa che suonasse esattamente come abbiamo sentito. Quando poi hai l'occasione di collaborare con un pezzo da 90 come Lou Reed, diciamolo, non ti tiri certo indietro. Quel che è venuto fuori è un esperimento, dunque, dosato e particolare. Non si è voluto strafare né mettere troppa carne al fuoco: un brano disturbante ed ipnotico, declamatorio, lisergico. Che non è piaciuto, forse, solo perché il pubblico Metal troppo oltranzista ha voluto far la voce grossa per principio. Al solito, però, la voce grossa ha dovuto di nuovo (come fu con "Load" in poi) scontrarsi contro un muro invalicabile, quello innalzato dalla stessa band. C'è da dirlo, i Metallica hanno sempre avuto la faccia tosta di difendere ogni loro parto; per questo, andrebbero stimati a prescindere, pur nella paradossalità della situazione (difendere l'indifendibile rischia infatti di divenire presto fastidioso). Le vite di un'artista sono imprevedibili, quanto prevedibile di contro è il mercato / l'opinione pubblica. Shockando e proponendo un lavoro simile, sicuramente i furbissimi Metallica avranno anche pensato ad un eventuale vespaio che si sarebbe venuto a creare. Pubblicità, comparsate, soldi, ospitate: una bella mossa di marketing, non c'è che dire. "Mi odino purché mi temano", le velleità "caligoliane" che avevano alimentato i loro dischi più discussi stavano tornando a serpeggiare in casa Metallica, e "The View" ne è la prova. Se non altro, però, questa volta abbiamo a che fare con una sperimentazione REALE e particolare, non certo con due riff catchy e qualche ballad sui disagi adolescenziali. Sufficienza strappata, l'appuntamento è dunque rimandato alla recensione dell'intero platter. 

1) The View
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