LIZZY BORDEN

Visual Lies

1987 - Metal Blade

A CURA DI
ANDREA CERASI
15/07/2015
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Recensione

Siamo nel 1987 e i Lizzy Borden proseguono la loro marcia trionfale raccogliendo consensi un po' ovunque. "Menace To Society", rilasciato l'anno prima, era stato un successo clamoroso ed era riuscito a bissare le sostanziose vendite del debut dando possibilità alla band di imbarcarsi per un lungo tour con i Motorhead che aveva toccato ogni angolo del pianeta e gli aveva dato modo di dimostrare le proprie capacità tecniche ma soprattutto sceniche, da sempre uno dei punti di forza dei loro concerti. Di ritorno dalle date europee la band californiana decide di premere sull'acceleratore e, senza riposo ma carica di entusiasmo, si chiude in studio per la realizzazione del terzo tassello della propria discografia. Ci vogliono quasi tre mesi per registrare il nuovo lavoro, durante i quali il cantante Lizzy e i suoi compagni decidono su come proseguire e che direzione prendere, puntando dritti al mercato americano di fine anni 80 e consapevoli che anche la musica, nel giro di un paio di anni, è cambiata. All'inizio dell'autunno 1987 i Lizzy Borden licenziano l'ennesimo gioiello, "Visual Lies", più maturo rispetto agli album precedenti, più cromato e attento ai particolari dove le imperfezioni sonore vengono levigate e smussate in fase di produzione in modo tale da ottenere un prodotto più agile e dinamico, più perfetto. Da classifica appunto. Dunque l'heavy metal prende una nuova connotazione, oltre all'irruenza tipica del genere si richiede maggiore ricercatezza e allo stesso tempo orecchiabilità e pulizia, tanto che nasce un nuovo termine, coniato in Italia: Class Metal. Non a caso molte band di quegli anni cambiano direzione sonora, apportando modifiche in sede di registrazione e inserendo nuovi strumenti (come le tastiere), modernizzando il suono e adattandolo su testi più adulti. La melodia resta il punto di forza ma, nonostante una maggiore attenzione all'orecchiabilità e alla pulizia sonora, il disco in questione non perde potenza o  freschezza. La sezione ritmica, infatti, è terremotante come da tradizione U.S. Power, laddove si mette in risalto il brillante lavoro delle chitarre e l'energia di un basso dal volume altissimo. Il combo americano lascia la ruvidezza tipica dei primi due lavori e smussa gli angoli cercando di conquistare una fetta di pubblico ancora più grande e, a guardare le vendite, credo proprio che ci sia riuscito. "Visual Lies" in poco tempo vende centinaia di migliaia di copie diventando il loro disco più venduto, riuscendo a scalare le classifiche mondiali grazie al trascinante singolo "Me Against The World", che viene preso come colonna sonora del film horror "Black Roses", uscito nello stesso anno diretto da John Fasano e che vede la partecipazione del leggendario batterista Carmine Appice (Vanilla FudgeCactusKing Kobra). La formazione vede ancora un nuovo ingresso, terzo album e terzo chitarrista ritmico, si tratta di Joe Holmes, che abbandonerà la band subito dopo il relativo tour e che ritroveremo a suonare, nella decade successiva, prima con David Lee Roth e poi con Ozzy Osbourne. Per il resto la formazione rimane la stessa con Lizzy Borden al microfono, Gene Allen alla chitarra solista, Joey Harges alla batteria e Mike Davis al basso. La musica contenuta in "Visual Lies" cambia le coordinate fin qui osservate e ascoltate, la band tira fuori gli artigli, come si può vedere dall'iconica copertina che rappresenta un'evidente critica ai mass-media portavoci di menzogne, e muta ripulendosi dalla sporcizia accumulata negli anni ma senza perdere le atmosfere ciniche e grottesche da fumetto horror, da sempre marchio di fabbrica della band Los Angelina.

Un giro di chitarra abbastanza scanzonato introduce "Me Against The World" (Io Contro Il Mondo) e dopo qualche secondo esplodono le chitarre elettriche con dei riffs violenti. E' subito un colpo al cuore, una delle migliori introduzioni heavy metal di sempre, roba da alzarsi in piedi e cominciare a sfasciare tutto. La batteria e il basso caricano uno dei brani più famosi e rappresentativi del genere, poi Lizzy Borden esordisce con una voce pazzesca, dosata in modo migliore rispetto al passato e più interpretativa. Le strofe sono veloci e belle cariche, la sezione ritmica è magnifica in ogni minimo particolare, ma si nota subito una particolare attenzione alla melodia, ideata per conquistare l'attenzione dell'ascoltatore e scaraventarlo nel vorticoso ritornello che toglie il fiato per quanto è affilato. L'assolo di Allen è semplicemente sublime, futuristico e dai toni trionfali, roba che mette i brividi sulla pelle per poi lasciare spazio agli acuti di Lizzy quasi impossibili da imitare. Che altro dire? Questa traccia è un capolavoro, semplice, sinuosa e violenta, ottimo esempio di heavy metal classico da far ascoltare a una persona poco avvezza per spiegargli cosa significhi questo genere. Il testo rappresenta le atmosfere del disco, dove i Lizzy Borden sono sempre in guerra con la società. E' una guerra individuale, si combatte per ciò che è reale, contro le bugie dei potenti divulgate dai mass-media, per far valere i propri desideri che lentamente vengono schiacciati. Sta alla persona scegliere la sudditanza o la ribellione, bisogna reagire e lottare per i propri diritti, uccidere gli schiavisti e costruire un mondo migliore, senza più approfittatori tra i piedi. "Shock" (Scossa)è hard & heavy vecchia maniera, una canzone sorretta da chitarre corpose e una batteria controllata e costituita da una melodia tanto orecchiabile quanto velenosa. Il refrain è subdolo, semplice e d'impatto ma in grado di stamparsi subito in testa, mentre le strofe sono orientate verso un hard rock melodico tipicamente americano e che strizza l'occhio al gram metal anche se la struttura metallica è sempre ben presente. Gli assoli eseguiti dai due axe-men sono ottimi, veri eroi del brano, mentre Lizzy utilizza toni più pacati senza sbilanciarsi in grida o acuti e cercando da trasmettere maggiore intensità. Un pezzo che avrebbe potuto benissimo scalare le classifiche americane ed essere trasmesso in radio tanto è facile da assimilare e da gustare. La tematica trattata è, come suggerisce il titolo, quella dell'estraniamento dovuto all'elettroshock. Dopo il trattamento i familiari sembrano stranieri, negli occhi si vedono ancora i lampi blu dell'elettricità, la mente è confusa e la realtà distorta. I demoni cavalcano i pensieri del folle, gli istinti naturali tornano a galla e i desideri animaleschi sono immersi nel fuoco e bruciati. Il corpo funziona ma la mente no, offuscata dai lampi che hanno squarciato il cielo notturno. Adesso tutto è buio intorno. Bisogna riposare, riprendersi e provare l'attacco a sorpresa per liberarsi. La vendetta è imminente, c'è un patto da saldare. Il riffing potente prosegue con "Outcast" (Emarginato), mid-tempo sensuale e dai ritmi sincopati, accompagnati da una dolce melodia di fondo egregiamente intoanata dal vocalist, per poi esplodere in tutta la sua efficacia nel chrous ipermelodico e bello da togliere il fiato. La solennità del pezzo è rappresentata dall'eleganza degli strumenti, suonati con tecnica ma soprattutto con passione. La natura teatrale della canzone fuoriesce da ogni singola nota e la melodia scatenante è talmente incredibile da renderla una delle migliori dell'intera discografia della band. Qui dentro c'è classe e i timpani dell'ascoltatore sono cullati da questa dolcezza musicale, nonostante il testo cinico che parla di emarginazione. Ancora una rivendicazione personale per esprimere se stessi e i propri sogni, ancora un attacco a un società crudele che ti punta contro i riflettori aspettando che cadi e commentando ogni tua singola mossa. Se non gli vai bene perché sei un essere pensante, allora significa che sei un reietto, non gli servi e dunque ti allontana per non avere problemi. L'emarginazione è sinonimo di libertà, spaventa i potenti, incute timore nei nemici, perché si è pronti a sacrificarsi per i propri diritti. Il mondo vuole masse non individui, folle da controllare e plagiare. Meglio essere emarginati, solitari, maltrattati, ma comunque unici e originali. L'energia dell'heavy metal viene recuperata con una galoppata dal titolo di "Den Of Thieves" (La Tana Dei Ladri), le chitarre sono sfarzose e la batteria scalcia furiosa per una speed song che non avrebbe sfigurato nel disco di esordio. Infatti in questo brano si recupera il vigore del primo disco, dove troviamo una sezione ritmica terremotante e che sembra irrefrenabile, inoltre la voce di Lizzy raggiunge vette inaudite persino nella strofe più calme, dunque una serie di assoli al fulmicotone coronano questa marcia trionfale consacrandola nel sacro vincolo dell'heavy metal americano. Un proiettile sparato con un fucile da cecchino capace di aumentare la velocità durante il percorso fino a giungere all'arioso ritornello, poco melodico e semplicemente audace. Da notare un paio di piccoli passaggi che ricordano vagamente lo stile degli Iron Maiden ma anche qualcosa dei geniali Queensryche, anche se la struttura elaborata dai Lizzy Borden resta più semplice (come nel caso dei primi) rispetto a quella più complessa tipica del sound della band di Seattle. "Den Of Thieves" è chiaramente una critica alla società americana, la quale plagia le menti e spaccia ogni prodotto come fosse una prostituta. I ladri sono i commercianti di sogni, in grado di addentrarsi nei più reconditi desideri della gente, rubarli e poi rivenderli al doppio del prezzo. Il mondo è costituito da squali affamati che, chiusi in una cisterna d'acqua, aspettano l'esca per sbranarla. Il pianeta è uno zoo e l'uomo non è altro che cavia da laboratorio. Interessante notare che il refrain del brano contenga le parole Viasual Lies, quasi a far da ponte verso la title-track che giunge di seguito. "Visual Lies" (Bugie Visive) racchiude tutti i pregi e le atmosfere cupe dell'album, a cominciare da un'introduzione leggera e melodica cantata da un Lizzy ispirato dietro al microfono e dal tocco delicato di Allen alla chitarra elettrica. Mid-tempo raffinato che si evolve in un ritornello etereo, mistico, sognante, dunque un bellissimo assolo pungente al punto giusto e poi la ripresa del ritornello. La traccia che dà titolo al lavoro sorprende per due motivi, uno perché si tratta della canzone più leggera del lotto, e ciò contrasta un po' con la tradizione che vorrebbe la title-track il brano portante di un disco, due perché è talmente delicata da sciogliere il cuore dell'ascoltatore, non difficile dal punto di vista tecnico ma impreziosita da una sublime melodia che sembra sospesa nel tempo. La semplicità della struttura influenza anche le liriche, costruite da solo due strofe che danno seguito a due pre-chorus. Le parole sembrano il proseguimento del precedente brano, dove un uomo parla con se stesso, si rivolge alla propria coscienza, sa che tutto ciò che sente è vero ma nonostante ciò sente di essere preso in giro. È consapevole che la sua mente sia stata plagiata, offuscata dalla lussuria, dal desiderio, dalle menzogne, perciò non riesce più a distinguere il vero dal falso perché i suoi occhi sono stati strappati e i suoi sogni indotti da qualcuno più potente. L'uomo si sente una marionetta, un prodotto controllato e mosso da forze superiori al quale però è assuefatto e non può più dire di no per ribellarsi. Non c'è acredine o rabbia nel testo, solo una resa alla realtà dei fatti, la minaccia alla società gridata nel precedente album si è estinta, è rimasto solo il dispiacere e il rammarico. La foga giovanile si è trasformata in accettazione di un mondo perverso e decadente. "Eyes Of A Stranger" (Gli Occhi Di Uno Straniero) apre il lato B con una scarica di adrenalina tipica del class metal patinato, sezione ritmica massiccia e andamento heavy dove le chitarre sono le vere protagoniste del pezzo grazie a un riffing duro e monolitico. L'orecchiabile ritornello è piacevole e si memorizza all'istante tanto è esile e d'impatto, e il bridge che introduce la seconda parte della canzone possiede una melodia incredibile e che lancia l'assolo di Allen oltre le stelle in un continuo di emozioni. A mio avviso un capolavoro che si avvale ancora una volta della eccellente prestazione di Lizzy Borden, in questo caso più pacato e leggero del solito ma mai superficiale. Si parla ancora di bugie e di un mistero celato negli occhi di uno straniero, in questo caso di una donna meschina, fredda e misteriosa. Guardando dritto negli occhi si capisce il potere di una persona ma la bellezza di questi occhi blu ipnotizza il protagonista della vicenda perciò non può fare a meno di esserne attratto. E' un'attrazione fatale la sua, è consapevole che molto gli sia nascosto perciò egli deve fare attenzione a indagare nell'animo di chi ha davanti per riuscire a trovare il sogno segreto che la donna desidera. Tutti quei segreti del passato e tutti gli errori commessi sono pronti a venire a galla attraverso le iridi perché gli occhi sono lo specchio dell'anima e mischiano realtà e fantasia, bisogna solo saperli interpretare per conoscere chi si ha accanto. Ma le donne sono pericolose perché sanno mentire e sanno nascondere le proprie passioni, sono crudeli e fredde, dunque bisogna osservarle bene negli occhi per capirne l'essenza. "Lord Of The Flies" (Il Signore Delle Mosche) ha un ritmo sinistro e oscuro dove l'aria minacciosa viene protratta grazie a un'introduzione lunghissima in cui la batteria dialoga con le chitarre, dunque subentra il basso e poi la voce per dare vita a strofe graffianti ma cadenzate, giocate su un'andatura continuamente stoppata e infine velocizzata  all'arrivo del gelido ritornello in cui Lizzy acutizza la voce. Gli assoli di chitarra sono energici, robusti, e Gene Allen dà sfoggio del suo talento alle sei corde affiancato dalla chitarra ritmica del nuovo entrato, Joe Holmes. "Lord Of The Flies" ha un'atmosfera particolare, sembra infatti un brano appartenente alla N.W.O.B.H.M. più mistica, sulla scia di band quali Angel Witch o Cloven Hoof, e il suono sulfureo della musica condiziona un testo cinico e sanguinolento, probabilmente ispirato all'omonimo romanzo di William Golding (premio nobel per la letteratura nel 1983). "Il Signore Delle Mosche", pubblicato nel 1954 e divenuto leggendario, narra la vicenda di alcuni bambini perduti, in seguito a un disastro aereo, su un'isola deserta. Questi, rimasti ormai orfani, cercano subito di auto-organizzarsi come una piccola comunità ma ben presto dovranno fare i conti con se stessi e con le loro paure, trasformando la loro vita in un incubo fatto di odio e rancore. Il Signore delle mosche è in realtà la voce interiore, l'istinto primordiale che fa scaturire la violenza nell'uomo. Una delle frasi simbolo del romanzo è "L'uomo produce il male come le api producono il miele", perciò la visione dell'autore riguardo al mondo è pessimista ed estrema ma sicuramente veritiera. Nella canzone i Lizzy Borden cercano di affrontare la stessa tematica del terrore e della paura interiore tornando a scrivere un testo horror come nei primi due album, anche se questo è un orrore più maturo, meno fumettistico e più intimo. Si prosegue con la vincente "Vouyer (I'm Watching You)" (Osservatore, Ti Sto Guardando), una bomba di melodic heavy metal dai toni solenni e interpretata magistralmente da un Lizzy Borden in grande spolvero, sensuale ma allo stesso tempo ruvido, capace di assecondare perfettamente una sezione ritmica dalla struttura agile ma abbasta articolata che colpisce grazie ai ritmi accelerati e potenziati nel prezioso pre-chorus e nel refrain più bello del disco. Il basso di Mike Davis è muscoloso e, dietro le pelli, Joey Harges pesta come un dannato. A mio avviso non solo il miglior pezzo dell'album ma uno dei più riusciti dell'intera carriera della band californiana, dove rivivono echi di heavy-prog band quali QueensrycheCrimson Glory ma anche i primi Fates Warning. In "Vouyer" tornano le ambientazioni ossessive e claustrofobiche di "Love You To Pieces", laddove un maniaco si introduce in casa della ragazza che desidera e la osserva dormire, osserva ogni sua piccola movenza e la vorrebbe possedere, ma la ragazza non sa nemmeno dell'esistenza del pazzo, perché egli non si è mai fatto avanti, limitandosi ad osservarla in silenzio nascosto nel buio senza aver il coraggio di un approccio. Ora però il maniaco sta per scoppiare, non ce la fa più a trattenersi e così la vorrebbe baciare, il suo è un amore malato e perverso e la violenza carnale si sta per compiere raggiungendo la drammatica apoteosi come nel più classico film horror. Si giunge al termine di questo lavoro con un altro gioiello, che altro non è che il brano più lungo della track-list, "Visions" (Visioni) è la canzone più atipica del disco perché strizza fortemente l'occhio all'epic metal, la batteria riproduce una marcia militaresca e scalcia come un cavallo da battaglia, mentre Lizzy è trionfale e liturgico come nelle migliori invocazioni agli Dei, capace di alternare tonalità basse ad altre altissime senza mai perdere di onestà. Ben presto la sezione ritmica si trasforma in un mid-tempo epico dove i cori sono per la prima volta protagonisti, gonfiando un ritornello dall'aria bellica che sembra sia stato composto dagli Omen o dai Manowar e perciò sorprendente, perché evidenzia la capacità dei Lizzy Borden di spaziare dall'hard & heavy inglese al class metal, dallo U.S. power all'epic metal con facilità estrema, dimostrando sempre classe e talento da vendere e che molte altre band possono solo sognarsi. "Visions" è un po' la summa di tutto quello che abbiamo avuto modo di riscontrare lungo percorso musicale esaminato, perciò racchiude tutta una serie di tematiche affrontate precedentemente, dove le evanescenti visioni sono il vero leitmotiv dell'opera. Questa volta però la mente è sgombra dall'offuscamento indotto dalla società e si riesce a trovare un barlume di speranza, la luce della ragione si fa strada nella cecità del mondo, perciò basta aprire la mente, scacciando via le menzogne e le false promesse e liberandosi dal controllo. Diventare quindi un individuo, una persona singola, un uomo libero, attraverso l'uso della seconda vista, rifugiandosi nel mondo interiore che ognuno di noi possiede.

Il terzo album dei Lizzy Borden è quello della svolta, della maturità stilistica, non solo per quando riguarda la musica, grazie a una produzione del suono (ad opera di Max Norman) pulita e potente e in regola con le produzioni del periodo, ma anche per quanto riguarda i testi. La band si discosta dalle tematiche fumettistiche alle quali ci ha abituati fin qui, lanciandosi verso un horror metal più intimista e raffinato (come del resto faranno anche i rivali W.A.S.P. col magnifico "The Headless Children"). Da questo momento molti fans di vecchia data cominciano a lamentarsi della perdita di genuinità e irruenza rispetto al passato, visto che non ci sono più testi truculenti e splatter, ricchi di sangue e violenza, ma si vira verso sensazioni più cupe e racconti meno macabri e più critici dove le emozioni, soprattutto di disperazione e l'odio, sono sempre la base dalla quale tutto viene scaturito. Nonostante tutto "Visual Lies", anche aiutato dalla svolta melodica e da una brillante produzione, accontenta un po' tutti quanti e vende tantissimo, conquistando le classifiche di mezzo mondo e riuscendo a catturare nuovi adepti. Molti giovani ragazzi, infatti, si avvicinano all'horror metal della band californiana ipnotizzati dal singolo di lancio "Me Againts The World" e che passa di continuo (specie in America e in Asia) in tutte le radio e in tutti i programmi musicali in tv, creando sfaceli tra i metallari. Certo è che, dopo due album eccellenti, i Lizzy Borden continuano la loro marcia trionfale sfornando l'ennesimo prodotto vincente e dalla qualità altissima, dove non si ravvisa nemmeno una battuta debole o un passaggio a vuoto, perché tale lavoro è stato studiato per essere praticamente perfetto e unire un tipo di heavy metal di nicchia con quello da classifica senza perdere un briciolo di sincerità. Nel 1987 i cinque ragazzi americani crescono, in un certo senso si modernizzano anche, attuando la loro prima svolta, un primo piccolo passo che li porterà appena due anni dopo alla pubblicazione del loro album più audace dal titolo "Master Of Disguise", un concept teatrale davvero affascinante e capace di evidenziare la maturità raggiunta, ma anche quel barlume di genialità (o follia?), del leader Lizzy.  Grazie alle vendite, ai videoclip in rotazione sui canali televisivi, agli spettacoli dal vivo davvero coinvolgenti (dotati di truculente scenette horror) e alla buona pubblicità messa in atto dall'etichetta discografica, come sempre la Metal Blade Records, alla fine degli anni 80 i Lizzy Borden diventano uno dei gruppi di punta nell'ambito del metal americano. E meritatamente aggiungerei. A detta di molti, questo "Visual Lies" è il loro miglior prodotto, sicuramente il mio preferito, perciò consiglio a tutti gli appassionati di heavy classico di recuperarlo, perché la storia del metallo a stelle e strisce passa anche per i solchi di questo lavoro.

1) Me Against the World
2) Shock
3) Outcast
4) Den of Thieves
5) Visual Lies
6) Eyes of a Stranger
7) Lord of the Flies
8) Voyeur (I'm Watching You)
9) Visions

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