KYUSS

Green Machine

1993 - Dali Records

A CURA DI
ANDREA CERASI
22/07/2017
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

La storia dello stoner rock è stata tracciata, ci sono voluti un po' di anni per vederla realizzata e soprattutto ufficializzata, ma nel biennio 1991/1992 il genere esplode veramente con una serie di album seminali: "Spine Of God" dei Monster Magnet, "Volume One" degli Sleep, "Bullhead" dei Melvins, ad esempio, sono perle disseminate nel corso di un anno, testimoniando la nascita di un nuovo sottogenere destinato a guadagnare favori per tutti gli anni a venire. Ogni band ha le sue influenze principali, chi è più vicino ai suoni spaziali dello space rock, chi più legato al doom classico, chi più vicino allo sludge, altro genere esploso prepotentemente nello stesso periodo e che si avvicinerà molto, per tematiche e per sonorità, allo stoner; comunque la si metta, le droghe regnano sovrane, viaggi allucinogeni e interspaziali, manie ossessive e morbose che prendono il sopravvento sui temi raccontati. Tutto ciò è ambientazione prediletta per far confluire determinati suoni e specifici arrangiamenti. "Blues For The Red Sun" surclassa tutti, per importanza e per qualità, erigendosi ad album di culto, rappresentante di un intero sottogenere. All'epoca della sua uscita, molti hanno il presentimento che qualcosa, nel corso della storia, sia cambiato, e che si sia affermata una nuova filosofia musicale, molto arida, afosa, sabbiosa, sporca e politicamente scorretta, che trasuda amore eterno per un certo tipo di rock anni 70 e legato alla psichedelia degli anni 60. I Kyuss emergono su tutti, tracciando un nuovo sentiero culturale e artistico, prendendo in mano le redini della situazione e trascinando centinaia di band che vedono in loro un idolo da seguire, la luce oltre le tenebre. L'album del 1992 rappresenta un faro in mezzo al mare, dove attracca una miriade sterminata di navi cariche di droghe e di sogni folli, di amarezze e di rimpianti, di amori distrutti e di crisi mistiche. "Blues For The Red Sun" è un miraggio, l'oasi in mezzo al deserto, presa d'assalto dagli sventurati pellegrini, disidratati e sofferenti, un disco simbolo di un'epoca che fatica ad esplodere, almeno inizialmente, in tutto il suo splendore. Le circa 40.000 copie stampate dalla Dali Records terminano in un batter d'occhio, ma poi le vendite si arrestano nell'immediato, gettando nello sconforto coloro i quali avevano puntato tutto sulla riuscita della band californiana: pubblico di nicchia, stampa, addetti ai lavori. Ma per sfondare nel music-business ci vuole una grossa dose di fortuna, poiché il talento non basta, e nemmeno le intuizioni geniali e avanguardiste; così, sotto la spinta di numerose band estimatrici, tra i cui i Nirvana, da sempre fan e che si adoperano molto per pubblicizzare il gruppo di Josh Homme, si inizia a far girare il nome Kyuss nell'ambiente hard rock e in tutti i circuiti musicali, tanto che in pochi mesi la band viene contattata da vere leggende del metal, tra cui Metallica e Faith No More, per unirsi ai loro tour in qualità di gruppo-spalla. È il momento giusto per diffondere il verbo del deserto, la musica impolverata e velenosa dello stoner, e allora le date vanno a gonfie vele, i Kyuss vengono accolti con calore da tutti, osannati e venerati come divinità da molti, mettendo in difficoltà persino gli headliner per i quali aprono, tanto sono possenti e grintosi sul palco, imponendosi sulla folla e mettendo in ombra band ben più popolari di loro. Il 1993 è l'anno giusto per tentare il salto di qualità, la Dali le prova tutte, e allora decide di cavalcare l'onda di questo rinnovato interesse per i propri discepoli, immettendo sul mercato un singolo destinato a restare nelle classifiche mondiali per diverse settimane, facendo da traino per l'album, le cui vendite riprendo inesorabilmente a salire. Il singolo lanciato è "Green Machine", dotato di un leggendario videoclip, entrato nell'immaginario di tutti i metallari del mondo, accompagnato da un secondo brano, sempre presente sul disco, dal titolo di "Thong Song". Due pezzi, due gioielli desertici che fanno impennare le vendite, consegnando alla storia questa band.

Green Machine

Green Machine (La Macchina Verde) è il singolo postumo, scelto per aiutare le vendite iniziali non proprio memorabili di "Blues For The Red Sun", arrestatesi quasi subito dopo l'uscita dell'album. Ma grazie a questo pezzo e al relativo videoclip, messi in onda l'anno seguente, nel 1993, la band comincia a spiegare le ali verso la conquista del mondo. E non può essere altrimenti, qui ci troviamo di fronte a un capolavoro totale dello stoner più classico e genuino, una martellata sugli stinchi e sui timpani che induce stordimento e svenimento. La corsa prende il via con un riffing catacombale, cosparso di una massiccia dose di veleni che sprigionano una serie di nubi tossiche che dal deserto raggiungono le città confinanti. Ed è proprio di società che si parla, dove tutto è comandato dai bigliettoni di carta verde, quelli per cui il genere umano, da sempre, combatte senza pietà. Ma il senso di questa guerra per il potere può essere intesa anche come fragilità interiore. La band, infatti, sta rodando una macchina da guerra, è la macchina guidata da un uomo dalla mente annebbiata, forse un tossico, che ha un blocco in testa, come una ruota che continua a girare non facendolo connettere bene i suoi neuroni. È un duello con il sistema (o con se stesso?), al fine di infrangere gli schemi imposti dalla società, una società corrotta e avida di territori. Gli stessi che saranno distrutti dall'uomo per la costruzione di nuovi quartieri grazie al riciclaggio di soldi, in tal senso il colore verde, oltre che ai soldi, può essere associato ai campi di marijuana. La macchina da guerra, la macchina verde, che combatte per il bene del territorio dove viene coltivata l'erba, è armata fino a i denti e pronta alla marcia contro il governo che vorrebbe vietarne il commercio. Non si calpestano prati, non si divorano terreni, non si devastano foreste. È il canto della natura questo, il rock al servizio della libertà individuale, che combatte le imposizioni e l'ipocrisia dello stato. Il messaggio è lampante: bisogna infrangere gli schemi della società, liberarsi dalle catene e raggiungere la pace dei sensi. Garcia, nel glorioso refrain, minaccia di sparare all'avventore, invita a bloccare i malsani interventi del governo, scacciando così il pericolo di un inferno terreno. Il pezzo è un carrarmato che diffonde un messaggio di pace, dall'incedere monolitico, pachidermico, possente ma che non disdegna una certa agilità grazie a una struttura dinamica e diretta, sulla quale desta interesse la grande sezione di basso di Oliveri prima della coda finale. Il doom si fonde con l'acid rock, creando un ibrido destinato a fare sfaceli.

Thong Song

Thong Song (La Canzone Della Stringa) rappresenta l'atra metà del singolo. Trattasi di una canzone stranissima, dal corpo dinamico e senza una struttura precisa, dal sapore vagamente reggae grazie all'utilizzo scanzonato del basso e della chitarra, quasi impercettibili durante le strofe e pronti ad esplodere a fasi alterne, lasciando John Garcia cantare a cappella per la maggior parte del tempo. Il retrogusto di spensieratezza pervade l'atmosfera, il lato doom, quello più cupo e nebuloso, viene a scontrarsi con la sconcertante solarità di un brano particolare e sicuramente atipico per i Kyuss ma anche per tutto lo stoner metal. Ma la curiosità è che non solo la parte musicale è davvero straniante, ma persino il testo è criptico e spiazzante, poiché si parla di improvvisazione, improvvisazione vera, nel senso che tutto quello che ascoltiamo e capiamo del testo sembra improvvisato. È decisamente un modo originale di comporre, ma lo stoner è spesso improvvisazione e confusione e non segue determinate regole, tanto è libero da schemi. Il vocalist ci dice che odia i pezzi lenti, e allora li compone velocemente e a caso, butta giù due righe, le firma col suo nome e poi come viene viene, senza starci troppo a pensare. Non serve utilizzare il cervello, in tali casi, ma basta lasciarsi andare e passare oltre, fregandosene di tutte le impostazioni. Persino il titolo "Thong Song" sembra non avere attinenza con niente, sembra messo a casaccio, se non fosse che nel testo sono citate delle scarpe senza lacci e il filo di un perizoma o una cintura di cuoio a fare mostra di sé. Qualcuno piange, non capiamo il motivo, ma il vocalist lo lascia stare, se ne sbatte di tutto e tutti, perciò non lo consola, lo ignora e basta e continua a improvvisare con la mente svuotata. Ritmo continuamente stoppato, per un andamento di media velocità e dai repentini rallentamenti, senza una vera e propria fase strumentale, il che fa di questa traccia un magma sonoro turbolento e condensato in soli tre minuti, rocciosi e fugaci, senza pause e senza rifiniture. Al termine, tutto quello che resta è una vaga melodia e, soprattutto, la voce acida e tormentata di Garcia che scolpisce nella pietra la sua ira funesta. Un trionfo di menefreghismo e scelleratezza dai contenuti contorti, astratti, come la mente sotto stupefacenti del nostro protagonista, alienato completamente dal mondo che lo circonda.

Conclusioni

Finalmente, il momento che tutti aspettavano è giunto. Nell'estate del 1993, dopo un tour di supporto a grandi nomi e che ha fatto tappa in mezzo mondo, il nome Kyuss è sulla bocca di tutti. Lo stoner ha trionfato, erigendosi su tutti, aumentando di popolarità, andando a sfidare tutto il metal alternativo e la nuova ondata di rock che vede nel grunge la punta di diamante. Proprio mentre l'hard rock e l'heavy metal muoiono lentamente e non fanno più breccia nei cuori dei metallari, questo nuovo sottogenere, guidato appunto dai Kyuss e da un piccolo manipolo di eroi del deserto comincia a raccogliere sempre più consensi. Il successo è meritato, perché partendo da radici che affondano nel passato, si è saputo abbracciare il moderno, ma non solo, tanto che si è persino aperta la strada al futuro della musica dura, al punto tale che lo stoner stesso, già dalla metà degli anni 90, si evolve e si avvale di tantissime sfumature diverse in grado di tracciare il solco per la riuscita di tanti altri sottogeneri di metal, molti dei quali esplosi a cavallo del nuovo millennio. A questo punto, dopo un singolo e un videoclip in continua rotazione in tutte le stazioni radio e in tutte le tv musicali, "Blues For The Red Sun" prende il volo, vendendo vagonate di copie e conquistando una grossa fetta di pubblico. L'impatto è talmente imponente che i Kyuss vengono etichettati come promesse del metal mondiale, destando l'attenzione della major Elektra, che da questo momento in poi li mette sotto contratto, intuendo un potenziale enorme, così come saranno enormi gli introiti negli anni seguenti, a cominciare dal terzo capitolo discografico, "Kyuss", album auto-intitolato ma conosciuto da tutti col nome di "Welcome To Sky Valley", altro capolavoro assoluto di pari livello a "Blues For The Red Sun". I Kyuss entrano nella leggenda, dettando un nuovo stile, nuove sonorità, facendo presa sul pubblico. Le copie dell'album vendute aumentano giorno dopo giorno, impennandosi vorticosamente entro la fine dell'anno e dopo un arresto iniziale non proprio incoraggiante. Questo singolo, perciò, è molto importante per la carriera e per la gloria della band di Palm Desert: tutti lo sanno, tutti lo capiscono, e con il successo aumentano gli impegni, ma anche le inquietudini e i litigi tra i musicisti, tanto che il bassista Nick Oliveri, dopo il lungo tour con i Metallica, manda a quel paese i suoi compagni di avventura e si mette prima da solo e poi, nel 1997, forma un'altra band, i Mondo Generator, come la canzone conclusiva di "Blues For The Red Sun", scritta, composta e cantata proprio da lui. La dipartita del bassista però non scoraggia i nostri, i quali si armano di pazienza e proseguono il loro cammino imperterriti. Ora, più che mai, sono sulla cresta dell'onda e non possono sprecare una situazione così favorevole, mentre per la piccola Dali Records, a causa della perdita dei suoi artisti di punta, iniziano gravi problemi finanziari, tanto grandi che solo dopo pochi mesi è costretta a dichiarare fallimento. I Kyuss, comunque, non si lasciano sfuggire i servigi del produttore Chris Goss e lo portano con sé, negli studi della Elektra Music, fiduciosi nel suo operato.

1) Green Machine
2) Thong Song
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