KREATOR

Voices Of Trangression - A 90s Retrospective

1999 - GUN Records

A CURA DI
LORENZO MORTAI
23/05/2018
TEMPO DI LETTURA:
6,5

Introduzione Recensione

Se in un ipotetico dizionario del Metal andassimo a cercare la parola "forza bruta", sicuramente fra le varie voci, troveremmo una foto della band di cui stiamo andando a parlare. Parliamo di coloro che, assieme a Tankard, Sodom e Destruction formano quelli che storicamente vengono chiamati "Big Teutonic 4", un gruppo non troppo fittizio nato ormai all'inizio degli anni '80 per dare una risposta in chiave "vecchia signora" ai Big 4 americani. Da una parte infatti abbiamo il Thrash USA, la madre di tutto quanto. Un genere che ormai dal 1981 sta dicendo e sta facendo ancora parlare di sé, senza mai un attimo di tregua, nonostante anche egli alla metà dei '90 non se la passava molto bene. Dall'altra abbiamo il Thrash europeo, particolarmente la scuola tedesca. Un Thrash Metal molto più duro, caustico ed estremo, influenzato più che dai Metallica da gruppi come gli Slayer, e successivamente dalle accezioni più estremizzate del Thrash, come il Death Metal prima maniera, ma anche la scuola sacra sudamericana, una vera fucina di talenti. A capo di questo gruppo teutonico, assieme ai Sodom, troviamo loro, i Kreator. La band proveniente da Essen, città della Vestfalia, zona piovosa e storicamente rocciosa della terra germanica, ha negli anni dato vita a veri e propri capolavori, tutt'oggi considerati capisaldi del filone europeo. Dischi come Pleasure to Kill o il primissimo Endless Pain, ancora oggi fanno tremare le vene dei polsi se vi si porge l'orecchio, ma andiamo con ordine. Se volessimo fare una speciale disamina su cosa sia il Thrash teutonico, ci basterebbe pensare ad una semplice parola, contaminazione. Non dimentichiamoci infatti che la Germania è rea di aver dato i natali anche ad un altro genere assolutamente pregno, quello dello Speed, ma anche di filoni più "tranquilli" come l'Heavy classico. La Germania è sempre stata una terra di talenti e di storia, di macabre esecuzioni musicali e di un estremismo sonoro che non ha mai toccato lidi troppo oscuri, ma che ha preferito concentrarsi sulla filosofia del "togliamo i denti a qualcuno a furia di riff". Ecco perché, nonostante  abbiamo anche una fervente scuola di elettronica, la terra dei crauti ci offre bands dal calibro eccellente, dal genere più classico e meno caustico (Scorpions, Trance, Tyran Pace, per citarne tre a caso), ad altrettanti filoni più o meno veloci ed estremi ( Running Wild, Gamma Ray, Helloween e così via), passando per generi completamente diversi (Rammstein), ma anche Death Metal di caratura sopraffina (Obscenity). Il Thrash comunque è sempre stato la perla nascosta della Germania, assieme al Power ed allo Speed, una sacra scuola che ormai si protrae dall'inizio degli anni '80, e di cui i Kreator sono annoverabili fra i fondatori. La contaminazione di cui parlavamo prima il Thrash teutonico l'ha avuta fin dagli esordi, andando a mischiare sia le accezioni classiche dei filoni tedeschi, con la scuola Punk ed Hardcore europea, il tutto suonato non tanto alla velocità massima possibile, ma con la cattiveria più malata che si possa pensare. Testi duri, inneggianti a vari argomenti come ordine sociale, anti fascismo, anti specismo, liberazione e critica sociale, sono da sempre i cavalli di battaglia della band e non solo, anche della scuola in generale. Le fiere e classiche tradizioni statunitensi riprese, sviscerate e rese truculente e cattive da un sound granitico e roccioso, questo è in sostanza il Thrash tedesco. Nella disamina di oggi, andremo ad elucubrare su un disco davvero particolare, che in gergo tecnico non potremmo neanche definire un disco, bensì un greatest hits, ma con una peculiarità. Siamo alla fine  degli anni '90, i Kreator hanno da poco pubblicato Outcast, disco non troppo memorabile, ma che comunque la critica non ha mai stroncato del tutto. A questo punto, prima di tornare ufficialmente in sala prove (cosa che accadrà solamente due anni dopo, nel 1999, mentre Outcast è del 1997), lo stesso Mille Petrozza, leader della band, contattò la GUN Records, allora etichetta dei Kreator (che negli anni ha dato alle stampe dischi degli Angel Dust, dei Dark Angel e dei Rage), e decise di ingolosire i fan con un cofanetto davvero particolare, intitolato Voices Of Transgression - a 90's Retrospective. Si tratta sostanzialmente di un enorme box di 17 tracce, che ripercorre la seconda parte di carriera della band, quella degli anni '90. Un periodo abbastanza buio per il Thrash, causa il decadimento di certe sonorità a vantaggio di alcune nuove che stavano prendendo piede, ed una stanchezza generale del pubblico per il genere stesso. Le tracce contenute nel CD sono tratte rispettivamente da Outcast, dal disco successivo ad esso, Endorama, da Cause For Conflict e da Renewal. Un album che, in un corpus abbastanza grande di canzoni, cerca di dare spiegazione ad una domanda, o almeno, ad un dubbio, esisteva ancora qualcosa da dire negli anni '90 a livello di Thrash? Cercheremo anche noi di dare una risposta concreta, analizzando passo dopo passo ogni canzone, ed arrivando in fondo con le idee decisamente più chiare, ma andiamo con ordine.

Lucretia (My Reflection) (The Sisters Of Mercy Cover)

La prima canzone che incontriamo sulla nostra strada, non è una canzone composta dalla band, e non è neanche presente su alcun disco. Venne infatti rilasciata per la prima volta proprio in questo cofanetto, una storica cover di una band altrettanto storica. Parliamo probabilmente di una delle formazioni più importanti del panorama Goth Rock /Post Punk, direttamente dall'Inghilterra, parliamo dei Sisters Of Mercy. Nello specifico la cover che propongono i Kreator è la loro versione di Lucretia (My Reflection) (Lucrezia, La Mia Riflessione), pubblicato originariamente dalla band di Eldtritch nel 1988. Il brano si snoda fin da subito in una sorta di spira oscura ed ipnotica, in pieno stile anni '80. Eppure i Kreator riescono a prendere di petto anche una canzone come questa, ed a farla loro. Le atmosfere così elucubranti create dai Mercy, vengono rese truculente e sanguinose dalla caustica voce di Petrozza, che col suo cantato così aggressivo, gutturale e cavernoso, rende questo brano davvero interessante. I vari tasselli della canzone si incastrano quasi alla perfezione, mentre il tutto diviene sempre più aggressivo e contorto man mano che i minuti passano e si susseguono nell'ascolto.  La canzone ci trasporta quasi in un mondo lontano, futuristico, popolato di strane macchine e di altrettanto strani personaggi. In questo troviamo il protagonista, che si connette ed interconnette con questo mondo, a metà fra l'averne paura ed il non riuscire ad abbandonarlo. Le atmosfere si fanno davvero calde nella sezione centrale del pezzo, un crescendo che arriva poi al suo culmine quando il nostro uomo parla direttamente della fantomatica protagonista del brano. Lucrezia altro non è che un fantasma, il suo fantasma. Un personaggio che, nel bene e nel male, gli è stato sempre a fianco, e lo ha accompagnato in tutti i momenti della vita, anche quelli in cui pensava di non farcela. Nel fragore del momento, mentre queste macchine stanno dominando il mondo, quel caldo abbraccio di Lucrezia diviene avvolgente come una setosa coperta, e caldo come un sole che ti riempie il petto. In mezzo a tutto questo però, e considerando la band da cui i Kreator hanno estratto il pezzo c'era da aspettarselo, troviamo anche una sana e profonda matrice di malinconia. Malinconia derivata dal fatto che il protagonista è consapevole di quanto Lucrezia alla fine non sia fisica, sia un prodotto della sua immaginazione, della sua fervida mente. Intorno a lui soltanto metallo caldo e rovente che si staglia fino al cielo, davanti a sé una volta nei toni del grigio e del verde che si perdono nello sguardo stesso del protagonista. In tutto questo la band cerca di stare al passo tanto con l'atmosfera della canzone di base, non andando a spegnere quel sentimento oscuro che albergava nella sua versione originale, ma allo stesso tempo centra in pieno il concetto di cover, ovvero reinterpretare. Reinterpretare un classico del Rock gotico e barocco come quello dei Mercy non è compito assolutamente facile, eppure i Kreator ci sono riusciti. Parliamo di un omaggio silenzioso e letale al tempo stesso, con cui la band e particolarmente Petrozza si cimentano senza troppi problemi. Una canzone che verrà poi riproposta dal vivo alcune volte nel corso della loro carriera, andando sempre ad incontrare il favore del pubblico.

Chosen Few

Prossimo pezzo in scaletta è un altro inedito, almeno nel momento in cui, ad Aprile del 1999, la band pubblicò questa raccolta. Parliamo infatti di  un pezzo che, a Settembre dello stesso anno, finirà nel disco successivo della band, Endorama. Si tratta di Chosen Few (Pochi Prescelti), traccia che nel disco completo finirà in posizione numero 4. Il pezzo inizia con un susseguirsi di colpi di chitarra, a cui poco dopo fa capolino la batteria ed altrettanto poco dopo la voce di Petrozza, sempre sul pezzo grazie al suo tono aggressivo, anche se in questo caso non troppo. Si arriva infatti al primo giro della canzone senza troppi problemi, mentre di sottofondo il pezzo monda come non mai. Abbiamo certo di fronte non del Thrash nudo e crudo, specialmente non quello di inizio o metà anni '80, quanto piuttosto un tech Thrash di pregevole fattura, inframezzato da alcune partiture che sembrano direttamente prese dalle tradizioni Hard Rock ed Hard'n Heavy, a testimonianza del fatto che in Germania le proprie radici non si scordano mai. Ciò che purtroppo è altrettanto da constatare, è che il pezzo non decolla mai del tutto, rimane abbastanza piatto, nella sua comunque grande composizione ci saremo aspettati un qualche assolo, almeno un riff leggermente più aggressivo. Ed invece sembra che, quasi proseguendo sulla strada del pezzo precedente, i Kreator si siano dati al Goth Rock dalle sfumature decisamente più aggressive e caustiche. Il pezzo continua praticamente sulla stessa linea per tutta la sua durata, somigliando molto più ad un disco dei Cure che alla band che ha scritto Endless Pain. Ciò non vuol dire che sia inascoltabile, tutt'altro, ma dobbiamo completamente slegarci da quelli che sono i canoni con cui abbiamo giudicato la band negli anni '80, e concentrarci su qualcosa di nuovo, almeno in questo frangente. Il pezzo va a chiudersi come era iniziato, con un polveroso giro di chitarre che precludono sicuramente ad un altro tonfo nelle profondità nella notte. Immaginate una aspra e sottile critica alla religione, ed avrete il tema portante di questo secondo pezzo. Parliamo del fuoco negli occhi di chi crede, che quando arriverà al momento fatale, vedrà soddisfatti tutti i propri desideri. Tutte quelle aspettative che ha avuto nel momento esatto in cui ha deciso di affidare la propria anima a Dio. Allo stesso tempo però, e questo è un elemento che ha da sempre contraddistinto la band, troviamo anche una letale e silenziosa critica allo strapotere della chiesa e della sua compravendita di anime. Il mondo è loro, lo stringono in una morsa e cercano di farci quello che vogliono, senza alcuna remora per le conseguenze che avranno sulle persone. La canzone cerca di scoperchiare un ipotetico vaso di Pandora, andando a foraggiare la teoria secondo la quale la Chiesa e le sue menzogne prima o poi verranno alla luce. Brano interessante, ma che ripetiamo, deve essere slegato dal concetto sia di Thrash Metal nudo e crudo come lo abbiamo inteso fino ad oggi, sia dalla musica dei Kreator prima maniera, siamo di fronte a qualcosa di nuovo.

Isolation

Con la prossima canzone invece saltiamo direttamente indietro al 1995, andando ad esplorare Cause For Conflict, disco che ha sancito in parte l'entrata della band in questo nuovo sound. In particolare ci concentriamo sull'ultima traccia del disco, che qui però viene proposta in versione ridotta. Parliamo di Isolation (Isolamento), che sul disco originale constatava di ben 11 minuti di durata, mentre nella versione "edit" proposta qui, arriviamo a circa 5 minuti totali. Il pezzo parte in sordina, quasi con un ritmo oscillante fra l'oscuro e la luce, andando a foraggiare stilemi sia classici che moderni. All'apparenza sembra un brano quasi strumentale, dato che i primi due minuti di brano sono occupati da una serie di ritmiche che si susseguono l'un l'altra come impazzite, e che non lasciano adito a molti dubbi. Il pezzo sembra un'altra volta svirgolare verso i lidi del Goth Rock e del Post Punk, con una introduzione così acida e molto dark nelle sue tinte. A metà del brano però i Kreator decisamente esplodono, andando ad inserire un main riff di chitarra che rende il tutto decisamente più aggressivo. Improvvisamente ci ritroviamo in un brano dalle forti tinte Thrash, non tanto anni '80 quando della decade successiva, in cui le influenze estreme iniziavano a farsi sentire. Il pezzo in questo modo procede fino alla fine, facendo anche entrare la voce che fino a questo momento era rimasta in sordina dietro le quinte, dato che Petrozza occupa anche uno dei due posti alla sei corde. Una volta entrata la voce, la fiamma del Thrash non tarda a divampare nei cuori di chi sta ascoltando, anche se troviamo comunque una band sottotono, che non ricalca certo i fasti dei primi anni di carriera. Non è un pezzo inascoltabile, tutt'altro, ma sentiamo quasi un calo di idee ed una piattezza di fondo che rendono l'ascolto impervio sotto certi aspetti, a tratti quasi difficile da travalicare. Paradossalmente era quasi più interessante il brano precedente, che pur non essendo canonico nella musica della band, almeno aveva qualcosa da dire, o per lo meno presumeva di averla. Qui ci troviamo di fronte ad un brano sicuramente ben composto e ben suonato, ma che non accende mai veramente la scintilla che ci manca per iniziare a muovere la testa. Come si può evincere dal titolo, la canzone parla di isolamento, di un concetto che molte bands nel corso della storia hanno ripreso per i loro brani. Un uomo solo, che vede più in là del suo naso proprio grazie alla solitudine che prova durante l'isolamento. Un concetto profondo, quello del rimanere da soli, in cui passato e presente non si incontrano, bensì si scontrano e danno vita a scintille. Nella solitudine della sua stanza l'uomo rimane immobile, la sua mente vaga fra gli abissi siderali, e niente può impedirgli di farlo, perché l'isolamento ha un unico risvolto positivo, la libertà.

Leave This World Behind

Quarto pezzo in scaletta ci riporta invece ad un altro caposaldo dei Kreator anni '90, ovvero Outcast. Da questo andiamo ad ascoltare Leave This World Behind (Lasciati Questo Mondo alle Spalle). Il pezzo in questione invece parte quasi in medias res, con un aggressivo intro di chitarra e voce che da subito ci prende alla gola, stringendola con forza. In questo modo abbiamo la sincera impressione di avere davanti un pezzo Thrash fatto e finito, e finalmente possiamo tirare un sospiro di sollievo, i Kreator non sono morti. Il brano procede a spron battuto per i primi secondi e minuti di brano, anche se non prende mai il volo veramente. Preferisce di gran lunga concentrarsi sulla voce di Petrozza, qui in tono decisamente più aggressivo del precedente brano (ed in ordine del successivo disco). In Outcast infatti, i fan se lo ricorderanno bene, abbiamo un tono delle canzoni decisamente roccioso e granitico, una serie di canzoni che volgono ad un solo scopo, farci sanguinare dalle orecchie e dalla testa. La canzone, pur non prendendo mai il volo in toto, anzi, mantenendosi sempre sullo stesso riff per tutta la sua durata, arriva in fondo senza un assolo, senza un momento di celebrale voglia di suonare qualcosa di diverso, eppure le orecchie sono insanguinate comunque. Un brano davvero interessante, ha qualcosa di perverso nella sua esecuzione, è come sentirsi frustare da qualcuno. Il ritmo, pur non avendo momenti troppo eclettici, ha un tiro di fondo davvero originale, cattivo e malvagio allo stesso tempo, infernale nella sua resa e granitico nel suo ascolto. Sicuramente darebbe il suo meglio dal vivo, anche sé come abbiamo detto si sente la mancanza di un bell'assolo piazzato magari a metà del brano. Liricamente parlando, siamo di fronte ad un altro tema scottante, e ad un argomento soprattutto che molte Thrash bands hanno utilizzato nella loro carriera, quello della solitudine. In questo caso però, la solitudine viene vista da una rifrazione tutta particolare, ovvero quella di due persone che mettono insieme le proprie anime sole, e decidono di scappare lasciandosi tutto indietro. Un mondo che non li ha mai capiti del tutto, ma che ha sempre preteso da loro qualcosa. Ed ecco che allora loro scelgono, scelgono di andarsene, di non guardare mai indietro, di vedere solamente quel che hanno di fronte e niente altro. La volontà dell'uomo e della donna è quella di fondersi insieme e diventare un tutt'uno, spiccare il volo e concedersi veramente quel momento in cui saranno liberi. Liberi dai vincoli della vita, liberi da un momento in cui niente e nessuno vorrà giudicarli, ma tutti quanti combatteranno per un unico motivo, ossia vivere.

Golden Age

Nuovamente compiamo un balzo in avanti e torniamo ad Endorama, stavolta con Golden Age (Età dell'Oro). Pezzo che, rispetto al similare ascoltato poco fa estratto dal medesimo disco, ha un tiro completamente diverso. Qui parliamo quasi di una canzone che sembra (ed è una dichiarazione da prendere con le molle) avere il tiro quasi di una Symphony Of Destruction dei Megadeth. Se si ha presente il tiro base della canzone scritta da Mustaine e soci, possiamo avere una vaga idea di cosa sia questa canzone. La ripetizione ossessiva di un main theme che viene riproposto nuovamente fino allo stremo, ma stavolta con un innalzamento deciso nei confronti della tonalità completa della canzone, che si ritrova ad essere decisamente più Thrash della precedente. In questo caso abbiamo la forte consapevolezza che ci troviamo di fronte ad un brano decisamente più aggressivo del precedente, con un tiro decisamente maggiore e molto più cattivo. Petrozza qui da una parte del meglio di sé, andando ad utilizzare un cantato molto aggressivo e gutturale, ma non troppo, almeno non simile a quello che abbiamo sentito su Outcast nel pezzo precedente. La canzone procede senza troppi problemi, ma anche qui non sentiamo mai fino in fondo momenti di "genialità" nuda e cruda. Continuano a non comparire assoli di chitarra di alcun tipo, anzi, verso la seconda metà del pezzo iniziano anche a stagliarsi verso l'orizzonte dei chorus davvero ben azzeccati. Ecco però che quanto tutto sembra perduto, un corroborante assolo della sei corde, dal sapore quasi arabesco, fa la sua comparsa sulla scena. Aggressivo e mirato, il solo dura molto poco, ma sicuramente smuove le acque che fino ad ora erano rimaste comunque calme ed abbastanza pacate. Arriviamo alla fine del pezzo leggermente confusi, sicuri di aver ascoltato un pezzo che sembra scritto dai Kreator ma solamente in parte. Sul finale la band ripete nuovamente il main theme che abbiamo ascoltato per tre quarti del pezzo stesso, e si va a chiudere in dissolvenza. Difficile giudicare una canzone come questa, abbiamo molti elementi, ma nessuno che ci faccia davvero convincere. Troppo lineare per gridare al miracolo, nonostante la presenza dell'assolo, ma non così fiacca da venire criticata aspramente. Sembra che la colpa ed il cruccio più grande delle canzoni contenute in questi dischi, sia quello di oscillare sempre fra luce e buio, fra momenti di stanca ed alcuni spiragli di violenza. Il risultato finale è quello che arriviamo al termine della canzone con una strada di fronte che non ci è mai tanto chiara. Il mondo sta finendo, ma l'età dell'oro arriverà per tutti, questo il messaggio di fondo della canzone. Non dobbiamo aver paura di arrenderci, non dobbiamo aver paura di sbagliare, ma allo stesso tempo dobbiamo avere la piena consapevolezza che il momento dell'oro arriverà anche per noi. Arriverà il momento in cui sapremo bene che cosa fare e come farlo, sapremo che cosa siamo, e soprattutto sapremo che la salvezza è vicina. Ciò che fa riflettere di queste canzoni, è il dualismo che si viene a creare fra testi profondi che inneggiano alla purezza, alla salvezza, e che sono scritti anche con un certo piglio, accanto a ritmi musicali che non riescono mai a salvare del tutto il pezzo, anzi, in certi frangenti lo fanno quasi sprofondare. Momenti belli ve ne sono, certo, ma mai abbastanza da farci venire un sorriso completo.

Bomb Threat

Ad accoglierci in posizione numero sei è una delle tracce più brevi ed allo stesso tempo più veloci di tutta la carriera dei Kreator. Parliamo di Bomb Threat (Paura della Bomba), brano che parte subito in medias res, grazie ad un enorme crescendo della batteria che non si arresta neanche per un secondo, facendo sanguinare la nostra testa. In battuta quasi successiva troviamo la voce, che stavolta decide di andare direttamente a prenderci a pugni lo stomaco grazie ad un vocalizzo pieno e molto roccioso, degno della migliore scuola Thrash che si rispetti. Il brano dura neanche due minuti, ma sufficienti per rendere l'intero ascolto davvero pregno di significato, con una band in piena forza che, nonostante il pezzo sia del 1995,sembra scritto molti anni prima, nella Golden Age ( parafrasando il brano precedente ) del Thrash metal. Un brano che sicuramente da ancor meglio dal vivo, un pezzo che ascoltato durante un concerto ti costringe a muovere la testa a ritmo con la band, ondeggiando i capelli a ritmo con questo enorme vortice di devastazione. Finalmente sembra che abbiamo incontrato un pezzo Thrash degno di essere chiamato tale. Non capiamoci male, non che ciò che abbiamo sentito fino a questo momento sia da cestinare, lo abbiamo detto in più di una occasione, ma altrettanto vero è che non abbiamo sentito fino ad ora brani che avessero un tiro vero e proprio, se non forse proprio la cover iniziale oscura e notturna come la abbiamo analizzata. Avete presente quegli scenari post apocalisse, in cui tutti sembrano rendersi conto di ciò che è appena successo, e gridano al panico? Ecco, questa canzone parla del momento esattamente prima. Quel momento in cui c'è la paura che stia per succedere qualcosa di terribile, qualcosa che possa cambiare il volto del mondo in men che non si dica. Ecco quindi che ci ritroviamo a pensare a tutto ciò che abbiamo fatto nella nostra vita, chiedendo a noi stessi se potevamo fare di più. In questo caso specifico parliamo di una bomba, come si può pensare dal titolo stesso, la paura che una bomba possa esplodere e devastare tutto quanto. Una bomba che, considerando da dove provengono i nostri amici, può essere riferita anche ad una vecchia paura da guerra fredda, ormai già finita quanto il disco venne pubblicato. Eppure quel sentimento non ha mai lasciato il cuore dei cittadini europei, anzi, sembra che ancora alberghi dentro le loro anime, pronto ad esplodere ogni volta che ci si avvicina ad un pericolo. Una canzone che riesce a mischiare a sé la violenza della musica, suonata alla massima velocità possibile, con un testo che lascia presagire ben pochi sentimenti di speranza o di positivo. 

Phobia

Il prossimo brano in scaletta proviene nuovamente da Outcast, ma stavolta andiamo a sentire qualcosa di decisamente più aggressivo. Parliamo di Phobia (Fobia), che quasi come il brano precedente parte subito in quarta, andando a martellare la nostra testa con un ritmo pressante e quasi ipnotico, grazie soprattutto ad un ottimo lavoro fra chitarra e batteria. La voce di Petrozza arriva dopo pochi secondi dall'inizio, concedendo di nuovo alle nostre orecchie un cantato molto aggressivo e pieno di verve, che difficilmente ci fa pensare a qualcosa di calmo e sereno. Il brano allunga le proprie mani sopra di noi, ed inizia a stringere il nostro collo man mano che arriviamo alla fase centrale, in cui grazie ad un piccolo cambio di tempo abbiamo un risultato davvero incredibile. Ogni singolo membro della band sa che cosa fare e come farlo, sa che deve esattamente suonare quel frammento che rende la canzone unica. Ahimè però nuovamente ci troviamo anche a fare i discorsi che sembrava avessimo lasciato qualche brano fa, ovvero quelli che riguardano la fantasia compositiva che sembra ormai aver quasi abbandonato i nostri amici germanici. Siamo infatti nuovamente di fronte ad un pezzo le cui ritmiche si, sono decisamente più aggressive di ciò che abbiamo ascoltato nelle prime tracce, eppure sentiamo sempre che manca qualcosa. Manca un solo, manca un passaggio più ragionato, alla fine si tratta sempre del medesimo tema spremuto fino all'estremo, il che purtroppo rischia di avere un effetto collaterale, annoiare. Grande sforzo dunque per aver messo in piedi un brano che ha un enorme tiro, ma potevano fare di più, molto di più. Non vi è mai un momento di sorpresa, e da una band che ha scritto una pagina così importante di storia della musica, questo ce lo si  aspetta quasi in automatico. Parliamo di paura in questo pezzo, di quella paura che ti prende lo stomaco e lo fa diventare di cartone tanto riesce a piegarlo alla sua volontà. Di quella paura che ci sia qualcuno che ci osservi, che studi le nostre mosse in ogni momento, che sappia sempre che cosa facciamo e come lo facciamo. Una fobia in piena regola, che rischia di mandare il nostro cervello in frantumi. Allora ci aggrappiamo alle uniche certezze che pensiamo di avere, ma basta un passo falso e tutto il castello che ci siamo costruiti crolla miseramente. Ed ecco che esattamente in quel momento la paura torna a regnare sovrana, torna quel sentimento che ci fa sentire sempre distanti dal mondo, che ci fa sentire sempre fuori da ogni schema, ma non in senso positivo. Ci sentiamo abbandonati, ci sentiamo paurosi di qualsiasi cosa ci sia intorno, la nostra mente vaga imperterrita senza mai trovare pace, e noi non possiamo fare altro che seguirla, non ci è consentito fermarci neanche un istante. 

Whatever It May Take

A ruota troviamo un altro brano estratto da Outcast. Parliamo di Whatever It May Take (Qualunque Cosa Possa Prendere), stavolta i toni della canzone fin dai primi battiti si fanno quasi elettronici, caustici e pieni di odio, mentre il pezzo stesso monda e gonfia il petto in attesa di una nuova preda da abbattere. In questo enorme frangente incontriamo di nuovo la voce, che stavolta utilizza un cantato molto particolare. Sembra in alcuni passaggi di sentire una voce che ricorda molto i gruppi post metal anni 90 e simili, con quel tono a metà sempre fra luce ed ombra, con alcuni effetti che lo rendono ancora più particolare. Una canzone che però, ed ormai sembra appurato che sia un dramma di tutto il disco, non prende mai il volo veramente. Si, vi sono dei passaggi interessanti e che forse ci fanno smuovere un po' la coscienza, ma niente che possa ricalcare sicuramente i fasti con cui la band è nata, ma neanche ciò che per esempio ascolteremo nel disco successivo. In questo album sembra che la band, per stare al passo coi tempi, abbia messo in atto una scelta musicale davvero strana se pensiamo a che filone di musica stiamo affrontando. Il risultato è qualcosa che si ascolta, ma che non lascia molto in testa, fatta eccezione per alcuni passaggi davvero azzeccati. Parlando nello specifico di questo brano in particolare, abbiamo a disposizione un enorme sistema di cambi di tempo e di ritmiche che sono prese tanto dal Thrash quanto da filoni anche più moderni di questo genere ma anche del metal in generale. Tutto questo però viene reso un po' piatto da un andante di fondo che non riserva molte sorprese. Da una band così, abituata a confezionare canzoni di un certo peso e soprattutto di una certa caratura, certi stili non ce li aspettiamo. Tuttavia, visto che la filosofia della onesta intellettuale è forse la migliore che si possa utilizzare, diciamo tranquillamente che certe ritmiche specialmente della chitarra sono davvero ben fatte. Il disco poi, e questa è forse una delle note più importanti e positive di tutto l'album, gode anche di una ottima produzione e post produzione, con un sound  che lascia spazio a ben pochi dubbi per quanto riguarda questo passaggio in particolare. Parliamo di abbandono in questa canzone, ma invece che affrontarlo dal punto di vista della fobia come abbiamo fatto nella canzone precedente, qui andiamo ad alimentare alcuni passaggi davvero profondi, che ci fanno ragionare molto sul mondo e soprattutto sulle sue conseguenze per quanto riguarda certe azioni. Pensiamo ad una persona che viene tormentata da una anima dannata, egli sa che comunque alla fine questo demone si porterà via tutto quello che può prendere, ma non porterà via il suo spirito. Non c'è cosa più profonda di un uomo che si rende conto di avere uno spirito puro, di avere una coscienza che lo sveglia ogni volta che qualcosa non va, e che cerca sempre di salvarlo da sé stesso. Questa canzone affronta il tema con un riflesso del tutto nuovo, attivando quasi a dare un messaggio di speranza alle persone che si sentono tormentate da pensieri come quelli del nostro protagonista. Una canzone che riesce a mischiare a sé la violenza della musica con un testo profondo e molto ragionato, come del resto abbiamo già visto anche in altri pezzi presenti su questa raccolta. Sicuramente a fronte di una musica che come abbiamo sempre detto durante l'ascolto poteva riservare semplicemente qualche sorpresa in più, abbiamo dei testi che sono scritti in punta di coltello e di diamante, vere e proprie poesie su fogli di musica. 

Renewal

A fare da seguito a questa traccia troviamo un tuffo nel passato ancora più lungo, tornando fino al 1992. Anno di uscita di Renewal (Rinnovamento), e proprio da questa ci andiamo a sentire la title track . Una canzone che fin dai primi accordi ci fa pensare ad una cosa solamente, metallica e Black Album. Lo stile con cui la band tedesca ha affrontato ed affronta queste liriche è ripreso in larga parte da quello con cui la band americana affrontò le proprie ai tempi, sollevando un polverone di dimensioni enormi. La canzone si sviluppa su una scala cromatica molto densa, cambi di tempo e mid time che si susseguono a spron battuto per tutta la durata della canzone. La chitarra vomita riff e cambi di colore ad ogni passaggio, mentre la voce di Petrozza si dimostra simile a quella che le band anni 90 ma provenienti dal passato usavano nei nuovi dischi. Un tono molto sottile e profondo al tempo stesso, aggressivo ma non troppo, aiutato anche dall'ottimo comparto musicale. Una canzone che riesce a coprire un range di sonorità che, dobbiamo dirlo, fino a questo momento nella compilation non era stato neanche sfiorato. Si dimostra per essere una della canzoni più belle di tutto il disco, andando a mischiare in se stili vecchia scuola con quel sound nuovo che però non guasta l'ascolto, anzi. Più che andiamo avanti nell'ascolto, e più che ci rendiamo conto di quanto la band in questo disco abbia spinto il proprio peregrinare compositivo, e non parliamo della compilation, ma del disco da cui la traccia è tratta. Si può dire forse che questo è uno degli ultimi lavori "belli "prima di alcuni dischi come abbiamo potuto vedere leggermente più fiacchi e stanchi, salvo poi riprendersi successivamente. Il rinnovamento è un concetto molto importante, soprattutto se lo si affronta come hanno fatto i Kreator qui. Immaginate una persona che sa bene quanto abbia sofferto, il suo cuore è rotto in mille parti, pezzi di anima che escono dal suo corpo per andare a farsi ancora in più parti sul pavimento. L'anima di questo uomo sembra non si possa recuperare, ed invece egli trova la forza di alzarsi di nuovo in piedi. Non può permettere egli a nessuno di farlo diventare così, niente può esistere senza che lui ne abbia il controllo, ed ecco che infatti egli alla fine della canzone si rialza in piedi, fiero e consapevole di ciò che vuole fare e di come vuole farlo. Una canzone che più la si sente più ti lascia comunque un sapore amaro in bocca. La piena consapevolezza della tua vita, e del fatto che almeno in un momento di essa ti sei sentito così, esattamente come il protagonista della canzone.

Lost

Prossimo pezzo nella nostra raccolta ci riporta nuovamente a Cause For Conflict, da cui stavolta il buon Petrozza, autore della compilation, ha estratto Lost (Perduto). Rullata aggressiva di batteria e chitarra apre il brano, che come quasi tutti quelli tratti da questo disco, sembra avere tutta l'intenzione di spaccarci le ossa. La chitarra monda fino all'ingresso della voce, Petrozza si dedica ad un vocalizzo aggressivo, aiutato anche dai cori cantati dalla batteria. La canzone procede a tambur battente per tutta la durata, anche se non abbiamo moltissimi cambi di tempo reali, se non molteplici svirgolate della batteria che ci fracassano la gabbia toracica. Ad un certo momento la canzone cambia pelle, ed entriamo in un enorme vortice Thrash da cui difficilmente ci riprendiamo, la sei corde ricama come spire di serpente attorno al manico, andando a foraggiare anche alcuni accenni di mid time prima di un enorme solo che si protrae per diversi secondi. L'andamento del pezzo riprende e cresce nuovamente fino ad esplodere sul ritornello finale, in cui Petrozza da per una ultima volta prova delle sue abilità canore, sforzandosi fino all'estremo. Un'altra delle migliori canzoni di tutta la compilation. Aggressiva ma non troppo, anche melodica in certi passaggi, e profondamente cattiva, aiutata anche da una lirica che coadiuva il tutto. Pezzo interessante, sicuramente molto più celebralmente pregno rispetto ad altri che abbiamo sentito in precedenza, e che proviene da un disco sicuramente da riscoprire. Un enorme conflitto nucleare sta fustigando il pianeta, ed in precedenza era il caos, questo è lo scenario che ci si prospetta davanti ascoltando la canzone. Un uomo vaga per le polverose strade di una città senza nome, senza cartelli ed ormai senza radici, non sa più cosa fare, si sente parte del niente. La sua mente ritorna a pensieri positivi, ricordando i momenti in cui tutti erano felici, in cui tutto il sistema funzionava a dovere, senza bisogno di avere nient'altro. Ormai non è più così, la devastazione e la frustrazione di massa hanno portato via ogni cosa, e rimangono solo cumuli di polvere che si sollevano portati dal vento. Una canzone profonda, che ci fa riscoprire alcuni frangenti perduti di noi stessi, senza che neanche ce ne accorgiamo. Parliamo di quanto il mondo possa improvvisamente diventare nullo sotto i nostri piedi, di quanto anche l'atteggiamento delle persone che credono di sapere tutto ed invece non sanno niente, porterà ad una completa fine di tutto quanto. La canzone affronta anche il tema del sentirsi perso nei meandri della propria anima, possiamo infatti riferire anche la improvvisa devastazione che il protagonista sta subendo, ad una enorme perdita familiare, amorosa o emotiva, un episodio che dichiari fallita definitivamente la nostra mente.

Hate Inside Your Head

Sempre proseguendo sulla linea di Cause, andiamo ad ascoltarci un altro brano decisamente trita ossa, parliamo di Hate Inside Your Head (Odio dentro la Tua Testa). Questo parte decisamente in quarta, con un andamento di stampo classico che ben presto cambia faccia ed esplode in una grancassa e fragore di piatti e tom, mentre la sei corde continua la sua folle corsa senza arrestarsi un minuto. La voce entra poco dopo e già ci sembra di volare in mezzo a campi di sterminio, pieni di corpi ammassati e pronti alla fossa comune. L'andamento della canzone segue i dettami del Thrash classico, batteria e chitarra in prima linea, ma in sottofondo sentiamo anche possenti slap di basso che ci fanno sobbalzare ad ogni nuovo passaggio. Una accelerata clamorosa ci fa riprendere ed il pezzo cambia nuovamente, andando a foraggiare alcuni stili che richiamano lo Speed prima maniera. Petrozza come sempre sul pezzo aggredisce letteralmente le liriche cercando di farle sue, e ci riesce senza troppi problemi. La canzone cambia continuamente tempo e forma, assumendo di volta in volta percorsi che non seguiamo facilmente, ma che ci piacciono dannatamente. Dobbiamo ammettere che le canzoni tratte da Cause for Conflict risollevano la compilation, che come abbiamo visto è anche piena di brani che si potevano "evitare". Arriviamo alla fine del pezzo e ne vogliamo ancora, quando la dissolvenza in mezzo ad un fragore di caos se la porta via, siamo sicuri che torneremo indietro ad ascoltarla. Breve ma intensa, questa traccia continua sulla tradizione della precedente, nonostante siamo negli anni '90 si va ad inasprire l'ascolto grazie anche a qualche segmento che ricorda i primi passi del Groove, soprattutto nella parte di chitarra. Missaggio come sempre perfetto e matrice Hardcore che si fa sentire pesantemente, soprattutto nella sezione di voce e batteria, applausi a scroscio. Rivolta, tumulto e protesta, questi sono gli argomenti principe della canzone. Una enorme folla si è radunata, cori da stadio fanno presagire il peggio, ed esso arriva quando un esercito di cellerini scende dai propri camion, e si prepara alla carica. L'odio, un sentimento che in realtà ci fa sentire anche vivi, ci fa sentire parte di qualcosa che non capiamo subito, ma che poi si trasforma in una vera e propria droga. L'odio alimenta anche cose positive come abbiamo avuto modo di vedere, smuove le coscienze e soprattutto le masse, smuove le persone a protestare per ciò che non torna, per tutto quello che vogliono e non hanno mai ottenuto. La canzone impronta la propria struttura su un messaggio semplice; quell'odio che hai nella testa, quello che ti fa venire voglia di rompere tutto, incanalalo verso qualcosa di positivo, come la protesta contro lo strapotere di chi ti comanda. Il momento è giunto, la carica della polizia non ferma certo il plotone delle parti, anche se parallelamente si palesa all'orizzonte un altro manipolo di manifestanti, anche essi guidati da quell'odio positivo verso il sistema. Grande sincrono fra musica e testo, durante le sessioni di sei corde e batteria si ha nettamente l'impressione di trovarsi in mezzo alla mischia.

Inferno

Prossimo brano in scaletta non era mai stato rilasciato prima, ed il buon Petrozza ha ben pensato di usare questa enorme raccolta per farcelo ascoltare. Si intitola Inferno, ed ora capiremo bene di cosa stiamo parlando. La canzone ha un ritmo davvero particolare, che si va ad incastrare a metà fra il Thrash ed il Metal classico, creando un ibrido davvero niente male. Il pezzo parte subito con un andamento della chitarra oscillante e quasi ipnotico, su cui poco dopo entra la voce, che come sempre sceglie un cantato gutturale e molto aggressivo, anche se in questo particolare momento leggermente meno che in altri. In tutto questo troviamo un comparto musicale che va mano a mano che procediamo nell'ascolto sempre più ad intensificarsi, andando a foraggiare tanto stili che provengono dal Thrash quanto altri che provengono dall'acciaio classico, specialmente di matrice britannica ed europea. La canzone però, nonostante si sforzi di andare avanti e farci arrivare in fondo, non è mai totalmente appagante, spieghiamo perché. Sempre per il medesimo motivo che ci ha spinto a criticare le precedenti, manca qualcosa. Manca un momento che si possa definire vero in tutto e per tutto; le basi ci sono, la canzone scorre anche bene dentro le orecchie, ma non arriva mai in fondo al cuore come invece altre canzoni della band (come le due precedenti) hanno fatto. Tocca delle corde ma non totalmente quelle che ci aspettiamo, e finiamo l'ascolto con un senso di amaro in bocca che francamente potevamo risparmiarci. Sia chiaro, e questo anche se sembra banale lo ripetiamo ad ogni ascolto che non definiamo positivo, non è una canzone da cestinare, anzi. Le parti di chitarra e voce per esempio hanno anche dei grandissimi passaggi e cambi di tempo, ma manca quella percentuale in più per definire il brano totalmente perfetto. Inferno, un girone per ogni peccato, per ogni stilla di male che c'è nel mondo, ma se il mondo stesso fosse l'inferno? E' quello che si chiede il protagonista di questo brano: analizzando le persone che ha intorno, si chiede che cosa possa aver fatto di male il mondo per meritarsi tutto questo, ed alla fine è palese che la colpa sia di quella faccia che vediamo allo specchio ogni mattina. Corpi ammassati per le bocche e le rocce infernali, satanassi che inforcano anime come se fossero burro, ma tutto questo sta avvenendo sulla terra, non siamo in un cantico di Dante e neanche in un poema, siamo nella realtà. L'inferno vero lo vediamo ogni giorno che apriamo gli occhi sul mondo stesso, ogni volta che ci fermiamo e pensiamo che non è possibile che tutto questo nero popoli la terra, quello è il vero Inferno.

Outcast

Torniamo al 1997 e ad Outcast, andando a sentire la title track (Emarginato). La canzone ha un inizio lento e costante, ma come di colpo sembra che piano piano la canzone prenda piede, lemme lemme ed a passo sostenuto. Eppure già dai primi vagiti, ci accorgiamo di una cosa: la canzone non ripeterà altro che il medesimo tema fino allo sfinimento, anche se non vogliamo, essa lo riproporrà senza sosta. La traccia infatti, nei suoi quasi cinque minuti di ascolto, si fonda praticamente solo sulla voce e sull'andamento della chitarra, ma particolarmente sulla prima di queste due. A fare una specie di sunto globale, sembra che il disco da cui è tratta la canzone sia tutto improntato su tracce poco geniali e drammaticamente concrete, ed è una cosa che spesso ha risvolti negativi, come in questo caso. Il brano alla lunga rischia di annoiare, particolarmente perché non possiamo pensare di ascoltare una canzone solamente perché ci piace come viene cantata. Chi è fan del Thrash vuole cambi tempo repentini, anche magari una sezione con la ripetizione ossessiva di  un main theme, ma non per una durata intera di canzone. Il risultato è il medesimo riscontrato negli altri brani, che alla lunga si finisce per annoiarsi e voler andare oltre. Ottima però la prova vocale di Petrozza, qui in forma più che mai mentre affronta le liriche e le sbrana sotto ai denti. Emarginazione, una parola che oggi come oggi fa venire quasi il sorriso, pensando che forse non ci sono più persone emarginate, ma tristemente non è così. Il mondo è pieno di ombre bianche e maschere che non si riveleranno mai, ci sono, camminano fra noi e non ce ne accorgiamo, ma stanno soffrendo. Soffrendo palesemente perché non si sentono parte di niente, si sentono semplicemente parte di loro stessi. Ed allora continuano a vagare per le strade in preda quasi ad una follia descrittiva, andando ad alimentare i propri pensieri solitari e di solitudine. Il mondo li rifiuta eppure loro vogliono solamente essere abbracciati, vogliono sentire il calore di qualcuno che gli parli e dica loro che tutto andrà bene. La canzone, forse complice anche la musica di sottofondo così profonda anche se ripetitiva come abbiamo detto, assume toni quasi malinconici e tristi, sembra di ascoltare qualche piccola svirgolata verso i lidi dello Sludge mentre si va avanti nell'ascolto, anche se siamo lontani anni luce dal genere suonato da bands come i Melvins per esempio. La canzone descrive perfettamente quelli che sono i sentimenti di un malconcio e malinconico emarginato, la sua mente, le sue azioni, il suo modo di pensare, tutto quanto è finalizzato ad un unico scopo, essere ciò che si vuole essere, ma che non si può essere. Motivo per cui l'emarginato vive ai confini della società, non ne fa parte, ne subisce le amare ed aspre conseguenze, anche se non vuole. E' palese che egli stia soffrendo, ma noi ci giriamo dall'altra parte, facendo quasi finta di nulla mentre tutto questo va a rotoli, la loro mente si accartoccia finché non ne resterà niente.

State Oppression (Raw Power Cover)

Passiamo ora ad un'altra cover, stavolta di una gloria nostrana, i grandissimi Raw Power. La band di MP e soci ha capitanato le scene Hardcore mondiali per tantissimo tempo (ancora oggi in realtà), ed è considerata uno dei fari di questo genere, fra le poche ad essere uscite dall'Italia facendo successo. La canzone che hanno scelto i Kreator è State Oppression (Oppressione di Stato), tratta dal glorioso You Are Victim del 1983. La canzone, anzi, la cover, è pressoché identica all'originale, col suo minuto  e mezzo scarso di durata, nel pieno rispetto della tradizione HC. Petrozza si cimenta in un cantato forse ancora più aggressivo dei precedentemente ascoltati, ed il ritornello così caustico e veloce fa muovere la testa come forsennati, al ritmo della musica migliore per questo scopo. Quando parliamo di Thrash Metal infatti non dobbiamo mai dimenticare che è figlio tanto del Metal classico, quanto del violento Hardcore, essendo appunto la commistione dei due generi messi assieme. Viene quasi naturale quindi pensare che moltissime bands in circolazione abbiano ascoltato determinati  gruppi, e che li vogliano coverizzare. Magari erano i loro gruppi preferiti o fra i preferiti da ragazzi, ed una volta arrivati al successo, perché non omaggiarli? I Metallica hanno dedicato un intero disco a questo concetto, per citare un esempio famoso. La canzone si snoda pressoché sulle medesime parole, di odio e repressione, cantate da Petrozza quasi con la stessa intensità di MP ai tempi in cui venne scritta. Il ritmo del pezzo cambia rispetto a quelli ascoltati in precedenza, e si tinge di colori vintage, sabbia e mogano la fanno da padrone mentre le chitarre distorcono il suono a più non posso, senza lasciarci un momento per riprendere fiato. Lo stato è oppressivo, la sua forza, il suo potere, sono negli occhi di chi guarda e non fa niente, questo il messaggio della canzone. In mezzo al caos generato dal pezzo stesso, risaliamo ad un baluardo di speranza, quando i Raw Power ci invitano a scegliere se andare avanti così oppure ribellarci e fare qualcosa. Palesemente il pubblico sceglierà la seconda opzione, ed ecco che allora un muro di gente si solleverà per cambiare le cose. Le canzoni Hardcore, quelle vere, quelle che ti fanno ribollire il sangue, hanno questa fantastica capacità, smuovere le coscienze e gli animi, almeno di quelli che vogliono ascoltare. In questo caso abbiamo una denuncia violenta e rabbiosa allo strapotere del governo (quello italiano, nel caso della band di Poviglio, ma possiamo metterci chi vogliamo), a tutto il mondo che non fa altro che essere popolato da persone ignobili che mettono la mordacchia alla libertà di espressione, di parola e di aggregazione.

Endorama

Terzultimo brano in scaletta è la title track di un altro album, ovvero Endorama. Non abbiamo in realtà una idea precisa di come si traduca il titolo, ma possiamo in realtà a grandi linee interpretare il titolo come "dentro la visione". In Greco antico infatti la parola Endorama è composita di due parole il cui significato classico è proprio questo, quindi possiamo affermare che, sempre con le dovute accortezze, il meaning di questo titolo possa essere questo. Nel disco da cui è tratta la canzone, ed anche tale traccia non fa eccezioni, i Kreator si allontanano maggiormente rispetto che ad altri dischi dalle sonorità a loro più consone, per concentrarsi su un enorme ibrido fra Thrash e New Wave dalle tinte gotiche. Il risultato fu accolto tiepidamente dai fans, che richiesero subito il ritorno a sonorità più pesanti, cosa che accadde col disco successivo. Come nella miglior tradizione dark che si rispetti, anche questa canzone consta di un enorme tema che viene ripetuto ossessivamente per tutta la durata dell'ascolto, fino allo stremo. Si tratta di un andamento malinconico, a tratti quasi claustrofobico, che allo stesso tempo non preclude l'ascolto, ma lo accompagna fino alla fine. Petrozza qui sfodera un cantato pulito e caustico, molto profondo, quasi litico sotto molti punti di vista, e si concentra non tanto sull'aggredire le liriche come è sua tradizione, ma sul renderle molto abissali dal punto di vista della resa finale. La musica come abbiamo detto è ripetitiva, ma rispetto a ciò che abbiamo ascoltato su Outcast e le tracce da esso tratte, tutto questo ci sembra decisamente più interessante, se non altro innovativo. Per una band Thrash nuda e cruda quale i Kreator sono stati fin dal 1984, avere a che fare con un genere così particolare è una vera sfida, e per quanto il risultato finale possa essere criticabile dal punto di vista della scelta, non possiamo non dire che ci hanno almeno provato. Il pezzo si snoda fra meandri di buio raccontandoci una fantomatica storia di caos e distruzione, ma in chiave quasi poetica. Endorama può essere visto in molteplici modi, sia come abbiamo detto a livello di visione, sia di città mistica, di personificazione del paradiso o di quello che la nostra mente associa in quel momento al concetto basilare di "evasione". Si parla infatti si di morte e distruzione come abbiamo detto, ma vengono visti da una chiave che non ci aspettiamo, ovvero quello delle persone che, nonostante quello che sta succedendo, vengono salvate. La loro anima ascende al cielo in questo fantomatico universo di salvezza, arriverà per tutti il momento, e per quanto in esso, in Endorama, tutti verremo giudicati, sappiamo almeno che qualcuno ha cercato di salvarci. Grazie anche alla musica così cubica ed oppressiva, abbiamo mentre ascoltiamo la canzone un senso di profonda consapevolezza, che unito a tutto il resto ci permette di giudicare questa traccia come una delle più interessanti di tutto il pattern.

Black Sunrise

Sedicesima posizione viene occupata da un altro brano proveniente da Outcast, esattamente come quello che seguirà. In questo caso si tratta di Black Sunrise (Alba Nera), il cui inizio viene affidato alle polverose note della sei corde, a cui ben presto si lega il cantato stavolta assumendo delle tonalità quasi Post Metal, grazie anche al massiccio uso di programmazione musicale e synth che in Outcast venne adottato, scatenando ovviamente in alcuni frangenti l'ira dei fan. L'andante della canzone non è mai troppo sopra le righe, come accade per ogni traccia presente in questo disco, a farla da padrone sono voce e testo, cercando di farci arrivare il significato. Tuttavia qui, dobbiamo dirlo, compare anche un enorme assolo a farci compagnia, classico e lungo, la sei corde si vede le proprie strisce di ferro strappate dalla sede, mentre Petrozza continua ad aggredire le liriche con fare gigantesco, quasi fosse un demone che cerca di annichilire la propria preda. Nonostante la presenza dell'assolo però, la canzone continua ad essere una ripetizione continua del medesimo tema, ed alla fine il risultato è sempre il solito, ovvero rischiare di annoiare. Non diciamo stavolta che il rischio è alto come è capitato in altre canzoni tratte dal medesimo disco, eppure sentiamo sempre che il nostro stomaco vorrebbe contorcersi in altro modo, vorremo che ci venisse dato qualche calcio ben assestato, anche semplicemente cambiando il tempo della canzone stessa. Invece arriviamo alla fine che abbiamo ascoltato una colorazione distonica e piena di malinconia, ma senza una anima reale, se non quella che ci trasmette il testo. E quello si è da antologia: l'alba nera altri non è che la fine del tutto, il rendersi conto che il mondo sta implodendo sotto ai nostri piedi. Una volta che ci siamo resi conto di questo, capiamo anche che la polvere che ci sta affiorando ai piedi, è quella dell'apocalisse; come nel miglior film sull'argomento, vediamo il sole spegnersi lentamente, la sua luce abbandona la terra piano piano, quasi come per darci l'idea e la consapevolezza che ovviamente ciò che sta accadendo è colpa nostra. Nel frattempo sentiamo le gambe pesanti, una espressione calzante arriva a fine del testo, sentiamo come se il nostro corpo fosse immerso in una enorme palude che ci sta tirando giù, come se il nostro peso fosse diventato il doppio o il triplo, e non riusciamo ad alzarci. Mentre tutto questo accade, sentiamo anche che il sole ormai ha smesso di baciare la terra, la sua luce non ci sarà più, al suo posto solamente morte e devastazione, nel più puro stile della fine del mondo. Un freddo polare comincia a serpeggiare fra la folla, mani che si intorpidiscono, diafane e piene di sangue che ormai sta coagulando dall'abbassarsi della temperatura, ed ecco che arriviamo all'alba nera. Il sole è scomparso per lasciare il posto ad una foschia nei toni del nero, del grigio e del verde, nell'immensa consapevolezza che tutto questo non possiamo che attribuirlo a noi stessi. Siamo stati noi con la nostra cupidigia, con la nostra mancanza di sensibilità, a portare a tutto questo. Siamo stati sempre noi che, col nostro fare da conquistatori, abbiamo causato morte e sofferenza, fino ad arrivare a questo. Non possiamo farci niente, l'alba nera è ormai giunta, e non si torna indietro.

As We Watch The West

Va a chiudere questa lunga compilation una bonus track presente solo sulla versione giapponese di Oucast, ovvero As We Watch The West (Mentre Guardiamo l'Ovest). La canzone ha un inizio davvero particolare, viene affidato infatti ad un sofferente andante di pianoforte, a cui ben presto si aggiunge la voce, che in questo caso viene effettata per un sentore ancora più particolare. Si procede addentrandosi all'interno della canzone mentre il piano continua la sua melanconica melodia, a fronte di un enorme sentore che tutto quello che ci sta accadendo intorno ci farà soffrire. Una volta finito l'andante di piano, la voce alza il tono ed un main theme di chitarra e batteria, lemme e costante, comincia a fare capolino e ci spreme fino al midollo. Ritmiche lente, ma allo stesso tempo costanti, sempre nel segno del cattivo e del melanconico, soprattutto nelle liriche che vengono affrontate. Il tema viene ovviamente ripetuto ossessivamente, la batteria da sonori e fragorosi colpi alla propria cassa e tom, di modo da creare la giusta atmosfera di fondo. Non vi sono grosse variazioni, ma ormai arrivati a questo punto lo sappiamo, ma non sappiamo che di sottofondo alla canzone vengono inseriti audio di un discorso alla folla, che arringa fra scrosci di applausi. Ecco che di conseguenza torna anche il pianoforte, stavolta gli eburnei tasti dello strumento a coda vengono suonati dolcemente, mentre la voce si rifà nuovamente al cantato ascoltato ad inizio pezzo, effettata come un microfono (anzi, come una radio vecchio stile), e nel mentre continuiamo a sentire questo duetto fra voce e pianoforte, lacrime di dolore e sofferenza solcano il nostro volto, le ultime parole della canzone vengono legate fra loro anche da alcuni accordi di chitarra classica, mentre in successione arriva una dissolvenza che si porta via tutto il brano. Persone che si rendono conto di quanto l'Occidente stia decadendo (e forse non è un caso che la canzone sia comparsa per la prima volta ad Oriente, in Giappone per la precisione), personaggi che in cima ad una ipotetica vetta del mondo si rendono conto di quanto la società occidentale, per secoli baluardo di saggezza, di tecnologia e di scoperte, stia lentamente perendo sotto i loro occhi. Perendo per cosa, esattamente? Per la loro mancanza di innovazione, per quel sentimento che li porta ogni volta a non fare mai il passo più lungo della gamba, e che li porta soprattutto a non essere mai parte veramente di qualcosa. Ecco allora che, mentre guardano ad Ovest, gli uomini si chiedono se tutto questo abbia un senso reale di esistere, se mentre ci guarderemo dentro, nel momento in cui ve ne sarà bisogno, avremo la piena consapevolezza di chi siamo e di dove stiamo andando. L'Ovest, patria delle più grandi scoperte dell'umanità, ormai ridotta ad un cumulo di macerie morali, schiacciata dallo strapotere di nazioni più grandi, più ricche e più avanzate.

Conclusioni

La domanda vera che ci stiamo ponendo è, era veramente necessaria questa compilation, intitolata Voices Of Transgression - a 90's Retrospective? La risposta è NI, e vi spieghiamo perché. Nel voto che leggete in alto della recensione, vi sarete accorti che è semplicemente la sufficienza piena, con un punticino in più, e come mai un voto così basso ad un disco di una band così seminale ed importante come i Kreator? Semplice, perché la scelta delle tracce non è stata peculiare. Andiamo a spiegarci meglio: al di là dell'eccessiva lunghezza del disco, perché si parla di un'ora intera di musica, siamo anche consapevoli che il concetto di compilation non preclude assolutamente questa possibilità, anzi è quasi un obbligo. Detto questo possiamo solo dire che i dischi anni '90 dei Kreator constano di tracce che si possono non tanto evitare, ma neanche additare come capolavori. A parte quelle tratte da Cause For Conflict, che risollevano ampiamente il disco intero ed hanno permesso quel mezzo punticino in più, il disco in sé per sé non consta di vere e proprie perle nascoste. Menzione d'onore sicuramente per le tre tracce speciali, fra cui due mai rilasciate prima ed una solamente disponibile in Giappone; quando accadono queste cose però, viene da chiedersi se non sia meglio comprarsi direttamente il disco in versione giapponese, o ascoltarlo direttamente sul profilo ufficiale della band. Considerando però l'anno di uscita di questa compilation, in cui il mondo digitale ancora era lontano dall'essere così veloce come oggi, direi che la raccolta può essere tranquillamente acquistata anche solo per mero collezionismo e per la voglia dei collezionisti di avere una raccolta completa della loro band preferita. Per quanto riguarda il contenuto musicale nudo e crudo, vi sono moltissime tracce che, come abbiamo avuto modo di sviscerare durante l'ascolto, rischiano seriamente di annoiare l'ascoltatore, se non altro per la troppa presenza di temi peculiari che vengono semplicemente ripetuti fino allo stremo senza uno stralcio di genialità compositiva molto profonda. A fronte di questo però possiamo accostare a queste critiche l'enorme profondità dei testi presenti nella compilation. Sintomo di una decade in cui si iniziavano a fare i conti col passato che ormai se ne era andato, le voci della trasgressione alla fine risultano essere proprio quel malinconico e malconcio senso di appartenenza ad una generazione, quella di Petrozza e soci, che mal si incastra con gli anni '90. Una generazione che ha vissuto lo spirito della decade precedente con enorme fare da conquistatore, e che nell'anno in cui la raccolta è stata rilasciata, si ritrova a fare i conti col proprio passato. Vi sono però anche momenti interessanti, come le due cover, una di "luce" come quella dei Raw Power, col suo carico di odio viscerale, quella voglia smodata di andare sempre contro il sistema, e vederlo bruciare, e dall'altra invece abbiamo il "buio" con i Sisters Of Mercy. Una scelta davvero strana se pensiamo ai Kreator, ma andando avanti nell'ascolto ci rendiamo conto che l'intero Endorama, disco da cui questa canzone è tratta, è così. Un enorme e fortemente coraggioso omaggio alla dark wave ed al gothic, con la stregua di fans storici che gridarono al tradimento. Alla fine cosa possiamo dire in conclusione di questa compilation? Che dovrebbero acquistarla coloro che dei Kreator anni '90 non hanno assolutamente nulla nella propria casa, è un ottimo modo per scoprire dischi anche interessanti, come l'ottimo Cause For Conflict. A fianco di queste troveremo tracce inedite, che ci permetteranno anche di saggiare lo spirito caustico e sperimentale della band, tracce anche non tanto da dimenticare, ma da farsi scivolare addosso, ed anche canzoni tratte da un album così particolare come Endorama, a fianco di altrettante tratte da Outcast. Un disco che merita la sufficienza piena anche per la varietà di stili che racchiude al suo interno, ed è sempre un bene questo, a prescindere dai gusti.

1) Lucretia (My Reflection) (The Sisters Of Mercy Cover)
2) Chosen Few
3) Isolation
4) Leave This World Behind
5) Golden Age
6) Bomb Threat
7) Phobia
8) Whatever It May Take
9) Renewal
10) Lost
11) Hate Inside Your Head
12) Inferno
13) Outcast
14) State Oppression (Raw Power Cover)
15) Endorama
16) Black Sunrise
17) As We Watch The West
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