KREATOR

Pleasure To Kill

1986 - Noise Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
22/05/2018
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

1986, un anno a dir poco epocale per chi segue il Thrash Metal: stiamo infatti parlando dei dodici mesi in cui vedono la luce i grandi dischi del genere, ad iniziare da "Master of Puppets" dei Metallica, passando per "Reign In Blood" degli Slayer fino a giungere a "Peace Sells... But Who's Buying?" dei Megadeth. All'appello manca il quarto tassello dei Big Four, gli Anthrax, i quali erano freschi del loro secondo disco l'anno prima, il potentissimo "Spreading The Disease", dunque si può dire che in un arco di tempo veramente limitato gli Stati Uniti hanno regalato al mondo le pietre miliari del Thrash. Ma attenzione, non si deve per forza varcare l'Oceano Atlantico per trovare dei gruppi attivissimi in questo settore; ci basterà infatti volgere lo sguardo verso la Germania per scorgere all'orizzonte un nuovo esercito di guerrieri pronti a trapanarci i timpani con le loro chitarre ruggenti: in testa a questa orda troviamo essenzalmente due band, i Destruction, dei quali usciva proprio nell'86 il secondo full lenght "Eternal Devastation" ed i Kreator, che anche loro tornavano alla carica con il secondo passo della loro fulminante carriera, un album che ancora oggi non ha bisogno di particolari presentazioni per far alzare le corna al cielo: "Pleasure To Kill". Quello del Creatore però, è un nome che si presenta solo "a posteriori" nell'attività del quartetto: il nucleo di questo titano del Thrash Metal teutonico si formò infatti nel 1982, identificandosi per un breve perodo con il nome di Metal Militia, che poco dopo divenne"Tormentor" (peraltro titolo della quarta traccia del lavoro di debutto), per poi passare a Tyrant nel 1984. In questa fase ancora germinale, la formazione è composta solo da tre membri, con i quali vengono pubblicati i primi due demo ed il disco d'esordio "Endless Pain": Mille Petrozza alla chitarra, Roberto Fioretti al basso e Jürgen "Ventor" Reil alla batteria. Originariamente il cantante fu Paul Perozza, ma venne licenziato poche settimane dopo, il ruolo di voce si alterna fra l'axemen ed il drummer, fino a diventare esclusivo del frontman proprio dopo l'uscita di "Pleasure To Kill". Nonostante questa line up anomala, Petrozza e soci hanno le idee chiare e già dalle prime pubblicazioni i Kreator si fanno conoscere come una delle band più veloci e brutali dell'intera scena tedesca. Non è un caso se queste due prime pubblicazioni sono annoverate quali fonte di ispirazione per diverse band death metal, la loro aggressività ed istintività sonora le rendono ideali per spingere la leva della pesatezza metal ancora più avanti ed estremizzando ancora di più l'Hard N'Heavy, una sola parola vigeva dunque come un imperativo: violenza, non solo come concetto metafisico, ma come un vero e proprio stile di vita. Non scordiamoci mai che Mille Petrozza e soci sono originari di Essen, uno dei maggiori poli siderurgici del Nord Europa nonché una città prevalentemente operaia; su di loro grava quindi il peso delle storie della cosiddetta working class, di coloro che si spaccano la schiena in fabbrica tutto il santo giorno per portare a casa la pagnotta ed ai quali serve quindi con assoluta urgenza una valvola di sfogo. Del resto, se nelle tue narici altro non hai che l'odore di acciaio fuso misto a sudore di operatore siderurgico è inevitabile che si sviluppi in te un odio profondo per tutta la classe dominante, un ribrezzo per i fighetti in giacca e cravatta che guadagnano il decuplo di te senza muovere un dito mentre tu devi sperare di raccimolare una somma degna di essere chiamata stipendio con turni in fabbrica sempre più lunghi, perchè loro sono lì, seduti ad una scrivania a non far niente e tu guidi un muletto scassato. Puoi pensare solo una cosa, che la giustizia, umana o divina che sia, non esiste e che per quanto si possa sperare il mondo continuerà sempre a girare così, a meno che tutto questo odio non venga incanalato in qualcosa come la musica, che attraverso le sue note graffianti e le sue metafore splatter possa dar vita a tutte le tue idee malsane. Basterà guardare la copertina di "Pleasure To Kill" per vedere ogni nostra fantasia malsana prendere vita: sull'artwork di questo disco infatti fa la sua comparsa per la prima volta quella che oggi è considerata a tutti gli effetti la mascotte dei Kreator: Violent Mind, qui intento ad uccidere un'orda di scheletri che invano tentano di sopraffarlo. La scena è immersa su un fondo rosso sangue, mentre in primo piano compare subito la montagna di ossa ormai maciullate dal guerriero protagonista dell'immagine, davanti a lui un ennesimo scheletro tenta inutilmente di colpirlo, ed altri cinque alle sue spalle si preparano all'attacco, ma uno di essi ha già il cranio perforato dalla coda del demone, il quale, combatte a mani nude con una foga sovrumana: non gli serve nemmeno una spada, egli afferra semplicemente i suoi avversari per la testa e li stritola facendo dei loro teschi una insulso cumulo di polvere, mostrando sul volto l'estasi orgasmica che gli provoca questa fiumana di uccisioni. La morte, in particolare quella violenta, è dunque il filone conduttore dell'album, tanto che Mille Petrozza dichiarò di aver tratto ispirazione dal film "Le Facce Della Morte" ("Faces Of Death") del 1978, uno "shockumentary" relizzato con un insieme di scene realizzate da cineasti e scene estrapolate da diversi documentari, tutte contenenti immagini altamente violente, non ci si poteva aspettare musa migliore per questo secondo disco dei Kreator.

Choir Of Damned

Il disco si apre con "Choir Of the Damned" ("Il Coro Dei Dannati"), un preludio il cui compito è gettare sul campo di battaglia un alone lugubre prima dell'imminente scontro, una sinfonia solenne che faccia tornare sul quel gelido terreno le anime di coloro che sono morti nel corso delle battaglie passate che proprio là si sono combattute. Oltre ai due eserciti di viventi dunque, su quello stesso fango, si scontreranno nuovamente anche le orde di tutte le armate che hanno calpestato quel suolo secoli prima, dando così vita ad una guerra che sconquasserà le fondamenta della terra per i secoli a venire. Su un campionamento del soffio del vento, fa il suo epico ingresso la sei corde, la quale inizia a scaldarci le membra con un fraseggio lento e cadenzato, dopodichè, una pausa. Sembrerebbe tutto finito, ma ecco invece prendere avvio una composizione orchestrale in pompa magna, composta dagli strumenti più classici come archi e fiati, che allungano l'accompagnamento di questo coro ancora di una manciata di secondi, appena un minuto e quaranta secondi di respiro, prima che i guerrieri si lancino nella mischia.

Ripping Corpse

La successiva "Ripping Corpse" ("Cadavere Squartatore") parte infatti fulminea e lacerante fin da subito: una serie di stacchi di batteria scandisce il tempo con la stessa ferocia con cui un maniaco sferra le sue pugnalate, ma invece è Ventor che pesta letteralmente il suo set seguito fedelmete dalla chitarra e dal basso. Il vaso di Pandora è stato aperto, si dia inizio alla carneficina, ed i Kreator non si fanno certo cogliere impreparati; il sound generale è ancora grezzo ed il songwriting appare ancora "confusionario", ma siamo agli inizi dell'ascesa del Creatore, quindi la "grezzura" è funzionale nochè necessaria allo scopo. Il tempo principale è un quattro quarti serrato, ideale per sostenere una chitarra le cui corde sono letteralmente corrose dal plettro in fase di shredding, a sua volta seguita da un basso martellato senza freno. I tre avanzano spediti senza svolta alcuna, lasciandosi totalmente trascinare anch'essi dalla loro follia omicida. Il sound è decisamente impastato ed ovattato, ma teniamo comunque presente che i Kreator hanno registrato in presa diretta, aggiungendo solo in seguito le sovraincisioni dei cori e delle rifiniture soliste, un procedimento rudimentale ma il cui fine è far emergere in tutto e per tutto la grinta di questi thrasher. Sul tupa tupa incallito è la chitarra a presentarsi maggiormente variegata, muovendosi su un fraseggio tritato che ci lascia pensare immediatamente al Black Metal, genere per il quale i nostri divennero ben presto dei mentori. Su questo incedere impetuoso e claustrofobico, immaginatevi un cadavere sfigurato a mazzate che improvvisamente prende vita ed inizia ad uccidere chiunque gli capiti a tiro, guidato da un ancestrale sortilegio che rigetta quella carne putrida nel mondo dei vivi per avere la possibilità di vendicarsi di ciò che le è stato fatto. A giudicare dalla lirica, questo cadavere giunge dalle terre dell'Est, possiamo quindi immaginarci, ad esempio, una vittima delle sevizie dell'imperatore Vlad Tepes (noto ai più come Vlad l'impalatore), magari un suo mezzadro condannato alla tortura per aver disobbedito al proprio padrone, egli torna ora in vita, riemergendo dalla terrà nella quale fu seppellito, per seviziare gli esseri umani a sua volta e dall'Est Europa giunge fino a noi, brandendo una lama insozzata dal sangue di uomini, donne e bambini che hanno avuto come unica sfortuna quella di trovarsi sul suo percorso. Questa putrida creatura giunge da lontanissimo, eppure, trascinandosi sulle sue gambe martoriate, ora è qui, nella nostra città, pronta a reclamare la nostra testa. Abbiamo sempre vissuto nella tranquillità della nostra casa, con la nostra famiglia e i nostri cari, ma ora questo idilio sarà spazzato via dal cadavere sventratore, perciò prepariamoci alla morte, che avverrà cruenta per una accettata nella schiena ed accettiamo stoicamente il destino prima che sia troppo tardi. Inizamo a sudare freddo, colti dal panico ed il morto è già qui, in pochi secodi si è letteralmente materializzato in casa nostra ed ha già iniziato a squartare nostra moglie e i nostri figli, il tutto mentre i Kreator viaggiano sempre a bpm elevatissimi, vorremmo tanto che si trattasse solo di un brutto sogno, eppure egli è qui, ad insozzare casa nostra con il sangue della nostra famiglia e l'olezzo della sua putrefazione. Ora tocca a noi, non abbiamo scampo, il cadavere avanza con l'ascia in mano e si getta su di noi, abbiamo solo il tempo di veder volare i nostri visceri, prima che la luce si spega definitivamente. Questa carneficina si conclude in appena tre minuti e mezzo, con un ultimo assolo di chitarra che corrode più della soda caustica, dopodichè tutto si spegne, come il silenzio che si stende dopo il baccano di un massacro omicida.

Death Is Your Saviour

Pochi secondi di respiro e si parte con la seguente "Death Is Your Saviour" ("La Morte é Il Tuo Salvatore"), avviata da un quattro dato sul rullante da Ventor che qui ricopre anche il ruolo di cantante oltre che di drummer. Proprio per questa particolarità il brano, pur essendo sempre velocissimo a livello ritmico, possiede una parte di batteria ancora più lineare della precedente: dovendo infatti ricoprire due ruoli, Ventor si riserva i passaggi sui fusti solo nelle parti in cui non canta, restando invece dritto con il tupa tupa all'interno delle strofe. Ciò potrà rendere il pezzo apparentemente monotono, ma di canzoni Thrash in cui il batterista suona e canta ce ne sono davvero pochi, dunque una simile prova è solo che da encomiare. Dopo un'introduzione strumentale, dove i flem ritmici sono rapidi ed incalzanti, in corrispondenza del cantato il tempo si uniforma lasciando che siano la chitarra ed il basso a creare il muro che ci investe e ci macina le ossa. La sei corde mitraglia note su note, lanciando anche qualche stoccata solista a mo di inciso, mentre il quattro corde si muove su uno schema più schematico per meglio seguire la velocità travolgente. Con questo testo i Kreator ci raccontano di un guerriero dei tempi antichi, che potrebbe benissimo essere l'"Evil Mind" della copertina del disco, un combattente talmente forte e feroce da essere temuto da popoli interi. Tutta la lirica è impostata come un racconto epico, con la narrazione al passato che partendo dal trascorso remoto si avvicina a noi per narrare le gesta del cosiddetto "wargod" ("dio della guerra"). In una terra oscura e pervasa dalla violenza non troppo lontana da noi, visse appunto questo guerriero, talmente potente da essere temuto dagli schiavi e dai popoli come un dio malvagio; nessuno ebbe mai il coraggio di opporsi a lui e per tutta la sua esistenza, questo individuo visse brandendo la sua spada e fece del combatere la sua unica ragione di vita. Come lui, anche noi possiamo diventare temibili, basta brandire la nostra spada ed iniziare a combattere con tutta la nostra ferocia, non concedendo neanche un secondo di tregua ai nostri nemici. Una volta passato il primo ritornello, la seconda strofa passa dall'essere un racconto all'essere un imperativo rivolto direttamente a noi: i Kreator infatti ci incitano a seguire l'esempio del guerriero e a combattare guidati dal verbo della violenza, diffondendo il terrore in ogni dove e confidando solo ed unicamente in una sola certezza: che solo la morte ci salverà. Per tutta la vita infatti dovremo combattere per non essere sopraffati, vivendo un'esistenza votata alla lotta per la sopravvivenza, un'eterna guerra dalla quale solo la morte potrà salvarci. Il pezzo nel mentre prosegue sempre serratissimo, con Ventor che letteralmente ringhia le parole per stare a tempo con il suo drumming mitragliato, la chitarra intanto macina plettrate su plettrate e dopo anni ed anni di combattimenti, il cupo mietitore scende sul campo di battaglia per noi, accompagnato dalle grida delle banshee che ci assordano fino alla follia. Rispetto al pezzo precedente, come anticipato, la struttura è ancora più lineare, ma ciò non toglie che questa seconda traccia dell'album spacchi ossa in ogni dove e a livello strutturale, si rivela particolarmente astuta la scelta dei Kreator di lasciare alla chitarra le parti più articolate, consentendo al batterista di poter cantare e al tempo stesso arricchire la composizione con degli incisi solisti davvero travolgenti. Sta per arrivare la nostra ora, abbiamo combattuto con tutta la nostra forza e con onore, tanto che i nostri nemici si fermeranno in solenne atteggiamento e ci sentiranno esalare l'ultimo respiro, alzando le spade al cielo in segno di rispetto per noi, che siamo diventati i nuovi wargod.


Pleasure To Kill

Arriviamo alla titletrack, "Pleasure To Kill" ("Il Piacere Di Uccidere") nella quale il ruolo di vocalist torna ad essere di Mille Petrozza. Pur avendo due timbri vocali nettamente diversi e ben riconoscibili, i due cantanti cercano di cantare secondo lo stesso stile, "vomitando" le parole con tutta la loro ferocia e cercando di condensare intere frasi nell'arco di poche battutte, ma con il senno di poi si capisce perchè il chitarrista e fondatore del gruppo si sia aggiudicato il ruolo di cantante in maniera definitiva: senza nulla togliere a Ventor, Petrozza possiede quel qualcosa in più che rende il suo cantato un vero e proprio ruggito dall'Inferno, con in più anche un accenno di screaming che rende la sua voce particolarmente acida e corrosiva. Inoltre, essendo svincolato da questo ruolo, Ventor ha modo di dedicarsi unicamente al drumming, dando prova di tutta la sua maestria in fatto di velocità. Basta avviare la traccia per avere subito una sua prova tecnica, la canzone infatti è avviata da un passaggio velocissimo sui tom, dei quali, grazie anche alla postproduzione "underground" emerge anche il riverbero applicato sulle pelli, facendole suonare come se la batteria fosse stata registrata in una caverna. Un rapido shake sui fusti e via di nuovo a tritare budella; cassa e rullante tornano i dominatori della scena viaggiando nuovamente sopra i 180 bpm. Il riff di chitarra è più disteso, ma lo shredding resta il comandamento assoluto delle ritmiche dei Kreator, la strofa si snoda su un unico cambio tonale, arricchiti dai rapidi incisi in chiusura di ogni frase per poi alzarsi nel pre ritornello; tutto viaggia sempre incalzante senza concederci un attimo di respiro, per poi arrivare al fulmineo ritornello, dove i powerchord si distendono affinchè venga scandito il titolo della canzone. I primi due blocchi di brano si ripetono uguali, ma una volta passato il ritornello, appena dopo l'assolo di chitarra di Petrozza, il tempo si dimezza; si tratta della prima variante effettiva all'interno di un brano di questo album, che rende questa titletrack più "articolata" delle precedenti. La parte in mid tempo avvia ora un crescendo che dai quarti passa agli ottavi fino a ricondurci al tupa tupa travolgente che con un ultimo ritornello ci trascina per le gambe fino alla chiusura del pezzo, dimostrando ancora una volta come i Kreator siano dei maestri in fatto di violenza. Il brano si intitola "Piacere di Uccidere", quindi quale ruolo migliore se non quello di un pazzo omicida poteva essere rivestito da Petrozza per la lirica? Non stiamo parlando però di un serial killer qualunque, bensì di un assassino zombie, che con il calare delle tenebre emerge dalla sua tomba per andare a caccia di umani da uccidere per saziare la sua fame. La notte cala sul mondo nera come la pece ed il buco nel quale questo pazzo dorme il suo sonno eterno, ma la luna è alta nel cielo ed è giunto il momento di uccidere anche questa notte. Petrozza canta in prima persona, descrivendo il sadico piacere con cui questo non morto si aggira per la città con la lama grondante sangue fresco; ora si rivolge ad una donzella, una vittima innocente destinata a diventare una preda: "Il tuo corpo è così carino, ma come apparirà quando la mia lussuria perversa viene placata?", esclama lo zombie e salvare la ragazza non ci saranno né i sui parenti né i suoi amici perchè sono già stati tutti uccisi da questo killer tornato dall'oltretomba. Il suo unico obiettivo è quello di stroncare più vite possibile, non per un particolare motivo se non quello di saziare la sua sete di vioelnza, non vuole altro se non bere il sangue ancora caldo che gronda dalle ferite di un corpo martoriato, tutto per provare l'estasi orgasmica del piacere di uccidere. Nella seconda strofa, il killer zombie invita la vittima a sentire il battito del suo cuore rancido, in modo che il freddo della sua carcassa contrasti con il calore della vittima, ormai giunta ai suoi ultimi istanti di vita. L'omicidio si è compiuto, il sole sta per sorgere e dopo questa notte di sadismo il non morto torna alla sua tomba per cadere ancora nell'oblio, in attesa del prossimo risveglio, quando sarà nuovamente pronto a sentire lungo la sua morta schiena il brivido di piacere che si prova nell'uccidere ancora.

Riot Of Violence

Giungiamo alla fine del lato A del vinile con "Riot Of Violence" ("Tumulto Di Violenza"), una traccia nella quale i Kreator rallentano provvisoriamente con il tupa tupa per modellare la struttura della composizione su un mid tempo dal tiro maggiormente Heavy. La chitarra apre le danze con un paio di giri terzinati prima di lanciarsi in una suite puramente eighties, con la batteria che pesta in quarti per poi raddoppiare di cassa nel pre ritornello, ma è nel chorus che i Kreator ci regalano una soluzione strumentale avvincente: prima di riprendere a mozzare teste al grido di "Riot of Violence" i tre si abbandonano ad una suite che ci riporta alla mente i grandissimi Death dell'era "Scream Bloody Gore", dove prima di un nuovo conato sulfureo Evil Chuck ci ammaliava con il neoclassicismo del suo stile sperimentale e jazzy. Ma non c'è tempo per indugiare, bisogna spaccare tutto, ed ecco che i tedeschi ripartono in quarta con il tupa tupa tanto atteso, quella combinazione claustrofobica di cassa, rullante e charleston che non ci lascia alcuna via di scampo, una vera e propria bolgia al cui termine troviamo una nuova variazione. Tutto si arresta provvisoriamente, lasciando sulla scena solo la chitarra, che su un powerchord disteso scandisce il tempo con delle sinistre note arpeggiate, guidata solo dalla campana del ride a segnare la cesura delle battute. In questo pezzo i Kreator sperimentano ancora di più di quanto fatto fino a questo punto, articolando ulteriormente la loro canzone e lasciandoci intravvedere quella ricercatezza stilistica che si renderà più lampante nel corso dei lavori seguenti, ma non perdiamo d'occhio l'obiettivo, siamo ancora all'interno del secondo disco e, come accennato, l'imperativo è uno ed uno solo: uccidere. Anche dal punto di vista lirico, "Riot Of Violence" si distingue dalle precedenti: dal macabro racconto di entità zombie che sfogano la loro violenza sugli umani si passa ora ad un testo maggiormente improntato sul sociale, sfera questa che costituisce un'altra grande fetta del range tematico dei Kreator. Il mondo è in mano ai ricchi, e fin qui non vi è nulla di nuovo sotto il sole, ma questo squilibro fa si che in noi nasca una voglia di vendetta pronta a sfociare prima o poi, a forza di subire abusi. Tutta questa rabbia aumenta, fomentata dalle storie di terrore e violenza che sentiamo ogni giorno, ma arriva un punto in cui improvvisamente la nostra mente si rilassa iniziando a divagare e ad immaginare i vari modi con cui concretizzare tutta quella violenza che abbiamo in noi. In un angolo vdiamo un uomo a terra, coperto di sangue che sgorga dalle ferite sul suo corpo, è stato pestato brutalmente ed è ancora sotto shock, mentre disperato prega Dio perchè lo aiuti quel momento di pericolo, ma la gente lo calpesta o lo evita non curandosi del fatto che abbia bisogno di aiuto. Questa è l'omertà a cui l'umanità è arrivata: vediamo un uomo tumefatto a terra che ha bisogno di aiuto ma restiamo indifferenti, anzi, di questi tempi facciamo subito una foto da postare sui social ed ecco che prende vita in noi il tumulto. Ventor, che qui ricopre il ruolo di cantante, ci incita a trovare la nostra strada, a staccarci dalla massa e a proseguire per conto nostro, dando vita alla nostra personale pulizia del mondo: "uccidi, uccidi tutto ciò che ci sta intorno!" perchè solo così potremo "resettare" tutto e riniziare da capo. I potenti combattono le loro guerre con il solo scopo di lucrare, ma intanto, nelle strade, si dovrà combattere con pistole, coltelli ed esplosivi rudimentali, perchè è proprio nelle strade che dovrà iniziare la rivoluzione che dai sobborghi condurrà la popolazione a farsi giustizia da sé e a pretendere la testa dei politici disonesti su un piatto d'argento. Sarebbe bello poter rincasare e starsene tranquilli in casa, ma se vogliamo cambiare le cose dobbiamo scendere in strada e far sentire la nostra voce. L'ondata di violenza si perpetrerà fino alla totale apocalisse, fino a quando non resteranno altro che macerie, dalle quali si alzerà timidamente un fiore a ricordo della purezza che viveva un tempo nel mondo, ma presto anche quel piccolo e fragile simbolo di vita e rinascita verra sovverchiato dalla tirannia e dall'egoismo degli uomini.


The Pestilence

Passiamo al lato B del vinile con "The Pestilence" ("La Pestilenza"), un brano decisamente old school in tutti i suoi aspetti nonché il più esteso del disco a livello di durata. Dopo un'introduzione che letteralmente puzza di putrefazione, avviata in maniera avvincente dai pesanti powerchord di chitarra scanditi dai passaggi di Ventor, prende avvio un avvincente mid tempo sulfureo e maligno, uno sviluppo con cui, grazie ai tedeschi, possiamo letteralmente sentire nelle nostre narici l'odore della carne umana in putrefazione. Siamo di fronte ad una canzone che in sé riassume tutti i principi fondamentali di quella che di lì a poco sarà la scuola Death Metal statunitense, dato che come abbiamo già accennato, i Kreator sono ancora oggi annoverati come fonte di ispirazione per diversi artisti del panorama extreme; tutta la magia nera sonora che ci hanno regalato mostri sacri come Death (come non pensare al loro debut "Scream Bloody Gore" ascoltando questi riff), Morbid Angel, Deicde ed Obituary ce lo offrono ora i Kreator. Scoperchiata la bara con il preludio ecco arrivare l'ennesima colata di magma sui nostri timpani, un guitar riffing alcalinio ci conduce fra le convulsioni di un appestato che rantola errabondo cercando un posto dove morire, accompagnato dalla corrosiva voce di Mille che non si sottrae dal far nascere sulla nostra pelle le piaghe della decomposizione. Il tutto prende forma con un imponente cavalcata, uno sviluppo potente e serrato scandito dalle stoccate soliste di chitarra che prontamente lanciano un nuovo tupa tupa, la strofa ha preso forma e le pale del mulinex hanno iniziato a roteare per spappolarci e ridurci in brandelli. L'axemen del gruppo veste ora i panni di un malvagissimo Virgilio che ci conduce nella valle dei dannati, descrivendoci minuziosamente il raccapricciante spettacolo che si para davanti ai nostri occhi: siamo di notte, in un cimitero pervaso dall'olezzo di carne rancida, con teschi ed ossa a fare da elementi decorativi su ogni tomba. In questo campo santo si sta svolgendo un vero e proprio massacro, una scena tutt'altro che tranquilla rispetto a ciò che si potrebbe pensare, violenza e crimine regnano sovrani e la benevolenza sembra aver abbandonato quel suolo; non ci vuole molto dunque ad immaginare che il cimitero in realtà sia un simbolo per rappresentare il mondo intero, pervaso dalle scempiaggini commesse dall'uomo. Non c'è modo di fuggire, le culture delle varie etnie sono destinate a morire. Deve esserci però qualcosa, un parassita, che infetta il cervello degli uomi e li rende così stupidi ed autolesionisti da autodistruggersi con guerre e catastrofi varie, sembra quasi che la paura sia il loro unico scopo ed è per questo che essi sono spinti ad uccidersi tra loro ogni giorno, Mille Petrozza ipotizza che questo parassita sia la pestilenza, un morbo che infetta gli uomini e li rende violenti ed avidi. L'ssere umano quindi non sarebbe così per natura ma sarebbe ammalato e la violenza fra i popoli sarebbe come un sintomo che li induce ad odiarsi ed uccidersi. Le strofe si susseguono sempre serratissime, un incedere a dir poco perfetto per rendere l'idea di una fiumana di violenza insensata che causa migliaia di morti ad ogni sorgere del sole, fin dall'alba dei tempi uno scettro, simbolo di potere, ed una spada, simbolo di violenza, sono stati gli unici due elementi alla base della concezione umana: potere e guerra, unite all'unsono nella lotta per la supremazia di un popolo sull'altro; le genti non si sono mai sentite un "noi", ma si è sempre trattato di "noi" da un lato e "gli altri" dall'altro, rendendo quindi la razza umana non unita ma uno sciame di individui sempre divisi, e in tutta questa barbarie vengono così eclissati nell'oblio gli esempio di quegli uomini virtuosi che con le loro vite hanno dato esempio di conoscenza e rettitudine. Mille Petrozza sigla il tutto con un'iconica frase : "è la morte delle culture". Tutto il patrimonio filosofico e scientifico dei tempi antichi viene disintegrato dalla pestilenza che rende l'umanità ignorante, con le menti intrise unicamente di dogmi e preconcetti che sfociano nella più insensata violenza. Dopo questa mazzata, il brano va a chiudersi con un epilogo lento e marziale, una marcia funebre per la stirpe umana che lentamente si avvia verso la sua autodistruzione e l'axemen dei Kreator ci ammonisce con fare profetico: "Ascolta le urla dei bambini intorno a te, a nessuno importa di quel crimine, il terrore governa la terra decaduta, il maestro (inteso come il Padre Eterno) sta guardando tutto il tempo".

Carrion

Ben più diretta e di impatto, non che la canzone precedente fosse priva di mordente, è "Carrion" ("Carogna"), che fin dal titolo lascia intuire che Mille Petrozza ha in serbo per noi un'altra bella raffica di odio pronta per essere mitragliata. Lo start è marcatamente in your face, con tutti e tre gli strumentisti che partono all'unisono su un nuovo quattro quarti il cui unico scopo è quello di non fare prigionieri; solo pochi powerchord distesi e poi che il massacro abbia inizio signori. Il rullante di Ventor è una vera e propria mitragliatrice, una gatling che sputa piombo quarto dopo quarto, mentre il basso di Rob Fioretti scandisce ogni schiocco di grilletto con una plettrata infuocata sullo strumento. La struttura del pezzo è lineare è senza particolare cambi, ogni fine di strofa viene scandita da un inciso di chitarra dal retrogusto sulfureo, una vera incursione all'Inferno che rende questa canzone il perfetto ritratto della violeza più pura. Thrash Metal duro e puro, una musica energica che non lascia scampo e Mille Petrozza, ormai a suo agio nel ruolo di cantore dell'Armageddon, dipinge davanti ai nostri occhi un nuovo quadro di malvagità assoluta. Dai grandi palazzi fin nei vicoli più oscuri un bagliore si stanzia ed irradia ogni cosa, è il luccichio della falce del mietitore, che come una nera pioggia cade dal cielo iniziando a falciare schiere di umani per infoltire le fila del campo santo. Il tutto si svolge con una brutalità che viene definita "medioevale": truculenza, sangue e fuoco sono gli ingredienti di un massacro sempiterno che non lascia possibilità di scampo; le machine della morte sono ormai al lavoro, avviate dalle schiere di eserciti sempre in lotta tra loro per la supremazia, nessun rimorso e nessuna pietà, l'umanità è in preda alla violenza orgasmica per la quale è assuefatta, il mondo si prepara a morire e mentre le falde dell'abisso si aprono spaccando il mondo in due, Satana ci assorda con il suo ghigno malefico. È il caos più totale, uccisioni, stupri e mutilazione in ogni dove, il tutto mentre i Kreator avanzano imperiosi con la loro furia alcalinica. Il saliscendi di tonalità della chitarra rende il nostro ascolto decisamente frenetico, le mani di Mille Petrozza si muovono elettriche sulla sei corde, la destra furiosa come il pistone di un bolide, la sinistra snodata come un ragno intento a tessere la propria tela, ma è proprio a metà del pezzo che il tempo si dimezza: dal quattro quarti volgiamo adesso ad un mid tempo cadenzato e marziale, le schiere del diavolo sono in marcia per conquistare il regno degli uomini mentre questi ancora si uccidono fra loro e l'arcigno vocalist, malefico tanto quanto il demonio con il suo cantato acido e rabbiso, ci ammonisce chiaramente: illudetevi di godervi la vostra vita, stolti, il mietitore si abbatterà su di voi tranciandovi con la sua falce come spighe di grano nel campo; spalancate i vostri occhi e guardate il mondo bruciare ed annegare in un fiume di sangue e magma, i Kreator sono qui in qualità di cantori di questa fine del mondo ed il Thrash Metal è l'inno sotto il quale l'essere umano compirà il proprio cruento suicidio. È inutile cercare riparo, ovunque vi nascondiate, la pioggia cremisi vi insozzerà e vi corroderà le membra fino a lasciare a terra solo le vostre ossa. Ascoltate per l'ultima volta il suono sinistro delle bombe che l'esercito nemico sgancia su di voi per disintegrarvi ed accettate con dignità il fatto che ormai siete tutte carogne lasciate a marcire fra le rovine di quello che una volta era il mondo. Sicuramente siamo di fronte ad un brano articolato ma non troppo complesso, con il quale i Kreator offrono un pane prelibatissimo alle fauci di tutti gli amanti dell'Old School.

Command Of The Blade

Con "Command Of The Blade" ("Il Comando Della Lama") ci accingiamo ad ascoltare l'ultimo brano dell'album che vede Ventor ricoprire il ruolo di cantante (insieme alle precedenti "Death Is Your Saviour" e "Riot Of Violence"). A partire dai lavori successivi, la mansione di vocalist, come accennato, sarà affidata in toto a Mille Petrozza, dunque possiamo dire metaforicamente di ascoltare "il testamento" del Ventor cantante; considerato la difficoltà di questo doppio ruolo, di cui abbiamo già trattato, a conti fatti la performance del drummer si può tuttavia valutare molto positivamente: la sua voce, più grave di quella del collega, ha dato ai tre pezzi in oggetto un tocco più lugubre e, per certi aspetti, doom, mentre il resto delle canzoni lascia trasparire unicamente l'ira delle performance canore. Chiusa questa piccola parentesi, lasciamo che sia l'acciaio a parlare; si riaprono le danze, ma questa volta con uno start più riflessivo ed adrenalinico. I tre infatti si allineano su una evocativa esitation, le bacchette di Ventor piovono letteralmente sul charleston in trentaduesimi, mentre la grancassa tiene il tempo in ottavi; la chitarra si muove su uno shredding serratissimo, una vera e propria motosega sulle corde, mentre le pettrate del basso si fanno monolitiche sui colpi di cassa. Il tachimetro sta salendo di giri, il motore si sta scaldando ed il bolide dei Kreator si lancia nuovamente sulla pista. Dopo una rapida serie di stacchi accentati, atti a darci la proverbiale "mina nei denti", ci si rigetta nella mischia, il tempo resta sempre un quattro quarti, ma non stiamo parlando di un tupa tupa in quarti ma di una soluzione molto più sostenuta, che regge il frenetico cantato della strofa per poi spezzarsi sul ritornello, un urlo disperato che inneggia al comando della lama. Pur trattandosi di un evergreen dei Kreator, "Command Of The Blade", nell'insieme, risulta a tratti un po' troppo zoppicante: ad una strofa a dir poco supersonica, dove la precisione, diciamolo, non sempre è costante, si passa ad un ritornello "a scatti" che per quanto sia martellante forse rallenta un po' troppo l'incedere del pezzo, facendovi perdere un po' di mordente. Le varie soluzioni stilistiche che compongono la struttura ritmica del brano sono interessanti e di sicuro impatto, ma a mancare di fluidità è l'allaccio fra loro, i vari tasselli del mosaico non sono ben incollati fra loro, ma ciò è comunque perdonabile se consideriamo il fatto che stiamo parlando di una band ancora agli inizi, con un immenso potenziale che però aveva bisogno di dilenirarsi ulteriormente. Nel complesso abbiamo comunque per le mani un pezzo da tritaossa e mosh pit garantito, ma viste le prove precedenti diciamo che non abbiamo per le mani il loro pezzo migliore ( nell'ascolto sono presenti anche alcune imprecisioni strumentali (come il feed back della chitarra "scappato" a Petrozza in un break che sporca un po' lo stop and go tra ritornello e strofa). Si tratta comunque di minuzie, dato che stiamo analizzando un disco storico del Thrash, dove deve esserci solo potenza, sangue sudore e fuoco dalla bocca, ergo si lasci la precisione alle mammolette poppettare. L'immaginario lirico è nuovamente apocalittico, ancora una volta è il cupo mietitore il protagonista della scena, il quale fa il suo trionfale ingresso in campo accompagnato da una nebbia plumbea che si diffonde come un velo su tutto il pianeta. "Carrion" e "Command Of The Blade" rappresentano una sorta di dittico, un tandem che vede l'ammonizione che i due vocalist ci fanno in vista della nostra prossima traumatica morte; nella traccia precedente era Mille a godersi la scena del nostro terrore, ora è Ventor che ci osserva mentre impotenti cerchiamo di sfuggire alla morte che sinuosa balza verso di noi con la lama della sua falce sguainata è pronta a fendere. La nera figura ha visto nei secoli gli eserciti scontrarsi e cadere gli imperi, mietendo anime fin dall'alba dei tempi, e adesso sta tornando proprio per noi, possiamo supplicare quanto vogliamo ma la falce suprema ci colpirà senza lasciarci scampo. Possiamo piangere e gridare a più non posso, ma nulla cambierà il nostro destino, tutti siamo condannati a morire e le nostre carni verranno quindi affettate dalla lama del mietitore perchè così è scritto nel cosmo. Non possiamo sottrarci a quest'ordine superiore, questo è il comando della lama della morte, unica entità in grado di stabilire chi vive e chi muore; è solo questione di tempo ma presto o tardi tutti dovremmo sottomertterci ad essa. Tutto avviene in pochi istanti, il fendente è scagliato e a terra cade il nostro corpo senza che nessuno possa seppellirlo o compiagerlo, il mietitore ha colpito e si volta per fare ritorno al suo regno, così è stato e così sempre sarà. È il comando della lama.

Under The Guillotine

L'album si chiude con "Under The Guillotine" ("Sotto La Lama Della Gigliottina"), un altro classico che i Kreator non mancano di inserire nelle loro setlist per portare i fan indietro nel tempo, agli albori del male assoluto che è il loro Thrash Metal. È la chitarra a dar fuoco alle polveri, ovviamente con una cascata di shredding che fa dello strumento una motosega pronta a dilaniare carni in ogni dove. Il tempo è fin da subito serratissimo ed immancabilmente non possiamo far altro che apprezzare la maggior precisione del drummer quando non deve anche cantare. I tre avanzano compati fin da subito ed il sound dei Kreator su questo pezzo non traspare come un insieme di chitarra, basso, batteria e voce ma come un unico carro armato che ci passa sopra e ci sbriciola senza nemmeno provare a rallentare. L'approccio compositivo è sempre votato alla più pura ricerca di potenza e velocità, nello scorrere del minutaggio infatti i Kreator non perdono il tiro nemmeno per un secondo, concedendosi nella parte centrale della canzone una interesantissima suite strumentale articolata e quasi "prog" anticipatrice di quella ricercatezza che sarà successivamente tipica dei Death. Non è certo la prima volta che i nostri si concedono queste divagazioni strumentali, e ciò rende sicuramente di maggior pregio il loro songwriting, ma ciò che davvero rende avvincente l'ascolto è il fatto che dopo questo momento di provvisoria "rilassatezza", dove siamo comunque tenuti sempre ben desti dai continui cambi e concatenamenti ritmici, ecco ripartire la sfuriata old school; immaginate che dopo una forsennta corsa in automobile, lungo l'autostrada dove avete toccato i 130 chilometri orari, arrivando al casello rallentate e lasciate che la decelerazione vi culli, ascoltare i Kreator è come se improvisamente un camion non rispettasse la vostra prcedenza e vi travolgesse improvvisamente, l'effetto è proprio questo e noi amanti del Thrash Metal non potremmo chiedere di meglio. L'intero pezzo si compone di due blocchi, il primo composto dalla semplice alternanza di strofa e ritornello, il secondo, completamente a sé stante, composto dalla divagazione strumentale sopracitata. Mille Petrozza ora si rivolge direttamente ad un condannato a morte, in un dialogo cinico e funesto che non ha nulla di caritatevole: la notte è finita ed è ormai sorto il sole, per il condannato è arrivato il momento di avviarsi al patibolo, dove sarà eseguita la sentenza suprema. È iniziato il suo ultimo giorno e restano più pochi istanti per ripensare ai propri ricordi, cercando di trovarne qualcuno che allieti questi ultimi secondi sulla terra. Il silenzio plumbeo di quei momenti è spezzato unicamente dai passi del morente accompagnato dalle guardie, gli ultimi compagni di viaggio nel miglio verde prima che egli venga consegnato nelle mani del boia. Il condannato mostra comunque la sua spavalderia fino in fondo, non urla e non implora pietà perchè troppo fiero, non gli resta altro da fare che morire sotto la lama della ghigliottina (anche se a giudicare dalla lirica, la decapitazione avviene per mano dell'ascia del boia, facendo di questo rudimetale strumento la metaforica ghigliottina). Non una paola, non una supplica, ma solo le lacrime che silenziose scendono giù per le sue guance, ha vissuto da ribelle, incurante delle regole ed ora è giunto il momento di pagare per i crimini commessi. Un fendente taglia l'aria, la lama che si pianta sul ceppo spezza il silenzio ed il successivo tonfo della testa nel cesto chiude così il sipario sull'esistenza del criminale, siglando anche questo potentissimo album dei Kreator.

Conclusioni

"Pleasure To Kill" è un disco che letteralmente ci pesta a sangue, non è uno di queidischi da ascoltare comodamente sdraiati sul letto, con le cuffie nelle orecchie, ma è un disco con cui prendersi letteralmente a muso duro, schiacciando play per poi lasciare che la furia dei kreator ci travolga come un uragano. La fisolosofia con cui venne registrato infatti è proprio questa: imprimire su un disco di vinile (all'epoca) tutto ciò che i tre thrasher tedeschi avevano in corpo, lasciando che fosse unicamente la loro energia a parlare. Non scordiamoci che siamo nel 1986, poco dopo la metà degli anni Ottanta, quando mentre nei grandi studi di registrazione si iniziavano ad usare le tecnologie e le tecniche di ripresa alla base del progresso odierno vi erano ancora degli impavidi che si affidavano agli otto piste per registrare la propria musica. Al giorno d'oggi, attraverso il digitale, è possibile regisrare un numero infinite di tracce, addirittura "spezzando" una determinata parte in più registrazioni e se da un lato ciò rappresenta una enorme comodità, dall'altro ha dato adito ad una sempre maggior "pigrizia" di certi musicisti, che bypassano la difficoltà incidendo le parti più complicate in più fasi. Prima perà non era affatto così: sul nastro magnetico si poteva incidere solo un numero limitato di tracce, ergo non solo bisognava farsi bastare il numero di canali presenti in un mixer ma bisognava soprattutto essere in grado di suonare i propri pezzi alla perfezione. Su questo lavoro si ha infatti la possibilità di gustare ogni singola traccia suonata "di getto" dai tre musicisti, che hanno suonato tutti insieme per delineare la struttura ritmica di ogni canzone, fatto ciò, una volta appurato che queste nove canzoni avevano la giusta "carogna addosso", sono state sovraincise le voci, le sovraincisioni corali e gli assoli; ciò si avverte innanzotutto come un diverso volume tra le due fasi di ripresa di registrazione e soprattutto dalla evidente differenza di calibratura tra ciò che è stato inciso prima e ciò che è stato sovrainciso dopo, ma senza scendere troppo nel dettaglio il "complesso" del pezzo è bello compatto, deciso e da pugni in faccia garantito, il resto sono i proverbiali fronzoli, parti che sono state aggiunte successivamente per arricchire il tutto ma senza le quali, paradossalmente, le canzoni avrebbero funzionato lo stesso. A rendere degno di nota "Pleasure To Kill", oltre alla genuinità con cui è stato realizzato a livello puramente tecnico, è la mentalita con cui Mille Petrozza, Rob Fioretti e Ventor sisono recati presso i Musiclab Studio di Berlino: completamente avulsi dalla pigrizia a cui si accennava prima, sicuramente possiamo affermare che i Kreator si sono letteralmente massacrati le mani sui loro strumenti per provare queste tracce, raggiungendo, seppur con ancor "l'inesperienza" dei principianti un risultato lodevole: è vero, se provassimo a seguire queste canzoni con un metronomo alla mano non sempre saremmo perfetti sul tempo, ma per la furia che queste tracce devono esprimere forse questa precisione assoluta non serve nemmeno: i brani devono avanzare e travolgere tutto, punto e basta, a sopraffarci dunque dev'essere unicamente l'adrenalina della band senza macchinazioni di sorta ed ecco come si ottiene la tanto proverbiale naturalezza che caratterizza da sempre i dischi old school. Cosa sarebbe successo infatti se i Black Sabbath o Jimi Hendrix, ad esempio, si fossero preoccupati di essere precisi su ogni battito del metronomo? Magari avrebbero registrato le medisime compsizioni, ma di sicuro non ci sarebbe lo stesso groove che fa dei loro dischi dei capolavori. Detto questo, i Kreator hanno pubblicato un secodo album ancora ruvido, grezzo e, mi si passi il termine, "approssimativo"? Non si poteva chiedere di meglio, dato che questa rabbia primordiale e assolutamente dionisiaca ha fatto si che il gruppo tedesco si guadagnasse, stoccata dopo stoccata, il grado di leggenda di un genere musicale ancora oggi tra i più devastanti di sempre.


1) Choir Of Damned
2) Ripping Corpse
3) Death Is Your Saviour
4) Pleasure To Kill
5) Riot Of Violence
6) The Pestilence
7) Carrion
8) Command Of The Blade
9) Under The Guillotine
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