KREATOR

Phantom Antichrist

2012 - Nuclear Blast

A CURA DI
ANGELO LORENZO TENACE
09/06/2012
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Recensione

Dopo aver esaltato l'audience con quel piccolo gioiello che era "Hordes Of Chaos", i Kreator nonostante la non più verde età, continuano iperterriti a sfornare album con continuità, senza spostare di una virgola il sound collaudato da "Violent Revolution". Eppure nonostante la formula funzioni egregiamente, (tranne per quei fan oltranzisti della prima ora) Mille Petrozza e soci, forti del nuovo sodalizio inaugurato con la Nuclear Blast, tornano a mettersi in gioco rimescolando di nuovo le carte, come nel periodo meno fortunato nella band. Non temete, siamo lontani dalle sperimentazioni degli anni novanta, ma si potrebbe dire che questa nuova produzione attinge a piene mani dagli anni ottanta, precisamente da quel heavy metal suonato dagli imprescindibili Iron Maiden. Infatti Petrozza e Yli-Sirniö si dividono le melodie e gli assoli a metà strada fra la scuola svedese e quella più classicamente heavy andando ad infarcire in maniera maestosa tutto il platter.
Da un lato una scelta del genere ha donato grande varietà al disco, rinvigorendo anche il sound che iniziava un pò a puzzare di mestiere, ma dall'altro lato si sentono alcune forzature ed eccessi in termini melodici, tanto è che in alcuni casi ci si chiede se sia ancora la band di Essen a suonare. Però c'è da precisare che le bordate iper violente e le folli corse in doppia cassa sono ancora presenti, non stiamo parlando di uno stravolgimento totale del sound, diciamo solo che in alcuni casi si prendono pugni sul muso, ed in altri casi, data la grande dose di epicità che caratterizza il platter, quegli stessi pugni sono rivolti al cielo, come un battaglione che ubbidisce al proprio comandante e che quindi combacia alla perfezione con le parole rilasciate da Petrozza prima dell'uscita dell'album, definendolo forse come il più epico mai scritto. Accompagnato da una stupenda copertina ad opera del visionario Wes Bensconter (fra le sue produzioni più importanti, le spettacolari copertine dei Cattle Decapitation), l'album è stato prodotto dal grandissimo Jens Brogen (Amon Amarth, Katatonia, Ishan, ecc...) che come di consueto riesce a rendere il suono pulito, ma allo stesso tempo ruvido come l'asfalto e d'impatto, non allontanandosi dalle precedenti produzioni della band.

Ad aprire le danze, c'è l'intro acustico ed epico "Mars Mantra" che nel suo minuto scarso di durata già mette in chiaro la direzione che prenderà l'album, con le chitarre che tessono malinconiche melodie con dei timidi cori che ne aumentano l'atmosfera, fino all'interruzione delle poderose rullate di Ventor che fanno da miccia al primo vero brano della tracklist, che come di consueto nella recente discografia dei nostri, è la title track, che forse è una delle poche tracce che seguono gli stilemi dettati con il parto precedente, partendo in maniera adrenalinica e martellante stagliandosi su numerosi riff al fulmicotone, dividendosi fra parti martellanti ed accellerazioni improvvise con chorus veramente spezzacollo in cui Petrozza vomita tutta la sua rabbia contro i burattinai politici che soggiocano le masse, paragonandoli all'anticristo, che causerà l'estinzione del genere umano. Un inizio veramente massacrante, ma in parte prevedibile. A continuare il massacro c'è la devastante "Death To The World" che si rileva più immediata del brano precedente, caratterizzata anch'essa da accellerazioni assassine con rallentamenti spezzacollo dove la parte del leone viene svolta dal riffing tritaossa, fino a i coinvolgenti chorus che infiammerebbero anche il più cinico degli ascoltatori, per via delle parole espresse, con un messaggio ambientalista di fondo, in cui Gaia si riprenderà ciò che le appartiene estinguendo la razza umana. Spettacolare il break che va a spezzare un pò il ritmo, con un Petrozza ispiratissimo, che fa da preambolo al grandissimo e lungo assolo che accompagnerà un nuovo break melodico di pregevole fattura fino alla furiosa chiusura. Ed ecco forse uno dei brani più riusciti, nonchè atipici per il combo di Essen, l'anthemica "From Flood Into Fire" scandito da un ispiratissima melodia, che lentamente farà spazio ad un granitico e roccioso mid tempo, assemblato in maniera dannatmente efficace, tanto è che non ci stupiremo se sarà incluso nelle future setlist della band, vista anche la natura da inno trascina folle che lo caratterizza, visto che è un invito a rimanere uniti per affrontare le avversità e ribellarsi ("from flood into fire, one tousand voices scream..."). Ma proprio quando sembra  di capire dove si va a parare, ecco una furiosa accellerazione con dei solos fulminei fino al melodico break dove Petrozza canta in pulito, per poi fare spazio ad un lento e struggente assolo che va a mettere la firma su uno dei brani più riusciti del lotto. Ad introdurre "Civilization Collapse" ci pensa Ventor con delle rullate battagliere su cui poi si snoderanno dei granitici riff che poi faranno da trampolino alla furia più assoluta che rimanda direttamente al passato remoto dei nostri. infatti non sarebbe una novità se vi dicessimo che anche questa è una delle tracce più riuscite del platter, vista la grandissima furia e rabbia che la caratterizza, in cui Mille ruggisce in maniera devastante, fino agli anthemici chorus scanditi da epiche melodie, che vanno a spezzare, senza disorientare, l'andamento generale fino al devastante break che fungerà da collante ad una serie di assoli incrociati al fulmicotone che saranno presenti fino alla fine del brano, che verrà chiuso da una poderosa esplosione. Con un suggestivo ed epico arpeggio di chitarra fa il suo ingresso "United in Hate", ma è soltanto la quiete prima della tempesta, visto che poi si procederà verso una nuova carneficina sonora, un pò più sostenuta della precedente, con chorus veramente atipici, ma che svolgono più che degnamente il loro dovere, anche se, senza ombra di dubbio, il fiore all'occhiello sono gli ispiratissimi assoli delle due asce, che come al solito svolgono un lavoro egregio. Coinvolgente, ma forse colpisce un pò di meno delle altre tracce. A rialzare il tiro c'è l'epica e battagliera "The Few, The Proud, The Broken" che è un altro mid tempo in cui la melodia spadroneggia per la maggior parte del tempo, ma dove tutto funziona come si deve, con dei chorus veramente ispirati, caratterizzati da malinconiche melodie, che conferiscono al tutto l'atmosfera di un conflitto fra eserciti ben armati, addestrati a dispensare morte, fino all'epico break dove nuovamente ci troviamo dinanzi ad una lunga e coinvolgente sezione strumentale, fino ad un nuovo break acustico, veramente ben congegnato, con Petrozza nuovamente a cantare in pulito, fino ad un esplosione di maestosa ira che va a chiudere la traccia. "Your Heaven, My Hell" è probabilmente il momento meno riuscito dell'album, ma non perchè non sia ispirata e via dicendo, ma perchè ha un velo di prolissità e ripetitività nei chorus. Infatti parte in maniera veramente grandiosa, con malinconiche e tetre melodie su cui si staglia la voce cupa in pulito di Mille, che decanta la sua personale visione del Paradiso e dell'Inferno (avrà letto la divina commedia?), fino all'inizio vero e proprio del brano, che è un mid tempo con la solita grande perizia solistica, che però come detto in precedenza non colpisce come dovrebbe. "Victory Will Come" non cambia di molto le carte in tavola, nel senso che è un altra delle tracce che convince di meno, tanto è che nei chorus sembra quasi "Radical Resistance" dell'album precedente, puzzando leggermente di riempitivo, visto che non riesce a lasciare il segno. Come al solito, nonostante tutto le lunghe sezioni strumentali e le solistiche salvano la situazione, come dei rinforzi in una battaglia persa quasi in partenza. A chiudere il tredicesimo sigillo della carriera dei nostri ci pensa la lenta e struggente ed ispirata (anche se ci ricorda leggermente i Paradise Lost più duri in alcuni momenti) "Until Our Paths Cross Again" che si snoda in tutta la tua epica malinconia, fra sezioni acustiche da simil ballad e sezioni con riffing tritaossa in primo piano, fino alla furiosa accellerazione a metà durata che ci ricorda che stiamo ascoltando un album dei Kreator, con un assolo velocissimo e devastante, che fa da controaltare all'epica chiusura.

Con parecchi anni di carriera (e sulle spalle) nessuno si sarebbe aspettato una nuova evoluzione nel sound da parte dei nostri. In alcuni casi ha portato una ventata di aria fresca, ma in altri  è stata calcata troppo la mano in fase di songwriting, cercando a tutti i costi il piglio epico o il coro da far urlare a squarciagola alle masse durante i live. Indubbiamente l'album è di buona qualità, su questo non c'è alcun dubbio, perchè riesce a farsi ascoltare dall'inizio fino alla fine senza stancare, e con i tempi che corrono con tutte queste nuove leve che tentano di riprendere un sound che ha fatto la storia fallendo miseramente, è un risultato non da poco. Sicuramente non c'era nessun tipo di aspettativa, visto che i Kreator non hanno mai avuto niente da dimostrare a nessuno, visto che da sempre sono una garanzia. Forse l'unica volta che hanno dovuto dimostrare la loro grandezza, deve ricercarsi soltanto nella voglia di riscattarsi dagli insuccessi delle sperimentazioni e gli eccessi degli anni novanta. Quindi come al solito a seconda dei gusti: per i fan che eleggono a capolavoro ogni uscita, la storia non cambierà con questo parto; per quelli che vivono ancora nel passato, continueranno a vivere nel passato. Non sarà il disco thrash dell'anno, ma è pur sempre un disco godibile che farà la gioia degli amanti della band e del genere. Ciò non toglie che i Kreator saranno sempre una delle colonne portanti del thrash nel bene e nel male, con la loro voglia di ribellione e violenza che in alcuni illustri colleghi (non serve fare nomi), si è assopita ormai da tempo.

1) Mars Mantra
2) Phantom Antichrist
3) Death To The World
4) From Flood Into Fire
5) Civilisation Collapse
6) United In Hate
7) The Few, The Proud, The Broken
8) Your Heaven, My Hell
9) Victory Will Come
10) Until Our Paths Cross Again

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