KREATOR

Gods Of Violence

2017 - Nuclear Blast

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
08/03/2017
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Quando parliamo dei Kreator, parliamo di una band che arriva direttamente dall'underground in tutti i sensi della definizione. Il quartetto infatti è originario di Essen, città operaia delle Renania Settentrionale-Vestfalia tedesca nota soprattutto in qualità di centro siderurgico dell'industria formata dalla famiglia Krupp, il che lascia ben capire come questi thrasher abbiano vissuto sulla loro pelle la fatica dello spaccarsi la schiena di giorno e potersi cibare di musica di notte. Siamo agli inizi degli anni Ottanta e ci troviamo nel cuore della working class teutonica, un'ecosistema che potremmo definire ideale per la nascita di una band come quella capitanata da Mille Petrozza che non ha mai visto di buon occhio le grandi manovre capitalistiche ed il conseguente squilibrio economico della popolazione mondiale. Il fiume di violenza dei Kreator trova la sua fonte nel 1982, quando la seminale formazione della band prende forma con una line up a tre mebri composta dal già citato Mille come chitarra e voce, Rob Fioretti al basso e Jurgen Reil (a.k.a Ventor) alla batteria; non ci troviamo ancora al cospetto dei Kreator ma abbiamo dinanzi a noi i primordiali Tormentor, le cui demo costituiscono le basi del sound odierno del gruppo. Si attenderà fino al 1985 per veder giungere sugli scaffali il primo lavoro marchiato dal creatore, il full lenght "Endless Pain", ad oggi ritenuto ancora un pezzo immancabile della collezione di ogni thrasher. Da questo "anno zero" prenderà forma non solo l'illustre carriera dei Kreator ma anche quel poderoso filone del Thrash Metal tedesco che farà da controcanto alla schiera di gruppi d'oltreoceano: gli agguerriti Metallica, Slayer, Anthrax, Megadeth, Suicidal Tendencies, Death Angel e via dicendo (includendo anche il ricchissimo frangente sudamericano con i Sepultura e i Sarcofago) riceveranno in risposta al loro grido di battaglia il ruggito proveniente dalla Germania, urlato a gran voce, oltre che dai Kreator, dai Sodom, dai Destruction, dai Tankard, dagli Assassin e dagli Exhumed (giusto per citare i più noti). Il mondo degli ascoltatori quindi è chiuso nella morsa d'acciaio di un esercito di musicisti che gli folgora le orecchie a forza di brani sparati a tutto volume e suonati con tempi velocissimi, riff tritaossa e voci acide e graffianti quanto un coccio di vetro, ma sarebbe tuttavia riduttivo schematizzare un ramo storico dell'Hard N'Heavy attraverso questi pochi ma basilari ingredienti; nel corso delle decadi i due monoblocchi di thrasher si sono via via sviluppati attraverso un'evoluzione che ha portato ogni singola band ad avere il proprio marchio di fabbrica: alla rivoluzione Hard Rock oriented dei Megadeth o dei Metallica, ad esempio, giunse in pronta risposta il radicamento sempre più oltranzista ed old school dei Sodom o dei Tankard, consentendo quindi alle due schiere continentali di diversificarsi tra loro ma di unire al tempo stesso i fan del globo in un unico grande mosh pit. Con i successivi "Pleasure To Kill", "Terrible Certainty" e "Coma Of Soul", i Kreator percorssero il loro cammino in qualità di fedelissimi del verbo underground, mantenendo il loro stile sempre focalizzato su riff graffianti e letali fin dai primi secondi. Con il sopraggiungere degli anni Novanta, la band toccò una nuova tappa della propria crescita, iniziando a sperimentare maggiormente soluzioni artistiche più raffinate e melodiche che nell'insieme variegarono maggiormente la loro mazzata di violenza sonora: a partire da "Renewal" fino al penultimo "Phantom Antichrist", Petrozza e soci elevarono ad un livello decisamente superiore i loro lavori; le canzoni infatti vennero composte mediante un approccio più meditato e calibrato, sempre devastante e trascinante beninteso, condito inoltre con la rabbia diabolica del loro frontman, ma sicuramente "meno di pancia" rispetto a quanto fatto negli anni passati. Nelle tracce di più recente fattura vi è infatti spazio per parti di chitarra armonizzate, assoli decismente più tecnici e disegni ritmici più articolati, testimoni di una crescita artistica e tecnica compiuta dai membri della band; l'arsenale di questi thrasher dunque ha acquisito delle nuove armi e i Kreator tornano oggi sul piede di guerra con il recentissimo "Gods Of Violence", il cui titolo non lascia adito a dubbi: gli dei della violenza escono infatti dal loro pantheon per muovere guerra all'umanità e stritolarla nella loro stretta sanguinaria, vedendo sgorgare dalle dita chiuse del loro pugno quella gelatina rossastra composta dalle budella degli uomini. L'artwork del disco sembra infatti fissare il momento immediatamente precedente a tutto ciò, quando il cielo si oscura ed un dio orripilante e sadico si avvicina alla Terra per scagliarvi contro tutta la propria furia, facendo sgorgare un fiume di sangue senza fine. L'inquietante figura volge lo sguardo del suo teschio caprino alla nostra sinistra, lasciando il centro del fuoco visivo alla testa dello sfigurato demone gia apparso su "Coma Of Souls", intento a fissarci dritti negli occhi. Le nostre anime giacciono ancora in uno stato vegetativo dopo ventisette anni dall'uscita di quell'album, il fato ci ha dato tutto il tempo per risvegliarci ma noi umani, impigriti dalla televisione e dai social network, ce la siamo presa comoda e l'ora per il nostro supplizio è ormai giunta.

Apocalypticon

Come preludio di questa nuova violenza musicale, i Kreator scelgono la strumentale "Apocalypticon", un'introduzione epica e solenne che prepara il campo per la pioggia di note e sangue che sta per arrivare. Un rullante marziale infatti scandisce quella che è a tutti gli effetti la marcia dell'esercito degli dei oscuri: essi marciano verso di noi con le armi spianate e con il cuore infervorato dal solo desiderio di vederci distrutti e ad accompagnare quest'orda inferociata troviamo degli incisivi cori vocali, le cui voci sono rapide e serrate, intente a presentare l'atto di guerra che presto verrà compiuto, come il coro che nelle tragedie greche raccontava gli estratti più drammatici delle rappresentazioni. A condurre il tutto però è una chitarra solista, il cui fraseggio si stende su una linea melodica incentrata sulle alte che conferisce un forte tocco di epicità eroica a questo breve brano di apertura. L'espediente del crescendo, unito all'ottimo bilanciamento dei volumi, fa sì che il coro diventi sempre più "grande" nello scorrere del minutaggio, facendoci percepire durante l'ascolto l'avanzata di questo esercito pronto a darci battaglia; le voci si intensificano e la sei corde scandisce così quello che è l'inizio di un vero e proprio massaro.

World War Now

Le attese infatti non vengono deluse, ecco partire "World War Now" ("Guerra Mondiale Adesso"), un brano con cui i fan del Thrash Metal vecchio stile non resteranno delusi. La batteria di Ventor inizia subito a spingere con la doppia cassa in trentaduesimi ed un rullante letteralmente mitragliato; su di esso, le note delle chitarre di Mille e del finlandese Sami Yli-Sirniö iniziano a sfoderare un riff tagliente e corrosivo; ci troviamo di fronte all'evoluzione più pura e riuscita del tupa tupa che i thraser adorano e cercano, ed è su questa base che ci giunge nei denti il primo colpo d'arma da fuoco della band. Siamo nuovamente in guerra e coloro che sono ancora una volta al comando del mondo ci hanno costretti ad allearci in eserciti instabili avvelenandoci con la minaccia della paura, inducendoci ad un tutti contro tutti nel quale non siamo altro che marionette manovrate da chi sta più in alto di noi; non c'è più nemmeno il campo di battaglia così come esso era concepito nell'età moderna, vale a dire un luogo definito e ben delineato dove gli eserciti si affrontavano come una sorta di campo da gioco. Ora non è più così, il mondo intero è diventato il terreno sul quale ci batteremo senza sosta ed in maniera completamente casuale, dove si sparerà su ogni bersaglio per preservare la sopravvivenza, pensando quindi prima a portare a casa la pelle e poi, eventualmente, a verificare che chi abbiamo ucciso avesse o meno addosso una divisa uguale alla nostra. Il riff principale è modellato su un continuo cambio di note, un'ottima soluzione per rendere metaforicamente il caos che si sparge appena inizia la vera e propria guerriglia. Davanti a noi infatti si alza solo una coltre di polvere che ci acceca, lo scoppio dei vari ordigni ci getta in mezzo ad un inferno di esplosioni e rimbombi e a fatica riusciamo a mantenere la concentrazione per prendere la mira e rispondere al fuoco che ci bersaglia. La pioggia di piombo è inarrestabile e siamo costretti a correre come lepri sempre in cerca di un riparo di fortuna che ci permetta di non far spargere le nostra cervella sul terreno fangoso di una città ormai ridotta in macerie. I Kreator lavorano perfettamente sull'incisiva precisione del tempo sempre sostenutissimo, che quasi ci fa mancare il respiro tanto siamo presi da questa furia guerresca: a spezzare la frenesia di questo vero e proprio assalto però sono i mid tempo dei ritornelli, dove la batteria di Ventor si dimezza provvisoriamente per lasciare adito ad un coro orecchiabile e travolgente che rende il ritornello della traccia un vero e proprio inno all'assalto finale. In mezzo alla mattanza, dove le noste orecchie non percepiscono altro che detonazioni ed urla di dolore stagliate nell'aria dai feriti, siamo rimasti isolati; una nube di polvere si alza infatti dalle macerie e ci avvolge lasciandoci in balia del destino, siamo perduti, ma è in quel momento che dentro di noi sentiamo accendersi improvvisamente il fuoco infernale: l'adrenalina infatti entra in circolo, è il nostro istinto di sopravvivenza che spinge il nostro corpo ad aumentare del 110% i nostri riflessi, la nostra percezione cognitiva e la nostra forza fisica. In pochi secondi siamo ormai fatti di sete di sangue e voglia di uccidere ed è come se i rinforzi arrivassero alle nostre spalle per salvarci, ma siamo sempre soli, siamo un solo soldato che però vuole uscire dall'inferno ed inizia a sparare a più non posso lanciandosi all'impazzata verso una trincea nemica. In pochi secondi siamo oltre la barricata e a forza di calci pugni e coltellate portiamo tra le linee nemiche tutto il nostro furore, scagliando su di loro una guerra mondiale istantanea composta da un solo combattente.

Satan Is Real

Di seguito troviamo "Satan Is Real" ("Satana E' Reale"), la cui apertura si presenta come il fiero incipit di una marcia verso l'Inferno: le chitarre infatti si muovono armonizzate e sinuose su una serie di stacchi di batteria, regalandoci un'introduzione dal tono decisamente magniloquente, conclusa la quale però non troviamo un martellante quattro quarti, come sarebbe lecito aspettarsi dai Kretor, bensì un avvincente mid tempo con la cassa a mitragliare in trentaduesimi. A parlare su questo imponente sviluppo sono gli stessi demoni degli Inferi, i quali, si rivolgono direttamente ai santi del Paradiso: "non potete distruggerci", urlano a gran voce le creature demoniache, "e non riuscirete mai a sconfiggerci tutti", un'aperta dichiarazione di guerra al regno dei cieli che giunge direttamente dalle viscere della Terra. La voce graffiante di Petrozza si rende così cantautrice di una storia millenaria che vede contrapposte le forze del bene e del male, immedesimandosi però in quest'ultime e interpretando il pensiero di chi è sempre stato succube della volontà divina. Il regno terreno non è altro che un cimitero dominato dalla lussuria e dal desiderio degli uomini, i quali, vivono completamente anestetizzati dalle parole del Vangelo, che li conforta dal timore del demonio descrivendoglielo come un qualcosa di assolutamente astratto dal quale tenersi lontani seguendo i precetti cattolici; ma la situazione però è ben diversa, presto i vili mortali realizzeranno che in realtà Satana è reale ed esiste davvero. Ovviamente non bisogna andare a cercare la classica figura rossa con il forcone e la coda a punta, ma Lucifero vive attraverso tutte le gesta perverse che gli umani compiono ogni giorno, negli omicidi, nei furti, nelle rapine e nell'approfittarsi dei propri simili per fini puramente edonistici. Il mid tempo continua incalzante sulla strofa, facendo avanzare verso di noi i Kreator con un invalicabile muro sonoro; a conferire la proverbiale pacca però sono le pennate in palm muting, decise e precise nei loro passaggi terzinati accostati invece alla costante doppia cassa serrata, che ci accompagna al vero e proprio punto focale del pezzo, il ritornello, strutturato come un vero e proprio urlo di guerra che i demoni scagliano verso l'infinità del cielo: Satana è reale e si concretizza nell'orribile tirannia degli esseri umani verso sé stessi, continuate a sognare il mondo ideale e puro raccontatovi dalle sacre scritture, ma non appena aprirete gli occhi subirete la vostra stessa catastrofe. I valori dell'indulgenza e della riverenza sono assolutamente inutili poiché essi si dissolvono dal momento in cui ci lasciamo sedurre dall'opportunismo insito in noi ed è proprio su questa amara constatazione che prende il via un travolgente assolo di chitarra in puro stile speed metal, una mitragliata di note sostenuta da una ritmica inarrestabile che con un tiro di stampo puramente teutonico ci accompagna verso il nostro abisso. Ormai è finita, abbiamo aperto gli occhi ed abbiamo visto il male manifestarsi in tutta la sua cruda realtà.

Totalitarian Terror

Arriviamo a "Totalitarian Terror" ("Terrore Totalitario") con i quali i nostri tornano a viaggiare su velocità serratissime ed oltre i limite delle umane capacità. Lo start del brano infatti ci arriva dritto nei denti come una martellata, senza compromessi di sorta, ma a noi thrasher si sa piacciono i pezzi in your face che non si fermano di fronte a nulla. I bpm sono elevatissimi ed il main riff ci scuote i visceri come ua scossa elettrica, ma nonostante questo incedere a dir poco supersonico è ammirevole come i due axemen riescano ad essere al tempo stesso così precisi e limpidi nella loro esecuzione. La batteria procede spedita su un quattro quarti martellante che alterna sapientemente una cassa sola nella strofa al raddoppio nel ritornello, dove le gambe di Ventor diventano i pistoni di un motore che trasuda energia a più non posso. Conformemente allo standard del Thrash vecchia scuola, la strofa ci viene rovesciata addosso da un agguerritissimo Mille, che in poche battute incastra magistralmente frasi composite piene d'odio verso un sistema che ancora oggi ci induce all'odio razziale: il frontman tedesco infatti ci invita a provare sulla nostra pelle cosa sia davvero essere marchiati come "inferiori" secondo dei malsani teoremi (ed essendo tedeschi, i Kreator parlano con cognizione di causa); riprendendo l'immagine della caduta della torre di Babilonia, egli infatti descrive come il caos sia di nuovo dilagato all'interno della società contemporanea, lasciando che ancora una volta i pregiudizi e i populismi si insinuino nell'opinione corrente con la stessa rapidità letale di una lama che si conficca nel nostro addome. La frenesia della strofa sembra quindi esprimere metaforicamente la velocità con cui sui social network l'odio ed il razzismo si diffondono a colpi di post, lasciando tristemente presagire che un nuovo totalitarismo invisibile si sta per affermare, ma fortunatamente, a tanti tuttologi infervorati, si oppone ancora un manipolo di coraggiosi che non si lascia penetrare il cervello dalle frasi fatte, ma anzi osa ancora utilizzare il proprio pensiero per farsi un'opinione circa ciò che gli succede attorno. Loro sono i nuovi guerrieri di una guerra che, per il momento, si combatte con la conoscenza e sono animati dalla voglia di vivere in un mondo libero e non temono di soccombere di fronte a questo oceano di ignoranza. Eppure questo terrore totalitario inizia a diffondersi, nel mondo infatti ha preso sempre più vigore quel regime basato sulla paura degli attentati, sulla paura dell'Isis, della Russia di Putin e dell'America di Trump, tutti hanno paura di qualunque cosa perchè il raziocinio ha ormai lasciato il posto alla bile che ogni fegato butta fuori per riversarsi sulle tastiere dei nostri pc. Ecco il regime che colpisce e colpisce duro, ecco come la ragione lascia spazio ai post di pancia, ma proprio laddove la libertà di opinione e di parola muoiono i nuovi rivoluzionari imbracciano nuovamente le armi. Il tiro del pezzo si mantiene sempre altissimo, dalla martelante serie di incisi cantati si lancia successivamente l'incredibile assolo di Sami, che tra una serie di pentatoniche ed una colata di note in tapping ci trascina in un ultimo avvincente ritornello, il terrore si diffonde e ci riempie le vene ma nel mentre i guerrieri della rivoluzione sono già schierati pronti a capovolgere ancora una volta le sorti del mondo.

Gods Of Violence

Giungiamo quindi alla titletrack dell'album, "Gods Of Violence" ("Dei Della Violenza"), che prosegue sui binari di una devastazione sonora di cui i nostri si fanno interpreti in maniera propriamente "olimpica". Ad aprire le danze è una splendida parte di chitarra acustica, arricchita da un effetto riverbero che rendere questo avvolgente passaggio della sei corde decisamente etereo e morbido, anche quando sopraggiungono gli incisi dal tocco "spagnoleggiante"; davanti a noi immagginiamo quindi una radura verde ed incontaminata, un'oasi naturale felice in cui le piante crescono rigogliose ed i colori del creato esaltano il nostro sguardo in unione con la tranquillità e la purezza di una fauna pacifica ed armoniosa. Questo equilibrio però si interrompe bruscamente: la chitarra infatti si sfuma nel vuoto ed improvvisamente arriva l'urlo degli dei della violenza che giungono all'orizzonte con l'intento di darci battaglia; gli strumenti ora sono distorti e la batteria scandisce con dei tocchi vibranti un vero e proprio coro sanguinario: "We Shall Kill" ("Dobbiamo Uccidere") è il motto che si alza a gran voce da quest'orda di guerrieri che non vede l'ora di travolgerci come una mandria inferocita. La strofa parte subito graffiante e travolgente, come del resto dev'essere un esercito in procinto di invadere una terra nemica, queste entità divine si sono infatti risvegliate in tutta la loro suprema maestosità e subito si formano le prime milizie separatiste pronte a contrastarli, ma la paura aleggia nell'aria ed ogni loro cenno di attacco echeggia come un tuono potentissimo; ad ogni ruggito del divino, le milizie rispondono a gran voce con il coro già apparso in apertura, strutturato dai Kreator con un avvincente mid tempo che ci trascina ad unirci in questa osanna dell'odio, per poi riprendere con la strofa spedita sull'ordine dei trentaduesimi. Gli usurpatori degli equilibri del bene sono giunti, tutta la speranza e la benevolenza sono state distrutte ed il regime della malvagità è stato inevitabilmente instaurato e come gli dei della violenza prendono vita ecco che ora sono proprio i ribelli a riprendere il coro, agguerriti ed anch'essi assetati di sangue mentre si preparano a dar battaglia all'armata nemica. A questo punto della canzone, all'incirca verso la metà del minutaggio, la struttura verte ora su un mid tempo dall'aspetto decisamente più heavy metal, la batteria infatti esegue ora un quattro quarti più lineare e di immediata assimilazione, sostenendo un riff meno serrato e maggiormente calibrato a livello compositivo. La frenesia resta tuttavia alta, l'umanità, supportata anche dai progressi tecnologica, è destinata a darsi battaglia fino a giungere alla sua stessa autodistruzione; con una avvincente metafora quindi, gli dei della violenza sono gli uomini stessi, in particolare i potenti, che non placheranno mai la loro brama di richezza e di supremazia e non si fermeranno di fronte a nulla, nemmeno all'immane sterminio di donne e bambini innocenti che le loro armi causeranno. Le città vengono distrutte, le aree naturali completamente annichilite dalle armi chimiche e dai bombardamenti, tutto il bene del mondo viene così massacrato dalle raffiche delle armi automatiche ma gli dei della violenza hanno preso vita ed il comandamento resta sempre lo stesso: "Dobbiamo uccidere".

Army Of Storms

Il tiro resta guerresco anche nella successiva "Army Of Storms" ("Esercito Delle Tempeste") con cui Mille Petrozza e soci continuano ad impersonare dei guerrieri, che questa volta ci parlano direttamete in prima persona. Sostenuti da un main riff incalzante che parte immediatamente potente e granitico, questi guerrieri avanzano nuovamente verso di noi, che ancora una volta siamo le vittime predestinate di questa vortice di violenza inaudita; dopo un'apertura solenne affidata ad un riff di chitarra di stampo puramente maideniano, i nostri iniziano a martellare senza pietà con uno sviluppo ritmico che vede Ventor intento a martellarci i timpani con la sua celebre mitragliata di doppia cassa. Vedremo questo esercito avanzare verso di noi con le spade sguainate e la sua ira sarà talmente devastate che sentiremo i loro stivali calpestarci la testa fino a maciullarne il contenuto. Ora siamo la massa di infedeli verso questi combattenti, che dal testo risultano essere i crociati dello Stato Pntificio, si abbatteranno sul nostro regno barbarico per demolire le fondamente ed erigere sulle rovine delle nostre moschee delle chiese consacrate alla fede cattolica. La costruzione del brano vede alternarsi un travolgente incedere thrash oriented con uno sviluppo a stop and go dove le chitarre sfoderano le loro possenti pennate in palm muting, questo dinamismo ritmico ci concede di percepire il ritornello come una vera e propria stoccata portata da uno spadone medievale fin dentro il nostro addome senza dio. Il registro lirico scelto da Mille Petrozza verte sulla storia, ma non è errato nemmeno vedere in esso un riferimento metaforico all'imperante odio razziale che viene instillato e diffuso oggi verso la fede dell'Islam conseguente ai sanguinosi fatti terroristici recenti; come fecero i Cristiani nel tardo Medioevo, allo stesso modo molti nostri contemporanei inneggiano ad una nuova "guerra santa", non differenziandosi quindi dal registro lirco con cui i sostenitori del califfato motivanole loro atroci barbarie. Chi ha ragione quindi? I "Mori" o i Cristiani? Poco sembrerebbe importare quando al centro della faida vi è unicamente la tempesta di violenza che scaturisce dalle guerre intraprese in nome della fede. In conclusione del brano, dalla linearità compositiva precedente, si passa ad una serie di stop and go serratissimi, dove la doppia cassa si allinea con le pennate dei plettri per poi spegnersi improvvisamente in una pausa volutamente spiazzante. È proprio in questo punto della traccia che percepiamo quel senso di lacerazione già accennato nel ritornello: le lame dell'odio e del razzismo sono ora insozzate del sangue di emtrambi gli schieramenti e l'avanzare a pause alternate fa sì che la nostra mente recepisca bene quell'alternanza frenetica di stoccate che si susseguono all'interno di una battaglia, per poi giungere al powerchord conclusivo dove la batteria siglerà la fine del brano con spazzata sui piatti. Proseguendo quindi nel cammino di violenza, i Kreator ne cantano la furia omicida cercando di analizzarne l'ottica dalle diverse posizioni, trascinandoci in quello che è un vero e proprio urgano di malvagità.

Hail To The Hordes

Continuiamo con "Hail To The Hordes" ("Saluto Alle Orde"), un'osanna all'arrivo dei guerrieri che finalmente hanno un momento di riposo dopo la battaglia appena conclusa: essi tornano da vincitori al loro villaggio, ma c'è giusto un attimo per rifocillarsi prima di imbracciare nuovamente le armi. Il tempo di batteria parte immediatamente marziale e cadenzato, come un tamburo atto a scandire l'incedere dei soldati i cui passi fanno tremare la terra circostante, la chitarra ritmica sfodera una serie di accordi tenuti e profondi, atti a sostenere un fraseggio solista le cui note esprimono tutta l'imponenza con cui questi soldati si muovono imperiosi. Sull'arrivo del cantato il tempo si dimezza, Mille Petrozza diventa così il cantore di un inno di onore e coraggio che anima ed unisce questi guerrieri; è con le loro gesta che costruiranno e manterranno unita la nazione, proteggendola dalle invasioni straniere e preservandone l'istituzione politica e l'identità culturale. Le loro spade, incrociandosi con quelle dei nemici, saranno l'urlo proveniente da un popolo fino ad ora silente e terrorizzato dal pericolo, che però potrà contare sulla forza e sul coraggio di questi intrepidi eroi; anche quando i tempi saranno bui e le tenebre ci accecheranno, il fragore delle loro armi sfavillerà nell'aria illuminando con le scintille dell'acciaio una notte che sembra avvolgere il mondo eclissando la speranza. I deboli, gli innocenti, i saggi e persino gli impostori della comunità vedranno in questo manipolo di soldati il loro scudo contro le avversità, un'essenza guerresca che sarà sempre pronta a librare la lama in difesa del proprio popolo parando il fendente del barbaro aggressore e l'epicità di queste gesta potrà così riverberarsi nell'eco dei tempi. Ad un'immagine così epica i Kreator scelgono di accostare un tempo dimezzato, i bpm diminuiscono provvisoriamente per lasciare spazio ad uno sviluppo più monolitico da headbanging garantito, sul quale anche noi ascoltatori potremmo forgiare il nostro coro a gloria dell'eterna fratellanza; che sia l'amicizia, la fedeltà al Metal o una qualsiasi altra forma di intesa a noi la scelta, "Hail To The Hordes" è un brano che raduna ed unisce senza guardare troppo al contesto; di per sé la lirica affronta il tema della guerra, ma l'astuzia di Mille Petrozza ha costruito un sapiente gioco metaforico il cui senso di fratellanza e fedeltà è espandibile anche a diverse altre situazioni, a seconda dell'estro del singolo ascoltatore. Il pezzo continua a scorrere costante, i Kreator basano questa loro composizione sull'impatto della sezione ritmica affiancato ad un avvincente fraseggio solista, che si intervalla scorrevolmente agli incisi vocali del cantante tedesco; nella seconda parte però la potenza delle orde si amplia: essi, dopo aver sconfitto tutti i nemici presentatisi sul campo di battaglia, marceranno nuovamente per le vie della loro patria, eliminando tutti i politici corrotti, ripuledo così la loro terra anche dalle serpi in seno che ne infestavano la purezza e, sul modello della Repubblica di Platone, saranno i veri sapienti a guidare il popolo, sempre protetti dalla classe dei guerrieri, di cui sarà fedele alleata. Una nuova alba sorgerà sul mondo degli uomini, il sole irradierà una società pura e guidata solo dalla conoscenza, libera finalmente dalle minacce interne ed esterne e così i cittadini ringrazieranno, con il loro saluto alle orde liberatrici.

Lion With Eagle Wings

Proseguiamo con "Lion With Eagle Wings" ("Leone Con Ali D'Aquila"); in questa canzone i Kreator sperimentano un espediente abbastanza insolito per il loro canonico songwriting, specie nell'apertura, ovvero l'utilizzo di una chitarra effettata in modo da ricreare il suono di un carillon, atta a rendere l'atmosfera folle e malinconica e che sostenga il parlato gutturale di Petrozza, la cui voce è talmente chiusa da rasentare il growl. Per lanciare il tutto, giunti all'apice della frase "burn in flames" ("andando a fuoco"), la batteria ed il main riff partono assieme, tirandoci la vera e propria mazzata in faccia che avvia il classico tupa tupa thrash. Il vocalist di Essen ora narra in prima persona la sua visione del mondo, da lui stesso analizzato in groppa ad un leone alato che lo porta sul dorso durante il volo; questa sorta di grifone quindi offre al thrasher tedesco la possibilità di osservare l'umanità dall'alto in una posizione distaccata, dalla quale si fanno ancora più evidenti le ipocrisie e le contraddizioni dell'essere umano. Il ritmo resta sempre frenetico ed incalzante, come vuole che sia la tradizione compositiva dei Kreator, ma rispetto alle tracce fin qui ascoltate siamo di fronte ad un maggior lavoro di arrangiamento melodico: il fraseggio solista di chitarra e la linea aggressiva ma al tempo stesso catchy e di facile memorizzazione sono infatti le protagoniste indiscusse della canzone, sostenute da una base ritmica travolgente ed infuriata che quasi ci porta in groppa al grifone dietro a Mille facendoci precipitare in un volo acrobatico. Proprio l'inizio di questo volo viene descritto come un tuffo tra le nuvole, un'incursione di un essere libero e puro attraverso quella Babilonia che è la società umana, la cui condizione di schiava di sé stessa stride fortemente con il senso di indipendenza del protagonista. La doppia cassa ed il dinamismo del main riff di chitarra restano sempre con il tachimetro altissimo di giri e quasi vediamo davanti ai nostri occhi il blu del cielo farsi sempre più nero a mano a mano che ci avviciniamo alle città meccanische e fumose con cui l'uomo ha letteralmente stuprato il pianeta; basta avvicinarsi al terreno che subito questi essere inebetiti dalla loro stessa brama e fame di consumo si avventano sul nostro aviatore nel tentativo di agguantare il leone per esporlo nel loro zoo, ma nessuno può toccarlo perchè egli è una creatura mitologica esente dalle leggi di questo mondo e può librarsi sontuosa nel cielo sfuggendo così alle grinfie degli umani. La divinità della creatura avvolge il suo stesso cavaliere, il quale anch'egli si eleva ad una dimensione eterea completamente distaccata dal regno terreno: a differenza degli uomini, vive la sua vita senza rimorsi, in perfetta armonia con la natura che lo circonda e lo ospita, e mentre dagli oceani emergerà l'ennesimo mostro che distruggerà le città egli fuggirà in groppa al grifone verso l'infinito del cielo, dopo aver constatato la miseria ed il disgusto nel quale ormai sguazzano gli uomini. Nel finale infatti restano unicamente la batteria e le chitarre, le quali, sfoderano un assolo armonizzato dallo stampo puramente maideniano; Mille recita l'ultima strofa e poi via si riparte er l'ultima sfuriata serratissima, con il grifone che come un fulmine solca nuovamente le nuvole per poi sparire all'orizzonte, libero e selvaggio come è degno di un dio proveniente da un'altra dimensione.

Fallen Brother

Giungiamo a "Fallen Brother" ("Fratello Scomparso"), brano che ha anticipato l'uscita del disco in qualità di singolo presentato con un video caricato sulle piattaforme del gruppo e che, senza timore di azzardo, possiamo definire il più solenne dell'album. Nel cortometraggio infatti viene reso omaggio ai grandi personaggi del Rock che ormai non ci sono più e la successione delle scene risulta volutamente minimalista proprio per fare in modo che ogni singolo personaggio riceva il tributo che gli è dovuto. Il video innanzitutto è in bianco e nero, l'ambientazione sembrerebbe essere un magazzino abbandonato ma vista la predominanza di luci soffuse non siamo in grado di stabilirlo con certezza; l'unica luce di tutta la sequenza proviene dalle fiamme di un braciere, nel quale un anonimo personaggio con occhiali ignifughi getta lentamente le fotografie dei fratelli scomparsi con fare ossequiso. Ogni fotogramma viene prima rispettosamente guardato e poi dato alle fiamme, come un metaforico funerale vichingo nel quale l'aspetto fisico del corpo del singolo guerriero caduto arde e viene purificato per liberarne l'essenza e la memoria nella vastità dell'eterno. Per Mille Petrozza, ogni volto rappresenta una figura particolarmente cara, un fratello appunto, con cui in un modo o nell'altro ha condiviso qualcosa, si tratti della semplice passione per la musica oppure di vere e proprie esperienze di tour insieme. La serie di personaggi omaggiati è davvero nutrita e comprende Lemmy, Phil Lynott, Bon Scott, Jeff Hanneman, Cliff Burton, Quorthon, Peter Steele, Denis D'Amour, Ronnie James Dio, Chris Witchhunter, Dave Brockie, Chuck Schuldiner, Mickey Fitz, Prince, H.R. Giger, Michael Wulf, David Bowie, Paul Baloff, Michael Trengert, Dimebag Darrell, Leonard Cohen, Jon Lord, Scott Columbus e Oliver Fernickel. Come è chiaro non sono solo i musicisti Metal ad essere contemplati; questo lunga lapide comprende anche artisti che non hanno suonato il Metal ma con la loro personalità e la loro arte hanno contribuito a forgiarlo e che quindi sono per Mille Petrozza e per i Kreaor dei veri e propri fratelli. Ad aprire il brano è una rullata di batteria, sulla quale parte immediatamente un riff terzinato suonato in palmmuting, la velocità lascia nuovamente lo spazio al groove ed in questo frangente la linearità strutturale risulta funzionale a quello che è l'encomio recitato dal chitarrista e cantante di Essen. Particolarmente interessante è ancora una volta il lavoro delle chitarre soliste, che arricchiscono i passaggi strumentali con degli assoli ricchi di pathos e melodia prima che subentri la ritmica martellante creata con il palm muting e le pennate del basso. Vero e proprio apice in materia di epicità e rispetto è il ritornello, dove la ritmica si distende per far sì che la voce possa calcare ogni singola lettera delle parole "fallen brother" mediante una costruzione che, grazie al fraseggio di sei corde, si rivela particolarmente orcchiabile e, da buoni metal head, non può che trascinarci al coro immediato. La doppia valenza della seconda persona nella lingua inglese ci consente di leggere la parola "you" sia come una singolare "tu" che come un plurale "voi", permettendoci quindi di leggere questa lirca come rivolta ad un singolo o ad una collettività. Tutti i nomi sopraelencati sono stati costretti ad andarsene prima del tempo, nonostante l'entusiasmo con il quale vivevano la musica insieme ai Kreator sembrava dovesse farli vivere in eterno, ora non ci sono più e lentamente il decadimento conseguente al dolore dilania l'animo di chi resta. Proprio nel ritornello, che come abbiamo già appurato è il vero momento clou del pezzo, Petrozza sceglie di usare la sua lingua madre al posto dell'inglese per determinate frasi: questo bilinguismo non solo consente al vocalist di essere maggiormente a proprio agio nell'espressione del concetto ma rende particolarmente innovativo questo particolare brano. Al vocativo rivolto al fratello scomparso si alternano dunque frasi in tedesco ed in inglese (come ad esempio "Welcher Traum auch kommen mag", "al di là dei sogni", alla quale segue "the memory lives on", "la memoria continua a vivere", creando così un suggestivo connubio linguistico). La lingua madre viene scelta anche per quella che è la vera e propria preghiera della lirica, parentesi dove il pezzo si modula su una esitation nella quale viene recitata una vera e propria liturgia in onore dei defunti. Il passaggio è particolarmente suggestivo, poiché le chitarre smettono momentaneamente di ruggire per distendersi su una serie di accordi che danno modo all'ignoto protagonista di recitare questi versi: "Dietro alle fosse di ossa macilente, laddove i pensieri appaiono come spiriti, ridono i morti e bevono il vino, che noi piangiamo dal dolore e dalla disperazione". La vena ribelle ed anticonformista dei Kreator smette provvisoriamente di pulsare per consentire ai quattro di fare il simbolico minuto di silenzio in memoria di chi non c'è più, come i soldati che, una volta cessate le ostilità, sfruttano il momento di quiete per seppellire i propri morti; concettualmente "Fallen Brother" sembra quindi esulare dal contesto dell'album, ma a conti fatti si rivela una delle composizioni migliori dell'intera tracklist.

Side By Side

La scaletta prosegue con "Side By Side" ("Fianco A Fianco") il cui attacco è decisamente più in your face: un velocissimo respiro e poi si parte con un nuovo urlo di guerra di Mille Petrozza, prontamente accompagnato da una esitation di chitarra e batteria che anticipa una partenza al vetriolo. La velocità torna nuovamente ad essere protagonista indiscussa e prontamente veniamo ributtati nella mischia di un nuovo mosh pit, attraverso un vero e proprio vortice di shredding che ci prende direttamente per la colonna vertebrale e ci caccia nella mischia. Il tema toccato in questa lirica è ancora di estrema attualità: il messaggio di solidarietà e vicinianza questa volta è rivolto ad un fittizio amico omosessuale, per il quale i Kreator non dimostrano assolutamente alcuna chiusura mentale ma anzi si schierano al suo fianco per difenderlo da tutto l'odio ed i pregiudizi della società retrograda. Ancora oggi, nel 2017, ci sono persone costrette a vivere nella vergogna, celando quella che è la loro identità sessuale per paura di subire ritorsioni di ogni tipo, dall'emarginazione alla violenza vera e propria ed ogni giorno della loro vita viene così pervaso dal senso di vergogna e dal complesso di inferiorità. La velocità del tempo di batteria trascina una strofa che descrive aspramente quella che è la realtà dei fatti: essere omosessuali, per qualcuno, è ancora oggi un peso, un difetto, che lo fa sentire "inferiore" alle persone "normali", ma a dar man forte a queste vittime dell'ignoranza globale sopraggiunge il ritornello; la struttura infatti amplia il proprio repiro ed il tempo passa ora su un quattro quarti accentato che sostiene un fraseggio di chitarra imponente ed avvolgente, al fine di accompagnare l'accentuazione delle parole costituenti il ritornello come una fanfara militare. Chi si sente ancora oggi vessato perchè omossessuale infatti combatte una guerra quotidiana, ma i Kreator sono qui, adesso, ad accompagnare la sua marcia per poi lanciarsi all'attacco di un mondo retrogrado che ancora non è in grado di accettare chi è "diverso" solo agli occhi preclusi dal pregiudizio, accettando invece, e alle volte sostenendo, perversioni ben più luride e malsane. Petrozza si rivolge direttamente al destinatario del suo discorso diretto, ricordandogli che comunque vadano le cose egli avrà sempre un amico al suo fianco per sostenerlo anche nei periodi più bui. Anche se il prezzo di questo supporto sarà la morte ed il conseguente non rivedere più sorgere il sole egli resterà sempre fianco a fianco. La seconda strofa si scaglia direttamente contro la società: un omosessuale viene giudicato da tutti, ignoranti e deboli, ed è costretto a vivere in una nazione governata da lupi e posseduta da dei porci che si ritengono intelligenti e conservatori, non accorgendosi di essere loro in primis la piaga dell'umanità. Per fortuna, se al di là della barricata ci sono solo perbenisti e bigotti, al di qua vi è chi solidale nei confronti di chi è innamorato di qualcuno dello stesso sesso ed insieme, fianco a fianco, distruggeranno l'omofobia, impedendo che il senso di vergogna si diffonda ancora, ed impedendo che gli omosessuali si sentano ancora eslusi. Sarà una lunga guerra, ma con i fedeli alleati al proprio fianco la vittoria presto arriverà.

Death Becomes My Light

L'album si chiude con "Death Becomes My Light" ("La Morte Diventa La Mia Luce"); i Kreator ricorrono nuovamente alla soluzione del pulito per introdurci a questa canzone conclusiva con un avvincente arpeggio di chitarra potentemente riverberato in modo da far sembrare la parte suonata come all'interno di una cattedrale. Anche il vocalist di Essen si cimenta in uno stile vocale diverso, la prima parte di strofa viene infatti recitata attraverso una voce parlata molto bassa, che quasi sembra imitare i grandi maestri del Gothic Doom come Peter Steele dei Type O' Negative o David Gold dei Woods Of Ypres; trattandosi dei thrasher tedeschi per eccellenza riesce difficile immaginare che delle belve come loro si siano "piegati" a questo bagaglio stilistico, ma tranquilli il tutto è volutamente funzionale per introdurre una nuova partenza esplosiva. La doppia cassa di Ventor entra nuovamente a tritare ossa con i suoi trentaduesimi, mentre le chitarre ed il basso procedono spediti lungo un main riff dinamico e fluido che dimostra tutta la bravura tecnica di questi musicisti; con questa lunga "ballata" (il termine ovviamente va inteso con il metro di giudizio dei Kreator) i nostri riflettono sulla morte ed in particolare su come l'individuo si renda conto di essere arrivato al termine della propria esistenza. Prima di intraprendere il viaggio nell'Oltretomba, l'introduzione morbida ha lo scopo di creare gli ultimi istanti di agonia del morente, che giace a letto sentendo che presto il capolinea sarà raggiunto: dopo averne tanto sentito parlare, egli non riesce a capacitarsi che la sempre temuta morte stia diventando realtà, quante volte infatti si congettura su come siano i nostri ultimi istanti? La famosa luce in fondo al tunnel, la vita che ci scorre davanti agli occhi e tutte quelle testimonianze sentite da altro pulpito saranno vere? Per Petrozza la realtà è molto più cinica: nel nostro ultimo respiro sentiamo infatti un sussurro etereo al nostro orecchio che ci conferma che finalmente la fine della sofferenza e arrivata. La chitarra si dissolve nel silenzio, il riverbero del suono lentamente scompare ed ecco partire lo sviluppo serrato e travolgente, l'anima del defunto viene ora condotta oltre le acque dello Stige, seguendo la tradizione folklorica , ma a differenza dei tanto suggestivi campi elisi pagani, ad attenderla troviamo unicamente un abisso colmo di oscurità. L'anima viene brutalmente separata dal corpo, il quale, resta a marcire tra le fiamme e lo zolfo, ormai il protagonista altro non è che un puro bagliore di spirito, a cui però è preclusa ogni ascesa al regno dei cieli in quanto corrotto dalla malvagità e dall'iporcrisia tipica degli uomini; è questo il suo destino, i demoni gli portano via la vita punendolo per tutti i suoi peccati e l'unica luce che questo trapassato vede è solo quella della morte stessa che ne fa un flebile bagliore nell'oscurità degli abissi. La struttura del pezzo si snoda come una lunga sequenza di strofe, intervallate dalla successione di passaggi strumentali che mantengono sempre alto il ritmo insieme ai ritornelli, che si presentano come una vera e propria richiesta di liberazione dal dolore. Nella lunga descrizione di questo processo di distacco del corpo dall'anima emerge lampante un motto latino: "noli timere messorem", ovvero "non temere il mietitore"; la morte infatti giunge per farci compiere l'ultima fase del nostro rapido passaggio sulla terra ed altro non è che la fine di un ciclo; abbiamo vissuto la nostra vita ed è ora di lasciare spazio ai nuovi arrivati del mondo terreno, per dirla in maniera stoica, la morte altro non è che il culmine dell'esistenza e poterla raggiungere in età relativamente avvanzata rende questo passaggio una sublimazione di un'esistenza anche troppo lunga. Ma all'improvviso ecco il colpo di scena: la voce sussurra allo spirito che il suo momento non è ancora giunto e viene così rispedito sulla terra, nuovamete immerso nell'odio e nella sofferenza della vita terrena; per il nostro protagonista dunque si è trattato solo di un'esperienza premorte, un assaggio della beatitudie liberatrice che proverà quando sarà veramente chiamato al cospetto del mietitore, ma per il momento egli deve ancora restare in vita, a bollire nel calderone della quotidianità umana.


Conclusioni

Con "Gods Of Violence" i Kreator compiono un ulteriore passo avanti nella loro enorme crescita stilistica compiuta dagli albori ad oggi e di acqua sotto i ponti ne è passata davvero molta dal corrosivo "Endless Pain" a questo nuovo lavoro risalente al 27 gennaio scorso. Dagli anni Ottanta ai gioni nostri, i Kreator si possono tranquillamente annoverare tra le fila di quei gruppi che hanno contribuito con il loro operato a delineare prima e ad innovare poi quello che è il Thrash Metal di stampo teutonico. A balzare alle orecchie in primis è senz'altro l'enorme qualità di post produzione; fin dai primi anni Novanta, complici anche i notevoli progressi in materia di audio recording, i Kreator hanno iniziato a sfornare lavori dalla qualità audio sopraffina, che seppur fecero storcere il naso ai fan più oltranzisti, amanti integerrimi della "grezzura", al tempo stesso li resero dei veri e propri maestri della potenza sonora. I brani di questo album ci asflatano letteralmente, dal primo all'ultimo. Ogni canzone infatti ci spalma contro un muro di suono solido e compatto, creato dall'ottima equalizzazione ma sprattutto, caratteristica non certo irrilevante, dalla bravura di questi musicisti. I miracoli del digitale infatti altro non fanno che elevare ad ennesima potenza un'identità compositiva sfacciata, irriverente ma anche competentissima in materia: i Kreator sono specialmente la creatura di Mille Petrozza ed egli giustamente guida la sua macchina da guerra con astuzia ed esperienza, coadiuvato da altri tre alleati di indiscussa levatura. Ciò che soddisfa su tutto di questo tredicesimo capitolo della discografia della band è la sua assoluta completezza: l'ingrediente principale resta, come è giusto che sia, l'aggressività tagliente, cruda ed assolutamente in your face, quella che in altre parole, fa sì che ogni volta che sentiamo i Kreator, dal vivo o su disco, il nostro intestino inizi a tremare nel nostro ventre. A condire il tutto troviamo inoltre una freschezza artistico-compositiva assolutamente convincente anche per quanto riguarda il versante più morbido di questi undici pezzi dove le parti pulite, realizzate con delle scritture chitarristiche davvero notevoli, e le strutture ritmiche più mirate sul groove e sulla pacca diverse dal classico tupa tupa recitano la propria parte nella sinergia di uno yng yang di potenza e dolcezza che rendono l'ascolto davvero scorrevole, di impatto ma con anche i momenti di respiro per cui le nostre cervicali ringrazieranno. Astutamente, i quattro piazzano i brani dalla stesura più travolgente e "canonica" all'inizio della scaletta, quasi a ribadire che sanno ancora spaccare teste come un tempo, poi, nella seconda parte della tracklist, ai "sopravvissuti" del loro bombrdamento preventivo viene offerto successivamente "il nuovo campionario", grazie al quale Petrozza e soci consolidano ed innovano uno dei generi più longevi ed amati dell'intero universo Metal.


1) Apocalypticon
2) World War Now
3) Satan Is Real
4) Totalitarian Terror
5) Gods Of Violence
6) Army Of Storms
7) Hail To The Hordes
8) Lion With Eagle Wings
9) Fallen Brother
10) Side By Side
11) Death Becomes My Light
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