KREATOR
Flag of Hate
1986 - Noise Records
FRANCESCO NAPPI
18/09/2020
Introduzione Recensione
Il 1985 fu un anno molto importante per il thrash metal tedesco: uscì il debut album dei Destruction, i Sodom si abbattevano sulla scena con il rozzo e violentissimo EP "In the Sign of Evil" (uscito in realtà, in un numero limitatissimo di copie, già nel 1984) e i Kreator avevano anch'essi esordito con l'acerbo ma lacerante "Endless Pain". Sono sempre stati questi tre gruppi a portare in alto la bandiera del thrash teutonico, il quale si differenziava dal thrash americano per via di maggior irruenza e minor tasso tecnico. Oltretutto, il trio di lavori sopracitati è stato parte integrante per lo sviluppo del metal estremo, in particolare per il black metal norvegese che si sarebbe affermato qualche anno più tardi. Ma torniamo a noi. Con una carriera impostata dunque, le tre band negli anni seguenti si sono dedicate con anima e corpo ai rispettivi lavori. Non c'è mai stata aria di rivalità, anzi; i Kreator e i Sodom in particolare, provenivano dalla Ruhr, fuligginosa regione della Germania, ricoperta in una buona parte dalle miniere di carbone che stanziavano all'epoca. Dunque, è evidente tracciare un certo legame di vicinanza tra le due band, nate in una realtà difficile, dove la vita non era certo agiata. Andando a stringere il cerchio d'analisi sui soli Kreator, essi impressero tutta la loro rabbia, figlia della realtà che vivevano, sull'album "Endless Pain", che si confermò come uno dei dischi più selvaggi incisi fino a quel momento. L'opera era grezza, caratterizzata da una produzione modestissima e, ovviamente, si contraddistingueva per quella furia giovanile figlia delle circostanze. Le canzoni erano tutte sparate a velocità altissima, con batteria fuori tempo e chitarra affilata come un rasoio. I testi trattavano per lo più di tematiche occulte e pseudo-sataniche, ma in alcuni casi si concentravano su argomenti più concreti quali la violenza dell'uomo e la guerra nucleare. In più, c'erano ben due cantanti, che si alternavano i pezzi: il batterista "Ventor", avente un timbro cavernoso e gutturale e il chitarrista Mille Petrozza, la cui voce, invece, era un prototipo dello scream black metal. Sicuramente questa cosa dei due cantanti giovò ai Kreator, i quali subito dopo la pubblicazione di "Endless Pain", iniziarono a muovere significativi passi nell'underground tedesco ed europeo. L'anno seguente fu molto prolifico per Petrozza e compagni. Intanto, la line-up era rimasta la stessa, quindi c'erano Petrozza alla chitarra e alla voce, Rob Fioretti al basso e "Ventor" alla batteria e alla voce. Il 1986 dei Kreator è ricordato specialmente per la pubblicazione del devastante "Pleasure to Kill", uno dei dischi thrash più debordanti mai incisi. Ma qualche mese prima, i giovanotti tedeschi lanciarono su piazza con un EP di tre pezzi, intitolato Flag of Hate, proprio come il brano presente su "Endless Pain". Benché fosse passato relativamente poco tempo tra la pubblicazione del disco d'esordio e questo EP, si iniziavano ad intravedere già delle modifiche al sound della band. Il suono del lavoro precedente, scarno e tagliente, era stato sostituito da un'impressionante muro di riffs di chitarra assassini e straripanti, un drumming più potente e leggermente più quadrato e da una voce, stavolta solo di Petrozza, iraconda, infernale. Benché i brani presenti su questo EP siano solo tre, essi sono un ottimo antipasto in vista del successivo "Pleasure to Kill", diciamo un rodaggio dei motori. In più, qui i Kreator si sono dilettati, in due occasioni, con dei brani lunghi, nel tentativo di distaccarsi dall'immediatezza e dall'irruenza del primo full-lenght. Difatti, le canzoni "Take Their Lives" e "Awakening of the Gods" sono poderose, furibonde, ma più controllate nel songwriting e nell'andatura, specie la prima. Ma ora è tempo di andare a vedere nel dettaglio i segreti di questo EP breve ma incendiario. Buona lettura!
Flag of Hate
La prime delle tre tracce è Flag of Hate (Bandiera dell'odio), una reinterpretazione del brano presente su "Endless Pain". Qui, ci troviamo dinanzi ad una versione decisamente più massiccia e violenta rispetto a quella situata sull'opera d'esordio dei nostri. Un riff furioso e tipicamente thrash ci assale in maniera repentina, accompagnato dall'incidere violentissimo della sezione ritmica, con la doppia cassa di "Ventor" in risalto. La prima strofa arriva subito, e ci accorgiamo che, rispetto a qualche mese prima, la voce di Mille Petrozza è cambiata, ora è più rabbiosa, collerica, impetuosa. Le linee vocali sono pressoché le stesse del brano originale, così come il riffing chitarristico nella sua forma base. Arriva immediatamente il pre-chorus, corposo e spietato, seguito poi dal ritornello che, caratterizzato sempre da un riff di chitarra molto veloce e tagliente, è ormai storia del thrash metal. A seguire c'è un brevissimo passaggio strumentale contraddistinto dapprima da alcune note stoppate di chitarra e sezione ritmica, poggiate sul riff centrale del pezzo; segue un frammento veloce e diretto che porta alla seconda strofa. Questa inizia con il riff centrale che torna a fare capolino, e Mille Petrozza ci aggredisce nuovamente con la sua voce iraconda, la quale si sposa benissimo con il riffing della sua chitarra che, se vogliamo, si fa ancora più violento e travolgente. Come da prassi, seguono pre-chorus e ritornello, scagliati a tutta velocità sui padiglioni auricolari dell'estasiato ascoltatore. Un nuovo passaggio, caratterizzato nuovamente da note stoppate di chitarra e sezione ritmica, sempre poggiate sul riff portante, si fa strada, per poi sfociare prima in una breve cavalcata, la quale culmina col breve momento solista di "Ventor", poi nell'assolo di chitarra di Mille, molto più conciso e asciutto rispetto al brano originale. Il pezzo sia avvia verso la conclusione, ed ecco che ci vengono propinati un'ultima volta, in sequenze, pre-chorus e ritornello ed qui, che il riff centrale di chitarra, a detta di chi scrive, tocca il suo apice di violenza. A questo punto, la canzone svanisce nella stessa ascia di Petrozza, accompagnata dagli ultimi colpi sulle pelli di "Ventor". Personalmente, di questo brano, preferisco la versione che c'è su "Endless Pain", ma questa riregistrazione non sfigura affatto, tutt'altro. Sappiamo già di che parla il testo di "Flag of Hate", ma lo ripassiamo un'ulteriore volta. Fondamentalmente, le liriche di questo brano parlano della violenza umana, identificata in primis come ombre scure che aleggiano su una città; protagonisti sono degli urli di dolore, provenienti da qualcuno che quella sera stessa morirà per mano delle legioni del caos, pronte a rubare quante più anime possibili. Questi individui mangeranno l'intestino delle loro vittime, le metteranno in ginocchio per far incontrar loro il destino che le attende. Sarà inutile provare a scappare, schiere di individui malvagi sono arrivate per uccidere. Le liriche continuano dicendo che è ora di innalzare la bandiera dell'odio e di distruggere il mondo. Abbattere l'umanità è l'unico modo per eliminarla interamente. La seconda strofa recita che queste masse di violenti hanno come unico scopo crocifiggere il dio altrui, e che chi si spaccia per qualcun altro merita di morire sotto tortura. Insomma, un testo molto sadico che riflette, sempre in modo abbastanza superficiale, la follia e la violenza umana.
Take Their Lives
Passiamo a Take Their Lives (Prendi le loro vite), un massacrante semi-mid-tempo dove i Kreator sfoggiano tutta la loro furia, pur non trattandosi in tal caso di un pezzo iperveloce. Un riff di chitarra freddo e roccioso apre le danze, seguito subito dai fraseggi di "Ventor" alla batteria. Il brano esplode in fretta con tutta la sua potenza; la prima strofa giunge quasi immediatamente e con essa la terrificante voce di Petrozza, la quale sembra provenire direttamente dagli inferi. Qui, ancor più che nel precedente pezzo, è facilmente percepibile come Mille abbia modificato il suo tono vocale, rendendolo più cattivo e animalesco. Le linee vocali seguono paro paro il groove della sezione ritmica, risultando quindi molto marcate e di impatto. Arriva il ritornello, il quale è condotto da un riff di chitarra leggermente diverso da quello centrale, in quanto più tagliente e minaccioso. Anche le linee vocali cambiano di poco il loro registro, assumendo a loro volta toni più cupi ma un filo meno opprimenti. Parte la seconda strofa e il brano torna a condurre la sua marcia originaria, con il rabbioso Petrozza a vomitare liriche poco amichevoli dietro il microfono. Veniamo poi riaccolti dal ritornello che successivamente apre ad una nuova sezione del brano: Petrozza tira fuori, in maniera quasi improvvisa, un riff più dinamico e tagliente mentre la sezione ritmica si velocizza, pur non premendo in maniera eccessiva il piede sull'acceleratore. La canzone dunque, continua su questo andamento sostenuto fino a che non sopraggiunge Mille con un assolo dei suoi. Questo è piuttosto lungo e meno atonale del solito, e si sviluppa su una base strumentale che dapprima mantiene il suo andamento sostenuto, poi ritorna su coordinate mid-tempo, dando possibilità allo stesso Petrozza di colorare il suo assolo con toni differenti. Successivamente arriva una nuova, travolgente strofa dove i Kreator si lasciano andare agli impulsi più selvaggi. Il riffing chitarristico assume le sembianze di una gigantesca onda anomala che spazza via ogni cosa; la sezione ritmica, nel frattempo, incide fragorosa e la voce di Petrozza traspare cattiveria in ogni parola pronunciata dall'allora neanche ventenne cantante. Improvvisamente, la potenza distruttrice del brano si arresta e tutto l'insieme assume un brusco cambio di registro: al posto del riff precedente subentra un arpeggio di Petrozza distorto e sinistro che va subito a creare un'atmosfera, oserei dire, quasi inquietante. In sottofondo, la sezione ritmica dispone un tappeto di accompagnamento che ben regge la chitarra di Mille. Alla fine, l'arpeggio sfocia in un freddo ma sempre lento riff, prima caratterizzato solo da alcune glaciali plettrate di Petrozza, poi subentra nuovamente lo stesso arpeggio di prima, anche se stavolta più marcato. A detta di chi scrive, questo è senza dubbio il miglior momento del brano, in quanto i Kreator riescono, con poche note, a creare un clima lugubre e distaccato. Oltretutto, tale passaggio funge da perfetto ponte tra la sezione di prima e quella successiva che torna ad essere furibonda. Difatti, i Kreator ricominciano a correre, suonando una strofa nuovamente violenta e assassina. Un secondo assolo di Mille arriva, stavolta decisamente più spigoloso e amelodico. Il solo di Petrozza incanala il pezzo sui binari della conclusione, difatti dopo il brano torna ad essere più contenuto, con Mille che sferra delle fendenti plettrate mentre "Ventor" accompagna con un drumming quasi marziale. A tal punto, la canzone ritorna al suo mid-tempo originario. Il poderoso incidere degli strumenti, associato agli ultimi bestiali vocalizzi di Mille segnano i secondi finali del pezzo, il quale di fatto termina così la sua marcia infernale. Un grande brano, contraddistinto da un songwriting interessante e da una prova vocale di Petrozza convincentissima nella sua brutalità. Il testo si rivela ancora una volta feroce e aggressivo. Stavolta il protagonista è un uomo frustrato e infuriato con dei tali che gli hanno rubato i migliori anni della sua vita. L'uomo ogni giorno è teso, nervoso, pensa continuamente alla sua gioventù, fino al momento in cui non gli è stata privata. Il ritornello recita che l'individuo, se vuole sopravvivere e non impazzire completamente, deve prendere le vite di coloro che, secondo lui, gli hanno fatto del male. Si scopre anche che questa persona voleva far parte della società civile, ma che a causa dei determinati avvenimenti sopracitati, ora libera il suo potere omicida. L'uomo a tal punto porta coloro che giudica colpevoli in una cantina (probabilmente quella di casa), assicurandosi che non possano urlare. Il tale incatena le sue prede e non gli interessano nemmeno le grida dei suoi figli che gli implorano di fermarsi. L'uomo brandisce un'ascia scintillante, pronta ad essere usata contro chi gli ha portato via la gioventù. Ed ecco allora che la furia del protagonista si abbatte sui malcapitati, recidendo arti e altre parti del corpo con fare compiaciuto. Una volta finita la mattanza però, l'uomo è adesso braccato dalle autorità ed è costretto a fuggire finché le forze dell'ordine non lo prenderanno.
Awakening of the Gods
Giungiamo all'ultima traccia dell'EP, e che traccia! Awakening of the Gods (Risveglio degli dei) è un interessantissimo brano di oltre sette minuti che porta i Kreator a orientarsi su strutture musicali un po' più elaborate. Ovviamente la canzone è in puro stile thrash metal teutonico ma vuole comunque provare ad essere diversa rispetto a tutto quello che Petrozza e soci hanno prodotto prima. D'altronde, anche il pezzo scorso, "Take Their Lives", mostrava delle leggere tendenze a favore di un songwriting più variegato. Un grandissimo intro fa da apripista: Petrozza sfodera un riff duro e roccioso, ma dotato tuttavia di una certa orecchiabilità mentre "Ventor", supportato dal magro basso di Fioretti, si cimenta in delle energiche rullate alla batteria. Tale tema va avanti per quasi un minuto, poi, un riff di chitarra completamente diverso dal precedente, in quanto più tagliente e violento, irrompe orientando il brano verso i territori del thrash più estremo possibile. Dei fraseggi di batteria, intercalati all'ascia di Petrozza, accompagnano questa nuova virata sonora della canzone che si lancia in una folle e travolgente corsa. La prima strofa inizia e Mille è un ossesso dietro al microfono: canta serrato, veloce, il suo timbro vocale a dir poco mostruoso. Forse il giovane non interpreta neanche al meglio le linee vocali del pezzo, ma poco importa, è assolutamente un diavolo. Ad accompagnare il canto colmo di rabbia del singer, una chitarra tritaossa e una sezione ritmica demolitrice. Il drumming di "Ventor", benché ancora impreciso, è fragoroso, tuonante, da quel tocco apocalittico in più all'insieme. Arriva il ritornello e la velocità diminuisce... ma la potenza rimane invariata, anzi, forse è proprio il chorus il momento di maggiore impatto del pezzo: il riff di chitarra si fa più denso e quadrato così come la sezione ritmica, la quale come detto rallenta l'andamento che rimane comunque sostenuto. Petrozza canta pochi versi con una voce, se vogliamo, ancora più pregna di foga e violenza, quasi ringhiante. Passato ciò si ritorna a correre. Un brevissimo e scattante passaggio strumentale apre alla seconda strofa e l'ascoltatore si ritrova di nuovo investito da una paurosa tempesta di decibel. I Kreator non mostrano alcuna pietà, Petrozza ci tramortisce col suo cantato infernale, chitarra e sezione ritmica fanno il resto. Di nuovo il chorus torna a deliziarci i padiglioni auricolari, poi, il brano subisce un improvviso cambio di rotta. Un riff di chitarra nuovo, più snello e affilato, si fa strada e lo stesso vale per la sezione ritmica, specie il drumming, che assume toni meno estremi. Da ciò ne scaturisce un passaggio strumentale dove la band prova a sfoggiare un po' di tecnica e, a detta di chi scrive, la cosa, pur ovviamente non in maniera impeccabile, riesce: Petrozza si cimenta in un riffing tipicamente thrash, anche se, come detto, più fluido ed elastico, inframmezzato da elementari ma efficaci fraseggi; "Ventor" varia molto dietro le pelli, riuscendo anch'egli ad essere piuttosto flessuoso e snodato, ma non perdendo un grammo di potenza. Subito dopo, Petrozza cambia nuovamente le carte in tavola irrompendo con un nuovo riff, non molto diverso da quello di prima, ma quel tanto che basta per dare al brano un senso nella sua continuazione. La sezione ritmica rimane sui territori del mid-tempo, col solito "Ventor" che esegue dei discreti fraseggi di batteria. Mille torna a far sentire la sua voce, cantando dei nuovi e brevi versi, i quali si esauriscono in un terrificante urlo del singer. E' il momento dell'assolo di chitarra: stridente, ronzante, sporchissimo. Dei nuovi versi giungono a fare capolino e, nuovamente, Petrozza è li pronto con la sua voce ringhiante. Segue poi un altro assolo, eseguito sulla scia del precedente. Questo va poi sfumando fino a ricondurci al riff iniziale. La canzone si sta dunque avviando verso il termine dei suoi sette minuti, ma c'è ancora tempo per un'ultima devastante strofa. Ed ecco che infatti essa arriva impetuosa, dominata dal furioso Petrozza e dalla sezione ritmica, che dopo diversi minuti torna a galoppare. Il tempo di un ultimo ritornello e infine il sipario cala. Sette minuti assolutamente giustificati, i Kreator qui hanno dimostrato, in base alle loro competenze dell'epoca, di saper giocare col songwriting e con i cambi di tempo, non annoiando mai l'ascoltatore. Il testo è molto interessante e getta le basi per quelle che saranno le future tematiche del gruppo tedesco. Le liriche di questa canzone sono incentrate, secondo l'opinione di chi scrive, sui potenti che controllano il mondo e le nostre vite, decidendo come dobbiamo vivere e come morire. Gli dei non sarebbero dunque, a quanto pare, delle figure mistiche o mitologiche, ma proprio coloro che dominano il nostro pianeta, ossia i potenti. Mille Petrozza, l'autore di tutte le liriche dei Kreator, inizia col dire che la fiducia nell'umanità non è mai stata reale e che gli dei del piacere, del dolore, del terrore, della vita e dell'odio si stanno muovendo per spargere la mortalità, la quale sarà infinita a causa delle loro gesta. Viene tirata in ballo la morte per via nucleare, paura che negli anni 80 ancora serpeggiava tra le città europee; a causa di essa la vita risulta inutile, in quanto destinata a finire nel più brutale dei modi. Gli uomini comuni osservano il cielo, coscienti che da un giorno all'altro una bomba atomica, sganciata appunto dagli dei, possa porre fine a tutto quanto. Gli stessi dei faranno si che chi muore veda dove si trovava prima della sua nascita. Ma quest'ultima a conti fatti sarebbe quasi vana nel suo essere, in quanto la vita di ogni persona - scrive il nichilista Petrozza - è stata sin da sempre pianificata, controllata ogni giorno. Quindi, un motivo reale per vivere, per condurre veramente la propria vita in un certo modo, non è mai esistito. Nel ritornello giunge la notte del massacro - che dunque nella mente di Mille è inevitabile - e gli uomini si ritrovano a guardare i potenti nei loro occhi e comprendono tutte le bugie raccontate loro da sempre. Le liriche si fanno sempre più pessimiste, come testimoniano i versi seguenti: l'unica vita che può realmente iniziare è dopo la morte, in quanto quella terrena è fatta di falsità. Le ambizioni, i progetti, gli obiettivi, perfino atti criminosi, non valgono niente in quanto il destino dell'umanità è predetto. Nelle due strofe conclusive, Mille scrive che il significato della vita non verrà mai scoperto per quanto certe persone possano sforzarsi di trovarlo, ma la verità non verrà mai a galla. L'unica cosa certa è che, quando sarà il momento, gli uomini dovranno prepararsi a subire torture e patire il dolore e, la cosa più brutta, è che dovranno accettare tutto ciò. L'ultimo verso dice che la vita è dannata per la morte e che, il significato dell'esistenza, sarà svelato solo nel futuro o forse anche mai. Nichilismo e misantropia allo stato puro in questo corposo testo scritto da Petrozza, il quale certo, nel 1986, non aveva una visione rosea della vita. Ma, negli anni 80, il timore del nucleare era ancora concreto e difatti molti gruppi metal del periodo si cimentarono in liriche trattanti tale argomento.
Conclusioni
Tirando le somme, "Flag of Hate" è un buon lavoro di rodaggio. In sole tre tracce, i Kreator convincono, incattivendo ancora di più il loro thrash metal, già primitivo e selvaggio. Una lieve maturazione tecnica c'è stata, i brani sono più quadrati, scritti meglio e soprattutto più furiosi. Si, perché se "Endless Pain" era un lavoro grezzo e incentrato sulla velocità, questo EP invece si concentra di più sulla violenza, sull'irruenza delle canzoni. Si sente chiaramente come la chitarra di Petrozza abbia un suono più pieno, roboante, non più ronzante come nell'opera precedente. Oltretutto, dello stesso Mille va segnalato anche lo stile di canto variato rispetto ad "Endless Pain". Se in quest'ultimo il giovane thrasher tedesco aveva adottato uno scream acido e stridulo, qui invece, la voce è decisamente più rabbiosa, ringhiante, a tratti quasi inumana per quanto è violenta. Tale stile di canto sarà ancora più esasperato nel successivo full-lenght, "Pleasure to Kill", che mostrerà un Petrozza a dir poco animalesco dietro il microfono. In quanto alla mera tecnica chitarristica, Mille è rimasto più o meno agli stessi livelli del disco passato, quindi soliti assoli atonali, basati spesso sulla cacofonia e la velocità. I riff in compenso sono coinvolgenti, centrati e dannatamente violenti per l'anno in cui sono stati incisi. Ad esempio, il riffing di "Awakening of the Gods" fa molto eco al death metal che stava appena sbocciando nella lontana America grazie al lavoro d'esordio dei Possessed, "Seven Churches". Ma torniamo in Germania. La prova degli altri due musicisti è buona nel complesso: il bassista Rob Fioretti si ode di più rispetto all'album scorso, il suo strumento gode di un sound più vivo e in "Take Their Lives" regge bene tutta l'impalcatura. "Ventor", un po' come Petrozza, abbandona quel drumming scarno udito su "Endless Pain" in favore di un'attitudine decisamente più brutale e intensa. Stavolta, i tom si sentono eccome e la doppia cassa è fragorosa come i tuoni durante un temporale. Siamo ben lontani dal batterista thrash perfetto, a confronto, nella bay area, drummers come Dave Lombardo o Tom Hunting avevano fatto già vedere di che pasta erano fatti ad appena 20 anni. Ad ogni modo, la capacità di "Ventor" per i Kreator dell'epoca andava più che bene. D'altronde, il thrash teutonico si è sempre distinto da quello made in USA proprio per via di una maggior violenza e una tecnica minore, quindi ben vengano anche le sgroppate più aggressive ed imperfette dietro le pelli. Dal punto di vista lirico abbiamo qualche miglioramento, specie per quel che riguarda il testo di "Awakening of the Gods", canzone che si concentra su tematiche piuttosto attuali dell'epoca, anche se viste sotto un'ottica eccessivamente pessimista. Comunque, l'abilità di Mille Petrozza nella stesura dei testi di questo EP, è quella di non annoiare mai, riuscendo a mantenere l'attenzione dell'ascoltatore sempre viva. In conclusione, si può dire che "Flag of Hate" è stato un EP di fondamentale importanza per i Kreator, in quanto viene plasmato un certo tipo di sound che da qui in poi diverrà sempre più personale ed in costante evoluzione. E poi, queste tre canzoni si fecero notare per la loro estrema violenza in un anno dove il metal estremo stava esplodendo definitivamente in tutto il mondo, con uscite provenienti da svariati paesi del globo. Diciotto minuti di musica che trovano il loro senso d'essere nelle note di questi arrabbiati ragazzi tedeschi.
2) Take Their Lives
3) Awakening of the Gods